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Pavia 1525 - Ante esposizione V2

Per la serie "non limitarsi ad una sola fonte storica” e buttarmi a capofitto sui luoghi degli eventi decido di approfondire il tema inerente la battaglia di Pavia 1525. Difatti rispetto alla V1 troviamo diverse differenze, una su tutte il luogo in cui l'esercito imperiale penetrò nel parco, la posizione di Francesco I all'inizio della battaglia, o ancora più "clamoroso" la causa della rottura del ponte di barche sul Ticino che provocò in seguito l'annientamento dei mercenari svizzeri

La battaglia di Pavia. La vittoria dell'imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V su Francesco I, re di Francia, nella battaglia di Pavia nel 1525. I soldati di Carlo V sconfissero i soldati francesi in battaglia. Stampa su carta da un disegno di Antonio Tempesta. Per gentile concessione del Rijksmuseum, Amsterdam.

Truppe francesi

La cavalleria

In battaglia i loro ranghi annoveravano il fior fiore della nobiltà francese, e l'eventuale perdita di molti di questi uomini rappresentava un fatto di grande importanza per il Paese. Sembra che il signore di Clermont, un capitano francese catturato dagli imperiali a Pavia, sia stato l'unico sopravvissuto di quasi cento nobiluomini originari del Delfinato (una regione della Francia).

I gendarmi erano protetti da buone armature di tipo italiano. La loro qualità rifletteva la ricchezza e il potere di chi le indossava. Anche i cavalli erano coperti da un'armatura, detta "barda", a formare una combinazione massicciamente corazzata di cavallo e cavaliere. L'arma principale era una lancia pesante, ma questa si sarebbe spezzata presto in battaglia e il gendarme sarebbe ricorso a una lunga spada, una mazza o un martello da guerra per il combattimento corpo a corpo.


Anonimo, da Le voyage de Gênes di Jean Marot, 1510 ca. Gendarmi francesi, con picchieri svizzeri in secondo piano, attaccano una fortezza di confine piemontese nel 1507. Si noti come i cavalieri indossino tuniche sopra le armature, con l'eccezione delle parti che proteggono gli avambracci (dette vambraci) e la gola (gorgiere).

Lanceri

coustilliers, se trattati come combattenti, venivano armati con una corta lancia eiettabile e operavano come cavalleria leggera e "tuttofare" militari per i loro superiori. Il nome (derivato da coustille, una spada a doppio taglio) ne riflette il modesto status e il compito primario sul campo di battaglia: quello di "finire" i cavalieri nemici disarcionati.

Fanteria

A differenza della cavalleria, la fanteria francese era considerata inferiore a quella di altri Stati. 
I soldati appiedati erano reclutati, in compagnie di mercenari di circa 200-400 uomini, da capitani in possesso di autorizzazione regia. Questi avventurieri erano in gran parte privi di addestramento e appartenevano alla feccia della società. La paga era minima, spesso limitata al cibo, così che il principale motivo di attrazione per arruolarsi era costituito dalla possibilità di procurarsi bottino con i saccheggi. Di tutta la fanteria francese, quella reclutata in Guascogna era considerata di migliore qualità.

I fanti erano armati per la maggior parte con archibugi, che erano facili da usare e quindi richiedevano un minor addestramento. L'archibugio aveva rimpiazzato la balestra come principale arma della fanteria francese nel decennio precedente alla battaglia di Pavia.

Alcune compagnie di mercenari disponevano anche di picchieri, schierati in formazioni omogenee. Spesso addestrate e comandate da capitani svizzeri, per il loro scarso successo sul campo erano tuttavia considerate inefficaci. A Pavia gli unici reparti di fanteria che presero parte alla battaglia furono un gruppo di compagnie guascone schierate vicino al re. Esse non furono capaci di fermare i lanzichenecchi imperiali, dai quali furono disperse con facilità.

Gli imperiali

Cavalleria

Con l'eccezione delle lance borgognone e napoletane, la cavalleria pesante spagnola era notevolmente più leggera della sua controparte francese in quanto i suoi cavalli erano privi di corazza, e la sua arma inasta (lanza d'armas) era più sottile e leggera. Tradizionalmente, i cavalli spagnoli erano considerati inferiori a quelli di altri paesi, ma al tempo della battaglia di Pavia l'esercito imperiale era riuscito a rifornirsi di monte di buona qualità provenienti dall'Italia e dalla Germania, pertanto questo aspetto non rappresentava più un problema.

La cavalleria pesante tedesca era organizzata ed equipaggiata secondo criteri simili, anche se da illustrazioni dell'epoca si desume che attribuisse più importanza all'armatura dei cavalli e si basasse sulla lancia completa (come facevano i borgognoni e gli uomini d'arme francesi al servizio degli spagnoli).

La fanteria spagnola

Quella spagnola era la fanteria più professionale del tempo, essendo ben addestrata, equipaggiata e condotta. I soldati che parteciparono alla battaglia di Pavia erano in gran parte veterani e, secondo il comandante che li guido nello scontro (il marchese di Pescara), essi si comportarono particolarmente bene.
Nel 1525 questi soldati professionisti erano organizzati in colunelas (colonne), ognuna di cinque banderas (compagnie). Ciò dava una forza teorica di circa 1.500 uomini, comandati da un coronel. Quattro unità di questo tipo combatterono a Pavia, formate da truppe reclutate in Spagna, Italia e Paesi Bassi. Ciascuna colonna era composta di picchieri, archibugieri e uomini armati di spada e brocchiero (un piccolo scudo, in genere rotondo) in proporzione di, grosso modo, 2-2-1.
Dopo la battaglia di Pavia, la fanteria spagnola si godette una meritata gloria, e per più di cento anni a seguire fu considerata la migliore forza militare d'Europa.

Melchior Feselen, L'assedio della città di Alesia da parte di Giulio Cesare e la battaglia contro Vercingetorige (dettaglio), olio su tela montata su tavola, 1533 (Alte Pinakothek, Monaco di Baviera). L'immagine mostra archibugieri di un reparto di lanzichenecchi mentre caricano e scaricano le loro armi. Si noti la varietà di quest'ultime: a seconda dei casi, la miccia è accostata manualmente alla polvere da sparo contenuta nello scodellino, oppure in modo meccanico tramite serpentina.

Mercenari

Gli svizzeri

I soldati elvetici avevano costruito la loro reputazione sulla sconfitta di Carlo, duca di Borgogna, nel 1476. Essenzialmente una forza di picchieri, essi erano presto divenuti noti come i migliori mercenari in Europa, e combatterono al servizio di molti Stati, compresi la Francia, la Spagna, Milano e Venezia. In particolare, la Francia faceva molto affidamento su di loro per ovviare alle sue carenze nella fanteria. 

La reputazione militare degli svizzeri durò fino al 1522, grazie alla ferocia in combattimento, all'addestramento e alla professionalità con cui essi perseguivano la vittoria per conto di chi li assoldava. A causa delle gravi perdite subite nella battaglia di Marignano (1515) e di quelle disastrose alla Bicocca (1522), questa reputazione si appannò, e la loro posizione quale miglior fanteria d'Europa fu rivendicata, dapprima, dai lanzichenecchi tedeschi, poi, in modo più convincente, dagli spagnoli.

Per quanto la loro arma d'elezione fosse la picca, fino a un decimo dell'organico delle unità di picchieri era costituito da archibugieri, i quali andavano a formare una linea di schermagliatori di fronte al grosso della forza. A Pavia i mercenari svizzeri comandati da Fleuranges entrarono in azione senza i loro archibugieri di supporto, una circostanza che potrebbe aver giocato un ruolo nella loro sconfitta.

I picchieri si disponevano sul campo in grosse formazioni profonde fino a 24 ranghi. All'epoca, solo le prime quattro o cinque linee di picchieri potevano infliggere danni al nemico; le rimanenti esercitavano pressione su di esse, dando loro slancio e riempiendo i vuoti che potevano crearsi nello schieramento.

