Passa ai contenuti principali

Il supplizio di Damiens

Non finirò mai di stupirmi della fantasia umana quando si tratta di trovare metodi per provocare dolore. Le pene corporali e il metodo di esecuzione dipendevano poi dal genere di reato commesso e dall’estrazione sociale del condannato. Una combinazione orribile era quella di essere accusato di regicidio, indipendentemente se portato a termine o no, e provenire dai ceti più basso. Ed é questo il caso il trattato qui.

Dopo aver letto vari testi sull'argomento posso tranquillamente affermare che il supplizio di Damiens risulta una delle pagine più atroci e difficilmente metrizzabili. Se poi si pensa che a questo spettacolo assistette una folla eccitata e che i fatti risalgono a metà del XVIII secolo é ulteriore motivo di costernazione. 

"Rappresentazione di Robert-François Damiens (1715-1757) legato a un letto per essere torturato dopo il suo attentato al re Luigi XV il 5 gennaio 1757" 
Incisione tratta da "Cause celebri di tutti i popoli" di Fouquier 1858 Collezione privata

Il misfatto

Luigi XV ripartì per il Trianon, dove avrebbe dovuto festeggiare l'Epifania. Alle sei meno un quarto, mentre si apprestava a risalire sulla propria carrozza, Damiens, che si trovava nei pressi, si aprì un varco tra i ranghi della sua guardia, gli si gettò addosso, ferendolo in modo non grave al fianco destro con una lama di coltello lunga appena otto centimetri per poi fuggire.

Il re fece due passi in avanti, barcollò, si appoggiò a de Montmirail, quindi si voltò verso il delfino e il duca Louis de Noailles d'Ayen, e sussurrò: "Ho appena ricevuto un pugno terribile." A quelle parole si portò la mano al petto e la ritrasse insanguinata, dicendo: "Quell'uomo ha attentato alla mia vita. Non arrestatelo e non fategli del male." Rimasto sul luogo del misfatto, non fece alcun tentativo di ferire ulteriormente il re e si lasciò arrestare dalle guardie senza opporre particolare resistenza. Mentre le guardie si precipitavano sul colpevole, il re venne portato nella sua stanza, spogliato e sdraiato sul letto, direttamente sul materasso. Germain Pichault de La Martinière, il suo chirurgo, accorso subito dal Trianon, esaminò la ferita superficiale e dichiarò che non era pericolosa,

Il processo

Il re era disponibile al perdono, ma il parlamento, volendo ingraziarsi il sovrano, fu inflessibile

Dal momento che aveva sempre negato di essere al corrente della dottrina regicida, si accettò la tesi del "mostro" solitario, debole di mente, che soddisfaceva tutti. Giudicato per tentato regicidio, il 26 marzo 1757 fu condannato a morte dal Parlamento di Parigi, con sentenza da eseguirsi secondo l'atroce e complesso rituale dello squartamento, previsto per gli autori di misfatti reputati particolarmente efferati e che richiedessero una forma di condanna particolarmente severa.

Damiens davanti ai suoi giudici allo Châtelet.

“La journée sera rude”

Estratto dalla sua cella la mattina del 28 marzo 1757, Damiens avrebbe detto "La journée sera rude" ("La giornata sarà dura").

Il patibolo fu eretto nella notte del 21. Il lunedì 28, alle sette del mattino, Gabriele Sanson, suo nipote Carlo Enrico Sanson, figlio di Giambattista, e i loro aiutanti, scesero in Piazza di Grève per assicurarsi che tutti i preparativi fossero stati eseguiti secondo gli ordini della Corte. Di là si recarono alla Conciergerie, dov'erano attesi dal torturatore. Poco dopo giunse il cancelliere della Corte, Lebréton, con due uscieri. Poichè la cella di Damiens era troppo stretta per contener tanta gente, fu deciso che la sentenza sarebbe stata letta al condannato in una sala del pianoterra.
Damiens fu tratto fuori dalla sua cella, e gli arcieri lo portarono in una specie di sacco di cuoio color camoscio, che si chiudeva al collo, non lasciando passare che la testa. Lo si sbarazzò di quell'involucro e, ordinatogli d'inginocchiarsi, il cancelliere gli lesse la sentenza.

Egli ascoltò con singolare attenzione tutti i particolari della sentenza. Il suo viso era giallo come cera; la luce del giorno sembrava stancargli la vista; le sue palpebre s'aprivano e si chiudevano con una specie di movimento convulsivo, ma i suoi occhi nulla avevano perduto del loro splendore.
Quando la lettura fu finita, Damiens fece segno agli arcieri di aiutarlo ad alzarsi, poiché soffriva ancora delle ferite alle gambe. Egli mormorò più volte - Mio Dio! Mio Dio! Mio Dio!

