Nelle ultimissime pagine del suo "Vocabolario fraseologico del dialetto di Airolo" Fabio Beffa riporta un proverbio che potrebbe fare da colonna portante al pensiero di fondo di questa serie di post: "pèrt u dialètt l'é mé pèrt u burzin" (perdere il dialetto é come perdere il borsellino).
Copertina che raffigura la strada della Tremola.
Incisione di J. Du Bois. (Bellinzona, Archivio cantonale)
Sono venuto in possesso di questo libro perché cercavo in esso informazioni che poi non ho trovato. Iniziai a sfogliarlo già in treno mentre risalivo la valle in direzione di Airolo. È da molto che non ricordo di aver fatto così grasse risate.
Non voglio di certo impossessarmi del valore e del lavoro del libro, voglio però riportare qui le frasi più succulente e curiose in esso (e altri libri) contenuti. Solo affinché la rete, il mio blog in questo caso, sia semplicemente un altro mezzo per divulgare.
Ossequi signor Beffa, le sarò (io e presumibilmente molti altri) eternamente grato.
Non voglio di certo impossessarmi del valore e del lavoro del libro, voglio però riportare qui le frasi più succulente e curiose in esso (e altri libri) contenuti. Solo affinché la rete, il mio blog in questo caso, sia semplicemente un altro mezzo per divulgare.
Ossequi signor Beffa, le sarò (io e presumibilmente molti altri) eternamente grato.
Partiamo.
afára V. . termine del linguaggio ferroviario; < ted. anfahren; mettere in moto un vagone o una locomotiva.
u fa i afári di chi cu brüsa la ćè par vént la scendra: fa i guadagni di chi brucia la casa per vendere la cenere.l'amór l'é mia pulénta: l'amore non é un'inezia.
capin da frénör u bè béf, mettigli un berretto da frenista che berrà di sicuro, con evidente riferimento alla poca sobrietà dei frenisti in generale allora particolarmente portati al bere a causa del loro duro lavoro, spec. d'inverno e alle prolungate soste nelle stazioni fra un treno e l'altro.
Cul véss òrp quèi out un quèi brubrú ui faséva ènća dašprési cumé quant i l'an ciamó par librè na vaca ćé invece da tachè la gòrda ai sciamp du vidél i l'an tachèda a la prazéf e l pòuru Ángiulón iö a tiré par nóta; un autru bôtt ii an impienìt la panègia d'aqua e i l'añ lassêc panè par um bél pèzz prüma da dii Angiulón pêna più ćé l'aqua du rí la fa mia büdü, dopu parò l'éva méi ruèi mia sótt i unc autramént fòrt cum l'éva u t'arö špatasció; essendo cieco qualche volta uno zoticone gli giocava qualche scherzo come quando lo chiamarono per aiutare una mucca a partorire e invece di attaccare la corda alle zampe del vitello l'hanno attaccata alla mangiatoia e il povero Angelo dovette tirare inutilmente; un'altra volta gli riempirono la zangola d'acqua e gliela lasciarono agitare per un bel pezzo prima di dirgli di smetterla che l'acqua del riale non fa burro; poi però era meglio non lasciarsi acchiappare perché forte come era ti avrebbe demolito.
Fin ćuss parla dét pissa e dét mèrda l'ànima la s cunsèrva: discutendo di tali cose l'anima resta immune.
anzél: s.m. capretto => u l'à töcia isséma a l'anzél: l'ha sposata che aveva già un figlio.
I düi d'aòšt: i testicoli U düi d'aòšt l'é la fešta di òman, il due d'agosto èla festa degli uomini con evidente riferimento ai loro attributi.
Lögia sanèda dal prüm d'aòšt: lett. scrofa castrata il giorno della festa nazionale: quasi scrofa nazionale, ep. poco elogiativo.
U vadègna gnè l'aqua ću béf: è così fannullone che non guadagna neanche l'acqua che beve.
Šmòrz u föi e frégia l'aqua: detto della situazione del marito la cui moglie non é proprio un modello di massaia.
Cuss ui e Lüiss da nöf a Funtèna? Cuss l'à mèi da véssii da nöf fòra ćé l'aqua du büi: cosa c'é di nuovo, Luigi, a Fontana? Risposta bellissima e calzante: cosa deve mai esserci di nuovo all'infuori dell'acqua della fontana che continuamente si rinnova.
Si racconta di un originale che essendo indaffarato come pastore sull'alpe a chi era salito per farlo scendere a sposarsi la donna che aveva messo incinta e ormai prossima al parto abbia risposto "é bè sgiü l'autru": c'é ben giù l'altro, sottintendendo suo fratello.
Avaru mé l pörć, u rént nòta fin l'é crapò: avaro come il maiale che rende solo dopo morto.
Da chèl iö u vegn gnè fò da bagnè la süpa: sottinteso; da quello, anche a farlgi bollire la testa non esce neanche il brodo per bagnare il pane per la zuppa.
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