Una piccola aliquota di alabardieri era impiegata per proteggere le bandiere dei vari cantoni svizzeri, oppure per attaccare le truppe nemiche, similmente a quanto facevano i soldati spagnoli armati di spada e brocchiero sopra descritti.



Il re di Francia Luigi XI accoglie i soldati svizzeri davanti a Chalon-sur-Saône nell'agosto del 1480. Illustrazione nella Luzerner Chronik di Diebold Schilling, 1513 (Zentral- und Hochschulbibliothek Luzern, Sondersammlung, Eigentum Korporation Luzern).
I contingenti di mercenari degli otto cantoni con le loro bandiere vengono ricevuti dal sovrano sul ponte levatoio.

Il più grande problema collegato all'utilizzo di una qualsiasi forza mercenaria era che questa esigeva di essere pagata con regolarità: una condizione non facile da rispettare per i comandanti del tempo, i quali dovevano affidarsi ai saltuari flussi di denaro provenienti dai rispettivi Stati, oltre che a uno scarso supporto amministrativo e logistico.

Il detto "point d'argent, point de Suisse" (niente denaro, niente svizzeri) doveva essere costantemente tenuto a mente.

A Pavia i mercenari elvetici reclutati da Francesco I non erano della medesima qualità di quelli uccisi in grande numero alla Bicocca. Le difficili condizioni di vita, la guerra d'assedio e i pagamenti irregolari avevano contribuito molto a fiaccare il loro morale, come dimostra il fatto che una grossa forza di svizzeri dei Grigioni abbandonò l'esercito prima che la battaglia avesse inizio. Gli svizzeri a Pavia ruppero le fila e si diedero alla fuga, qualcosa che non era mai accaduto prima. Lo scontro del 1522 confutò, dunque, il luogo comune circa la supremazia militare elvetica.

I lanzichenecchi

Coloro che li ingaggiavano potevano forse considerarli come una versione "a buon mercato" degli svizzeri, a causa della superiore reputazione di quest'ultimi, ma i lanzichenecchi, mercenari provenienti dal sud della Germania, erano i soldati di ventura più largamente impiegati in Europa. 

Creati dall'imperatore Massimiliano nel 1486, essi dovevano inizialmente formare una forza di fanteria analoga a quella degli svizzeri, ma interna al Sacro Romano Impero. Unità di lanzichenecchi furono costituite da agenti tedeschi (spesso governanti locali o proprietari terrieri), e, benché dovessero giurare fedeltà all'imperatore, quando non richieste al suo servizio esse venivano assunte temporaneamente da altri datori di lavoro. 

I reggimenti di lanzichenecchi erano articolati in almeno dieci Fahnlien (compagnie), ciascuna delle quali di 300-400 uomini. L'arma principale era la picca, ma un decimo o più della forza di ogni reggimento era dotato di archibugi e fungeva da schermo protettivo, analogamente a quanto accadeva nei reparti svizzeri. Uomini armati di spade a due mani e alabardieri svolgevano la stessa funzione delle loro controparti elvetiche. 

A partire dal 1519 venne considerato un'offesa, per i lanzichenecchi, servire negli eserciti dei nemici del Sacro Romano Impero. Ciononostante, l'esercito francese a Pavia comprendeva un reggimento di 4.000 lanzichenecchi conosciuto come "la Banda Nera"

(per via delle armature tinte di nero dei suoi uomini), comandato da Georg Langenmantel. 
Durante la battaglia, questi soldati dimostrarono di essere la più forte fanteria al servizio di Francesco I, e il loro ardore combattivo fu probabilmente accresciuto dal fatto di essere visti come traditori dai lanzichenecchi imperiali. Come accadeva quando combattevano contro gli svizzeri, nessuna delle due parti avrebbe avuto pietà degli avversari.

In quanto mercenari, i lanzichenecchi erano fonte di problemi finanziari come gli svizzeri. Leyva fu costretto a fondere gli arredi sacri delle chiese per pagare gli uomini della guarnigione di Pavia. Tra le forze imperiali, sebbene la tendenza a tornarsene a casa quando i pagamenti cessavano fosse più pro nunciata fra gli svizzeri che fra i lanzichenecchi, le rivolte che ebbero luogo dopo la battaglia testimoniano dei problemi che i comandanti del tempo dovevano fronteggiare quando ricorrevano a qualunque tipologia di truppe mercenarie 

Giovanni dalle bande nere

L'esercito francese comprendeva quella che era considerata la formazione mercenaria italiana d'élite del periodo, comandata da Giovanni de' Medici (figlio di Giovanni di Pierfrancesco de' Medici e Caterina Sforza), detto Giovanni dalle Bande Nere, da non confondere con i lanzichenecchi dalla banda nera.

Prima di entrare al servizio di Francesco I, tale formazione aveva servito il papa e il comandante degli imperiali Lannoy, viceré di Napoli.

 La sua defezione per passare al campo francese, dovuta a una disputa sui pagamenti avvenuta due mesi prima della battaglia di Pavia, sottolinea alcuni dei problemi connessi con l'impiego di mercenari che abbiamo descritto in precedenza. 


La forza di Giovanni de' Medici comprendeva archibugieri a cavallo e appiedati, e chi tra questi rimase al servizio dei francesi dopo il ferimento del loro condottiero non svolse alcun ruolo nella battaglia vera e propria, in quanto appartenente alla retroguardia del duca d'Alençon.

Giovanni de' Medici detto Giovanni dalle Bande Nere

Artiglieria

Si ritiene che il primo vero treno mobile di artiglieria campale sia stato quello che Carlo VIII di Francia utilizzò quando invase l'Italia nel 1494, e la battaglia di Fornovo, combattuta l'anno seguente, fu probabilmente la prima nella quale l'artiglieria svolse un ruolo significativo. L'impiego di squadre composte da pezzi d'artiglieria con affusti a ruote, avantreni e cavalli non era un concetto del tutto nuovo a quel tempo, ma si diffuse in maniera sempre maggiore proprio durante le guerre d'Italia (1494-1529), e a Pavia (1525) Galiot de Genouillac (signore d'Assier) comandò un treno d'artiglieria francese composto da 53 cannoni di varie dimensioni.
L'esercito imperiale era accompagnato da un treno d'artiglieria di lunghezza simile.

A Pavia i francesi impiegarono la loro artiglieria per assediare la città, schierando due grandi batterie di cannoni d'assedio. Un'altra, composta di pezzi più leggeri, fu considerata idonea per una battaglia campale ma non abbastanza potente per supportare l'assedio, e pertanto fu tenuta in riserva. 

Ad essere considerate utilizzabili erano le bocche da fuoco più grandi dei "sagri" (leggermente più piccoli delle colubrine) che erano in grado di sparare palle da 6 libbre (2,7 kg). Durante la battaglia, questi cannoni leggeri furono piazzati intorno a Torre del Gallo, ma una batteria che era stata ritirata nell'area fra Mirabello e la Porta Repentita comprendeva pezzi più grandi (mezze colubrine e colubrine). Entrambe queste batterie leggere svolsero una parte attiva nello scontro. Mentre nelle operazioni d'assedio, dove era importante un puntamento accurato dei cannoni, la cadenza di fuoco era lenta, sul campo di battaglia un sagro poteva essere ricaricato e scaricato in due o tre minuti.

A distanza ravvicinata sarebbe stato impiegato un particolare proiettile detto "cartoccio a mitraglia (schegge di selce o pezzi di ferro racchiusi in un contenitore di legno simile a una clessidra) per falciare i ranghi delle truppe avanzanti.


Artiglieria francese a Marignano G.A.Vavassore: "A laude e gloria del victorioso"

Origini della campagna

Francesco I avrebbe voluto comandare in prima persona l'invasione del 1523 dei territori italiani controllati dall'Impero, ma una grossa ribellione in Francia distrasse la sua attenzione: Carlo di Borbone, principe di sangue reale, aveva organizzato una rivolta nelle sue terre e sollecitato l'aiuto dell'imperatore Carlo V, il quale aveva acconsentito a fornire una forza di mercenari tedeschi per supportare la ribellione.