Gabriele Sanson si avvicinò a lui e gli pose una mano sulla spalla. Damiens trasalì e lo guardò con un' aria smarrita; ma in quel momento entrò il curato di San Paolo, e la fisionomia del regicida si rifece calma e sorridente.
Il confessore pregò gli astanti di farsi da parte, ed egli e il condannato rimasero in mezzo alla sala, tutti e due in piedi. Il prete parlava a voce bassa, e Damiens pregava. Pure, a volte, la sua fisionomia diveniva selvaggia, il suo corpo sussultava nervosamente egli si mordeva le labbra con una sorta di rabbia. Allora il prete gli parlava con maggior vivacità, e si vedeva il condannato tranquillarsi a poco a poco.
Il curato non poteva assistere alla tortura, e si ritirò a pregare nella cappella della Conciergerie.
Si propose a Damiens di prendere qualche alimento; c'era lì un ufficiale di cucina con un paniere. Egli esitò un istante, osservò con attenzione quei cibi, poi disse scuotendo il capo:
- A che scopo? Date queste cose ai poveri; almeno serviranno a qualche cosa.

E poichè gli si faceva osservare che aveva bisogno di tutte le sue forze in una giornata così terribile, egli replicò con un accento smarrito e che mal si accordava con le sue parole :
- La mia forza è in Dio! La mia forza è in Dio!

Si riuscì nondimeno a fargli bere un po' di vino. L'ufficiale di cucina bevve prima lui e gli presentò il calice; ma Damiens non potè ingoiare più di un sorso.
Allora, rimesso il prigioniero nella sua amaca, lo si portò nella stanza della tortura, dove già si trovavano i Commissari. Egli prestò il solito giuramento di dire la verità, e subì un ultimo interrogatorio sul banco.
Quest' interrogatorio durò un'ora e mezza.
Egli rispondeva con sufficiente calma alle domande; ma negli intervalli dava segno di estrema agitazione. Si dimenava sul banco, i suoi occhi roteavano nell'orbita, continuamente egli cercava di guardare dalla parte dove si trovavano gli esecutori e i loro aiutanti.
Alfine i giudici-commissari si alzarono e gli annunziarono che, poichè non aveva confessato nulla, lo si sarebbe messo alla tortura.

Gli esecutori lo circondarono, e il torturatore del Parlamento gli mise gli stivaletti, serrandone la corda con più forza che d'ordinario non si facesse.
Il dolore fu acuto. Damiens gettò grida spaventose: il suo viso divenne livido, la sua testa si rovesciò indietro, egli parve svenire.
I chirurghi gli si avvicinarono, gli tastarono il polso, e dichiararono che quello svenimento non aveva nulla di grave.
Damiens riaperse gli occhi, chiese da bere : gli si offerse un bicchiere d'acqua, ma egli domandò vino, dicendo con una voce tremula ed anelante, che la sua energia se ne andava.
Carlo Enrico Sanson l'aiutò a portare il bicchiere alle labbra; quando egli ebbe bevuto, cacciò un profondo sospiro e, chiudendo gli occhi, mormorò qualche preghiera. Il cancelliere, gli uscieri, gli esecutori, gli aiutanti lo circondavano; due giudici si erano levati dalle poltrone e passeggiavano per la stanza; il presidente Molè era pallidissimo, e si vedeva tremare una penna che egli teneva in mano.
Dopo mezz'ora, la tortura fu ripresa.

Fremy, il torturatore, infisse il primo cuneo.
Le grida di Damiens ricominciarono : erano così acute e insistenti che il presidente non riusciva a rivolgergli le domande d'uso. Alfine, tra urla, imprecazioni e preghiere uscenti confusamente dalla sua bocca, egli accusò un certo Gautier, uomo d'affari d' un consigliere al Parlamento, Lemaitre de Ferrière, di averlo spinto al delitto.
Fu dato immediatamente l'ordine di arrestare entrambi.
Le sofferenze di Damiens non cessavano. Al quarto cuneo egli domandò grazia, e implorò più volte: - Signori! Signori!
Gautier e Lemaitre frattanto erano arrivati: li si confrontò con Damiens, e questi non solo non potè indicare dove avesse veduto colui che incolpava, ma ritrattò quasi subito tutto quanto la tortura gli aveva strappato.
I tormenti furono ripresi, e gli si applicò il primo cuneo straordinario.
Dopo l'ottavo cuneo, che era l'ultimo anche degli straordinari, i chirurghi dichiararono che egli non poteva sopportare di più. La tortura era durata due ore e un quarto.
I giudici si levarono con una premura che palesava essere anche le loro forze giunte all'estremo. Il torturatore tolse gli stivaletti. Damiens cercò di sollevare le sue gambe piagate e fracassate. Non potendo riuscirvi, si sporse innanzi e le guardò per qualche istante con una specie di doloroso intenerimento.

