Leggere “Accademia della val di Blenio” nella pinacoteca di Brera di Milano mi ha lasciato alquanto sorpreso, oltretutto non si tratta solo di un accenno geografico ma apre le porte su una particolare sfaccettatura legata alla storia artistica della Milano del XVI° secolo. Già, ma che centra la valle di Blenio?
Tutto nasce da questo dipinto fotografato in data odierna;
Facchinerie ticinesi
Addobbati (l'autore del libro) riesce a penetrare nella vita delle comunità montane da cui i facchini erano partiti e dove le loro famiglie riuscivano a godere di un certo prestigio e benessere, talora di una vera e propria agiatezza, come dimostra per esempio il riferimento al consumo devozionale e all’attività creditizia svolta da alcune confraternite locali. Come detto, i guadagni che i facchini riuscivano a accumulare a Livorno non servivano alla sussistenza delle loro famiglie, ma costituivano una risorsa supplementare che ne accresceva le capacità di spesa in ambito locale e conferiva stabilità all’intera economia domestica
Sul dialetto ticinese
L'accademia dei facchini
Lomazzo nominato Abate in difesa del manierismo
Nel 1568, il circolo nominava suo Abate il pittore, poeta e teorico Giovan Paolo Lomazzo, il quale da una parte scriveva trattati di complicate teorie artistiche come «L’idea del tempio della pittura » e dall’altra un libro come «Rabisch», la prima raccolta a stampa di scritti e componimenti poetici in dialetto lombardo, un’opera collegiale con episodi da taverna, pesanti allusioni sessuali, imprecazioni, cataloghi nominali, insomma con tutto il repertorio burchiellesco e bernesco del gusto per il rovesciamento dei ruoli sociali, il cibo, i visceri, gli escrementi.
Scritto vestendo i finti panni dei facchini e simulandone linguaggio e costumi, «Rabisch» (anche nella grafia senza h finale) significava «arabeschi», ovvero bizzarrie, invenzioni grottesche; concetto che rientrava perfettamente all’interno della cultura dell’insolito e del capriccioso del Manierismo cinquecentesco. La metamorfosi e l’ibridazione erano contenuti essenziali così come il disordine, l’antiintellettualismo, il rifiuto del decoro e dei concetti rinascimentali di limite, finitezza e equilibrio a favore del perenne mutamento e fluire della Natura.
Leonardo era una figura chiave per quell’ambiente antiletterario, antiumanistico e antimoraleggiante e l’Accademia teneva viva proprio quella vena profana che a Milano aveva come supremo modello i volti deformi e grotteschi disegnati da Leonardo, quelle «teste caricate » che illustravano in modo estremo la casistica dei moti dell’animo e la ricerca fisiognomica soprattutto nei profili rugosi e deformi dei vecchi.
L’Accademia rappresentava dunque l’ultimo baluardo, l’estrema difesa di quel mondo immaginifico profano presto destinato a scomparire. Dopo la peste, infatti, Carlo Borromeo bandì ogni tipo di festa e spettacolo considerandoli concause del flagello inviato da Dio e augurandosi che la provvidenza «estingua, seppellisca, atterri affatto le passate memorie di giuochi, spettacoli, maschere e brutture del carnevale. . . Vadano ormai perpetuamente in esilio insieme con le maschere, e le commedie, e le favole del mondo, e li spettacoli profani, coi quali ha questo popolo in questo tempo particolarmente così profanati i santi giorni delle feste».
Contenuti del Rabisch
Fino a tempi recenti i Rabisch non hanno goduto di grande fortuna e diffusione per una ragione «essenzialmente linguistica, connessa con la difficoltà di intenderne anche solo la lettera».
Alla prima edizione commentata e filologicamente attendibile della raccolta si è arrivati, per merito di Dante Isella, solo nel 1993: «‘‘il propellente iniziale’’ per questo lavoro gli venne dall’interesse dimostrato dagli studenti del Politecnico di Zurigo per un corso da lui tenuto nei primi anni Ottanta su antichi testi lombardi»
Oltre ai vincoli, ai modelli e alle convenzioni tipiche della poesia, che possono deformare o falsare il dato linguistico, e al gusto barocco e grottesco di quel tempo e di quel ambiente, queste poesie sono infatti redatte da parlanti milanesi in un dialetto bleniese di maniera, impressionistico e ipercaratterizzato, quando non in lingua zerga o in lingue di fantasia, macaroniche e parodiche come il “similbergamasco” o il “similbolognese”.
