Passa ai contenuti principali

L’ uomo nero

"Spesso puzzano di selvatico. Hanno barba incolta, cappellacci senza forma e senza colore, molti li evitano, li scansano, li sfuggono"

Ecco come venivano descritti i carbonai nel "I Maremmani in Il Risveglio. Giornale del popolo, Pistoia, n. 4, 27 gennaio 1901".

Ma che rapporto c’è tra il carbonaio e l’uomo nero?

Il carbonaio, all'inizio della primavera, saliva nelle aree presso ampie fasce boschive in cui per alcuni mesi avrebbe operato spesso ai limiti della sopravvivenza, per trasformare il legno in carbone, lavorando da prima dell'alba al tramonto.
Alla realizzazione della carbonaia contribuivano i più esperti che sapevano costruire quella complessa struttura, avvalendosi di una tecnica molto sofisticata. Spesso per completare la catasta della carbonaia occorreva anche una settimana, in quanto era indispensabile molta cura per vestire' quel tumulo di legni
tagliati ad hoc.
Accanto agli aspetti tecnici, vi erano quelli rituali. Infatti i carbonai prima di tagliare il legno, in alcune zone, erano soliti
recitare preghiere propiziatorie. Una pratica che pone in evidenza il forte ruolo sociale riconosciuto alla realizzazione della carbonaia, sorta di 'achanor' contadino in cui avveniva la trasmutazione del legno.

Carboniaia, incisione del XVIII secolo

Il carbone, pagato a peso, era ottenuto attraverso una tecnica raffinata. Per produrre cento quintali di carbone, ne occorrevano circa trecento di legna secca e cinquecento di quella verde: quindi è immaginabile il notevole impegno fisico richiesto, che costringeva i carbonai a faticosi e lunghi turni di lavoro. Si tenga conto che la costante presenza sul posto dei carbonai era fondamentale per controllare che il fuoco non si propagasse ai boschi.

Inoltre, anche la vita quotidiana all'interno di una povera capanna nel bosco, priva di ogni comodità, assegnava al carbonaio un'aura 'selvaggia', accentuando la sua marginalità.

Un elemento che certamente ha contribuito alla demonizzazione del carbonaio è costituito dal valore simbolico del carbone: "Elemento che si consuma e si cela nelle cucine e nei fornelli, vanta una discreta letteratura di annotazioni, di modi di dire, di frammenti della tradizione orale, e quasi tutti con una connotazione negativa" (C. Rosati, 1986).

Inoltre non va dimenticato che il carbone è il prodotto portato dalla Befana ai bambini cattivi; nell'Appennino toscano la Befana prelevava il carbone nelle 'piazze", cioè nello spazio predisposto nel bosco per allestire la carbonaia.
In questo contesto contrassegnato dalla 'negatività', determinato da un insieme di elementi 'altri' (fuoco, nero, bosco), anche i carbonai diventano personaggi marginali, guardati con sospetto, disprezzati e temuti

Lefebvre, studiando la cultura delle campagne francesi del XVIII secolo, indicava che i carbonai come i "boscaioli, i fabbri e i vetrai" erano "gente semiselvaggia, estremamente temuta"

Il carbonaio è guardato con sospetto perché conferma l'esistenza di un universo selvaggio, temibile per la sua potente contrapposizione al mondo della cultura. Quell'essere nero è però la dimostrazione oggettiva che lo spazio selvaggio può essere avvicinabile a quello dell'uomo: è evidente l'esistenza di canali di comunicazione tra i due mondi, canali che il carbonaio percorre nel suo transitare dalla cultura alla natura e viceversa. Il bosco dei carbonai è il luogo in cui tutto può avvenire, dove dietro alla maschera nera può essere occultato ogni segreto, ogni alterità. Emblematica è la vicenda riportata da A. Cavoli che, descrivendo le gesta del bandito Santella in Toscana, ne ricorda la fuga effettuata "annerendosi la faccia e mescolandosi ai carbonai" (A. Cavoli, 1979).

La connessione tra la cultura del carbonaio e l'alterità demonizzabile, è rinvenibile in una fonte insospettabile del Touring Club del 1953, che così descrive il luogo in cui era allestita la carbonaia: "È uno spettacolo da tregenda. Fumo denso, odore acre, cigolio di tizzi, e buio pesto rotto qua e là da occhi rossi di bragia che illuminano a guizzi ombre di uomini, neri anchessi come la notte e agitantisi in silenzio" (in C. Rosati, 1986).

