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Sulle tracce dell’uomo selvatico

Per rispondere in maniera più approfondita sui quesiti rimasti aperti riguardo l'uomo selvatico ordino un libro a tema. In esso trovo interessanti spunti di riflessione.

La descrizione 

L'uomo selvatico è una sorta di essere primordiale compromesso da caratteristiche ferine (per esempio l'ipertricosi); vive quasi sempre ai limiti della civiltà e i suoi atteggiamenti, rispetto all'uomo civile, assumono diverse connotazioni: in genere prevale l'emarginazione, l'autoemarginazione e la diffidenza.

Si trova in natura per scelta, o perché nato da genitori a loro volta selvatici, oppure perché fuggito dal consorzio umano dal quale, per motivi diversi, era stato rifiutato, se non addirittura allontanato brutalmente. Inoltre, la tradizione orale narra di selvaggi diventati tali poiché 'malati di mente', 'ritardati' o caratterizzati da anomalie fisiche tali da renderli appunto 'selvaggi'.

Per accentuare questo suo status di selvatichezza, è tradizionalmente rappresentato irsuto, vestito di pelle e armato di clava, depositario di conoscenze che gli consentono di effettuare alcune attività all'interno dell'ambiente naturale, generalmente non conosciute dagli uomini che vivono nella civiltà.


L'uomo delle foreste da Icones animalium quadrupedum, di Conrad Gessner (1560)

Buoni o cattivi?

Nel suo Discorso sull'origine della disuguaglianza fra gli uomini (1755), Rousseau faceva fulcro su alcuni casi di bambini selvaggi. Ricordiamo che le maggiori informazioni sui cosiddetti bambini selvaggi provengono dai secoli XVII, XVIII e XIX; si passa da casi eclatanti di piccoli rimasti nella foresta per lunghi periodi e che si crede siano stati allevati da lupi e da orsi, ad altri che di tanto in tanto i mass media propongono, spesso con toni ampiamente enfatizzati, ma di cui solo in rare occasioni si ha notizia sulle riviste scientifiche e specializzate. 

Relativamente al caso del bambino trovato nel 1344 nell'Asia e allevato dai lupi, Rousseau scriveva che "il piccolo avrebbe scelto di ritornare con i lupi piuttosto che con gli uomini. Aveva assunto l'abitudine di camminare come loro e furono applicate tavole di legno perché stesse dritto e mantenesse la posizione eretta". Poi il filosofo ginevrino ne citava altri, segnalando che in tutti era chiara la loro totale "animalità", determinata appunto dalle tragiche condizioni di sopravvivenza a cui i piccoli furono sottoposti.

Secondo Rousseau l'uomo di natura sarebbe un essere 'buono', capace di vivere in armonia con le altre creature e con l'ambiente naturale. Questo modello idilliaco risulta però corrotto dalla società moderna basata sul progresso:

Il mito del buon selvaggio fu certamente influenzato dalla scoperta del Nuovo Mondo: allora quell'essere, lontanissimo dal modello occidentale, fu idealizzato da alcuni intellettuali in quanto creatura considerata estranea alla cultura corruttrice e assolutamente non condizionato da pretese di disuguaglianza.

Schivo

Dai materiali folklorici raccolti sul campo (tradizione orale - nella prevalenza - maschere, feste, rituali stagionali), l'uomo selvaggio risulta contrassegnato da alcuni stereotipi: è considerato il primo abitante delle Alpi; è un maestro dell'arte casearia, dell'apicoltura, delle tecniche minerarie, o di altri sistemi collegati all'economia delle singole aree in cui si rintraccia la leggenda; ha insegnato agli uomini canti e proverbi; si è allontanato dai civili perché non è stato accettato e in più occasioni è stato da loro offeso; vive di prodotti della natura di cui conosce tutti i segreti; solo in casi abbastanza rari è allevatore, comunque è considerato un ottimo pastore; possiede uno stanziamento fisso (riparo sottoroccia, casa abbandonata, grotta ecc.) spesso inaccessibile per l'uomo civile; non è pericoloso e quasi sempre fugge quando incontra un uomo. In alcune leggende è detto che si avvicinerebbe ai luoghi abitati solo quando attirato dal canto di una donna, e sono rare quelle che lo descrivono con carattere malvagio, al limite il suo comportamento rimanda al modello del trickster (dell'imbroglione, del truffatore); in qualche caso, per le sue peculiarità simboliche, può essere avvicinato alle mitiche figure di nani, elfi ecc.; esiste anche una donna selvatica (e non mancano gruppi familiari).

