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Aforismi per una vita saggia - Introduzione

Schopenhauer, é lui il nome del momento su cui faccio affidamento per illuminarmi la via.
Come farsi sfuggire un libro dal titolo "Aforismi per una vita saggia?"
Quello riportato in questo post sono dei passaggi dell'iintroduzione del libro, senza dubbio una delle miglior introduzioni mail lette

L'uomo ricco di spirito

«Ciò che uno è per se stesso, ciò che lo accompagna nella solitudine e che nessuno gli può dare o togliere è per lui, evidentemente, più importante di tutto ciò che egli possa possedere o, anche, di tutto ciò che egli possa essere agli occhi altrui. Un uomo ricco di spirito trova, in piena solitudine, un eccellente motivo di svago nei propri pensieri e nelle proprie fantasie, mentre il continuo avvicendarsi di trattenimenti, di spettacoli, di gite e di divertimenti non riesce a tener lontano da una persona ottusa il tormento della noia»!

Solo che, per godere in solitudine la pienezza del proprio spirito e vivere per se stessi, bisogna, anche, avere uno spirito. Generalmente, la costituzione morale e intellettuale della gente è molto più miserabile di quel che non si pensi. Inoltre, l'uomo è irrazionale e vive più nell'opinione altrui che nella propria, cioè pensa più a impressionare gli altri che a coltivare se stesso. Vuole apparire, non essere. Agisce più per vanità che per necessità. Così si crea una quantità infinita di bisogni inutili o superflui, che gli complicano l'esistenza.

Bisogni necessari e non necessari

Epicuro, che molti fraintendono e che Schopenhauer chiama «il grande maestro di felicità», fa una bella classificazione dei bisogni umani. Alcuni sono naturali e necessari; altri sono naturali, ma non necessari; altri, infine, non sono né naturali né necessari.? Bisogna appagare solo i bisogni naturali e necessari, perché, in caso contrario, ne avremmo pena e dolore. Del resto essi sono semplici e facili a soddisfarsi. Si pensi, tanto per fare qualche esempio, al mangiare, al bere, al dormire o al ripararsi dal freddo. Gli altri bisogni, invece, specialmente quelli che non sono né naturali né necessari, vanno rimossi e abbandonati. Essi, «che pur ci impegnano con grande tensione, hanno origine da vana opinione»

In altre parole, sono figli della vanità, e proprio per questo il loro numero è infinito. Possiamo anche chiamarli, se si preferisce, bisogni indotti, ma la sostanza non cambia. Pompa, lusso, sfarzo, mondanità, conformismo, moda, ricchezze superflue, orpelli e via di seguito: sono tutte cose che arrecano allo spirito più turbamento che serenità. 

L'uomo potrebbe starsene tranquillo e nuotare nelle acque quiete del suo porticciolo; invece, per impressionare gli altri e per apparire diverso da quello che è, si caccia nei marosi o nuota nella schiuma del superfluo. 

E questa non è saggezza, ma pazzia.

Perfino quelli che dicono di disdegnare la folla e si ritirano in luoghi appartati lo fanno in considerazione di ciò che diranno gli altri. Fingono di vivere isolati, ma in realtà strizzano l'occhio al gran mondo.

Altri fanno lunghi viaggi per comperare qualche casseruola bucata o qualche tappeto liso, che poi mostrano agli amici come se si trattasse del vello d'oro. Ma c'è anche chi non si muove mai e passa la vita negli archivi, svolgendo e avvolgendo pacchi di carta impolverata per fare il commento a qualche libro che nessuno leggerà; e intanto crede di essere, con le sue glosse, un rischiaratore del mondo.

E che dire di quelli che non hanno mai tempo, né per sé né per gli altri? Sono i più schiavi di tutti e anche i più inutili. Lo dice, con la solita penna graffiante, Lichtenberg: «La gente che non ha mai tempo fa pochissimo».

Chi ha la testa vuota gira anche a vuoto.