Non solo il carbonaio

Altro aspetto chiaramente demonizzante è rinvenibile nella figura mitica dell'uomo nero. Presenza utilizzata con intenti pedagogici, che rimanda a molteplici ambiti in cui, naturalmente, non troviamo solo il carbonaio.
Negli anni Settanta del Novecento due psicologi, Simona Argentieri e Patrizia Carrano, pubblicarono un libro con un titolo emblematico L'uomo nero. Piccolo catalogo delle paure infantili. L'uomo nero infatti è una delle figure maggiormente adottate in quelle forme spontanee e popolari di pedagogia 
spicciola che avevano una funzione di controllo, non sempre formativa, ma fondamentale per 'porre dei paletti' e in grado di arginare l'esuberanza infantile.

"Là c'è l'uomo nero". "Sarà stato l'uomo nero", "Guarda che se sei cattivo viene l'uomo nero", sono affermazioni che hanno costellato l'infanzia di molti. Si tratta di "espressioni minaccianti" che, come ha sottolineato Alfonso di Nola, hanno la prerogativa di garantire "gli statuti d'autorità etico-familiare, paterna e materna, che il bambino non può ancora accogliere consapevolmente, e non può riferire a una normativa etico-reli-giosa o etico-laica".

L'uomo nero è una utilissima istituzione tradizionale per far star buoni i bambini: "Il nome è sufficiente a mettere spavento e quindi le caratteristiche non sono ben definite. Si confonde nella fantasia col signore vestito di nero che gira comprando anime e altri non è che il Diavolo; ma comunemente si occupa di viaggi notturni, fornito d'un sacco, ama appostarsi alle case ascoltando se ci sono bambini capricciosi e genitori disposti a consegnarglieli. Si confonde con il fante di picche che porta questo nome ed è sinistro; ma l'uomo nero delle favole non somiglia a quello delle carte: veste male, è un po' cattivo, ma non perverso [...] l'uomo nero si confonde con l'uomo col sacco che è attribuito anche all'uomo nero, la cui immagine spesso era in passato richiamata o sovrapposta con quella dello spazzacamino, uomo coperto di fuliggine che aveva come aiuto un trovatello e quindi richiamava facilmente l'idea d'un randagio che portava via i bambini. L'immagine primaria deriva probabilmente dalle favole, per cui risulta una controfigura attenuata dell'orco, quando l'allusione non sia addirittura al diavolo" .


La scelta del colore appare in armonia con la ricorrente simbologia che, in Occidente, fa del nero il colore della morte e del peccato: rappresenta una tenebra impenetrabile e pertanto negata alla ragione. Infatti, il senso del colore "non è un semplice meccanismo ottico, ma è un raffinato processo psichico collegato con l'organizzarsi delle emozioni e degli affetti, e i colori sono la prima possibilità che ha un bambino molto piccolo di investire di significati il mondo. Così - come mostrano anche le psicoanalisi infantili, nelle quali il disegno e il gioco hanno una funzione preponderante - si può capire che il nero viene a rappresentare la parte cattiva, dentro e fuori di noi" 

Commenti

Post popolari in questo blog

Santa Maria in Calanca

Ci sono piccoli angoli del nostro territorio, che non distano molto da casa, dei quali siam soliti dire “prima o poi ci vado”. E poi non si va mai. Uno di questi angoli é senza dubbio Santa Maria in Calanca. Ad un tiro di schioppo da Grono che é a sua volta ad un tiro di schioppo da Bellinzona, che é a sua volta ad un tiro di schioppo da ogni insediamento del Canton Ticino. Insomma se si vuole andare ci si va. Punto. Santa Maria vista dal sentiero che sale da Castaneda Brutte presenze in quel di Castaneda La mia visita invero parte da Castaneda, ad un tiro di schioppo (evidentemente) da Santa Maria. In una cappella nella parte bassa del paese, scorgo personaggi piuttosto inquietanti. Un santo Stefano dal viso angelico e segnato dalla bella gioventù osserva un San Fulgenzio piuttosto incupito per non dire adirato. Dalle mie parti direbbero "non ha una bella cera". Leggendo poi una breve biografia del personaggio alcune suoi scritti non aiutano a rasserenare, in particolare cit...