L'esecuzione

Quelle invenzioni infernali, mercè le quali l'uomo sdegnando di uccidere, distillava a goccia a goccia il sangue e le angosce di un miserabile, dopo Damians non si ripeteranno più. 

L'esecuzione di Damiens, essendo Carlo Battista Sanson tenuto a letto dalla paralisi, fu affidata a suo fratello Gabriele Sanson, esecutore agli ordini dei prevosto di corte, il quale volle schernirsene, ma non riuscì. Fu lui che acquistò i quattro cavalli necessari; li pagò 432 lire, somma per quei tempi ragguardevole. Ma egli era così impressionato che all'avvicinarsi del processo ammalò e si pose a letto. Il procuratore generale lo chiamò e gli diede una lavata di capo per la sua pusillanimità. Egli parlava di rinunciare al suo ufficio, quando trovò un vecchio torturatore che s'incaricò dell'attanagliamento, supplizio non più usato dopo l'esecuzione di Ravaillac.

Carlo Enrico Sanson e due addetti rimasero presso di lui e si incaricarono di condurlo sul luogo del supplizio, mentre Gabriele Sanson, coi suoi uomini, andò ad assicurarsi che tutto fosse stato ben preparato.
Arrivando sul patibolo, Gabriele Sanson si accorse subito che il vecchio torturatore, il quale s'era incaricato di provvedere a tutto, era ubriaco e incapace di fungere il suo uffizio. Preso da un violento sospetto, egli domandò di vedere il piombo, lo solfo, la cera, la pece : tutto mancava; perfino il rogo, che doveva bruciare i resti del condannato, era una catasta di legna umida e disadatta, che si sarebbe accesa solo con gran difficoltà.
Pensando alle conseguenze dell'ubbriachezza del torturatore, Gabriele Sanson perdette la testa. Per qualche momento, il patibolo offrì lo spettacolo d'una confusione inesprimibile; gli aiutanti andavano e venivano spaventati, tutti gridavano in una volta, e il disgraziato esecutore di corte malediceva la terribile responsabilità che s'era assorta.

Si prepara la scena

L'arrivo del luogotenente delle guardie, la presenza del procuratore generale, misero fine a quel disordine. Il magistrato rimproverò Gabriele severamente, e gli inflisse quindici giorni di carcere per negligenza; poi gli comandò di andar a sostituire mio nonno Carlo Enrico alla cappella. Questi, benchè non avesse che diciassette anni, gli ispirava più fiducia che l'esecutore di corte.
Frattanto, gli addetti si recavano dai droghieri dei dintorni per provvedersi del necessario : la folla li seguiva in tutte le botteghe dove si presentavano erano segnalata per quello che essi erano, e i negozianti si rifiutavano di vendere loro l'occorrente e pretendevano di non averlo. Bisognò che il luogotenente delle guardie li facesse accompagnare da un caporale, che faceva le richieste in nome del re.
Questa scena si prolungò tanto che tutto non era ancora pronto quando il paziente, dopo tre ore di preghiera nella cappella, arrivò sulla piazza di Greve. Lo si dovette far sedere sopra uno dei gradini del patibolo, mentre sotto i suoi occhi si procedeva alle ultime disposizioni per la sua morte.
Egli aveva pianto nella carretta; ma aveva ricuperato ora la sua fermezza, e volgeva sulla folla uno sguardo sicuro. Chiese di parlare ai commissari; lo si portò all'Hòtel-de-Ville; egli si rivolse al signor Pasquier, e lo pregò di proteggere sua moglie e sua figlia. Ritrattò ancora una volta l'accusa portata contro il Gautier, e giurò sulla salute della sua anima che solo aveva concepito l'attentato e solo lo aveva eseguito.

Bruciamento della mano

Alle cinque del pomeriggio egli ridiscese sulla piazza e lo si portò sul patibolo.

Costretto ad impugnare l'arma del delitto, subì in primo luogo il supplizio di vedersi bruciare con lo zolfo rovente la mano che aveva colpito il sovrano. Non fu che l'inizio di uno spettacolo orribile, condotto dal boia coadiuvato da ben sedici assistenti e che ebbe tra i suoi testimoni anche Giacomo Casanova, parte di una platea nella quale molti ricorderanno di essere stati costretti a distogliere lo sguardo, incapaci di sostenere sino in fondo l'atrocità del prolungato supplizio. Alcune gran dame si ostinarono ad assistervi, ma la loro presenza a un simile supplizio scandalizzò la corte, che preferì stendere un velo pietoso sull'abominevole punizione inflitta al condannato.

