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Il supplizio di Damiens

Non finirò mai di stupirmi della fantasia umana quando si tratta di trovare metodi per provocare dolore. Le pene corporali e il metodo di esecuzione dipendevano poi dal genere di reato commesso e dall’estrazione sociale del condannato. Una combinazione orribile era quella di essere accusato di regicidio, indipendentemente se portato a termine o no, e provenire dai ceti più basso. Ed é questo il caso il trattato qui.

Dopo aver letto vari testi sull'argomento posso tranquillamente affermare che il supplizio di Damiens risulta una delle pagine più atroci e difficilmente metrizzabili. Se poi si pensa che a questo spettacolo assistette una folla eccitata e che i fatti risalgono a metà del XVIII secolo é ulteriore motivo di costernazione. 

"Rappresentazione di Robert-François Damiens (1715-1757) legato a un letto per essere torturato dopo il suo attentato al re Luigi XV il 5 gennaio 1757" 
Incisione tratta da "Cause celebri di tutti i popoli" di Fouquier 1858 Collezione privata

Il misfatto

Luigi XV ripartì per il Trianon, dove avrebbe dovuto festeggiare l'Epifania. Alle sei meno un quarto, mentre si apprestava a risalire sulla propria carrozza, Damiens, che si trovava nei pressi, si aprì un varco tra i ranghi della sua guardia, gli si gettò addosso, ferendolo in modo non grave al fianco destro con una lama di coltello lunga appena otto centimetri per poi fuggire.

Il re fece due passi in avanti, barcollò, si appoggiò a de Montmirail, quindi si voltò verso il delfino e il duca Louis de Noailles d'Ayen, e sussurrò: "Ho appena ricevuto un pugno terribile." A quelle parole si portò la mano al petto e la ritrasse insanguinata, dicendo: "Quell'uomo ha attentato alla mia vita. Non arrestatelo e non fategli del male." Rimasto sul luogo del misfatto, non fece alcun tentativo di ferire ulteriormente il re e si lasciò arrestare dalle guardie senza opporre particolare resistenza. Mentre le guardie si precipitavano sul colpevole, il re venne portato nella sua stanza, spogliato e sdraiato sul letto, direttamente sul materasso. Germain Pichault de La Martinière, il suo chirurgo, accorso subito dal Trianon, esaminò la ferita superficiale e dichiarò che non era pericolosa,

Il processo

Il re era disponibile al perdono, ma il parlamento, volendo ingraziarsi il sovrano, fu inflessibile

Dal momento che aveva sempre negato di essere al corrente della dottrina regicida, si accettò la tesi del "mostro" solitario, debole di mente, che soddisfaceva tutti. Giudicato per tentato regicidio, il 26 marzo 1757 fu condannato a morte dal Parlamento di Parigi, con sentenza da eseguirsi secondo l'atroce e complesso rituale dello squartamento, previsto per gli autori di misfatti reputati particolarmente efferati e che richiedessero una forma di condanna particolarmente severa.

Damiens davanti ai suoi giudici allo Châtelet.

“La journée sera rude”

Estratto dalla sua cella la mattina del 28 marzo 1757, Damiens avrebbe detto "La journée sera rude" ("La giornata sarà dura").

Il patibolo fu eretto nella notte del 21. Il lunedì 28, alle sette del mattino, Gabriele Sanson, suo nipote Carlo Enrico Sanson, figlio di Giambattista, e i loro aiutanti, scesero in Piazza di Grève per assicurarsi che tutti i preparativi fossero stati eseguiti secondo gli ordini della Corte. Di là si recarono alla Conciergerie, dov'erano attesi dal torturatore. Poco dopo giunse il cancelliere della Corte, Lebréton, con due uscieri. Poichè la cella di Damiens era troppo stretta per contener tanta gente, fu deciso che la sentenza sarebbe stata letta al condannato in una sala del pianoterra.
Damiens fu tratto fuori dalla sua cella, e gli arcieri lo portarono in una specie di sacco di cuoio color camoscio, che si chiudeva al collo, non lasciando passare che la testa. Lo si sbarazzò di quell'involucro e, ordinatogli d'inginocchiarsi, il cancelliere gli lesse la sentenza.

