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Processi agli animali - Capitolo II - La questione morale

Un avvocato sta arringando deciso durante un processo, ci avviciniamo ad ascoltare

Gli animali, disse, sono comparsi nel mondo prima dell'uomo, ed è stato Dio in persona a stabilire che si alimentassero di vegetali, e perché no?, delle foglie di vite. Ergo, facendo scempio dei pampini esercitavano un loro diritto naturale, e pertanto dovevano essere considerati del tutto innocenti. Chiedeva, insomma, una assoluzione piena!

Dal canto suo il pubblico ministero, perdutamente antropocentrico, opinò che gli animali, tutti gli animali, erano stati posti dal Signore al nostro servizio e, che, se ci procuravano dei danni, tale era il caso dei maggiolini, tradivano il loro mandato, e dovevano venire puniti. I giudici caddero in preda a una vera e propria crisi di coscienza. Che fare?

L'unico sistema per por freno alla rovina provocata da questi sciami di perniciose creature era il ricorso all'«aiuto metafisico», e la loro cacciata o sterminio con gli incantesimi e gli anatemi sacerdotali. Era costume acchiappare parecchi esemplari dei colpevoli, portarli davanti al banco della giustizia e quindi, metterli solennemente a morte, mentre si scagliava contro di loro l'anatema: con questo s'intendeva dimostrare che lo stesso procedimento sommario si sarebbe applicato all'intera masnada, se solo fosse stato possibile.

Il punto di vista del difensore era forte, perché invocava un secondo natura che non poteva venir messo da parte agevolmente. Interdire, scomunicare i maggiolini solo perché mangiavano quel che dovevano mangiare puzzava di ingiustizia. Forse, significava perfino colpire in loro il volere di Dio.

Si scelse la via del compromesso, una via che, benché assurda, sembra rispondere al comandamento ecologico che, nel mondo, è necessario trovare un posto per tutti. Fu stilato, con pubblico bando, un contratto con i maggiolini, in forza del quale si assegnava loro una porzione del territorio comunale, ricca di erbe e di cespugli, entro cui essi avrebbero potuto vivere, e alimentarsi liberamente. A patto che avessero cessato di infestare le viti. Si decideva, insomma, che il pianeta non era solo nostro, ma anche dei maggiolini. Non sappiamo nulla di quanto seguí. Possiamo legittimamente supporre che essi se ne siano infischiati del contratto, e abbiano continuato a darci dentro nei pampini, e in un mio radiodramma ho supposto che l'avvocato difensore, travolto dall'accertamento della loro nera ingratitudine, desse di matto e sognasse, invocandoli, i pesticidi futuri.

Processi agli animali

È soprattutto a partire dal X secolo che in Europa, nell'ambito del diritto penale, si assiste a un fenomeno giuridico particolare, quello dei processi agli animali. 

Gli animali hanno sempre avuto un ruolo centrale nella vita del Medioevo.
Innanzitutto da un punto di vista culturale, perché presenti nella poesia, nel folklore e nella teologia, umanizzati attraverso le allegorie che mettono in scena i comportamenti; degli uomini, di cui condividono qualità e vizi, come ripor del frate domenicano Guidotto da Bologna nel suo Libro della virtù e proprietà degli animali.
Ma soprattutto hanno un ruolo determinante dal punto di vista «fisico», dal momento che gli animali domestici vivono a stretto contatto con gli uomini, nelle strade dei villaggi o nelle loro stesse case, per mancanza di spazio o per evitare che vengano rubati.

Nella cultura medievale ci sono due modi di considerare il mondo animale, che alla fine, per quanto riguarda i processi, si fondono.

Il primo è per opposizione: se l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, e quindi potenzialmente perfetto, gli animali non hanno avuto la stessa fortuna, per cui sono esseri inferiori, destinati a venire sottomessi e dominati.

Il secondo, sostenuto tra gli altri da Aristotele e più tardi pure da san Paolo, riconosce anche agli animali un'anima.

E quindi una sorta di senso morale, che comporta responsabilità e colpa quando non agiscono in modo consono alla sottomissione dovuta all'uomo.
Per cui possono, anzi, devono essere perseguiti, processati ed eventualmente condannati, proprio come gli esseri umani.

Ma non sempre gli animali hanno avuto un ruolo passivo rispetto alla legge.
Nel suo De Universo, san Rabano Mauro racconta infatti un processo verso, un gruppo di cicogne: una di loro, sulla quale il compagno aveva sentito l'odore di un altro maschio, era stata giudicata colpevole di adulterio, e per questo le erano state strappate tutte le piume.

In realtà ciò non vale per tutti gli animali, ma solo per quelli domestici, perché essendo stati creati in funzione dell'uomo devono essere soggetti al suo dominio e alle sue leggi, e quando le infrangono diventano un pericolo sociale.
Gli animali selvatici no: su quelli l'uomo aveva il controllo quando stava nel Paradiso Terrestre, ma lo ha perso con il peccato originale.
Nel momento in cui diventano una minaccia, gli animali selvatici si cacciano e si uccidono.
Quelli domestici si processano.

Il Diavolo in corpo

La conversione del mondo intero, insieme all'usanza di battezzare i neonati, provocherebbe infatti una grave crisi abitativa e pesanti disagi per gli spiriti maligni. Molti di loro sarebbero costretti a vagabondare senza speranza, creando un inopportuno proletariato diabolico. Questa difficoltà viene superata con l'assunto che la stragrande maggioranza dei demoni si possano incarnare nei miliardi di animali d'ogni genere che popolano la terra, l'aria e le acque dei fiumi e dei mari.

Questo per poter giustificare il comportamento dell'uomo nei confronti degli animali inferiori e conciliare la crudeltà con cui sono trattati

Qualunque sia la pena inflitta, ad avvertirla non è l'organismo fisico, bensí lo spirito che lo anima. In realtà è il demone imprigionato in quel corpo a soffrire, a ululare nel cane bastonato e a lanciare strida nel porco al macello.

Ci sono senz'altro molte persone di delicata sensibilità che non sopportano l'idea che l'animale della cui giornaliera compagnia hanno goduto, il pappagallo cui han dato lo zuccherino, il grazioso cagnolino che hanno accarezzato e il nobile destriero che le ha devotamente servite, siano soltanto demoni predestinati all'eterno tormento. Ma queste considerazioni puramente sentimentali non hanno alcun peso sulla bilancia della ragione.

L'obiezione che una mosca o una pulce, un moscerino o una zanzara siano creature troppo piccole per offrire a un demone un domicilio adeguato, viene respinta da padre Bougeant con un sorrisetto indulgente e una sprezzante scrollata di spalle, giacché implica una grossolana mancanza di comprensione della natura dello spirito, che non ha estensione né dimensione corporea e che quindi è capace di animare la particella piú minuta di materia organica. Grande e piccolo sono termini essenzialmente relativi.

Anzi, i demoni sotto le forme di moscerini e di insetti minuscoli erano considerati particolarmente pericolosi, giacché era possibile che uno li inghiottisse senza accorgersene e diventasse cosí posseduto dal demonio.

Era credenza che il demone, liberatosi dopo la morte e la dissoluzione dell'insetto, alloggiasse nello stomaco dello sventurato, facendogli venire delle coliche e divertendosi a fare il ventriloquo.

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