"Chi non piscia in compagnia é un ladro o una spia" eravamo soliti dire. Io con gli amici più collaudati (e non fraintendetemi) chiedevo anche di incrociare il zampillo quando eravamo in stato “goliardico”. Da qui a dedicargli una poesia peró ce ne passa ancora.
L'occasione mi si presenta leggendo un libro di insulti (l'ennesimo) dove scopro l'origine della parola "froscio" che é tutt'altro che quello che ci si può aspettare
Luigi Morandi nelle sue annotazioni ai Sonetti di Belli, asserisce che froscio, usato più volte dal poeta nel senso di tedesco, deriva da frosce 'froge, narici' e quindi «vuol dire: 'uomo con le froge grosse'; ma si applica solo a settentrionali, e particolarmente ai tedeschi e agli austriaci».Nell'Ottocento la poco lusinghiera qualifica di froscio non viene più attribuita ai francesi ma passa a designare i tedeschi, in particolare gli svizzeri tedeschi della guardia pontificia, come attestano varie note dei sonetti belliani in cui l'autore glossa froscio sempre e solo con tedesco. Sebbene Belli non lo dica esplicitamente, qualche critico malizioso ha ipotizzato tuttavia che nel sonetto La pisciata pericolosa - dove la parola froscio si riferisce a uno «sguizzero der Papa» che «duro duro» assale alle spalle in piena notte un romano intento a orinare nel centro storico e gli «sbatte er cazzo ar muro» - il poeta intendesse adombrare attraverso l'aggettivo pericolosa del titolo «un rischio ben maggiore di una semplice multa».
Dettaglio di Venditore ambulante di Hyronimus Bosch
LA PISCIATA PERICOLOSA
Stavo a pisscià jerzera lì a lo scuro
Tra Madama Lugrezia e tra san Marco,
Quann'ecchete, affiarato com'un farco,
Un sguizzero der Papa duro duro.
De posta me fa sbatte er cazzo ar muro,
Poi vò llevamme er fongo: io me l'incarco:
Ecco la patta in mano pijo l'Arco
De li tre Re, strillanno: "Vienghi puro."
Me sentivo quer froscio dì a le tacche
Cor fiatone: Tartàifel, sor paine,
Pss, nun currete tante, ché sso stracche.
Poi co mill'antre parole turchine
Ciaggiontava: Viè cqua, fije te vacche,
Ché peveremo un pon picchier te vine.
Roma, 13 settembre 1830 De Pepp'er tosto
Traduzione
Ieri sera stavo a pisciare in quell’angolo buio,
tra il busto mutilato di Madama Lucrezia (un’antica statua colossale)
e il muro della chiesa di San Marco (nei pressi di piazza Venezia),
quand’ecco – avventato come un falco-
mi s’avvicina una guardia svizzera con una mossa minacciosa
(le guardie, armate di alabarda, erano state messe dal papa davanti a varie chiese,
perché all’interno facessero rispettare il culto, scacciassero i cani, e all’esterno impedissero “le indecenti soddisfazioni dei bisogni naturali”).
A prima giunta mi fa sbattere il cazzo contro il muro,
poi vuole levarmi il cappello: io me lo calco in testa più decisamente:
e con la parte anteriore dei calzoni in mano fuggo
sotto l’Arco dei Tre Re strillando: “Venga pure”.
Sentivo quel tedesco dirmi alle spalle,
col fiatone: “Tartaifel”, (corruzione di der Teufel, Diavolo),
signore, Pss, non correte tanto, perché sono stanco”.
Poi con tante altre parole incomprensibili
ci aggiungeva: “Vieni qua, figlio d’una vacca,
che berremo insieme un buon bicchiere di vino”
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