Egli ascoltò con singolare attenzione tutti i particolari della sentenza. Il suo viso era giallo come cera; la luce del giorno sembrava stancargli la vista; le sue palpebre s'aprivano e si chiudevano con una specie di movimento convulsivo, ma i suoi occhi nulla avevano perduto del loro splendore.
Quando la lettura fu finita, Damiens fece segno agli arcieri di aiutarlo ad alzarsi, poiché soffriva ancora delle ferite alle gambe. Egli mormorò più volte - Mio Dio! Mio Dio! Mio Dio!

Gabriele Sanson si avvicinò a lui e gli pose una mano sulla spalla. Damiens trasalì e lo guardò con un' aria smarrita; ma in quel momento entrò il curato di San Paolo, e la fisionomia del regicida si rifece calma e sorridente.
Il confessore pregò gli astanti di farsi da parte, ed egli e il condannato rimasero in mezzo alla sala, tutti e due in piedi. Il prete parlava a voce bassa, e Damiens pregava. Pure, a volte, la sua fisionomia diveniva selvaggia, il suo corpo sussultava nervosamente egli si mordeva le labbra con una sorta di rabbia. Allora il prete gli parlava con maggior vivacità, e si vedeva il condannato tranquillarsi a poco a poco.
Il curato non poteva assistere alla tortura, e si ritirò a pregare nella cappella della Conciergerie.
Si propose a Damiens di prendere qualche alimento; c'era lì un ufficiale di cucina con un paniere. Egli esitò un istante, osservò con attenzione quei cibi, poi disse scuotendo il capo:
- A che scopo? Date queste cose ai poveri; almeno serviranno a qualche cosa.

E poichè gli si faceva osservare che aveva bisogno di tutte le sue forze in una giornata così terribile, egli replicò con un accento smarrito e che mal si accordava con le sue parole :
- La mia forza è in Dio! La mia forza è in Dio!

Si riuscì nondimeno a fargli bere un po' di vino. L'ufficiale di cucina bevve prima lui e gli presentò il calice; ma Damiens non potè ingoiare più di un sorso.
Allora, rimesso il prigioniero nella sua amaca, lo si portò nella stanza della tortura, dove già si trovavano i Commissari. Egli prestò il solito giuramento di dire la verità, e subì un ultimo interrogatorio sul banco.
Quest' interrogatorio durò un'ora e mezza.
Egli rispondeva con sufficiente calma alle domande; ma negli intervalli dava segno di estrema agitazione. Si dimenava sul banco, i suoi occhi roteavano nell'orbita, continuamente egli cercava di guardare dalla parte dove si trovavano gli esecutori e i loro aiutanti.
Alfine i giudici-commissari si alzarono e gli annunziarono che, poichè non aveva confessato nulla, lo si sarebbe messo alla tortura.

Gli esecutori lo circondarono, e il torturatore del Parlamento gli mise gli stivaletti, serrandone la corda con più forza che d'ordinario non si facesse.
Il dolore fu acuto. Damiens gettò grida spaventose: il suo viso divenne livido, la sua testa si rovesciò indietro, egli parve svenire.
I chirurghi gli si avvicinarono, gli tastarono il polso, e dichiararono che quello svenimento non aveva nulla di grave.
Damiens riaperse gli occhi, chiese da bere : gli si offerse un bicchiere d'acqua, ma egli domandò vino, dicendo con una voce tremula ed anelante, che la sua energia se ne andava.
Carlo Enrico Sanson l'aiutò a portare il bicchiere alle labbra; quando egli ebbe bevuto, cacciò un profondo sospiro e, chiudendo gli occhi, mormorò qualche preghiera. Il cancelliere, gli uscieri, gli esecutori, gli aiutanti lo circondavano; due giudici si erano levati dalle poltrone e passeggiavano per la stanza; il presidente Molè era pallidissimo, e si vedeva tremare una penna che egli teneva in mano.
Dopo mezz'ora, la tortura fu ripresa.