Scopriamo che in alcune leggende assume caratteristiche affini al cosiddetto 'eroe culturale', cioè colui che ha insegnato qualcosa di fondamentale alle genti 'civili: arte casearia, agricoltura, apicoltura, attività mineraria... Le leggende che fanno riferimento a questa sua peculiarità pongono in evidenza che quando l'uomo selvaggio era in procinto di insegnare altri segreti importanti (come ottenere la cera dal latte, o l'olio dal caglio) fu costretto a fuggire perché vittima degli scherzi degli uomini.

E così, dopo aver trasferito quasi totalmente le proprie conoscenze ai pastori e ai contadini, fuggì nella montagna o nel bosco da cui non fece più ritorno, o si concesse rapide incursioni nel consorzio umano. Quindi l'uomo selvaggio, generalmente, è considerato l'iniziatore di alcune attività fondamentali per le singole microeconomie: un ruolo che consente all'uomo di dare un senso alla propria cultura e di trovarne le radici in una dimensione mitica, poiché gli mancano gli elementi per aggregarla alla storia.

Anzi cattivo (Krampus)

Ancora una volta non si riesce a definire uno standard, nella sola, relativamente piccola regione del nord Italia presa in considerazione nel testo non esiste una definizione unica dell’uomo selvatici. Essa può variare di posto in posto

Cartolina raffigurante un Krampus

Ad esempio i Krampus, con i loro travestimenti, esprimono tutta la potenza della maschera demoniaca, accentuando il loro ruolo negativo nella dinamica del rito. Di fatto impersonano i diavoli, trovando la dimensione coreutica più idonea nelle tradizionali sfilate che si svolgono in Alto Adige in occasione della festa di San Nicola. Vestiti con abiti laceri e maschere che hanno il ruolo di esasperarne la funzione, spesso sono provvisti di corna e nel corso della festa attraversano le vie dei paesi provocando rumori con corni e campanacci. Anche le donne possono essere Krampus: hanno l'identico costume, ma si chiamano Krampa.

Secondo una leggenda locale, in un passato lontano, durante i periodi di carestia, vi erano persone che si mascheravano come gli attuali Krampus, per recarsi nei paesi vicini a razziare ali. menti e beni. Pare che tra loro si nascondesse il diavolo in per. sona: fu allora che il vescovo Nicola esorcizzò gli inquietanti Krampus e così, dopo quel rito, Satana ritornò all'inferno e i contadini travestiti cessarono di compiere le loro scorribande, vestendo il loro costume solo in occasione della festa del 5 dicembre.

Secondo la tradizione, i Krampus avrebbero il ruolo di punire i 'bambini cattivi', al contrario di San Nicola che invece premia i buoni.
Nell'itinerario ludico-trasgressivo del carnevale, questi personaggi, sfruttando il loro aspetto 'demoniaco', si gettano all'inseguimento delle persone che assistono alla sfilata seminando il disordine e frustando chiunque riescano a raggiungere.

Uomo selvatico e il diavolo

Tra i documenti relativi ai processi celebrati contro le streghe del Trentino, troviamo un frammento particolarmente indicativo sulla relazione uomo selvatico-diavolo: "Signori, sì che dico [a parlare è una strega, NdA], che ho incontrato il Salvanel di notte, mi veniva a trovar in letto, et mi montava adosso come fanno li homeni quando vogliono negoziar le donne carnalmente, essendo mi nuda, et mi cacciava il membro, o come membro da homo, nella natura, fra le gambe, et si squassava come fanno li homini quando voglion corrompersi con la donna, et mi squassava anco mi, come si me fussi stato un homo adosso che mi havessi conosciuta carnalmente, e mi corrompeva anco carnalmente, et sintiva che anco lui si corrompeva nella mia natura, et mandava fuori il seme come fanno li homeni. Il membro di detto salvanello che m'intrava nella natura era di longhezza d'una spanda, ma non era troppo grosso che sintissi tanto [...]
Il detto Salvanel m'è venuto a ritrovar per praticarmi carnalmente, come go dito, dopo che è morto mio marito, che sarà venticinque anni in qua, ma sono da cinque anni in qua, chel non m'ha visitato più" (Biblioteca Civica di Trento, Ms 618).