La pentola dove bruciava lo solfo, misto con carboni ardenti, riempiva l'atmosfera dei suoi acri vapori; Damiens tossì parecchie volte; poi, mentre gli attendenti lo legavano sulla piattaforma, egli guardò la sua mano destra con quella stessa espressione di tristezza che era apparsa sul suo volto quando aveva guardato le sue gambe dopo la tortura; egli mormorò qualche brano delle litanie; e disse due volte :
- Che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto''.

Il braccio fu fissato solidamente sopra una sbarra, in modo che il polso sorpassasse il margine della piattaforma. Gabriele Sanson avvicinò il braciere. Quando Damiens sentì la fiamma azzurrasti mordere la sua carne, egli cacciò un grido spaventoso, e si divincolò fra i ceppi. Passato il primo dolore, rialzò la testa, e guardò bruciare la sua mano senza alta manifestazione di dolore che l'arrossamento dei denti, che si sentivano scricchiolare.
Quella prima parte del supplizio durò tre minuti.

Le tenaglie

Carlo Enrico Sanson aveva veduto la pentola vacillare fra le mani di suo zio. Dal sudore che gli bagnava il viso, dal pallore quasi simile a quello del condannato, dal brivido delle sue membra, egli comprese che questi non avrebbe potuto applicare le tenaglie. Uno degli attendenti, Andrea Legris, accettò di farlo verso promessa di cento lire.

Egli incominciò a far passare il suo spaventevole strumento sulle braccia, sul petto e sulle cosce del paziente; a ogni morso, l'orribile mascella di ferro strappava un brandello di carni palpitanti, e Legris versava nella piaga boccheggiante talvolta l'olio bollente, talvolta la resina infiammata, il solfo in fusione, o il piombo fuso che gli presentavano gli altri attendenti.
Si vide allora qualche cosa che la lingua è impossente a scrivere, che lo spirito può appena concepire, qualche cosa che non ha confronto se non nell'inferno e che io chiamerò l'ubriachezza del dolore.
Damiens, con gli occhi smisuratamente fuori dalle orbite, i capelli irti, il labbro contratto, stimolava i tormentatori, sfidava le loro torture, provocava nuove sofferenze. Quando le sue carni stridevano al contatto dei liquidi infiammati, la sua voce si mescolava a quell'odioso friggere, e quella voce, che non aveva più nulla di umano urlava :
- Ancora! ancora! ancora!

A Damiens, che restò cosciente, vennero quindi offerti i conforti religiosi prima che si tentasse di squartarlo. 

Squartamento

Si fece scendere Damiens dalla piattaforma, lo si collocò sopra un cavalletto alto tre piedi in forma di croce di Sant'Andrea; poi si legarono le redini d'un cavallo a ciascuno dei suoi arti.
Durante tali preparativi, il disgraziato tenne ostinatamente le palpebre chiuse. Il curato di San Paolo, che non l'aveva mai abbandonato, gli si avvicinò ancora e gli parlò: egli fece segno che sentiva, ma non aprì gli occhi. Di quando in quando, gridava :
- Gesù! Maria! A me, a me! - come se avesse invocato d'essere strappato al più presto ai suoi carnefici.
Un aiutante aveva afferrato le redini di ogni cavallo.. un altro s'era collocato dietro a ciascuno dei quattro animali, con una frusta in mano. Carlo Enrico Sanson stava sul patibolo, comandando tutti i suoi uomini.
A un suo cenno, l'orribile quadriga si slanciò innanzi. Lo sforzo fu formidabile, giacchè uno dei cavalli cadde a terra. Tuttavia i muscoli e i nervi della macchina umana avevano resistito alla scossa spaventosa.
Tre volte i cavalli, stimolati dalle grida, dalle frustate, tirarono a tutta forza, e tre volte la resistenza li ricondusse indietro.
Si notò solo che le, braccia e le gambe del paziente si erano smisuratamente allungate; ma egli viveva ancora, e si sentiva il suono della sua respirazione, stridente come l'ansare di un mantice da officina.

Tortura di Robert-François Damiens per regicidio in Place de la Grève (oggi Place de l'Hôtel-de-Ville) a Parigi il 28 marzo 1757. In primo piano tra il pubblico si possono notare delle donne che distolgono lo sguardo inorridite

Gli esecutori erano costernati; il curato di San Paolo era svenuto; un cancelliere nascondeva il viso nella toga, e si sentiva correre nella folla il sordo mormorio precursore degli uragani.
Allora il chirurgo Boyer, slanciatosi verso l'Hotel-deVille e fatto sapere ai giudici commissari che lo smembramento non si sarebbe prodotto se non si fosse venuti in aiuto ai cavalli con l'amputazione dei grossi fasci nervosi, ottenne da loro l'autorizzazione necessaria.
Un coltellaccio non c'era; Andrea Legris si decise a praticare con la scure le incisioni necessarie alle ascelle e alle giunture delle cosce del miserabile.
Quasi subito i cavalli si misero in moto; una coscia si distaccò per prima, poi l'altra, poi un braccio.
Damiens respirava ancora.