Fremy, il torturatore, infisse il primo cuneo.
Le grida di Damiens ricominciarono : erano così acute e insistenti che il presidente non riusciva a rivolgergli le domande d'uso. Alfine, tra urla, imprecazioni e preghiere uscenti confusamente dalla sua bocca, egli accusò un certo Gautier, uomo d'affari d' un consigliere al Parlamento, Lemaitre de Ferrière, di averlo spinto al delitto.
Fu dato immediatamente l'ordine di arrestare entrambi.
Le sofferenze di Damiens non cessavano. Al quarto cuneo egli domandò grazia, e implorò più volte: - Signori! Signori!
Gautier e Lemaitre frattanto erano arrivati: li si confrontò con Damiens, e questi non solo non potè indicare dove avesse veduto colui che incolpava, ma ritrattò quasi subito tutto quanto la tortura gli aveva strappato.
I tormenti furono ripresi, e gli si applicò il primo cuneo straordinario.
Dopo l'ottavo cuneo, che era l'ultimo anche degli straordinari, i chirurghi dichiararono che egli non poteva sopportare di più. La tortura era durata due ore e un quarto.
I giudici si levarono con una premura che palesava essere anche le loro forze giunte all'estremo. Il torturatore tolse gli stivaletti. Damiens cercò di sollevare le sue gambe piagate e fracassate. Non potendo riuscirvi, si sporse innanzi e le guardò per qualche istante con una specie di doloroso intenerimento.

L'esecuzione

Quelle invenzioni infernali, mercè le quali l'uomo sdegnando di uccidere, distillava a goccia a goccia il sangue e le angosce di un miserabile, dopo Damians non si ripeteranno più. 

L'esecuzione di Damiens, essendo Carlo Battista Sanson tenuto a letto dalla paralisi, fu affidata a suo fratello Gabriele Sanson, esecutore agli ordini dei prevosto di corte, il quale volle schernirsene, ma non riuscì. Fu lui che acquistò i quattro cavalli necessari; li pagò 432 lire, somma per quei tempi ragguardevole. Ma egli era così impressionato che all'avvicinarsi del processo ammalò e si pose a letto. Il procuratore generale lo chiamò e gli diede una lavata di capo per la sua pusillanimità. Egli parlava di rinunciare al suo ufficio, quando trovò un vecchio torturatore che s'incaricò dell'attanagliamento, supplizio non più usato dopo l'esecuzione di Ravaillac.

Carlo Enrico Sanson e due addetti rimasero presso di lui e si incaricarono di condurlo sul luogo del supplizio, mentre Gabriele Sanson, coi suoi uomini, andò ad assicurarsi che tutto fosse stato ben preparato.
Arrivando sul patibolo, Gabriele Sanson si accorse subito che il vecchio torturatore, il quale s'era incaricato di provvedere a tutto, era ubriaco e incapace di fungere il suo uffizio. Preso da un violento sospetto, egli domandò di vedere il piombo, lo solfo, la cera, la pece : tutto mancava; perfino il rogo, che doveva bruciare i resti del condannato, era una catasta di legna umida e disadatta, che si sarebbe accesa solo con gran difficoltà.
Pensando alle conseguenze dell'ubbriachezza del torturatore, Gabriele Sanson perdette la testa. Per qualche momento, il patibolo offrì lo spettacolo d'una confusione inesprimibile; gli aiutanti andavano e venivano spaventati, tutti gridavano in una volta, e il disgraziato esecutore di corte malediceva la terribile responsabilità che s'era assorta.