Dobbiamo inoltre ricordare che una delle imputate nei noti processi contro le streghe celebrati in Val di Non all'inizio del XVII secolo era chiamata la 'Pillona'. Inoltre alcune imputate più volte chiamarono Satana - o chi dirigeva il sabba - 'Salvanello': un'indicazione molto importante, che pone bene in evidenza come il tessuto mitico locale per alcuni suoi aspetti specifici sia stato riversato nelle credenze sulle streghe.
La 'Pillona', rivolgendosi agli inquisitori affermò: "Signori, mi non so dir che cosa sia il Salanel, ma mi vado pensando che sia la tentazione, o sia il Diavolo"

È interessante constatare che l'accusata non indicava il Salsanel come l'uomo selvaggio della tradizione, ma lo poneva immediatamente in relazione al male: era il diavolo, la tentazione.

Questa contraddizione può avere due motivazioni: in un caso la 'Pillona' intendeva fornire agli inquisitori le risposte che sapeva volessero, cioè il Salvanel era Satana e lei ne aveva subito le adulazioni. Da un altro punto di vista, l'inquisitore, pur definendo il visitatore notturno con il nome tipico dell'uomo selvaggio, non lo considerava tale ma qualcuno di simile per aspetto fisico, che però non riusciva a connotare con precisione e quindi individuava come diavolo, cioè l'unico referente di alterità che la sua cultura consentiva di evidenziare.
Il Salvanel descritto nel processo potrebbe quindi apparire come una figura ibrida, in cui il modello del selvaggio del folklore si amalgama a certa iconografia del diavolo che era particolarmente diffusa nella religione popolare.

Sul duomo di Milano

Per chiudere una curiosità che mai mi sarei aspettato: l'umo selvatico sul Duomo di Milano!

Giovannino De'Grassi assunto come ingegnere del Duomo di Milano dal 1391, il compito in cui si operò di più fu l'esecuzione di disegni architettonici e decorativi, raccolti nei suoi taccuini; fra cui troviamo anche un Homus Selvaticus che vediamo in alto sul Duomo

Nel selvatico del Taccuino abbiamo un modello strutturato secondo canoni ricorrenti: emblematica la presenza della clava e il corpo villoso che però, pur con la folta peluria, lascia liberamente trasparire la matrice 'umana' del soggetto. Indicativi inoltre i riferimenti alla statua del 'Gigante' presente nel duomo di Milano.



Vi è comunque una notevole differenza tra le due opere. Mentre quello del duomo tiene la clava sulla spalla e il suo sguardo è rivolto verso l'alto, con una postura ricorrente nell'iconografia di genere, quello del Taccuino ha invece un insolito atteggiamento: tiene la mano destra appoggiata sulla clava come fosse un bastone d'appoggio e il dito indice della mano destra è davanti alla bocca, a indicare di tacere. Quale sia il motivo di tale indicazione non è chiaro, ma è possibile che trovasse riscontro in una qualche versione delle leggende che lo vedono protagonista. Globalmente "il Salvaticus di Giovannino de' Grassi costituisce un disegno elegante, dove il personaggio ricorre nella foggia usuale: capigliatura fluente, baffi e barba lunghi, corpo interamente coperto di pelo, quasi come una pelliccia da cui fuoriescono mani e piedi. La silhouette del corpo è slanciata, i lineamenti fini. Due particolari diversificano l'atteggiamento rispetto ad altri: la mano destra portata alla bocca col dito indice teso, forse a indicare silenzio o in segno di ammonimento, il braccio sinistro che appoggia la mano quasi premendola sul bastone nodoso all'altezza della coscia"

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