Quando il complotto fu scoperto, Francesco I non sapeva quanto poteva estendersi la rivolta, per cui decise di restare vicino al suo focolaio per fronteggiare eventuali sollevazioni e affidò la conduzione dell'invasione dell'Italia al suo favorito, Guillaunte de Bonnivet, ammiraglio di Francia.

Ludovico Corte, illustrazione della città di Pavia (Antiquissimae ac Celeberrimae Regiaq. Civitatis
Papiae Icon, incisione, 1599 ca.). Si tratta di uno dei primi esempi di piano prospettico della città, vista da sud. Le chiese di San Paolo, Santo Spirito e San Giacomo sono visibili nell'angolo in alto a destra.

L’invasione di Bonnivet si trasformò in ritirata quando 6’000 mercenari svizzeri rientrarono in patria perché non trovarono un accordo sul compenso. Si tirarono dietro altri 13’000 mercenari lasciando così i francesi in netta inferiorità numerica e costringendoli alla ritirata. 


Anzi, sull’onda dell’avanzata gli imperiali decisero addirittura di invadere la Francia ma furono bloccati a Marsiglia dove i loro attacchi furono respinti. Nel frattempo Francesco I organizza un nuovo esercito e a questo punto gli Imperiali ripiegano in Italia 

Francesco I invade l'Italia


Francesco I doveva ora scegliere se sfruttare il vantaggio acquisito e invadere l'Italia, oppure rimanere in Francia. Influenzato dall'opinione di Bonnivet, egli decise di seguire le truppe imperiali in ritirata fino in Italia, dove Milano sembrava un obiettivo a portata di mano. Dal punto di vista finanziario, la conquista della città lombarda avrebbe consentito ai francesi di ripianare i costi sostenuti per la campagna.

Quando l'esercito francese raggiunse le pianure italiane, venne inoltrata ai cantoni svizzeri la richiesta di inviare mercenari di rinforzo. Dopo essersi concesso una pausa per dedicarsi alla caccia intorno a Sisteron, Francesco raggiunse Saluzzo a Briançon il 14 ottobre. Sebbene non fosse il periodo ideale per attraversare le Alpi, la forza principale dei francesi riuscì a passare il colle del Monginevro con le artiglierie movimentate a mano, sollevate con argani e trascinate lungo la strada.

Il re proseguì verso Torino, dove suo zio Carlo, duca di Savoia, gli giurò fedeltà. Francesco sostò solo il tempo necessario per andare a caccia e ricevere 14.000 mercenari svizzeri prima di proseguire  verso Milano.

Il re dedica molto tempo alla caccia, attività aristocratica per eccellenza alla quale si dedica con particolare entusiasmo. Alcuni dei testi che gli vengono offerti sfruttano abilmente questa sua vera e propria passione. I Commentari sulle guerre galliche di François Desmoulins si inseriscono così nella finzione di un incontro tra Giulio Cesare e il re durante una battuta di caccia nella foresta di Saint-Germain-en-Laye, volto a sottolineare le coincidenze tra i due «rimproveratori degli Elvezi».

Mentre il sovrano attraversava il Ticino a est di Novara, gli imperiali si sfilarono dal potenziale accerchiamento, con Pescara, al comando degli spagnoli, impegnato in una marcia forzata per raggiungere Pavia, mentre i lanzichenecchi di Borbone, che lo seguivano, agivano da schermo per ritardare l'intervento di Montmorency. Una guarnigione di 2.000 fanti spagnoli fu lasciata a presidio di Alessandria. Quest'ultimi avevano ora due guarnigioni ad Alessandria e a Pavia (quest'ultima comandata da Leyva). Pavia era anche il quartier generale temporaneo di Lannoy, viceré di Napoli e diretto superiore di Pescara.

Francesco I impiegò più tempo del previsto a portare tutto il suo esercito al di là del Ticino, principalmente perché il ponte medievale utilizzato per l'attraversamento collassò sotto il peso della sua artiglieria.

L'esercito imperiale era riuscito a evitare l'ostacolo di Binasco, entrando a Milano il 26 ottobre, dove si unì alla guarnigione locale. Lannoy, che aveva il comando generale delle forze dell'Impero, capì che la città era indifendibile. Le malattie avevano decimato la milizia cittadina, le mura erano in cattivo stato e non vi erano riserve di cibo. Inoltre adesso sapeva di essere in pesante inferiorità numerica rispetto ai francesi (circa 16.000 uomini contro 33.000). Pertanto fu presa la decisione di abbandonare la città, e lo stesso 26 ottobre gli imperiali cominciarono a ritirarsi verso Lodi. Nel giro di poche ore i francesi, con le loro unità di testa comandate dal marchese di Saluzzo e da Trémoille, entrarono a Milano, e la loro cavalleria disturbò il ripiegamento del nemico fino a Marignano, dove interruppe l'inseguimento. Francesco era il nuovo signore di Milano.

Lodi o Pavia?

I moderni strateghi potrebbero criticare il monarca francese per non aver inseguito con maggior vigore un nemico in ritirata, ma la sua non era una campagna combattuta secondo i criteri di oggi. Francesco aveva raggiunto il suo obiettivo di conquistare Milano. Dopo aver condotto con successo un'invasione del Nord Italia in periodo invernale, il suo esercito aveva bisogno di alcuni giorni per riposare, ed egli era soddisfatto che ciò potesse avvenire all'esterno della città, dove l'epidemia che stava infestando Milano avrebbe rappresentato un pericolo relativo per i suoi uomini.

Nel giro di due giorni, Francesco fu in grado di riprendere la campagna, convocando un consiglio di guerra a Binasco. I suoi comandanti più anziani, inclusi Trémoille e La Palice, erano favorevoli a un attacco diretto contro la colonna di Pescara a Lodi, ma il sovrano accettò il consiglio del più giovane Bonnivet, il quale sosteneva l'idea di assediare Pavia, presidiata da Layva. 

Bonnivet fece notare che una forza stanziata in quella città sarebbe stata abbastanza vicina a Milano da poter fornire aiuto se quest'ultima fosse stata minacciata. L'ordine diramato fu, pertanto, quello di marciare verso sud, in direzione di Pavia.

L’assedio di Pavia

L'esercito francese era suddiviso in un'avanguardia comandata da La Palice, una retroguardia agli ordini di Carlo, duca d'Alençon, e la forza principale condotta dal re in persona

Avvicinandosi a Pavia da nord, attraverso il Parco Visconteo, La Palice schierò i suoi mercenari svizzeri a est della città, nel locale complesso di abbazie, chiese e monasteri, e il suo pugno di fanti francesi a nord, intorno all'abbazia di San Giuseppe e a Torre del Gallo. 

La battaglia di Pavia, Ruprecht Heller, Nationalmuseum Stoccolma.

Alençon occupò posizioni all'interno e intorno al borgo di San Lanfranco, a est di Pavia, mentre il re, accompagnato dalla sua cavalleria e dai suoi lanzichenecchi, entrava nella parte centrale e settentrionale del parco. 

Le unità di testa francesi arrivarono il 28 ottobre, e l'assedio principale ebbe luogo nei giorni 30 e 31. Il treno d'artiglieria raggiunse Pavia durante la notte del 31: i cannoni pesanti furono divisi in due batterie, una a est della città e una, più numerosa, a ovest. I cannoni più leggeri, che erano di poca utilità per l'assedio, furono piazzati a Torre del Gallo, con un'ulteriore batteria situata a nord del parco, da dove queste bocche da fuoco avrebbero potuto proteggere l'accampamento del re. Il bombardamento ebbe inizio il giorno successivo.

Mentre un ponte di barche veniva costruito sul Ticino, a est della città Montmorency fu traghettato sulla sponda opposta del corso d'acqua nei pressi di San Lanfranco, con l'ordine di attaccare Pavia da sud occupando l'area conosciuta come Borgo Ticino.

Levya contava su una guarnigione di poco più di 9.000 uomini, in maggioranza mercenari. Egli poté garantirsi la loro lealtà solo requisendo e facendo fondere gli oggetti sacri di metallo prezioso delle chiese di Pavia.