Si prepara la scena

L'arrivo del luogotenente delle guardie, la presenza del procuratore generale, misero fine a quel disordine. Il magistrato rimproverò Gabriele severamente, e gli inflisse quindici giorni di carcere per negligenza; poi gli comandò di andar a sostituire mio nonno Carlo Enrico alla cappella. Questi, benchè non avesse che diciassette anni, gli ispirava più fiducia che l'esecutore di corte.
Frattanto, gli addetti si recavano dai droghieri dei dintorni per provvedersi del necessario : la folla li seguiva in tutte le botteghe dove si presentavano erano segnalata per quello che essi erano, e i negozianti si rifiutavano di vendere loro l'occorrente e pretendevano di non averlo. Bisognò che il luogotenente delle guardie li facesse accompagnare da un caporale, che faceva le richieste in nome del re.
Questa scena si prolungò tanto che tutto non era ancora pronto quando il paziente, dopo tre ore di preghiera nella cappella, arrivò sulla piazza di Greve. Lo si dovette far sedere sopra uno dei gradini del patibolo, mentre sotto i suoi occhi si procedeva alle ultime disposizioni per la sua morte.
Egli aveva pianto nella carretta; ma aveva ricuperato ora la sua fermezza, e volgeva sulla folla uno sguardo sicuro. Chiese di parlare ai commissari; lo si portò all'Hòtel-de-Ville; egli si rivolse al signor Pasquier, e lo pregò di proteggere sua moglie e sua figlia. Ritrattò ancora una volta l'accusa portata contro il Gautier, e giurò sulla salute della sua anima che solo aveva concepito l'attentato e solo lo aveva eseguito.

Bruciamento della mano

Alle cinque del pomeriggio egli ridiscese sulla piazza e lo si portò sul patibolo.

Costretto ad impugnare l'arma del delitto, subì in primo luogo il supplizio di vedersi bruciare con lo zolfo rovente la mano che aveva colpito il sovrano. Non fu che l'inizio di uno spettacolo orribile, condotto dal boia coadiuvato da ben sedici assistenti e che ebbe tra i suoi testimoni anche Giacomo Casanova, parte di una platea nella quale molti ricorderanno di essere stati costretti a distogliere lo sguardo, incapaci di sostenere sino in fondo l'atrocità del prolungato supplizio. Alcune gran dame si ostinarono ad assistervi, ma la loro presenza a un simile supplizio scandalizzò la corte, che preferì stendere un velo pietoso sull'abominevole punizione inflitta al condannato.

La pentola dove bruciava lo solfo, misto con carboni ardenti, riempiva l'atmosfera dei suoi acri vapori; Damiens tossì parecchie volte; poi, mentre gli attendenti lo legavano sulla piattaforma, egli guardò la sua mano destra con quella stessa espressione di tristezza che era apparsa sul suo volto quando aveva guardato le sue gambe dopo la tortura; egli mormorò qualche brano delle litanie; e disse due volte :
- Che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto''.

Il braccio fu fissato solidamente sopra una sbarra, in modo che il polso sorpassasse il margine della piattaforma. Gabriele Sanson avvicinò il braciere. Quando Damiens sentì la fiamma azzurrasti mordere la sua carne, egli cacciò un grido spaventoso, e si divincolò fra i ceppi. Passato il primo dolore, rialzò la testa, e guardò bruciare la sua mano senza alta manifestazione di dolore che l'arrossamento dei denti, che si sentivano scricchiolare.
Quella prima parte del supplizio durò tre minuti.

Le tenaglie

Carlo Enrico Sanson aveva veduto la pentola vacillare fra le mani di suo zio. Dal sudore che gli bagnava il viso, dal pallore quasi simile a quello del condannato, dal brivido delle sue membra, egli comprese che questi non avrebbe potuto applicare le tenaglie. Uno degli attendenti, Andrea Legris, accettò di farlo verso promessa di cento lire.

Egli incominciò a far passare il suo spaventevole strumento sulle braccia, sul petto e sulle cosce del paziente; a ogni morso, l'orribile mascella di ferro strappava un brandello di carni palpitanti, e Legris versava nella piaga boccheggiante talvolta l'olio bollente, talvolta la resina infiammata, il solfo in fusione, o il piombo fuso che gli presentavano gli altri attendenti.
Si vide allora qualche cosa che la lingua è impossente a scrivere, che lo spirito può appena concepire, qualche cosa che non ha confronto se non nell'inferno e che io chiamerò l'ubriachezza del dolore.
Damiens, con gli occhi smisuratamente fuori dalle orbite, i capelli irti, il labbro contratto, stimolava i tormentatori, sfidava le loro torture, provocava nuove sofferenze. Quando le sue carni stridevano al contatto dei liquidi infiammati, la sua voce si mescolava a quell'odioso friggere, e quella voce, che non aveva più nulla di umano urlava :
- Ancora! ancora! ancora!