Il monastero di Claro

“Posso farle una domanda?”- era da parecchio tempo che aspettavo questo momento, quello di porre una semplice domanda, molto probabilmente ingenua dal punto di vista della monaca di clausura che si appresta ad ascoltarla, ma così carica di significati per me. Sarei però un folle a riportare qui il punto apice della mia visita al monastero benedettino di Santa Maria assunta sopra Claro , questo il nome ufficiale che per motivi di scorribilità della lettura non ripeterò più in maniera completa  Il monastero da un depliant presente al monastero. La zona aperta al pubblico é assai limitata, consiste nella terrazza che da sulla valle (tutta a sinistra) con annessa chiesa e localino per gli acquisti (vedi sotto) L’itinerario odierno parte e finisce nell’abitato di Claro, ridente agglomerato ai piedi del monastero. Prima di salire al monastero faccio un giro alla ricerca dei luoghi di interesse in paese. Mentre cammino per i vicoli noto gente indaffarata: un'intera famiglia sta partecipan...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 5 - Il vecchio editore

Giungo da Roveredo in perfetto anticipo, ho il tempo anche di gustarmi un Campari soda in piazza grande; la giornata volge al termine ma ho ancora una tappa finale in programma. Essa ha luogo nella ridente Locarno dove per l’occasione sono stati trasportati due vagoni in piazza Grande Vagoni della Pace in piazza grande L’occasione é la presentazione di un libro legato ai patti di Locarno del 1925, tema già accennato nelle settimane scorse. La vera première della serata é la possibilità di visitare il palazzo della Sopracenerina, vera e propria icona della nostra storia Cantonale Il palazzo della sopracenerina alle spalle dei due vagoni Storia del palazzo La realizzazione del Palazzo oggi comunemente definito «della Sopracenerina» – proprietaria dello stabile – data degli anni Trenta dell’Ottocento ed è frutto di una contingenza storica particolare, quella della capitale itinerante, quando Bellinzona, Lugano e Locarno ospitano a rotazione le istituzioni cantonali. La Costituzione cant...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 4 - Le tre colonne

Ci vogliono pochi minuti dalla chiesa di San Giulio alle famigerate tre colonne nella campagna di Roveredo. La mia prossima tappa é semplice, spartana dal lato concreto ma carica di significati. Le tre colonne Ci sono tre colonne nella campagna di Roveredo, un collega originario di li mi ha riferito che quando hanno costruito l'autostrada hanno previsto una curva per preservare il sito. Tutto per tre piccole colonne, anzi, avanzi di colonne.... Le tre colonne di Roveredo Incrocio due signore a qualche centinaia di metri dal posto, scambio due parole, sono tentato di chier loro cosa sanno in proposito ma non lo faccio. Avrò modo di scoprire più tardi che le persone del luogo sono tutti a conoscenza della loro presenza e spannometricamente della loro funzione. Nessuno però sa indicare con precisione cosa si svolgeva. Sulla sinistra si intravedono i resti delle tre colonne Dopo pochi minuti giungo in vista del luogo. È a qualche metro dalla strada che costeggia il fiume e che una volt...

Valle di Muggio - Tre Personaggi

Delle valli principali del Ticino solo una é rimasta incredibilmente ancora inesplorata dal sottoscritto. Finalmente decido di agire e intraprendere una prima spedizione appiedata che prevede la percorrenza di tutta la valle con "entrata trionfale" dagli alti pascoli invece che una scontata salita dall'imbocco di Morbio. Così facendo dovrò per forza percorrerla tutta e non rinunciare dopo le prime fatiche come avrei potuto fare salendo dal fondovalle.  La partenza é il Generoso e l’arrivo é previsto a Balerna. Finalmente avrò modo di immergermi in maniera completa in questo angolo di Ticino. A pochi centinaia di metri dalla vetta del Generoso. Sullo sfondo la valle di Muggio dove si distinguono i primi villaggi. In primo piano un pastore sale lentamente.... Incontri casuali Ancora non lo so ma tre personaggi estremamente pittoreschi mi stanno aspettando lungo il percorso. Lo stile di vita che ho deciso di intraprendere mi espone volentieri a questo tipo di incontri, non ...

Scioperi svizzeri

Mia nonna diceva sempre di non parlare né politica né di religione durante gli incontri conviviali. A casa però le discussioni più accese ruotavano proprio attorno al tema politico. Con il susseguirsi delle epoche le ideologie hanno mutato assai l’impatto sulla società. Ho però sempre pensato che se fossi vissuto ai tempi della nonna sarei stato con ogni probabilità della sua stessa fazione. Basta vedere cosa proponeva il comitato di Olten nel 1918: il diritto di voto e di eleggibilità per le donne, l'introduzione della settimana di 48 ore e l'assicurazione per la vecchiaia e l'invalidità. Come non essere d'accordo? Oggi questi punti sono delle ovvietà, ma non fu sempre così...anzi come vedremo sorprendentemente durante le ondate di peste, nella perenne guerra padrone - operaio ,  il coltello dalla parte del manico passò decisamente in mano a questi ultimi....e se così non era bastava a ricorrere all’arma dell’ultima spiaggia, arma potentissima: lo sciopero. Alexandre ...