Le scorte di cibo erano di qualità scarsa, ma in quantità sufficiente a consentire la prosecuzione dell'assedio per il prossimo futuro. Ciò di cui realmente mancava Levya erano le riserve finanziarie, e alla fine questo aspetto contribuì a causare la battaglia più di ogni altro singolo fattore!

Da parte francese, il sovrano realizzò che, vista la geografia dell'area, qualunque coordinamento di attacchi fra le linee schierate a est e a ovest era quasi impossibile. L'unica zona da dove si potevano osservare contemporaneamente entrambi i lati della città era la sponda sud del Ticino, occupata da Montmorency. L'accesso meridionale al ponte era sorvegliato dalla piccola fortificazione tenuta dagli spagnoli, che era perfettamente posizionata per fungere da punto di segnalazione fra le due aree in cui erano schierati i francesi.

Quando alle piogge si sostituì il gelo, il 10 novembre Francesco I decise di organizzare un'operazione per prendere il fortino e rendere così possibile il coordinamento delle due batterie da assedio a sua disposizione.
Le truppe di Montmorency furono rafforzate da 1.500 fanti francesi e quattro colubrine, supervisionate personalmente da Sissone, il "maestro dell'artiglieria" del re.
I circa 40 uomini della guarnigione spagnola vennero circondati e bombardati con le colubrine per gran parte del giorno prima di arrendersi. Montmorency ordinò che fossero impiccati, un'azione che provocò forti proteste da parte di Levya e le conseguenti scuse di Francesco. I francesi ora avevano il completo controllo della sponda meridionale del Ticino e una vitale postazione per le comunicazioni fra i loro due accampamenti. 

Intanto Levya non aveva sprecato il suo tempo, e aveva ordinato ai cittadini e ai miliziani di costruire, dietro alle mura, barriere di terrapieni fronteggiate da un fossato, creando a tutti gli effetti un anello di difese interne con uno spazio fra di esse che poteva essere spazzato dall'artiglieria leggera caricata a mitraglia e dagli archibugieri. I miliziani disarmati sarebbero rimasti in attesa, pronti a lanciare pezzi di marmo sugli attaccanti.

Insistere o desistere?

Mentre la guarnigione di Pavia era impegnata a riparare le brecce nel proprio sistema difensivo, i comandanti francesi si riunirono a Binasco per un consiglio di guerra. 

I consiglieri di Francesco I suggerirono al sovrano di tornare in Francia e lasciare uno di loro a continuare l'assedio. Ciò avrebbe conservato la sua fama immacolata, consentendogli di salvare la faccia se il suo esercito fosse andato incontro a ulteriori rovesci. 


L'ammiraglio Bonnivet sostenne che il re sarebbe dovuto rimanere fino alla positiva conclusione dell'assedio. Come osservò Fleuranges, questo consiglio rappresentava per Bonnivet una specie di scommessa, poiché in caso di insuccesso egli avrebbe potuto "essere incolpato e perdere la sua reputazione" quale preferito tra i comandanti di Francesco I (lo stesso Fleuranges scrisse: "il re pone più fiducia in lui che nel resto dell'esercito.") Il sovrano decise di portare avanti l'assedio di Pavia in prima persona.

Deviare il fiume Ticino

Carlo IV di Alençon al comando della retroguardia della forza accampata intorno a San Lanfranco, ebbe l'idea di deviare il corso del Ticino lontano dalle mura di Pavia, così che fosse possibile lanciare un attacco contro l'angolo sudoccidentale della città, in quel momento martellato dalla batteria piazzata a Borgo Ticino. 
Ciò si sarebbe potuto ottenere arginando il fiume di fronte a San Lanfranco, quindi deviando l'acqua nel torrente Gravellone, il quale voltava intorno a Borgo Ticino per unirsi nuovamente al Ticino poco a sud di Pavia. 

A questo scopo furono raccolti materiali e requisite imbarcazioni per diverse miglia a monte della città. Il progetto prevedeva l'ormeggio di barche allineate di traverso rispetto al corso d'acqua. Ogni barca fu riempita di pietre, creando così una serie di pontoni che in seguito furono uniti con delle tavole per formare un ponte semi-sommerso, sul quale i braccianti francesi potessero lavorare. Zoccoli laterali vennero fissati al ponte di tavole, formando una specie di cassone che fu riempito a sua volta di pietre, così che l'intera struttura affondò maggiormente nell'acqua. La superficie del "cassone" fu quindi ricoperta di tavole, creando una serie di lunghi "box" montati sulle barche, le quali ora erano completamente sommerse. Tutta la struttura venne infine rivestita all'esterno di pelli ingrassate e all'interno di lana, fissata con chiodi, e ancorata con cavi e pesi di piombo. 

Lo scopo della barriera non era di deviare completamente il fiume (cosa ritenuta impossibile, considerati le condizioni meteo, il tempo e le risorse a disposizione), bensì di far scendere il livello dell'acqua a sufficienza per poter lanciare un attacco lungo la sponda prospiciente la città. Nonostante dovesse essere riparata di continuo, la barriera riuscì a deviare parte della corrente, ma una settimana di pioggia torrenziale all'inizio di dicembre spazzò via l'intera struttura e costrinse i francesi ad abbandonare il progetto.

Furono probabilmente queste precipitazioni che, insieme ai rottami e all'accresciuto flusso d'acqua provocato dal cedimento della barriera, distrussero il ponte di barche recentemente costruito fra Borgo Ticino e la terra a est di Pavia. A quanto risulta, tale catastrofe causò la morte di numerosi mercenari svizzeri e manovali che stavano tentando di salvare la struttura nel momento in cui essa venne spazzata via.

L'assedio sarebbe continuato per tutti i mesi di dicembre e gennaio, ma la carenza di polvere da sparo o le cattive condizioni meteo spesso impedirono l'impiego dell'artiglieria, così che l'obiettivo di assalire la città mutò in quello di fare in modo che i difensori esaurissero le loro scorte di cibo e denaro. Si svolsero ancora sporadiche azioni di disturbo e sortite, ma i francesi erano sempre più alla ricerca di un diversivo.

Fleuranges trattenne forse 1.000 dei più esperti di loro, così compensando in parte la perdita di un consistente reparto di svizzeri grisoni che avevano deciso di tornare a casa per proteggere il loro cantone dai saccheggi provocati dal passaggio dei lanzichenecchi imperiali.

Iniziativa agli imperiali

Borbone fu inviato a nord subito prima di Natale per andare a prendere i mercenari tedeschi che si stavano radunando in Austria in nome di Carlo V. 
A Innsbruck, Borbone reclutò i veterani comandanti tedeschi Georg von Frundsberg e Mark Sittlich von Ems, assieme ai loro 15.000 lanzichenecchi, e 500 uomini d'arme austriaci agli ordini del conte von Salm, prelevando inoltre 9 colubrine dall'arsenale della città, in aggiunta ad ampie scorte di polvere da sparo, palle di cannone, provviste e oro. 
Queste truppe fresche raggiunsero l'accampamento imperiale di Lodi il 10 gennaio 1525, dopo marce forzate attraverso il passo alpino del Brennero. I cannoni e le provviste arrivarono dieci giorni dopo. I rinforzi portarono nuova vita nell'armata, e Lannoy, Borbone e Pescara si sentirono abbastanza fiduciosi da passare all'offensiva


Dopo l'arrivo di lanzichenecchi di rinforzo, e di denaro, il marchese di Pescara ritenne di avere le risorse sufficienti per tentare di sollevare Pavia dall'assedio. Rapidamente catturò l'avamposto francese a Sant'Angelo che proteggeva le linee di comunicazione del nemico fra la città e Milano.
Un distaccamento imperiale inviato a Belgioioso fu attaccato da una colonna francese, ma questa ritornò a Pavia subito dopo il combattimento, vanificando ogni vantaggio acquisito. Gli imperiali continuarono quindi la loro avanzata passando per Lardirago, e arrivarono davanti a Pavia il 3 febbraio 1525. Impossibilitati a raggiungerla a causa della posizione fortificata francese costruita intorno alle "cinque abbazie" (a est della città), si trincerarono di fronte al nemico, mentre i loro comandanti decidevano quale sarebbe stata la mossa successiva.