A Damiens, che restò cosciente, vennero quindi offerti i conforti religiosi prima che si tentasse di squartarlo. 

Squartamento

Si fece scendere Damiens dalla piattaforma, lo si collocò sopra un cavalletto alto tre piedi in forma di croce di Sant'Andrea; poi si legarono le redini d'un cavallo a ciascuno dei suoi arti.
Durante tali preparativi, il disgraziato tenne ostinatamente le palpebre chiuse. Il curato di San Paolo, che non l'aveva mai abbandonato, gli si avvicinò ancora e gli parlò: egli fece segno che sentiva, ma non aprì gli occhi. Di quando in quando, gridava :
- Gesù! Maria! A me, a me! - come se avesse invocato d'essere strappato al più presto ai suoi carnefici.
Un aiutante aveva afferrato le redini di ogni cavallo.. un altro s'era collocato dietro a ciascuno dei quattro animali, con una frusta in mano. Carlo Enrico Sanson stava sul patibolo, comandando tutti i suoi uomini.
A un suo cenno, l'orribile quadriga si slanciò innanzi. Lo sforzo fu formidabile, giacchè uno dei cavalli cadde a terra. Tuttavia i muscoli e i nervi della macchina umana avevano resistito alla scossa spaventosa.
Tre volte i cavalli, stimolati dalle grida, dalle frustate, tirarono a tutta forza, e tre volte la resistenza li ricondusse indietro.
Si notò solo che le, braccia e le gambe del paziente si erano smisuratamente allungate; ma egli viveva ancora, e si sentiva il suono della sua respirazione, stridente come l'ansare di un mantice da officina.

Tortura di Robert-François Damiens per regicidio in Place de la Grève (oggi Place de l'Hôtel-de-Ville) a Parigi il 28 marzo 1757. In primo piano tra il pubblico si possono notare delle donne che distolgono lo sguardo inorridite

Gli esecutori erano costernati; il curato di San Paolo era svenuto; un cancelliere nascondeva il viso nella toga, e si sentiva correre nella folla il sordo mormorio precursore degli uragani.
Allora il chirurgo Boyer, slanciatosi verso l'Hotel-deVille e fatto sapere ai giudici commissari che lo smembramento non si sarebbe prodotto se non si fosse venuti in aiuto ai cavalli con l'amputazione dei grossi fasci nervosi, ottenne da loro l'autorizzazione necessaria.
Un coltellaccio non c'era; Andrea Legris si decise a praticare con la scure le incisioni necessarie alle ascelle e alle giunture delle cosce del miserabile.
Quasi subito i cavalli si misero in moto; una coscia si distaccò per prima, poi l'altra, poi un braccio.
Damiens respirava ancora.

Alfine, nel momento che i cavalli s'irrigidivano trattenuti dal solo arto che gli restasse, le sue palpebre si sollevarono, i suoi occhi si volsero al cielo : quel tronco informe trovò la morte.
Quando gli attendenti staccarono i suoi tristi avanzi dalla croce di Sant'Andrea per gettarli nelle fiamme, si notò che i capelli del paziente, ancora neri quando era giunto sulla piazza di Grève, erano bianchi come neve.
Questo fu il supplizio di Damiens.

Il resoconto di Bouton

Bouton, un ufficiale di guardia, ci ha lasciato il suo resoconto: "Lo zolfo fu acceso, ma la fiamma era così scarsa che solo la parte superiore della mano fu bruciata, e solo leggermente. Poi il boia, con le maniche rimboccate, prese le tenaglie d'acciaio, fatte apposta per l'occasione e lunghe circa un metro e mezzo, e tirò prima il polpaccio della gamba destra, poi la coscia, e da lì le due parti carnose del braccio destro; quindi i seni. Benché fosse un tipo forte e robusto, il boia trovò così difficile strappare i pezzi di carne che si mise a lavorare sullo stesso punto due o tre volte, torcendo le tenaglie mentre lo faceva, e ciò che toglieva formava in ogni parte una ferita delle dimensioni di un pezzo di corona da sei libbre.