Solone e Creso  

Per chi, invece, nuota nella schiuma del superfluo, facendo mostra di quello che ha e non di quello che e, si può citare ciò che Solone disse a Creso. Questi, dopo aver indossato una quantità straordinaria di ornamenti e dopo essersi seduto sul trono, gli chiese se avesse mai visto uno spettacolo più bello. Come se nulla fosse e senza lasciarsi minimamente abbagliare, Solone, il saggio dei saggi, rispose: «Sì, i fagiani e i pavoni, che la natura ha adornati di un fiorente splendore infinitamente più bello».


Il saggio basta a se stesso e sa riempire di pensieri il silenzio che lo circonda. Contempla con distacco il mondo e non porge l'orecchio al chiasso che si fa nel roveto delle opinioni. Non si iscrive ai partiti e non raglia in coro la canzone del giorno; non si accoda ai cortei e non nuota in gruppo come i tonni; non va sbraitando nelle piazze e non viene a colluttazione con chi fa il saluto con la mano chiusa o con la mano tesa. Anzi considera folli quelli che si atteggiano a miglioratori del mondo e non si accorgono di non essere neppure capaci di governare se stessi.

Il saggio è anche ricco, perché ha pochi bisogni

Sentiamo anche quello che dice Pascal: «Quando mi son messo, talvolta, a considerare le varie agitazioni degli uomini e i pericoli e le pene cui si espongono, nella Corte, o in guerra, e donde nascono tante liti, passioni, imprese audaci e spesso sconsiderate, ecc., ho scoperto che tutta l'infelicità degli uomini deriva da una sola causa: dal non saper starsene tranquilli in una stanza.


Si pensi a Prezzolini, che visse per lunghi anni in una mansarda di New York, contemplando dall'alto la folle baraonda della grande città. E si pensi anche a Giordano Bruno, che non si lasciò mai abbattere dai colpi del destino e seppe conservare la purezza della contemplazione anche in un mare di tribolazioni, dicendo di se stesso: «In tristitia hilaris, in hilaritate tristis».

Antisociale

Ma con chi, se non con se stesso, avrebbe potuto colloquiare un uomo della statura di Schopenhauer? Difficilmente, diceva, un uomo di genio è socievole, perché nessun dialogo potrebbe essere cosi ricco e interessante come i suoi monologhi. Se tuttavia egli, per sazietà di monologhi, ricorre al dialogo, rischia che la piattezza del dialogo lo riporti di nuovo al monologo, in cui l'interlocutore può recitare solo una parte muta.
Del resto, parlare con gl'imbecilli non serve a niente e parlare con le persone intelligenti potrebbe essere superfluo. È quello che pensava anche Ezra Pound, che a un certo punto, come si racconta, decise di non parlare più. Schopenhauer era più esplicito: «Di fronte agli imbecilli non c'è che un solo modo per mostrare il proprio esprit: evitare qualsiasi conversazione con loro».

I berlinesi, invece, dovevano essergli sembrati dei quadrupedi a stazione eretta, come si potrebbe desumere da questo pensiero scritto a Berlino nel 1830: «Ci sono degli esseri, di cui non si capisce come siano giunti a camminare su due zampe».' 
Meglio dunque la solitudine: «Chi non ama la solitudine non ama veramente neppure la libertà, perché se non si è soli (e non si ha silenzio intorno a se) non si è liberi»

Intelligenza e socievolezza non vanno molto d'accordo, anzi sono inversamente proporzionali: quanto più è ricca la personalità, tanto meno si ha bisogno di compagnia.

Nessuno può uscire dalla propria individualità

Ognuno di noi è quello che è per invincibile natura: siamo murati in noi stessi. Tutte le ricchezze del mondo non potrebbero darci una individualità diversa da quella che abbiamo. E neppure l'educazione può servire a molto. Il carattere è innato: se si facesse crescere una pecora in un canile, state pur certi che essa non imparerebbe mai a fare il riporto. Che viva nella savana o nella gabbia, il leone rimane leone; allo stesso modo un imbecille rimarrà sempre imbecille, che indossi la melote o la toga accademica.

Ma allora, ci si chiederà, a che serve scrivere un libro di saggezza, se nessuno può essere diverso da quello che è?