L’assediante diventa assediato

Nella terza settimana di febbraio il comando imperiale fu costretto a valutare le limitate opzioni a sua disposizione. 

Rimanere inattivi avrebbe comportato la disgregazione dell'esercito imperiale per mancanza di denaro. 

Il maltempo e la tensione dovuta al fatto di aver trascorso tre settimane in stretta vicinanza con il nemico stavano producendo un effetto deleterio sulle truppe, e le perdite aumentavano, con nessuna possibilità imminente di rompere l'assedio. Il denaro era un altro problema per Leyva a Pavia, tanto che questi inviò un messaggio a Lannoy per informarlo che sarebbe stato in grado di pagare i suoi mercenari per ancora pochi giorni, dopodiché la città sarebbe stata costretta ad arrendersi.

Il 21 febbraio, durante un consiglio di guerra Lannoy disse: "Nel giro di tre giorni, quattro al massimo, dobbiamo prendere contatto con la guarnigione all'interno della città, oppure tutto sarà perduto."

Entrambi gli eserciti disponevano di circa 25.000 uomini. Era arrivato il momento di entrare in azione. Si valutò che un attacco diretto alle posizioni francesi avrebbe provocato un disastro, ma che un tentativo di portare soccorso avrebbe almeno salvato la faccia e permesso a Lannoy di sostenere che l'offensiva lanciata da Lodi aveva ottenuto un parziale successo. Un altro aspetto allettante risiedeva nel fatto che una tale incursione attraverso le linee nemiche avrebbe demoralizzato l'esercito francese quanto bastava per consentire agli imperiali di ritirarsi in sicurezza. Questa era la logica che presiedette alla pianificazione della battaglia di Pavia.


Gli imperiali si avvicinano

La battaglia di Pavia
24 febbraio 1524

Il piano

Gli imperiali decisero di effettuare un'incursione nel parco e di catturare il Castello di Mirabello, che si pensava fosse il quartier generale francese. In realtà, il 20 febbraio Francesco I aveva trasferito il suo stato maggiore e la sua corte nell'area intorno alla Porta Repentita, e con lui si erano mossi anche i cannoni francesi, precedentemente spostati dal settore delle cinque abbazie a Mirabello, che formarono un parco d'artiglieria di riserva a mezza strada fra la Porta Repentita e la stessa Mirabello. In quest'area erano schierati anche i rimanenti lanzichenecchi al servizio di Francesco, nei pressi delle gabbie riservate agli uccelli da preda che il re aveva portato con sé nella campagna militare.

Una volta che avessero preso Mirabello (e magari catturato il sovrano francese), gli imperiali si sarebbero incontrati con gli uomini della guarnigione di Pavia che dovevano effettuare una sortita in direzione nord, all'interno del parco, e avrebbero consegnato loro tutta la polvere da sparo, il cibo e il denaro che essi potevano riportare in città. Se il piano avesse avuto successo ci si aspettava che sarebbe stato possibile rompere l'assedio.

Durante le notti precedenti, a partire dal 19 febbraio, Lannoy aveva inviato pattuglie di genieri spagnoli (guestadores) oltre le mura del parco per stabilire dove dovesse essere aperta una breccia e scoprire qualcosa circa lo schieramento delle truppe francesi e la configurazione del terreno. Tali pattuglie entrarono tutte dal muro settentrionale del vecchio parco, e il 22 febbraio una di esse raggiunse l'estremità meridionale del bosco situato di fronte al Castello di Mirabello, dove si imbatté in un più numeroso reparto di fanteria guascona.

Solo tre dei sette uomini della pattuglia imperiale riuscirono a tornare per fare rapporto, e si decise di sospendere ulteriori pattugliamenti per timore di mettere in allarme il nemico.

Dopo queste operazioni, i genieri spagnoli riferirono che le misure di sicurezza francesi all'interno del parco erano allentate, e che l'area immediatamente a ovest della Porta Pescarina sembrava il punto più adatto per aprire una breccia.

In quella sezione del muro di cinta, i guastatori sarebbero stati nascosti alla vista da un grosso bosco e, una volta dentro, avrebbero potuto spostarsi lungo il muro stesso e aprire la Porta Pescarina alle altre forze imperiali. I resoconti sono discordi riguardo al numero di brecce aperte nella recinzione - una, due, o addirittura tre; in ogni caso, esse erano molto vicine l'una all'altra, e il rapido ingresso dei cannoni nel parco indica che fu probabilmente usata anche la Porta.

Il piano prevedeva lo sfondamento del muro di cinta, l'invio di una forza a Mirabello affinché si congiungesse con la guarnigione di Pavia, e la schermatura di queste truppe con un'altra forza comprendente gran parte di ciò che restava dell'esercito imperiale. I comandanti diedero istruzioni ai loro subordinati e si procedette ai preparativi per l'incursione. La notte del 23 febbraio, tutto era pronto.
Il giorno seguente, festa dell'apostolo Mattia, era anche il compleanno di Carlo V.

La marcia di avvicinamento

Intorno alle 10 della sera, gli imperiali cominciarono la loro marcia verso nord, intorno al muro di cinta del parco, seguendo la strada per Lardirago. Alle truppe fu ordinato di essere più silenziose possibile, e per distinguersi dal nemico nell'oscurità dovettero indossare le maglie sopra alle armature. Inoltre fu loro richiesto, se possibile, di cucirsi quadrati bianchi sui farsetti. L'unica opera pittorica a raffigurare tale forma di identificazione è il dipinto della battaglia di Pavia conservato nel museo Livrustkammeren di Stoccolma, nel quale i picchieri in primo piano sono mostrati mentre vanno in azione indossando maglie bianche sopra alle armature.

La battaglia di Pavia, Ruprecht Heller, Nationalmuseum Stoccolma.

La forza che doveva restare indietro ricevette l'ordine di ingaggiare il nemico a Torre del Gallo e alle cinque abbazie impiegando il fuoco degli archibugi e dell'artiglieria, nonché di mantenere accesi i fuochi dell'accampamento per far credere al nemico che il grosso dell'esercito vi fosse rimasto.

I cannoni dovevano cessare il loro fuoco di sbarramento prima dell'alba. Poco dopo, al sorgere del sole, i colpi in successione di tre pezzi sarebbero stati il segnale per gli uomini di Leyva, che dovevano sortire dalla città in due direzioni: mentre una piccola forza avrebbe tentato di bloccare i francesi sul lato della città in direzione di San Lanfranco, il resto delle truppe sarebbe penetrato nel parco attraverso la Torretta e avrebbe raggiunto gli incursori provenienti dall'esterno, al comando di del Vasto. Dopodiché, la guarnigione imperiale avrebbe dovuto contenere ogni attacco francese proveniente dall'area di Torre del Gallo e delle cinque abbazie, dando modo al "commando" di entrare in città.

Il bombardamento d'artiglieria cominciò non appena la principale forza imperiale si fu messa in marcia. Sebbene il rombo dei cannoni aiutasse a nascondere il rumore del movimento di truppe e dello sfondamento del muro del parco, Lannoy dovette inviare messaggeri per chiedere che l'artiglieria sparasse con meno entusiasmo!

Charles Tiercelin, signore di La Roche du Maine, era al comando di un piccolo reparto di cavalleria leggera al quale era stata affidata la sicurezza perimetrale del parco fra Torre del Gallo e la Porta Pescarina. Uditi i rumori causati dalla marcia nemica verso nord, egli inviò esploratori oltre il muro di cinta per capire cosa stava accadendo. Fleuranges, nel suo resoconto, afferma che lo stesso Tiercelin si arrampicò sul muro e vide l'armata imperiale dirigersi a nord, a quanto pareva cercando di muoversi il più silenziosamente possibile. Non è chiaro se il francese credette che gli imperiali stessero ritirando parte della loro forza; sta di fatto che non intraprese azioni, se non quella di allertare Fleuranges, che comandava gli svizzeri schierati a Torre del Gallo.