Dopo questi strappi con le tenaglie, Damiens, che gridava copiosamente, ma senza imprecare, alzò la testa e si guardò; lo stesso boia intinse un cucchiaio di ferro nella pentola contenente la pozione bollente, che versò abbondantemente su ogni ferita. Poi le corde che dovevano essere imbrigliate ai cavalli furono attaccate con delle corde al corpo del paziente; i cavalli furono poi imbrigliati e messi accanto alle braccia e alle gambe, uno per ogni arto.

"Monsieur Le Breton, il cancelliere del tribunale, si avvicinò più volte al paziente e gli chiese se avesse qualcosa da dire. Egli rispose di no; a ogni tormento gridava, come si suppone che i dannati all'inferno gridino: "Perdono, mio Dio! Perdono, mio Signore". Nonostante tutto questo dolore, di tanto in tanto alzava la testa e si guardava con coraggio. Le corde erano state legate così strettamente dagli uomini che ne tiravano le estremità che gli provocavano un dolore indescrivibile. Monsieur le Breton si avvicinò di nuovo e gli chiese se avesse qualcosa da dire; lui rispose di no. Diversi confessori si avvicinarono a lui e gli parlarono a lungo; egli baciò volentieri il crocifisso che gli veniva offerto; aprì le labbra e ripeté: 'Perdono, Signore'.

"I cavalli tiravano con forza, ognuno tirando dritto su un arto, ogni cavallo tenuto da un boia. Dopo un quarto d'ora si ripeté la stessa cerimonia e alla fine, dopo vari tentativi, si dovette cambiare la direzione dei cavalli, così: quelli delle braccia furono fatti tirare verso la testa, quelli delle cosce verso le braccia, il che spezzò le braccia alle giunture. Questo fu ripetuto più volte senza successo. Alzò la testa e si guardò. Si dovettero aggiungere altri due cavalli a quelli imbrigliati alle cosce, per un totale di sei cavalli. Senza successo.

"Infine, il boia Samson disse a Monsieur Le Breton che non c'era modo né speranza di riuscirci e gli disse di chiedere alle Signorie Loro se volevano che facesse tagliare a pezzi il prigioniero. Monsieur Le Breton, che era sceso dalla città, ordinò di rinnovare gli sforzi e così fu fatto; ma i cavalli cedettero e uno di quelli bardati alle cosce cadde a terra. I confessori tornarono e gli parlarono di nuovo. Egli disse loro (l'ho sentito): "Baciatemi, signori". Il parroco di San Paolo non osò farlo, così Monsieur de Marsilly si infilò sotto la corda che teneva il braccio sinistro e lo baciò sulla fronte. I boia si riunirono e Damiens disse loro di non imprecare, di portare a termine il loro compito e che non pensava male di loro; li pregò di pregare Dio per lui e chiese al parroco di San Paolo di pregare per lui alla prima messa.

"Dopo due o tre tentativi, il boia Sansone e colui che aveva usato le tenaglie estrassero ciascuno un coltello dalla tasca e tagliarono il corpo alle cosce invece di recidere le gambe alle giunture; i quattro cavalli diedero uno strattone e portarono via le due cosce, cioè prima quella del lato destro e poi l'altra; Poi fu fatto lo stesso con le braccia, le spalle, le ascelle e i quattro arti; la carne dovette essere tagliata quasi fino all'osso, e i cavalli tirando con forza portarono via prima il braccio destro e poi l'altro.”

"Quando le quattro membra furono staccate, i confessori vennero a parlargli; ma il suo boia disse loro che era morto, anche se in verità vidi l'uomo muoversi, con la mascella inferiore che si muoveva da una parte all'altra come se stesse parlando. Uno dei carnefici disse anche, poco dopo, che quando avevano sollevato il tronco per gettarlo sul rogo, era ancora vivo. I quattro arti furono sciolti dalle corde e gettati sul palo posto nel recinto in linea con l'impalcatura, poi il tronco e il resto furono coperti con tronchi e fascine, e fu dato fuoco alla paglia mescolata a questa legna.”