Alfine, nel momento che i cavalli s'irrigidivano trattenuti dal solo arto che gli restasse, le sue palpebre si sollevarono, i suoi occhi si volsero al cielo : quel tronco informe trovò la morte.
Quando gli attendenti staccarono i suoi tristi avanzi dalla croce di Sant'Andrea per gettarli nelle fiamme, si notò che i capelli del paziente, ancora neri quando era giunto sulla piazza di Grève, erano bianchi come neve.
Questo fu il supplizio di Damiens.

Il resoconto di Bouton

Bouton, un ufficiale di guardia, ci ha lasciato il suo resoconto: "Lo zolfo fu acceso, ma la fiamma era così scarsa che solo la parte superiore della mano fu bruciata, e solo leggermente. Poi il boia, con le maniche rimboccate, prese le tenaglie d'acciaio, fatte apposta per l'occasione e lunghe circa un metro e mezzo, e tirò prima il polpaccio della gamba destra, poi la coscia, e da lì le due parti carnose del braccio destro; quindi i seni. Benché fosse un tipo forte e robusto, il boia trovò così difficile strappare i pezzi di carne che si mise a lavorare sullo stesso punto due o tre volte, torcendo le tenaglie mentre lo faceva, e ciò che toglieva formava in ogni parte una ferita delle dimensioni di un pezzo di corona da sei libbre.

Dopo questi strappi con le tenaglie, Damiens, che gridava copiosamente, ma senza imprecare, alzò la testa e si guardò; lo stesso boia intinse un cucchiaio di ferro nella pentola contenente la pozione bollente, che versò abbondantemente su ogni ferita. Poi le corde che dovevano essere imbrigliate ai cavalli furono attaccate con delle corde al corpo del paziente; i cavalli furono poi imbrigliati e messi accanto alle braccia e alle gambe, uno per ogni arto.

"Monsieur Le Breton, il cancelliere del tribunale, si avvicinò più volte al paziente e gli chiese se avesse qualcosa da dire. Egli rispose di no; a ogni tormento gridava, come si suppone che i dannati all'inferno gridino: "Perdono, mio Dio! Perdono, mio Signore". Nonostante tutto questo dolore, di tanto in tanto alzava la testa e si guardava con coraggio. Le corde erano state legate così strettamente dagli uomini che ne tiravano le estremità che gli provocavano un dolore indescrivibile. Monsieur le Breton si avvicinò di nuovo e gli chiese se avesse qualcosa da dire; lui rispose di no. Diversi confessori si avvicinarono a lui e gli parlarono a lungo; egli baciò volentieri il crocifisso che gli veniva offerto; aprì le labbra e ripeté: 'Perdono, Signore'.

"I cavalli tiravano con forza, ognuno tirando dritto su un arto, ogni cavallo tenuto da un boia. Dopo un quarto d'ora si ripeté la stessa cerimonia e alla fine, dopo vari tentativi, si dovette cambiare la direzione dei cavalli, così: quelli delle braccia furono fatti tirare verso la testa, quelli delle cosce verso le braccia, il che spezzò le braccia alle giunture. Questo fu ripetuto più volte senza successo. Alzò la testa e si guardò. Si dovettero aggiungere altri due cavalli a quelli imbrigliati alle cosce, per un totale di sei cavalli. Senza successo.

"Infine, il boia Samson disse a Monsieur Le Breton che non c'era modo né speranza di riuscirci e gli disse di chiedere alle Signorie Loro se volevano che facesse tagliare a pezzi il prigioniero. Monsieur Le Breton, che era sceso dalla città, ordinò di rinnovare gli sforzi e così fu fatto; ma i cavalli cedettero e uno di quelli bardati alle cosce cadde a terra. I confessori tornarono e gli parlarono di nuovo. Egli disse loro (l'ho sentito): "Baciatemi, signori". Il parroco di San Paolo non osò farlo, così Monsieur de Marsilly si infilò sotto la corda che teneva il braccio sinistro e lo baciò sulla fronte. I boia si riunirono e Damiens disse loro di non imprecare, di portare a termine il loro compito e che non pensava male di loro; li pregò di pregare Dio per lui e chiese al parroco di San Paolo di pregare per lui alla prima messa.