Mentre l'esercito imperiale marciava verso nord, lungo la strada per Lardirago, i guastatori spagnoli avevano cominciato a praticare la breccia. Dove fosse ubicata l'apertura iniziale non è chiaro, ma gli eventi successivi indicano che i lavori si svolsero a ovest della Porta Pescarina, nell'area nascosta dagli alberi.

Il Parco Visconteo di Pavia (Parco Vecchio e Nuovo) all'epoca della
battaglia del 24 febbraio 1525.  

Essi cominciarono alle 10 della sera, prima che la forza principale giungesse sul luogo, ma Lannoy arrivò intorno a mezzanotte dopo aver deviato a sinistra, all'interno del nuovo parco, poco più a nord delle Due Porte che vi dava l’accesso. Da li, un sentiero seguiva la linea delle mura verso San Giacomo e la Porta Pescarina.

Quando fu sul luogo della breccia, Lannoy scoprì che i suoi guastatori stavano facendo pochi progressi attraverso il muro alto cinque metri. L'impiego di polvere da sparo era sconsigliabile perché il rumore di un'esplosione avrebbe svegliato l'intero campo francese, pertanto Lannoy distaccò un certo numero di soldati per aiutare i guastatori nel loro lavoro, che andò avanti per tutta la notte.

Alle 4 del mattino circa, gli esploratori francesi di pattuglia intorno alla Porta Pescarina avevano riferito di aver udito strani rumori, dunque Tiercelin era consapevole che qualcosa stava succedendo nei paraggi. Egli ne informò Fleuranges, il quale diede l'allarme e radunò una forza di circa 3.000 picchieri svizzeri.

Duca di Bouillon, Signore di Sedan e Fleuranges, detto Il cinghiale delle Ardenne e autonominatosi "Il giovane avventuriero", fu uno dei più stretti compagni di Francesco I,

Mentre le rimanenti truppe elvetiche difendevano il complesso di trinceramenti presso Torre del Gallo, la maggioranza dei cannoni leggeri disponibili in quella località venne puntata verso nord, la direzione dalla quale provenivano i rumori di demolizione. Fleuranges e le sue truppe erano ancora confusi dal fuoco d'artiglieria diretto dalla Casa dei Levrieri, pertanto erano quasi del tutto privi di informazioni su cui basare una reazione. Alla fine, Fleuranges avvisò il re e condusse i suoi 3.000 svizzeri verso nord, in direzione della Porta Pescarina, accompagnato dalla cavalleria leggera di Tiercelin. Erano passate le 5 del mattino.

Gli imperiali penetrano nel parco

Non molto prima di quell'ora, i guastatori al lavoro sulla breccia (o su più brecce) avevano abbattuto il muro di cinta quanto bastava per consentire al marchese del Vasto e ai suoi incursori armati di archibugi di entrare nel parco. Mantenendosi al coperto degli alberi, costoro si diressero a sud, verso il Castello di Mirabello. Varie fonti di parte imperiale riportano che tale forza fosse composta da circa 3.000 uomini, e che tutti gli archibugieri portassero dotazioni extra di polvere da sparo, palle di cannone, provviste e denaro, mentre esiste un sostanziale disaccordo circa la nazionalità delle truppe.

Nel frattempo, i guastatori e piccoli reparti di soldati si erano spostati lungo il muro di cinta e si erano impadroniti delle altre due porte di accesso al parco, aprendole per consentire il passaggio al resto del gruppo di supporto.

In ogni caso, il primo reparto a entrare nel parco fu una batteria di artiglieria leggera campale che aveva il compito di fornire supporto al gruppo di incursori nel caso che questi incontrassero difficoltà nell'assalto a Mirabello. I cannoni erano seguiti dalla cavalleria leggera italiana e spagnola, la quale si schierò sul terreno aperto a sud-est della Porta Pescarina.

Mentre i reparti montati si dirigevano a sud, l'artiglieria si spostò lungo il sentiero che corre dalla Porta Pescarina fino alla diramazione verso Mirabello.

Con lo spuntare dell'alba, l'oscurità lasciò il posto a una densa foschia.

Fleuranges e Tiercelin avanzavano verso nord; del Vasto, la cavalleria leggera spagnola e l'artiglieria muovevano verso sud. C'erano tutte le premesse per uno scontro che si sarebbe rapidamente evoluto in una vera e propria battaglia.

Scaramuccia nel parco

Tiercelin comandava pressappoco 1.000 cavalleggeri francesi e italiani, e intorno all'alba li stava guidando in direzione nord, da Torre del Gallo verso la Porta Pescarina, dove intravide i cavalieri spagnoli attraverso la luce incerta e la foschia del primo mattino. 

La visibilità in quel momento era inferiore a 100 metri, e così sarebbe rimasta per gran parte della mattinata. 

Le due forze contrapposte rimasero presto coinvolte in una serie di mischie, nelle quali nessuna delle due poté calcolare la consistenza numerica del nemico. Questi scontri si sarebbero svolti poche centinaia di metri a sud della Porta Pescarina, fra il sentiero e il piccolo canale d'irrigazione che correva attraverso quell'angolo del parco.

Contemporaneamente, la forza di del Vasto si stava spostando lungo l'estremità occidentale dei boschi, in direzione di Mirabello, eludendo gli svizzeri di Fleuranges che dovettero passare a non più di 100 metri da loro mentre risalivano la strada per dare appoggio alla cavalleria leggera di Tiercelin

Gli svizzeri non avevano idea di cosa li aspettasse più avanti, ma furono avvisati della presenza di truppe nemiche dai rumori della scaramuccia tra cavallerie che si stava svolgendo di fronte a loro e alla loro destra. Avanzando, incapparono nella batteria di artiglieria che gli imperiali stavano spostando a mano lungo la strada. Questa colonna fu rapidamente sopraffatta: gli svizzeri catturarono fra i 12 e i 18 cannoni leggeri, mentre i serventi nemici correvano al riparo degli alberi e tornavano alla Porta Pescarina. La forza agli ordini di Fleuranges era accompagnata da quattro cannoni leggeri. Questi furono piazzati e aprirono il fuoco tra la foschia, o verso il punto in cui si stava svolgendo lo scontro fra cavallerie, o direttamente verso la Porta Pescarina. Si suppone che questi artiglieri non fossero in numero sufficiente per poter utilizzare anche i pezzi catturati al nemico.

A questo punto l'ammiraglio Bonnivet apparve alla testa di 50 uomini d'arme, inviati dal re con l'ordine di scoprire cosa stesse succedendo. Questi cavalieri e gli svizzeri di Fleuranges voltarono alla loro destra e si diressero verso il rumore della scaramuccia in corso fra le opposte cavallerie. Quando emersero dalla foschia, gli imperiali ruppero le fila, alcuni ripiegando a est, nei boschi vicino alle Due Porte, gli altri fuggendo verso le loro retrovie e la Porta Pescarina.

Tiercelin riorganizzó i suoi cavalieri alle spalle della piccola batteria francese e s'impossessò di cannoni nemici, mentre Fleuranges, timoroso di essere tagliato fuori mantenne la sua posizione con il fronte a nord-ovest. Bonnivet tornò dal suo sovrano, riferendogli che un'incursione degli imperiali attraverso il parco era stata respinta. Erano da poco passate le 6 del mattino.

La guarnigione esce da Pavia

Fu intorno a quell'ora che i cannoni piazzati presso Casa dei Levrieri spararono i tre colpi di segnale affinché gli uomini della guarnigione di Pavia dessero inizio alla loro sortita. Quindi ricominciarono il loro bombardamento sulle posizioni tenute dagli svizzeri intorno alle cinque abbazie, tirando alla cieca in mezzo alla foschia. Ciò bastò al locale comandante svizzero per mettere in allarme le sue truppe, poiché si aspettava un attacco all'alba da parte del principale schieramento imperiale. Quando ciò accadde, l'assalto fu lanciato da una direzione completamente diversa.