Dürer tatuato - prima parte

Ho un debole per Albrecht Dürer, molto marcato. Molto meno per i tatuaggi. Diciamo che se proprio fossi obbligato a tatuarmi qualcosa, la scelta potrebbe facilmente cadere su un opera dell’incisore tedesco. Pensieri ben distanti da me nella giornata del 8 febbraio 2025. L’obiettivo odierno era il moulage di Zurigo appena finito di visitare. La strada di rientro verso la città vecchia passa davanti all' ETH di Zurigo (politecnico). Edificio principale rispettivamente Graphische Sammlung, Politecnico federale svizzero (ETH Zürich) in Svizzera Ero passato di lì ore prima in direzione del moulage e sulle sue fiancate, tra tanti personaggi non mi é scappato, con grande sorpresa, quello di Albrecht Dürer. E li ero già contento, la giornata era già guadagnata, un accenno ad uno dei miei artisti preferiti, che volere di più? Lo spicchio della facciata del Politecnico di Zurigo dedicato a Dürer Il resto poi l’ha fatto la mia curiosità: notare che l'edificio era aperto al pubblico, entr...

Belli i capelli

La lunghezza massima dei miei capelli l’ho raggiunta nel 1994 quando mi arrivarono quasi alle spalle. Durò poco. Ora a 20 anni di distanza il mio pensiero inerente i capelli é "meglio grigi che assenti".  Non fanno sicuramente parte della mia quotidianità ma tornano saltuariamente nei miei pensieri quando lo scarico della doccia si ottura.  Al castello di Valangin ho modo di approfondire il tema e rendermi conto che anche loro fanno parte in qualche modo della storia Volantino dell mostra temporanea NON C'È NESSUN PELO IN CIÒ CHE PORTA FORTUNA: IL PIEDE, IL TALLONE E LA LINGUA Detto di Trinidad e Tobago Peli e capelli come barriera contro le aggressioni esterne  Proprio come la pelle, anche i peli hanno diverse funzioni. Prima di tutto, fanno da barriera fisica e aiutano a regolare la temperatura, soprattutto grazie al sudore.  I capelli proteggono dal sole, una funzione che i peli hanno perso perché ormai sono troppo sparsi per essere davvero efficaci. I peli pubici...

Isole di Brissago

Talmente vicine, talmente scontate che alla fine gli autoctoni non ci vanno, o meglio, procrastinano col rischio di non andarci mai. E sbagliano, sì perché le isole di Brissago sanno presentare diversi scenari molto diversi tra loro nel giro di pochi ettari Se possibile ancora più vari rispetto al parco Scherrer di Morcote Il bagno romano Da buon semi autoctono atipico alle isole ci sono già stato, ma con la testa sono sempre rimasto a riva. Malgrado questo un posto l'ho ben immagazzinato in un angolino dei miei ricordi: il bellissimo bagno romano.   Bagno romano Sebbene le isole siano state frequentate in epoca romana, come confermato da reperti archeologici, il "bagno romano" non è un'autentica rovina dell'antichità, ma una costruzione moderna che richiama quello stile. Costruito nel 1927 dal proprietario dell'epoca, il mercante tedesco Max Emden. Si tratta di un'opera architettonica e paesaggistica, parte del giardino botanico, che comprende una piscina...

La tarasca di Bellinzona

Ci sono diversi elementi di interesse nella Collegiata di Bellinzona. Già avevo trattato uno dei due giganteschi quadri che affiancano l’altare che ritrae Simon il mago durante il suo volo pindarico. Fa un certo effetto vedere quest’uomo in procinto di schiantarsi sotto, anzi sopra, gli occhi sgomenti dei presenti. Ma a ben vedere c’è una presenza molto più inquietante sulla navata di sinistra, in corrispondenza della cappella della madonna di Lourdes. In basso ad un quadro raffigurante una donna con vestiti dai colori sgargianti un essere tendente al mostruoso non meglio identificato, la osserva con aria di profondo avvilimento frammista a ricerca di pietà  Dettaglio del quadro di Santa Marta affronta il drago,  Bartolomeo Roverio detto il Genovesino (1577-1630 ca.),  1608 - Collegiata Bellinzona Si tenderebbe a concludere che si tratti del “solito mostro” addomesticato e addirittura portato al guinzaglio dalla principessa di turno come nella leggenda di San Giorgio o come...