"Dopo due o tre tentativi, il boia Sansone e colui che aveva usato le tenaglie estrassero ciascuno un coltello dalla tasca e tagliarono il corpo alle cosce invece di recidere le gambe alle giunture; i quattro cavalli diedero uno strattone e portarono via le due cosce, cioè prima quella del lato destro e poi l'altra; Poi fu fatto lo stesso con le braccia, le spalle, le ascelle e i quattro arti; la carne dovette essere tagliata quasi fino all'osso, e i cavalli tirando con forza portarono via prima il braccio destro e poi l'altro.”

"Quando le quattro membra furono staccate, i confessori vennero a parlargli; ma il suo boia disse loro che era morto, anche se in verità vidi l'uomo muoversi, con la mascella inferiore che si muoveva da una parte all'altra come se stesse parlando. Uno dei carnefici disse anche, poco dopo, che quando avevano sollevato il tronco per gettarlo sul rogo, era ancora vivo. I quattro arti furono sciolti dalle corde e gettati sul palo posto nel recinto in linea con l'impalcatura, poi il tronco e il resto furono coperti con tronchi e fascine, e fu dato fuoco alla paglia mescolata a questa legna.”

"...In conformità al decreto, l'intero corpo fu ridotto in cenere. L'ultimo pezzo trovato tra le braci bruciava ancora alle dieci e mezza di sera. I pezzi di carne e il tronco avevano impiegato circa quattro ore per bruciare. Gli ufficiali, tra cui c'ero anch'io e mio figlio, e un distaccamento di arcieri rimasero in piazza fino alle undici.”

"C'è chi ha fatto notare che il giorno prima un cane si era posato sull'erba dove c'era il fuoco, era stato scacciato più volte ed era sempre tornato. Ma non è difficile capire che un animale abbia trovato questo posto più caldo che altrove".

Rappresentazione idealizzata della metà del XIX secolo dell'esecuzione di Damiens da parte dell'illustratore francese Théophile Fragonard; nella realtà Damiens sarebbe stato supino su una piattaforma di esecuzione, per lo più non vestito e orribilmente ferito dalle torture.

Post esecuzione

Nessuno insorse contro la barbarie del castigo, tranne blandamente qualche filosofo illuminista e il citato Casanova: il regicidio era punito così. Disperse le ceneri al vento, si concluse in questo modo un'esecuzione la cui crudeltà, persino grottesca, era tale che l'introduzione della ghigliottina, qualche anno dopo, fu senz'altro vista come un vero progresso umanitario. 

Il giorno successivo, la sua casa fu rasa al suolo e fu emesso un decreto che ne vietava la ricostruzione. Il padre, la moglie e la figlia furono banditi dal regno, con minaccia di esecuzione immediata in caso di ritorno, mentre al resto della famiglia, inclusi i fratelli e le sorelle, fu imposto il cambio del nome. Il re non volle assistere, e rimase molto turbato al resoconto.

Dopo l'attentato, le malelingue si scatenarono, tra gli scritti clandestini che esprimevano con violenza il malessere del regno. Damiens non appariva né come un fanatico isolato, né come lo strumento di una fazione politica, ma piuttosto come il portavoce del popolo disorientato, oberato dalle tasse e ansioso di trovare capri espiatori e difensori al tempo stesso. Voltaire e la maggior parte dei filosofi videro in lui un simbolo del fanatismo che disonorava il secolo di Luigi XV con il suo arcaismo.

La sua esecuzione è stata descritta e discussa in diverse opere di importanti autori, da Michel Foucault a Peter Weiss


Commenti

Post popolari in questo blog

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 5 - Il vecchio editore

Giungo da Roveredo in perfetto anticipo, ho il tempo anche di gustarmi un Campari soda in piazza grande; la giornata volge al termine ma ho ancora una tappa finale in programma. Essa ha luogo nella ridente Locarno dove per l’occasione sono stati trasportati due vagoni in piazza Grande Vagoni della Pace in piazza grande L’occasione é la presentazione di un libro legato ai patti di Locarno del 1925, tema già accennato nelle settimane scorse. La vera première della serata é la possibilità di visitare il palazzo della Sopracenerina, vera e propria icona della nostra storia Cantonale Il palazzo della sopracenerina alle spalle dei due vagoni Storia del palazzo La realizzazione del Palazzo oggi comunemente definito «della Sopracenerina» – proprietaria dello stabile – data degli anni Trenta dell’Ottocento ed è frutto di una contingenza storica particolare, quella della capitale itinerante, quando Bellinzona, Lugano e Locarno ospitano a rotazione le istituzioni cantonali. La Costituzione cant...