Gli uomini della guarnigione di Pavia uscirono dalla porta nordorientale della città, dirigendosi verso quella che dava accesso al parco nei dintorni della tenuta agricola della Torretta. I pochi soldati francesi o svizzeri che vi montavano la guardia furono rapidamente sopraffatti. Quando reagirono, le truppe elvetiche intorno a San Paolo e Santo Spirito scoprirono che oramai gli autori della sortita occupavano una posizione difensiva sicura, e che questa separava i soldati svizzeri attestati nelle cinque abbazie dal resto dell'esercito. Mentre la guarnigione di Pavia inviava pattuglie verso nord per tentare un congiungimento con del Vasto, il resto della forza impegnava gli svizzeri intorno alle abbazie.
Del Vasto e i suoi archibugieri erano ancora un po' distanti.


L’attacco degli imperiali (situazione 06:00)
Quando la principale forza imperiale entrò nel Parco Visconteo, preceduta dagli archibugieri di del Vasto, Fleuranges guidò un reparto di picchieri svizzeri a intercettarla, supportato dalla cavalleria leggera di Tiercelin. Mentre Francesco I chiamava alla battaglia il grosso del suo esercito, la guarnigione imperiale di Pavia effettuò una sortita, impossessandosi dell'estremità meridionale del parco e di fatto isolando i soldati francesi che si trovavano all'interno di esso dai loro compatrioti schierati a est e a ovest della città. Per errore, più che per calcolo, l'armata di Francesco era stata suddivisa in quattro segmenti, ciascuno dei quali impossibilitato a dare appoggio agli altri. Occupando la posizione centrale del campo di battaglia, l'esercito imperiale si trovò così nella condizione di poter sconfiggere le singole parti di quel nemico affrontandole separatamente.

Attacco al castello di Mirabello

Alle 6:30 circa, gli archibugieri di del Vasto emersero dai boschi appena a nord di Mirabello e presero d'assalto il castello. Nonostante il rumore della battaglia che infuriava a nord-est, i pochi difensori dovettero farsi trovare impreparati poiché il castello fu conquistato rapidamente. 

A Mirabello erano anche parcheggiati i carriaggi francesi e il relativo seguito di venditori, artigiani, prostitute e simpatizzanti. Secondo Fleuranges, coloro che non erano in grado di scappare furono massacrati dagli imperiali. 

L'esercito francese era ora spezzato in tre parti

la guarnigione di Pavia si frapponeva tra gli svizzeri attestati nell'area delle cinque abbazie e il resto dell'armata, e le truppe di del Vasto occupavano una posizione situata tra Fleuranges e il re di Francia. Inoltre, nessuno sapeva davvero dove fossero gli altri: né Lannoy, né Francesco I erano a conoscenza della situazione reale.

Intanto si erano fatte le 7. Gli esploratori di del Vasto attraversarono la roggia Vernavola, a est di Mirabello, e percorsero il sentiero che conduceva dalla Porta Pescarina alla Torretta.

All'altezza di Torre del Gallo finirono sotto il fuoco dei cannoni francesi che vi erano piazzati. Il sentiero in quel punto costeggiava una diga che separava il terreno intorno a Torre del Gallo da quello pantanoso nei pressi della Vernavola. Impossibilitata a procedere al coperto della diga per via dell'acquitrino, e sotto il tiro dell'artiglieria francese, la pattuglia non ebbe altra scelta che tornare indietro. 

Più o meno nello stesso momento, la guarnigione di Pavia al comando di Leyva stava effettuando una ricognizione in forze verso nord, fra la Torretta e Torre del Gallo. Gli svizzeri che difendevano i terrapieni costruiti intorno al complesso della Torre erano in allerta, e presto si sviluppò un altro combattimento piuttosto duro, questa volta a sud di Torre del Gallo. E probabile che alcuni cannoni della batteria francese che aveva respinto l'iniziativa di del Vasto furono girati per sparare nella nebbia, in direzione del sentiero che portava alla Torretta.

Mentre le truppe di del Vasto e Leyva andavano in perlustrazione verso Torre del Gallo, il duca di Borbone era impegnato a supervisionare il movimento di truppe attraverso la breccia e le porte che introducevano nel parco. 

Anonimo Tedesco, Battaglia di Pavia, Hampton Court

Arrivano i lanzichenecchi imperiali

Non più tardi delle 7, i lanzichenecchi comandati da Frundsberg e Sittlich vi erano entrati con due colonne. La prima, formata da circa 8.000 uomini (compresi un migliaio di archibugieri), era guidata da Sittlich e probabilmente passò dalla Porta Pescarina, schierandosi nel terreno aperto oltre di essa, e dopo un'avanzata di circa 200 metri si trovò davanti i 3.000 picchieri svizzeri di Fleuranges. 

Sebbene gli svizzeri avessero una temibile reputazione come picchieri, molti dei loro mercenari più esperti erano rimasti uccisi nella battaglia della Bicocca (1522), e le truppe di Fleuranges non erano i veterani delle precedenti campagne italiane. 

Tanto i tedeschi quanto gli svizzeri erano giù di morale per non essere stati pagati e per le dure condizioni di vita sofferte nei mesi precedenti, ed entrambe le forze erano guidate da comandanti che, a causa della nebbia, non erano completamente sicuri né di quanto stesse accadendo, né di cosa fosse necessario fare.

Mentre a sud della Porta Pescarina si svolgeva questo scontro fra picchieri, una seconda colonna di fanteria entrò nel parco attraverso la breccia aperta dai guastatori. Le truppe erano comandate dal marchese di Pescara e contavano approssimativamente 4.000 soldati spagnoli e 4.000 tedeschi. Esse erano schermate sul loro fianco destro da una forza di cavalleria di circa 400 lance spagnole di uomini d'arme, alla testa delle quali vi era lo stesso Lannoy, supportate da cavalleria leggera. Senza contare i non combattenti, ciò significava pressappoco 2.000 cavalieri di vario tipo. Borbone rimase nelle vicinanze della breccia, mantenendo il comando delle restanti truppe a cavallo imperiali, radunando chi era andato avanti e chi era rimasto indietro, e cercando di coordinare le diverse componenti dell'esercito.

La seconda colonna mosse verso sud, in direzione di Mirabello, pronta a fornire supporto ai lanzichenecchi di Sittlich o agli archibugieri italiani di del Vasto in caso di necessità. Sia Francesco che Lannoy pensavano ancora di essere coinvolti in una scaramuccia, e nessuno di loro era pienamente consapevole della situazione tattica. In realtà, gli imperiali non solo avevano spezzato l'esercito francese in una serie di piccoli gruppi, ma avevano anche raggiunto una superiorità numerica sul nemico di tre a uno nel settore settentrionale del parco.

Ha inizio la battaglia

Intorno alle 7:30 del mattino, le forze imperiali e francesi erano schierate in varie posizioni intorno a Pavia.
Lannoy e Pescara guidavano circa 10.000 cavalieri verso sud, mentre del Vasto difendeva Mirabello con 3.000 archibugieri. A est, 8.000 lanzichenecchi imperiali fronteggiavano i 3.000 svizzeri di Fleuranges e i 1.000 cavalieri franco-italiani di Tiercelin.

A ovest, presso la Porta Pescarina, si trovava il re di Francia Francesco I con 3.600 cavalieri, 6.000 fanti (tra lanzichenecchi e guasconi) e una batteria di artiglieria. In questa zona, gli imperiali erano in vantaggio numerico e occupavano la posizione centrale.

A sud, il maestro d’artiglieria Galliot difendeva Torre del Gallo con 1.000 svizzeri e cannoni leggeri. Più a est, altri 3.000 svizzeri persero i contatti con le forze principali per via dell’uscita di Leyva da Pavia con 9.000 uomini.

