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Farciámm da Punt a Punt

Un librettino, talmente librettino che se riposto nel posto sbagliato risulta poi difficile ritrovarlo.
Ed é esattamente quello che é accaduto. Negli anni (!) ho poi dedicato alcuni momenti alla sua ricerca, ogni volta motivato dalla falsa speranza di cercarlo in un posto non ancora preso in considerazione. Poi come spessissimo capita spunta di colpo quando nemmeno lo si stava cercando, altrettanto tipicamente scopro che era a pochi cm in linea d'aria di dove passo gran parte del tempo.

Copertina del libricino

Ma perché tanto "accanimento" su questo testo? Esso contiene delle perle di un mondo contadino ormai sul crepuscolo, o meglio ancora, contiene quegli aneddoti, quelle battute inimmaginabili oggi, fatte da personaggi semplici e allo stesso momento saggi. Me li immagino mentre fanno battute sprezzanti e offensive, e mentre la platea non può far a meno di avere delle reazioni loro rimangono impassibili, come se avessero appena profuso l'affermazione più logica possibile. È proprio questa la ricchezza, le testimonianze di questi personaggi sempre più rari, non bramosi di notorietà o simpatie ma semplicemente e genialmente spontanei. 

Il fatto che le vicende si svolgono a due passi da casa aumentano ulteriormente il fascino per queste preziose testimonianze. Ecco quindi le poche ma ambite righe.

1. Disse uno da Fontana, del matrimonio parlando, u pèr u pèr, e lé nóta (pare pare, che sia, e non è niente, è zero).

2. Mort nüi, u n végn amò di chi péisc (Morti noi ne vengono ancora di quelli peggiori). È sentenza notevole di Arturino Bassi da Valle (Airolo).

3. Parlavano di che cosa fa l'essere bello. Disquisivano, non senza sottigliezze, donne; fin che da un suo angolo intervenne, arditamente, un uomo. Che disse: Cum' i amm da fê a véss béi, ci n ann fécc dét nòcc e pố mò al sc'ür? (Come possiamo essere belli che ci hanno fatti di notte e per di più all'oscuro?).

4. Quel tale che, al socio che gli annunciava essere suo intendimento di sposare la tale, non propriamente bella, disse brutalmente: - Chèla ö? Damm un pic'ón e na badira, i vèi fò in u samantéri e i ta n tíri sü fin c é ti võ di chi méi - (Quella lì? Dammi un piccone e un badile, vado fuori nel cimitero e te ne tiro su fin che vuoi di quelle meglio). 
(Questa finisce di diritto negli "insulti e similitudini in dialetto di Airolo")

5. Quel senso del morire assume talvolta, nel mondo contadino, un volto rude, primitivo. Un certo anno fu particolarmente duro, quanto a lutti in famiglia, in casa del ***. Quando era sull'alpe, e gli morì anche la moglie, forte imbarazzo sorse nel parentado, per quelle morti in serie, sul come dargli notizia della nuova sciagura. Alla fine uno si prese l'incarico di salire. Lo trovò che stava mungendo e, incespicando a più riprese, diede la notizia.
Al che, il mungitore, staccata la testa da quell'insenatura mite che hanno le vacche sopra le mammelle, appena disse: - Öh, i vön mori tücc stubott? - (Oh, vogliono morire tutti quest'anno?). E continuò a premere mammelle: a mungere.

9. Stavano traslocando (müdè, mutare) da una sede (corte, stazione) dell'alpe ad altra, quando, arrivati alla cascina della "nuova" sede, vide il casaro che nel giaciglio (u ströi, propriamente "strame", metonimia per giaciglio, o balín: dirlo letto sarebbe troppo!) c'era lo scheletro di qualcuno morto durante l'inverno (sciatore solitario? contrabbandiere? fuggiasco?).
Girandosi verso il tünar (Diener, servitore) disse: - Várda un bott: u i é mò c'ö u tünar 't lamm passú - (Guarda guarda, c'è ancora qui il tünar dell'anno passato).

18. Un magnanimo maestro (Madrano?), alla domanda dell'ispettore: - Come fanno questi ragazzi? - Rispose: - I ò da fè dotütt par tegnii indré, autramént i n sann piúnda ch'é mi - (Devo fare di tutto per tenerli indietro, altrimenti ne sanno più di me).

24. Agli esami scolastici. Chiede l'ispettore, guardando fisso negli occhi di un ragazzo, interrompendolo nella difficoltosa lettura:
- Che cosa vuol dire pomeriggio? -
E quello, che ovviamente non sa di latino ("post meridiem") ma possiede il parlar materno, e poiché nel dialetto dell'alta Leventina i pómm sono le patate (e non le mele come nella maggior parte della Svizzera italiana), con logica paesana rispose:
- U sará bè l scüsciapómm - (Sarà bene lo schiacciapatate).