Il monastero di Claro

“Posso farle una domanda?”- era da parecchio tempo che aspettavo questo momento, quello di porre una semplice domanda, molto probabilmente ingenua dal punto di vista della monaca di clausura che si appresta ad ascoltarla, ma così carica di significati per me. Sarei però un folle a riportare qui il punto apice della mia visita al monastero benedettino di Santa Maria assunta sopra Claro , questo il nome ufficiale che per motivi di scorribilità della lettura non ripeterò più in maniera completa  Il monastero da un depliant presente al monastero. La zona aperta al pubblico é assai limitata, consiste nella terrazza che da sulla valle (tutta a sinistra) con annessa chiesa e localino per gli acquisti (vedi sotto) L’itinerario odierno parte e finisce nell’abitato di Claro, ridente agglomerato ai piedi del monastero. Prima di salire al monastero faccio un giro alla ricerca dei luoghi di interesse in paese. Mentre cammino per i vicoli noto gente indaffarata: un'intera famiglia sta partecipan...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 1 - L’uomo col gozzo

Festeggiare il tempo che passa é deleterio, così come passare il giorno del proprio compleanno lavorando é umiliante. Lavoriamo una vita intera, evitiamo di farlo anche il giorno in cui tutti ci dicono "Auguri! E ora torna a lavorare!" Ma che senso ha festeggiare il proprio compleanno quindi? Spesso si dice che dagli anta in su andrebbe passato in sordina. Potrebbe però essere la possibilità di aggiungere un giorno di libero con la scusa di autocelebrarsi. Da qualche anno infatti (la prima volta fu a Vufflens le Château ) in corrispondenza di questa ricorrenza, ho preso l'abitudine di farmi un regalo, a dire il vero me ne faccio in continuazione, organizzare trasferte per alimentare le mie passioni sono gesti d'amore verso se stessi. Ogni anno cerco di organizzare una gita particolare, fuori dagli standard, magari approfittando che sia in un normalissimo giorno in cui tutti il resto del mondo (o quasi) sta lavorando. Tra gli obiettivi li nel cassetto una chiesa che h...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 4 - Le tre colonne

Ci vogliono pochi minuti dalla chiesa di San Giulio alle famigerate tre colonne nella campagna di Roveredo. La mia prossima tappa é semplice, spartana dal lato concreto ma carica di significati. Le tre colonne Ci sono tre colonne nella campagna di Roveredo, un collega originario di li mi ha riferito che quando hanno costruito l'autostrada hanno previsto una curva per preservare il sito. Tutto per tre piccole colonne, anzi, avanzi di colonne.... Le tre colonne di Roveredo Incrocio due signore a qualche centinaia di metri dal posto, scambio due parole, sono tentato di chier loro cosa sanno in proposito ma non lo faccio. Avrò modo di scoprire più tardi che le persone del luogo sono tutti a conoscenza della loro presenza e spannometricamente della loro funzione. Nessuno però sa indicare con precisione cosa si svolgeva. Sulla sinistra si intravedono i resti delle tre colonne Dopo pochi minuti giungo in vista del luogo. È a qualche metro dalla strada che costeggia il fiume e che una volt...

Belli i capelli

La lunghezza massima dei miei capelli l’ho raggiunta nel 1994 quando mi arrivarono quasi alle spalle. Durò poco. Ora a 20 anni di distanza il mio pensiero inerente i capelli é "meglio grigi che assenti".  Non fanno sicuramente parte della mia quotidianità ma tornano saltuariamente nei miei pensieri quando lo scarico della doccia si ottura.  Al castello di Valangin ho modo di approfondire il tema e rendermi conto che anche loro fanno parte in qualche modo della storia Volantino dell mostra temporanea NON C'È NESSUN PELO IN CIÒ CHE PORTA FORTUNA: IL PIEDE, IL TALLONE E LA LINGUA Detto di Trinidad e Tobago Peli e capelli come barriera contro le aggressioni esterne  Proprio come la pelle, anche i peli hanno diverse funzioni. Prima di tutto, fanno da barriera fisica e aiutano a regolare la temperatura, soprattutto grazie al sudore.  I capelli proteggono dal sole, una funzione che i peli hanno perso perché ormai sono troppo sparsi per essere davvero efficaci. I peli pubici...

Glorenza

Approfitto della mia tre giorni in "estremo oriente" (con le dovute proporzioni), per penetrare in Italia, o meglio ancora nel ambiguo territorio della Val Venosta. Dopo aver visitato Curon mi sposto a sud per visitare Glorenza. Glorenza é affascinante per una sua caratteristica che difficilmente si riscontra nei villaggi nelle Alpi: le sue mura. Quando si entra da una delle sue tre porte si ha la voglia di scoprirne ogni angolo, di non lasciarsi sfuggire l’occasione di sentirsi catapultati in un altra epoca ad ogni passo che si fa. Per dare un’immagine dell’urbanistica della cittadina la miglio soluzione é dall’alto.  Foto scattata all’esterno del museo storico di Glorenza Ma non bisogna fantasticare troppo, avere la testa tra le nuvole potrebbe diventare estremamente pericoloso, meglio guardare chi arriva, soprattutto dai due assi principali che tagliano la cittadina; se una volta era cavalli oggi i tempi di reazione devono essere più scattanti, perché chi sopraggiunge po...

