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Ode alla solitudine

Me lo diceva già mia nonna quando ero ancora felicemente nubile "vi incontrate, fate quello che volete fare e poi ognuno a casa sua".

Sorprendente se si tiene conto dell'età della mia ava.

Chiaramente NON seguii il più che valido e moderno consiglio. Ora a decenni di distanza non posso che appoggiare l'idea della , nel frattempo defunta nonna. Si, la sua era una frase molto stringata ma in realtà ci sono innumerevoli motivi per vivere i totale solitudine. 

Il filosofo che sembra leggermi i nel pensiero é il solito scorbutico di Schopenhauer.

Felicitas sibi sufficientium est

Bastare a noi stessi, essere tutto, per noi stessi, in ogni cosa, poter dire omnia mea mecum porto: ecco quello che, indubbiamente, giova più d'ogni altra cosa alla nostra felicità; e non si potrà mai ripetere abbastanza spesso il detto di Aristotele: felicitas sibi sufficientium est

"La felicità appartiene a coloro che bastano a se stessi"

Da una parte, infatti, non si può contare con qualche sicurezza che su se stessi, e dall'altra sono innumerevoli e inevitabili le molestie, gli svantaggi, i pericoli, i fastidi che caratterizzano la vita sociale.

Se vi vuol giungere alla felicità non vi è via più sbagliata del vivere nel gran mondo, del fare la bella vita (high life); con essa si vorrebbe mutare la nostra miserabile esistenza in un seguito di gioie, piaceri, divertimenti.

Ciascuno può essere completamente se stesso soltanto finché è solo: ora, chi non ama la solitudine non ama nemmeno la libertà;

Ed è un bene per lui se alla solitudine spirituale corrisponde quella fisica; nel caso opposto, egli sente, nel frequente contatto con esseri eterogenei, qualcosa di molesto, anzi di nemico, che gli ruba il suo io senza aver nulla da offrirgli che lo possa sostituire.


Quella che viene chiamata la buona società non solo ha lo svantaggio di offrirci uomini che non ci è possibile lodare né amare, ma non ci consente neppure di comportarci in modo conforme alla nostra natura; anzi, ci costringe ad atrofizzarci o addirittura a contraffare il nostro aspetto per essere in sintonia con gli altri. I discorsi e le idee intelligenti vanno bene per una società intelligente; in quella normale sono, semplicemente, detestati, perché, per esserle graditi, è assolutamente necessario essere insulsi e mentalmente limitati. In una società come quella, quindi, dobbiamo, per adeguarci agli altri, rinnegare noi stessi rinunciando ai tre quarti della nostra personalità. È vero che, in compenso, abbiamo gli altri; ma quanto più uno vale tanto più dovrà constatare che il guadagno non copre la perdita, e che ha fatto un cattivo affare: la società, per lo più, è cosiffatta che fa un buon affare chi la baratta con la solitudine.

Uno può essere in perfetta sintonia soltanto con se stesso: non col suo amico, non con l'amante. Le differenze della personalità e del carattere portano sempre con sé una sia pur piccola dissonanza. Perciò la vera, profonda pace del cuore e la perfetta tranquillità dello spirito, che sono, con la salute, i massimi beni terreni, si possono trovare soltanto nella solitudine, e sono uno stato d'animo costante soltanto se uno vive nel più assoluto isolamento.

Diciamolo apertamente: per quanto stretti possono essere i legami dell'amicizia, dell'amore, del matrimonio, in fondo si è perfettamente onesti solo con se stessi, e, tutt'al più, col proprio figlio.

Quanto meno uno è costretto da circostanze oggettive o soggettive a entrare in contatto con gli uomini, tanto meglio egli sta. La solitudine, il vuoto intorno a noi, ci consente, se non di farne esperienza, di dominare con lo sguardo, tutte assieme, le loro qualità negative. La società, invece, è insidiosa, e nasconde, sotto le apparenze del divertimento, della comunicazione, dei piaceri collettivi, gravi e, spesso, inguaribili mali. Una delle cose principali che dovrebbero essere fatte studiare ai giovani è imparare a sopportare la solitudine; perché la solitudine è fonte di felicità e di tranquillità spirituale.