"...In conformità al decreto, l'intero corpo fu ridotto in cenere. L'ultimo pezzo trovato tra le braci bruciava ancora alle dieci e mezza di sera. I pezzi di carne e il tronco avevano impiegato circa quattro ore per bruciare. Gli ufficiali, tra cui c'ero anch'io e mio figlio, e un distaccamento di arcieri rimasero in piazza fino alle undici.”

"C'è chi ha fatto notare che il giorno prima un cane si era posato sull'erba dove c'era il fuoco, era stato scacciato più volte ed era sempre tornato. Ma non è difficile capire che un animale abbia trovato questo posto più caldo che altrove".

Rappresentazione idealizzata della metà del XIX secolo dell'esecuzione di Damiens da parte dell'illustratore francese Théophile Fragonard; nella realtà Damiens sarebbe stato supino su una piattaforma di esecuzione, per lo più non vestito e orribilmente ferito dalle torture.

Post esecuzione

Nessuno insorse contro la barbarie del castigo, tranne blandamente qualche filosofo illuminista e il citato Casanova: il regicidio era punito così. Disperse le ceneri al vento, si concluse in questo modo un'esecuzione la cui crudeltà, persino grottesca, era tale che l'introduzione della ghigliottina, qualche anno dopo, fu senz'altro vista come un vero progresso umanitario. 

Il giorno successivo, la sua casa fu rasa al suolo e fu emesso un decreto che ne vietava la ricostruzione. Il padre, la moglie e la figlia furono banditi dal regno, con minaccia di esecuzione immediata in caso di ritorno, mentre al resto della famiglia, inclusi i fratelli e le sorelle, fu imposto il cambio del nome. Il re non volle assistere, e rimase molto turbato al resoconto.

Dopo l'attentato, le malelingue si scatenarono, tra gli scritti clandestini che esprimevano con violenza il malessere del regno. Damiens non appariva né come un fanatico isolato, né come lo strumento di una fazione politica, ma piuttosto come il portavoce del popolo disorientato, oberato dalle tasse e ansioso di trovare capri espiatori e difensori al tempo stesso. Voltaire e la maggior parte dei filosofi videro in lui un simbolo del fanatismo che disonorava il secolo di Luigi XV con il suo arcaismo.

La sua esecuzione è stata descritta e discussa in diverse opere di importanti autori, da Michel Foucault a Peter Weiss


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Domenica 10 agosto 2025. Sono seduto su di un bus in stazione a Lucerna. A momenti partirà e in men che non si dica lascerà la città per addentrarsi nelle campagne lucernesi. Ed é proprio questo che amo, essere portato in quello che nel film Trainspotting viene definito “il nulla”. La mia esplorazione oggi mi porterà da una cappella in piena campagna fino al villaggio di Beromünster. La cappella e il nome del villaggio posto come traguardo intrigano (Beromünster si chiamava fino al 1934 semplicemente Münster, monastero). Sono 7 km completamente piatti in una rovente giornata d’estate. Mi aspetto di vedere forse qualche giocatore di golf ad inizio percorso per poi isolarmi completamente tra campi e boschi fino all’arrivo, la tappa di per se non ha nulla che attiri le grandi masse, in Svizzera Mobile non fa nemmeno parte di un percorso a tema. Ma oggi per stare nella pace occorre ricorrere a questi tragitti di “seconda fascia”. La vera gioia sta nell’apprezzare quello che la natura o ...