Scioperi svizzeri

Mia nonna diceva sempre di non parlare né politica né di religione durante gli incontri conviviali. A casa però le discussioni più accese ruotavano proprio attorno al tema politico. Con il susseguirsi delle epoche le ideologie hanno mutato assai l’impatto sulla società. Ho però sempre pensato che se fossi vissuto ai tempi della nonna sarei stato con ogni probabilità della sua stessa fazione. Basta vedere cosa proponeva il comitato di Olten nel 1918: il diritto di voto e di eleggibilità per le donne, l'introduzione della settimana di 48 ore e l'assicurazione per la vecchiaia e l'invalidità. Come non essere d'accordo? Oggi questi punti sono delle ovvietà, ma non fu sempre così...anzi come vedremo sorprendentemente durante le ondate di peste, nella perenne guerra padrone - operaio ,  il coltello dalla parte del manico passò decisamente in mano a questi ultimi....e se così non era bastava a ricorrere all’arma dell’ultima spiaggia, arma potentissima: lo sciopero. Alexandre ...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 2 - Il Dio di lamiera

Il tragitto in postale tra Mesocco e Roveredo dura pochi minuti, non c'é nemmeno il tempo di sentiere le emozioni della prima tappa scendere che già si giunge nella ridente capitale della Moesa.  Roveredo Roveredo ha preso il suo nome dai folti boschi di rovere che lo circondano. Negli antichi documenti troviamo spesso le impronte del sigillo di Roveredo. Il più antico porta la data del 1615 e non rappresenta altro che un rovere con sei rami, tre per lato, armonizzati in uno stemma. Attorno sta la dicitura “Sigilium Roveredi Comunitatis”. Roveredo (GR): casa Zuccalli con i suoi graffiti risalenti alla metà del sedicesimo secolo. Nella foto il graffito presente sulla facciata della casa risalente alla metà del sedicesimo secolo riscoperto e restaurato. Al primo piano, dopo un restauro parziale eseguito dal restauratore Marco Somaini nel 2004, possiamo ammirare  il dio greco Hermes dai piedi alati, messaggero degli dei e protettore dei mercanti (il dio Mercurio romano) e i...

Dürer tatuato - prima parte

Ho un debole per Albrecht Dürer, molto marcato. Molto meno per i tatuaggi. Diciamo che se proprio fossi obbligato a tatuarmi qualcosa, la scelta potrebbe facilmente cadere su un opera dell’incisore tedesco. Pensieri ben distanti da me nella giornata del 8 febbraio 2025. L’obiettivo odierno era il moulage di Zurigo appena finito di visitare. La strada di rientro verso la città vecchia passa davanti all' ETH di Zurigo (politecnico). Edificio principale rispettivamente Graphische Sammlung, Politecnico federale svizzero (ETH Zürich) in Svizzera Ero passato di lì ore prima in direzione del moulage e sulle sue fiancate, tra tanti personaggi non mi é scappato, con grande sorpresa, quello di Albrecht Dürer. E li ero già contento, la giornata era già guadagnata, un accenno ad uno dei miei artisti preferiti, che volere di più? Lo spicchio della facciata del Politecnico di Zurigo dedicato a Dürer Il resto poi l’ha fatto la mia curiosità: notare che l'edificio era aperto al pubblico, entr...

Patto di Locarno

Sono divorziato. Da molti anni ormai.  Il divorzio non deve essere letto come qualcosa di negativo, spesso é un miglioramento delle condizioni di vita. Spesso? Diciamo sempre. Quando quel giorno nella sala del pretorio di Locarno ero intento a battagliare con l'avvocato della mia ex non sapevo che circa 90 anni prima nella stessa aula si tenevano discorsi ben più importanti per l'umanità intera. Presenti tutti i pezzi grossi dell'Europa In breve Dal 5 al 16 ottobre 1925 si svolse a Locarno una conferenza diplomatica tra le delegazioni di sette stati europei: il Belgio, la Francia, la Germania, il Regno Unito, l’Italia, la Polonia e la Cecoslovacchia.  Dopo dieci giorni di trattative, furono parafati sette trattati e convenzioni, di cui il principale fu un trattato di garanzia reciproca – chiamato anche Patto Renano – tra il Belgio, la Francia, la Germania, il Regno Unito e l’Italia, con il quale la Germania accettava la frontiera lungo il Reno scaturita dal trattato di Vers...