28. Tutti sanno che la Leventina fu baliaggio di Uri per più secoli, fino al 1798; e che un momento particolarmente drammatico di quello dominazione fu la crudele, stolta punizione degli urani per la cosiddetta rivolta leventinese" del 1755 . 
Tre leventinesi, scelti "dal mazzo", Forni, Orsi e Sartori, furono giustiziati sulla piazza di Faido, al cospetto del pubblico fatto inginocchiare. Memorabile è la risposta data dal condannato Forni, un Panarèr (da Panberr, portabandiera) da Ronco-Bedretto all'esecutore urano che gli faceva la domanda rituale sull'ultimo desiderio: - Bófum in u с'ü - (letteralmente: "soffiami nel culo").

32. Il detto paesano (ricordato da Piero Bianconi) che Dal béll u s máia sgiü nóta (dal bello non si mangia giù niente; il solo valore che conta è l'economico,

35. Il L., che aveva sfrosú, "frodato" una pianta, è convocato dall'ispettore forestale per inchiesta-interrogatorio.
Allora L. dove è andato a prendere queste borre? -
I ò fécc ni dal Jelmoli - (Le ho fatte venire dallo JelmoIi). Lo Jelmoli, Zurigo, era il grande magazzino per eccellenza, con vendite per corrispondenza in tutta la Svizzera.

41. L'artificio linguistico ... Non è completamente assurdo vedere una ricreazione, a livello "basso", del veni vidi vici: -L é nicc l é nècc e la dicc nóta - È venuto, è andato, non ha detto nulla).

50. Sono curiosi questi aspetti dell'avversione contadina per la patata. 
Sentenziò un santone paesano: i pómm? I t fann crapè trè out: un bott a c'avè, un bott a töi sü e un bott a maái (le patate? Ti fanno crepare tre volte: una volta a cavare il campo, una volta a tirarle su, e una volta a mangiarle, mandarle giù).

54. Sul tema del ciccare tabacco: trovandosi uno (Madrano o Brugnasco?) casualmente a Lucerna, al Buffet della Stazione, e ciccando con zelo sostenuto, si avvicinò una cameriera a posare acconcia sputacchiera alla destra del Nostro. Il quale, ciò vedendo, sputò, alla prima bisogna, alla sua sinistra.
La sputacchiera fu allora prontamente spostata a sinistra (la diligenza di certe cameriste alemanniche è, in Europa tutta, eccellentissima). Dopo un poco di siffatte schermaglie tra chi sputa e chi non vuole si sputi per terra, lo spazientito paesano sbottò in un:
- Se adéss ti m la tö mía vía dai péi, i i spüdi int dabón -
(Se adesso non me la tiri via dai piedi, ci sputo dentro davvero).

56. Nüi i védum l'Itália dumá cui öcc di chi cu corda fènc -
(Noi vediamo l'Italia solo con gli occhi di chi va ad "accordare" fanti: a fissare un contratto stagionale con personale dell'alpe).

58. L'igiene non occupava il posto d'onore nelle preoccupazioni domestiche paesane (era invece comandato dai casari sull'alpe agli altri fanti, quanto a pulizia degli attrezzi per la preparazione non difettosa del formaggio). Soprattutto d'inverno, la mancanza di servizi adeguati (bagno o doccia erano affatto sconosciuti) e il dover fare lavori non per colletti bianchi, per esempio in stalla e nel fienile, spiegano certe carenze (ma chi ha raccolto queste "facezie" ricorda e ricorderà sempre la madre, mite, che nel sabato sera si faceva energica e "impietosa" nel cancellare il cröpat, lo sporco pertinace dal collo e dalle orecchie, con mano anche atta a «menare stregghia»). 
Quando il M., già in età avanzata, fu portato all'ospedale di Faido, tra le prime cose che le suore gli fecero fu un laborioso, epocale bagno, forse il primo in vita sua. E lui che, vecchio, mangiava un po' di parole, storpiandole: - Chi maladéti tavátt (sciavátt) i vön minámm (sminámm) -
(Quelle maledette ciabatte (porche) vogliono guardarmi, esaminarmi).

61. Nell'anno della valanga, 1951, quando ci fu l'evacuazione, M. da Fontana fu trasferito da parenti a Lugano, dove non era mai stato, Chiesero al figlio L.: - Cum' us la pássa u tö pa a Lügân? - (Come se la passa tuo padre a Lugano?) - Oh, u va tücc i sir al Cursal - (Oh, va tutte le sere al night).

64. Il F. aveva in gran dispitto le patate. Quando il Municipio di Airolo, da cui Fontana dipende, propose diverse misure per combattere la dorifora, il F. disse la sua:
- Mi i disarö da lassái maè par un egn, i pómm, da la dorífora; pö i vöri bè vidéi c'é dòpu un egn i n máian più - (Io direi di lasciarle mangiare, per un anno, le patate, alla dorifora; poi vorrete ben vedere che dopo un anno non ne mangiano più).