Da tutto questo consegue che meglio di tutti sta chi ha fatto assegnamento soltanto su se stesso e che in ogni cosa può, per se stesso, essere tutto. Diceva già Cicerone:
Nemo potest non beatissimus esse, qui est totus aptus ex sese, quique in se uno ponit omnia (Parad. II), 

Non può non essere perfettamente felice colui che si basa del tutto su se stesso e tutto ripone soltanto in se stesso

Inoltre, quanto più uno ha in sé, tanto meno contano, per lui, gli altri.
Cio che, invece, rende socievoli gli uomini è la loro incapacità di sopportare la solitudine, e, in quella, se stessi. A spingerli, come verso la società, così a cercare paesi stranieri e a viaggiare, sono il tedio e il loro vuoto interiore.
Al loro spirito manca la tensione elastica necessaria a mettersi in moto da solo, e perciò essi cercano di stimolarla col vino, sicché molti di loro finiscono per diventare degli ubriaconi.


Si sa che i mali diventano più leggeri quando li si divide con altri, fra quei mali la gente mette, pare, anche la noia; perciò gli uomini stanno insieme per annoiarsi insieme. Come l'amore per la vita non è altro, in fondo, che timore della morte, cosi l'istinto sociale degli uomini non è, in sostanza, un istinto diretto, non si basa, cioè, sull'amore per la società, ma sul timore della solitudine: non è che si cerchi una gradevole presenza di altre persone; piuttosto, si vuole sfuggire alla desolazione e all'angoscia dello star soli, e, allo stesso tempo, alla monotonia della consapevolezza di sé: e, per riuscirci, ci si accontenta anche di una cattiva compagnia e ci si adatta al fastidio e alle costrizioni che ogni cattiva compagnia reca, inevitabilmente, in sé.

In base a tutto quanto si è detto, la socievolezza di ogni individuo è, all'incirca, inversamente proporzionale al suo valore intellettuale; quando si dice, di uno, «è assai poco socievole» è quasi come dire «è un uomo di grandi qualità».

Voltaire, francese e socievole com'era, non poté fare a meno di dire: la terre est couverte de gens qui ne méritent pas qu'on leur parle.

Bernardin de Saint-Pierre: La diète des aliments nous rend la santé du corps, et celle des hommes la tranquillité de l'âme.

Di un uomo che vive solo si dice, talvolta, che non ama la società. È, in molti casi, come se si dicesse, di un uomo, che non gli piace fare una passeggiata perché non va volentieri a spasso, di sera, nella foresta di Bondy. (Maximes et pensées, II, 408) (Chamfort)

Con l'avanzare nell'età, poi, si fa sempre più facile e più naturale dare ascolto, a tale proposito, al sapere aude; e, dopo i sessant'anni, la propensione alla solitudine è una tendenza del tutto normale, e ha, anzi, tutti i caratteri di un istinto naturale: tutto, infatti, concorre a favorirla. Non agiscono più quelli che sono i più potenti impulsi alla socievolezza, cioè l'amore per le donne e l'istinto sessuale: anzi, la mancanza di una vita sessuale subentrata con la vecchiaia prepara il terreno a una certa quale autosufficienza, che finisce per neutralizzare del tutto l'istinto sociale. Si hanno ormai alle spalle mille delusioni e mille follie; la vita attiva, per lo più, è terminata, non ci si aspetta più nulla, non ci sono più né progetti né propositi. La nostra generazione si è estinta; circondati da uomini appartenenti a generazioni a cui ci sentiamo estranei, siamo ormai, oggettivamente e praticamente, soli. La corsa del tempo, intanto, si è fatta più veloce; e vorremmo ancora impiegarlo in occupazioni intellettuali.

Ammaestrati da una lunga esperienza, abbiamo smesso di aspettarci molto dagli uomini: perciò non siamo più esposti alle consuete delusioni

Incontrando qualcuno, comprendiamo subito con chi abbiamo a che fare, e sentiamo ben raramente il desiderio di giungere a un rapporto più stretto con lui.

Commenti

  1. Lungimirante, l’ava. Viva la nonna. Anche stavolta. Amen.

    L.G.

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