Curon sul lago di Resia

Diciamo subito che io sappia non esistono altri Curon per cui si necessita aggiungere la precisazione “sul lago di Resia”. La scelta di aggiungere l’indicazione del lago é per facilitare la messa a fuoco del lettore. Se poi vogliamo esagerare sarebbe bastato dire “dove c’è la chiesa sommersa ed emerge solo il campanile." Sarebbe poi bastato aggiungere due foto del caso, da due angolazioni diverse e chiuderla lì, verso nuove avventure. Ma sarebbe stato “facile”, superficiale e maledettamente incompleto. Se il campanile compare un po’ ovunque, sulle portiere dei veicoli della municipalità agli ingombranti souvenir (vedi sotto) un motivo ci sarà.  Il classico dei classici. E non é legato all’aspetto “wow” che questo edificio immerso in uno scenario idilliaco suscita alla prima vista, come se si trattasse di un opera artistica moderna. C’è dell’altro. Basterebbe porsi semplici domande, ad esempio come si é giunti a tutto questo? Un inondazione? Una tragedia? Oppure é una semplice attr...

Kyburg e la vergine di Norimberga

Il tempo passa ma per la vergine di Norimberga presente al castello di Kyburg sembra non incidere, ache se poi vedremo che qualche ritocco l'ha necessitato pure lei. Che poi se ne possano dire finché si vuole ma la vera superstar del castello del castello di Kyburg é lei, proprio come aveva ben visto chi l'acquistò proprio per questo scopo «Vergine di ferro» I visitatori del castello si aspettavano sempre di vedere armi storiche e strumenti di tortura.  Appositamente per loro venivano realizzate delle «vergini di ferro». Matthäus Pfau acquistò il suo esemplare nel 1876 in Carinzia per mettere in mostra «il lato più oscuro del Medioevo».  A quel tempo, le forze conservatrici cercavano di reintrodurre la pena di morte, che era stata abolita poco prima in Svizzera. Attrazione turistica È risaputo che la Vergine di ferro fu inventata nel XIX secolo. Non vi è alcuna prova che in una simile cassa dotata di lame e con una testa di donna sia mai stata uccisa o torturata una persona....

Da Campo Valle Maggia a Bosco Gurin - parte II - Da Cimalmotto al passo Quadrella

Sbuco su Cimalmotto dal sentiero proveniente da Campo Valle Maggia verso mezzogiorno. Non mi aspetto di trovare spunti storici altrettanto avvincenti che a Campo, sarebbe impensabile in così pochi ettari sperare in tanto. Eppure.... Vista da Cimalmotto in direzione di Campo Valle Maggia di cui si intravede il campanile in lontananza Ci sono due elementi geologici che caratterizzano questa parte della valle: la frana che domina la parte inferiore e il pizzo Bombögn che sovrasta la parte superiore. Campo Valle Maggia e Cimalmotto sono l'affettato di questo ipotetico sandwich Chi visita Campo e le sue frazioni con occhio attento non può non rimanere esterrefatto dal contrasto fra la bellezza paesaggistica della zona e la ricchezza dei monumenti storici da un lato e la desolante povertà demografica dall’altro. I motivi sono diversi: innanzitutto Campo, al momento dell’autarchia più dura, era uno dei comuni più popolati della Valmaggia (nel XVIII superava i 900 abitanti; nel 1850 erano...

Mosé Bertoni

C'é una piccola sala nel museo di Lottigna, resta staccata dal complesso principale del museo, una piccola sala che per eventi sfortuiti (si con la "s" davanti) sono riuscito a vedere solo di sfuggita. Però quello che sono riuscito a assaggiare nei pochi momenti mi ha affascinato. Il classico ometto nato in un piccolo villaggio in una valle discosta per poi costruirsi una vita tutt'altro che scontata. Un personaggio amante delle tradizioni svizzere e dei principi anarchici, una combinazione piuttosto bizzarra per non dire incomprensibile. Si capisce fin dai primi momenti che si ha a che fare con un personaggio di nicchia, degno di un approfondimento. Mosè Bertoni verso il 1910 Foto F. Velasquez, Asuncion (Coll. priv.) Mosè Bertoni non è un uomo comune. Giovane irrequieto, dai molteplici interessi, impegnato politicamente tra i liberali innovatori e vicino all'anarchismo, a 27 anni decide di «dare un calcio a questa vecchia Europa» . Non è neppure un emigrante comu...