65. Sul sovvertimento degli usi e costumi. Ospiti del D., il L. e il C. vanno ad Attinghausen (Uri) a mangiare il pollo "al cestello": che si mangia con le mani. 
Dice il L. - Nò, i sémm stècc si trént'ègn pai elp sénza furzelín. Adéss, par un bott ci sémm cö par un ristoránt, ci m la dèan - (No, sono stato su trent'anni per gli alpi senza forchettina. Ora, per una volta che son qui in un ristorante, me la diano).

69. Opinione robustamente plebea voleva che le tre colonne della vita contadina fossero il sindaco (la gestione della cosa pubblica), il prete (lo spirituale) e il toro del consorzio (l'economia). Poteva capitare che il "tenitore" (colui che, per concorso, remunerato per ciò, accudiva al toro del consorzio) fosse donna. Proprio una donna ebbe a dire un giorno: - Se tücc i out chi disi ux i m déssan un quatrín, a 'st'ura i sarössi milionária(Se tutte le volte che dico ux - voce di incitamento fonico al toro perché faccia quel che ha da fare - mi dessero un quattrino, a quest'ora sarei (già) milionaria).

70. A Nante un apprendista falegname si fece, con la macchina, un grave taglio alla mano. Quando riferirono la cosa al padre suo, quello, dopo che una luce di orrore gli passò fulminea per gli occhi all'idea di dita recise, commentò con frase che in paese e nella valle parve espressione di rozzo, disumano cinismo:
- Básta 'é u i an résti mò lè düi par gropè sü la páta - (Basta che gliene restino là ancora due per allacciarsi la patta-apertura anteriore dei calzoni maschili).

73. Mettendo in guardia qualcuno sui pericoli dello sposare donna bella, replicò, in versi, un paesano della setta dei cinici (su certa misoginia paesana non è il caso di insistere): 
-Méi una túrta da spartí / c'é una buáscia tüta par ti - (Meglio una torta da spartire / che una frittata di vacca - tutta per te).

82. Su certo stoicismo montanaro è degna di memoria la risposta di un vecchio cieco e malfermo estratto vivo dalla valanga del 1863 che fece a Bedretto 33 morti. Fu scavato fuori dopo due giorni perché pare si fosse trovato con la faccia vicina all'acqua di un büi (fontana). Alla domanda dei soccorritori su cosa gli andasse bene, laconicamente disse: - Una süpa - (Una zuppa).

84. Del vino diceva il Gervaso da Brugnasco: se si potesse farne burro o formaggio, ma all'infuori che berlo, proprio non se ne può fare niente. - Fora c'é béval, us pò propi fann nóta -.

94. Brugnasco, frazione di Airolo, è posto su un fianco roccioso della montagna. Poca o niente terra buona. Un campanilista da Brugnasco un giorno parlava male della val Bedretto, dove si trova anche Fontana, patria del F. Il quale lasciò dire poi disse: - Eh, la vall Bidré l é bè cum' lé. Ma i dísan ènc a cé a Brügnèsc u vánza mò sü i barbiss di vicc c'ann sotarú vinc ègn fa - (Eh, la val Bedretto sarà quel che sarà. Ma dicono anche che a Brugnasco avanzano - spuntano, fuoriescono - ancora su i baffi dei vecchi che hanno seppellito venti anni fa - per mancanza di terra per coprirli).

97. Dalla sentenza riportata al punto 3, sembra venir via questo serrato dialogo da commedia paesana:
Ti sé nècc a trové L. a luspadè? -
I sémm nécc. -
E cum' ti l é trovú? -
Brütt, propi brütt. -
Alúra l é bè cum' l é sémpra stécc. 

(Sei andato a trovare il *** all'ospedale? / Sono andato./ Come l'hai trovato? / Brutto, proprio brutto. / Allora è bene come è sempre stato). La facezia giuoca sull'ambiguità di brütt = male di salute e brutto quanto all'aspetto fisico

108. La "maledizione" paesana poteva raggiungere naturalmente il territorio della crudeltà: - Chègl io? Pissèi adöss e fall maè dai furmi - (Quello lì? Pisciargli addosso e farlo mangiare dalle formiche)

109. Novità di provincia: - Cus u i é dét nöf a Airö, R.? -
(Cosa c'è di nuovo ad Airolo, R.?) - Dét nöf? I butègli 't la bira e i cülatina - (Di nuovo? Le bottiglie della birra e i gay).

122. L'ordinanza, da Fontana, va dal primo tenente M. e riferisce. - La dicc u capitèni da nè sü un bott - (Ha detto il capitano di andare su svelto). Il formalista, cittadino, M. vuol correggerlo: - Non avrà mica detto così no? - E l'ordinanza: - Nò, la dicc da né sgiü da chèll marán d'un M. 'us dassóni a ní sü -
(No, ha detto che venissi giù da quel marrano di un M. che si svegli a andar su da lui).


Commenti

  1. La numero 28 è l’unica che conosco. Sentita pronunciare svariate, e svariate, e ancora svariate volte.

    L.G.

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