Infatti, come scrive Schopenhauer, «i saggi di tutti i tempi hanno sempre detto le medesime cose, e gli stolti di tutti i tempi, vale a dire la stragrande maggioranza, hanno sempre fatto le stesse cose, cioè il contrario; e così sarà anche in futuro.

il nostro filosofo dice che, per riuscire a cavarsela nel mondo, «è opportuno portarsi dietro una grande provvista di prudenza e di indulgenza: la prima ci proteggerà da danni e perdite, la seconda da liti e conflitti».

Si eviti accuratamente la gente molesta, per esempio quelli che parlano sempre di sé, dei loro figli e dei loro malanni: costoro ci tolgono il piacere della solitudine senza darci quello della compagnia. Esiste anche una tirannia dei deboli, che talvolta è perfino più insopportabile di quella dei forti. C'è qualche cosa di turpe in chi non sa rassegnarsi al destino e, anche in punto di mor-te, si ostina a chiamare il medico anziché il falegname.

Chi non impara a morire non impara neppure a vivere.

Riacquistiamo il senso tragico della vita. Da evitare sono anche i fanatici di qualsiasi specie, i pedanti, gli schiodacristi, i miglioratori del mondo, i predicatori e quelli che si credono investiti di chissà quale missione: già il solo discutere con loro sarebbe un dispendio inutile di energie.

Meglio evitare, se si può, il contatto con individualità miserabili. Il saggio Marco Aurelio dice: «È amaro il cocomero? Buttalo. Vi sono dei rovi sulla via? Evitali»." Lui, il padrone del mondo, era uno stoico e osservava con distacco il folle trambusto della vita: «Contempla, come da un altissimo culmine, le innumerevoli greggi umane, le loro innumerevoli cerimonie, il navigare che fanno, da ogni parte, in tempesta e in bonaccia, le diversità di coloro che nascono, convivono, muoiono. Considera la vita vissuta sotto antichi regni; quella che altri vivranno dopo di te, quella che oggi si vive tra popoli barbari». E raccomandava a se stesso imperturbabilità per tutto quello «che è determinato da cause esteriori».

Schopenhauer è una figura unica nella filosofia moderna, perché riunisce in sé le qualità di grande pensatore e di grande scrittore. Profondo nella parte dottrinale, egli è straordinariamente efficace e dilettevole in quella espo-sitiva, specialmente quando parla degli stupidi divertimenti con cui gli uomini cercano di allietare la propria imbecillità, come il gioco delle carte, le riunioni, i balli, l'andare a zonzo senza costrutto, gli inviti, i viaggi per smaltire la noia, la vita mondana eccetera. Miserabile umanità!
L'uno si diverte a rincorrere una palla, l'altro una lepre o una volpe; questi passa il proprio tempo a giocare con i birilli, quegli a discutere animatamente sulle partite di calcio o su altre giuccherie dello stesso genere. E non parliamo dei moltissimi che vanno ad accodarsi ai cortei, per sfilare dietro una bandiera, vale a dire dietro un pezzo di stoffa, o al suono di un tamburo. Non si capisce perché la natura abbia dato loro un cervello, visto che un midollo spinale sarebbe stato più che sufficiente.

Il saggio non corre e non si affanna. Immaginarsi un uomo di pensiero che schizzi a destra e a sinistra al pari di un caposcarico sarebbe come immaginarsi un apostolo in motocicletta. Tutt'al più il saggio, per carburarsi il cervello, passeggia: niente inclina la mente alla meditazione come una passeggiata solitaria nel bosco o lungo un fiume. Il saggio ama anche il silenzio e rifugge quindi dagli strepiti, specialmente da quelli di carattere «culturale». Detesta le passerelle e trova osceno il porsi sul proscenio dell'attenzione pubblica. Non adula e non vuol essere adulato. La sua filosofia non se la lascia costruire dagli altri, ma se la costruisce da sé. Alla lettura antepone l'osservazione diretta delle cose. Comunque non legge mai secondo le esigenze della moda, ma solo e sempre secondo le esigenze del proprio spirito.

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