In sostanza, i Rabisch sono scritti in una varietà d’invenzione modellata sul dialetto grossolano e aspro parlato dagli stagionali che allora e nei secoli a venire giungevano a Milano dalla Val di Blenio.
Gli 8 testi
Il primo testo è l’Origen e fondament dra Vall de Bregn (‘Origine e fondamenti della Valle di Blenio’)
Il secondo documento è il Pròlogh in onó de Bacch, inanz a r’incoronaçigliogn dor Zavargna, dicc dal compà Borgnign (‘Prologo in onore di Bacco, avanti l’incoronazione dello Zavargna, detto dal compare Borgnign’Il terzo testo riguarda le Çerimonigl e significaçigliogn di còss c’han da ornà or Nabad (‘Cerimonie e significato degli ornamenti che deve avere l’abate’), come per esempio «ra pell dor cavrett» (‘la pelle del capretto’), «or sacch» (‘il sacco’), «ra còrda e ra fusella» (‘la corda e la fusella’), ma il testo racconta anche «dra forma dor sigill de Bregn» (‘della forma del sigillo di Blenio’), ecc.
Appaiono poi gli Straducc dra vall de Bregn (‘Statuti della Valle di Blenio’) e I còss ch’o’s denn osservò in Bregn (‘Le cose che si devono osservare in Blenio’)
Chiunque avesse voluto entrare nell’Accademia avrebbe dovuto dare prova del suo valore e rispondere a L’interogaçigliogn ch’o s’han da fà dar gran Scanscieré pos ra gneregada a col ch’o vûr intrò in dra Vall de Bregn (‘Le domande che devono essere fatte dal gran Cancelliere, dopo il convitto, a chi aspira ad entrare nella Valle di Blenio’). Queste vertevano sulla vita e il lavoro dei facchini e includevano per esempio la descrizione della brenta e del pagliolo che il facchino doveva portare – «Com’ va ra brenta» (‘Come dev’essere la brenta’), «Com’ va or pagliû» (‘Come dev’essere il pagliolo’) –, ma anche un’attenta descrizione del buon vino rosso – «Come besògna ch’o siglia or vign ross bogn» (‘Come bisogna che sia il vino rosso buono’) – e una spiegazione su come scorticare i capretti – «Com’ se scortega i cavritt» (‘Come si scorticano i capretti’)
Com’ se scortega i cavritt
Tramite l’ottavo e ultimo documento, I nòm dor Nabad de Bregn e di sett Savigl ch’o fugn facc da lù (‘I nomi dell’Abate di Blenio e dei sette savi che furono nominati da lui’), si viene a conoscenza della gerarchia interna all’Accademia e dei membri che ne facevano parte
La raccolta
Conclusa questa prima parte, inizia la raccolta vera e propria composta da sonetti, frottole, barzellette, cui fanno eccezione due testi di corrispondenzaII 4 è una lode del digiuno rivolta al Buovi: il mangiare, secondo Lomazzo, fa entrare la febbre nelle ossa e il povero sventurato che non riesce a cacare è destinato a morire (vv. 12-14):E se par quòst qualcugn no pò chigà
O r’è fòrza ch’or traga gl’ultem vess
O che s’cipad or vaga ar mond da là
[E se, per esso, qualcuno non riesce a cacare
è forza che tiri le ultime loffeo che
scoppiato, vada al mondo di là?]
Il tema è successivamente rovesciato in II 5 (che riprende le parole-rima del sonetto precedente), dedicato al Foliani: non vi è gioia più grande, afferma lo Zavargna, di poter cacare quando si ha la pancia piena (vv. 12-14):
Mò che dolceza è quella dor chigà,
Quand ch’o s’ha piegn ra bòglita, e trà di vess
E pû tornass a impì, descià ò de là!
[Che dolcezza è quella del cacare,
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