La retroguardia francese, circa 5.500 uomini sotto Alençon, era disposta tra San Lanfranco e Borgo Ticino, ma rimase troppo lontana per influire sulla battaglia. In generale, nel settore meridionale gli imperiali avevano una netta superiorità numerica.

Durante l’avanzata attraverso la boscaglia, la cavalleria leggera spagnola copriva il fianco destro di Pescara. I francesi avvistarono gli imperiali nella nebbia e aprirono il fuoco con circa dodici cannoni, già puntati nella direzione ideale per colpirli di infilata.


La battaglia di Pavia del 1525
Joachim Patenier - 1530 · Öl auf Panel ·

Nello stesso momento, a ovest, la piccola batteria di quattro cannoni che aveva seguito la colonna svizzera al comando di Fleuranges avvistò gli imperiali a nord-ovest della sua posizione, a distanza di tiro. Entrambe le batterie aprirono il fuoco. Le fonti sono discordanti circa le perdite inflitte dall'artiglieria francese: secondo Pescara, che era sul posto, i cannoni avevano fatto poco danno, una versione sostenuta anche da Frundsberg, il quale si trovava nelle vicinanze e combatté nello stesso punto mezz'ora dopo. 

Moreau e Du Bellay riferiscono che il fuoco dei cannoni provocò un massacro, e i loro resoconti sono accompagnati da descrizioni di braccia e teste mozzate che volano nell'aria. 

Il fuoco dell’artiglieria francese, sparato da circa 400 metri contro gli imperiali parzialmente coperti dagli alberi, non provocò le gravi perdite riportate dai cronisti. Gli spagnoli e i lanzichenecchi, soldati esperti e disciplinati, riuscirono a ridurre i danni cambiando formazione. Secondo Thom (1908), le perdite effettive furono al massimo di circa 600 uomini

Francesco I lancia la cavalleria all'attacco

Anche lo scontro tra le cavallerie contribuì a limitare l’efficacia del tiro francese. I cavalieri francesi, circa 900 lance (3.600 uomini tra gendarmi, arcieri e coustillier), erano completamente equipaggiati e pronti al combattimento. Provenendo dall’accampamento vicino alla Porta Repentita, si disposero in una linea di battaglia su quattro ranghi, con i gendarmi in prima fila e il fronte rivolto verso est-sud-est.

Sebbene un'unità tattica fosse composta da 100 lance, a Pavia l'intera forza caricò come un sol corpo, senza riserve o fanteria di supporto. Sotto questo aspetto la cavalleria francese ricordò le sue antenate che avevano combattuto a Crécy, Poitiers e Azincourt.

Di fronte a loro c'era la cavalleria che fiancheggiava l'esercito imperiale, la quale ora cavalcava incolonnata verso sud, a ovest del bosco, ed era distante pressappoco 500 metri. Si trattava di una forza mista di circa 500 ginetti (caval-leggeri spagnoli) e 400 lance di cavalleria pesante spagnola (1.600 cavalieri), quest'ultime comandate da Lannoy. Benché in netta inferiorità numerica e di equipaggiamenti (gli uomini d'arme spagnoli avevano notoriamente armature peggiori della loro controparte francese), Lannoy fece disporre i suoi in linea per fronteggiare la minaccia portata dai francesi. Si tramanda che egli abbia affrontato quella lotta impari con le seguenti parole: "Non vi è alcuna speranza, eccetto che in Dio.

Francesco ordinò all'artiglieria di cessare il fuoco e alle sue lance di avanzare. 

Queste aumentarono la loro velocità a mano a mano che si avvicinavano al nemico, il quale rispose avanzando a sua volta. Per tale motivo la carica durò all'incirca tre minuti, e altrettanti il successivo scontro fra cavalieri.

La cavalleria imperiale venne rapidamente scompaginata e si ritirò in direzione est o sud-est, verso la copertura offerta dagli alberi e la sua fanteria di supporto. Il re francese e le sue lance si lanciarono all'inseguimento, frenando i cavalli quando arrivarono al limitare del bosco, a 500-600 metri dalle loro posizioni di partenza

Avendo fatto a pezzi la cavalleria imperiale, le uniche truppe nemiche nelle vicinanze erano costituite dai fanti, che all'avvicinarsi dei francesi erano scappati al riparo degli alberi. 

A questo punto, si tramanda che Francesco si sia rivolto al maresciallo Foix-Lescun, dicendo: "Signore de Lescun, adesso sono davvero il duca di Milano."

Sebastian Münster, da Cosmographia (Basilea, 1544), una prospettiva di Pavia vista da est, con il Castello di Mirabello sulla destra e il Ticino sulla sinistra. L'immagine raffigura la città immediatamente prima dell'assedio e mostra chiaramente le difese erette da Leyva, inclusi i terrapieni intorno alle basi delle torri e una serie di fortini.

Il sovrano credeva di aver vinto la battaglia, Aveva spazzato dal terreno gli imperiali, rinchiudendoli in un bosco. Il più recente rapporto da est proveniva da Bonnivet e indicava che Fleuranges aveva il controllo della situazione. Benché non avesse ricevuto alcun messaggio da Montmorency e Alençon, Francesco non aveva alcuna ragione per pensare che a sud le cose stessero diversamente, e pertanto rimase all'oscuro della sortita effettuata dalla guarnigione di Leyva. 

In realtà i cavalieri di Francesco I si trovavano completamente privi di supporto, di fronte a un bosco e alla Vernavola, e senza contatti con il resto dell'esercito.

Dopo che Lannoy fu costretto a ritirarsi con la cavalleria, Pescara assunse il comando delle truppe imperiali. Convinto di poter sconfiggere la cavalleria francese prima che si riorganizzasse, richiamò del Vasto con i suoi 3.000 archibugieri per colpire il fianco destro nemico, protetto dai canali vicino a Mirabello. Nel frattempo, chiese rinforzi a Borbone e Frundsberg e schierò la fanteria spagnola nel bosco, da cui gli archibugieri cominciarono a sparare sui francesi, sostenuti dai picchieri. Lo scontro si trasformò in una lotta caotica e ravvicinata, senza linee definite né un comando efficace.

Intanto, i lanzichenecchi di Frundsberg e Sittlich combattevano da oltre un’ora contro gli svizzeri di Fleuranges. Inferiori di numero, gli svizzeri furono costretti a ritirarsi, forse anche per il morale basso e il mancato pagamento. Tuttavia, la loro fama militare lascia pensare a un combattimento comunque accanito. Mentre i lanzichenecchi sembravano avere il sopravvento, Pescara inviò un messaggero chiedendo a Frundsberg di mandargli metà delle sue truppe in rinforzo.




Con ogni probabilità, in quel momento gli svizzeri stavano cedendo terreno, ritirandosi in disordine verso Torre del Gallo. D'Iespart, eroe della scaramuccia di Binasco, rimase ucciso in combattimento. Gli imperiali annoveravano fra i loro prigionieri sia Fleuranges, sia il comandante svizzero Jean von Diesbach.
I lanzichenecchi furono accreditati della loro cattura, ma se questa avvenne durante la ritirata elvetica verso il Ticino, è più probabile che il merito vada attribuito ai soldati di Leyva.

Il massacro della cavalleria francese

Mentre Frundsberg riorganizzava nuovamente i suoi uomini e li conduceva attraverso la boscaglia, verso la posizione occupata da Francesco, Borbone, coordinando le attività nei pressi delle brecce, inviò una formazione di 4.000 lanzichenecchi contro il fianco sinistro della cavalleria francese e richiamò una riserva di 100 lance della cavalleria imperiale che stavano attendendo a nord del parco. 

Erano al più tardi le 8:00 quando Francesco e i suoi uomini scoprirono di essere praticamente circondati da picchieri e archibugieri nemici, e senza alcuno spazio per manovrare. I cronisti (in particolare le fonti francesi) descrivono il massacro che seguì con dettagli vividi. Benché senza dubbio enfatizzata nei racconti, la scena deve essere stata spaventosa e la cavalleria francese, trovandosi ora in inferiorità numerica di uno contro tre, cominciò ad avere la peggio. Molti cavalieri furono sbalzati di sella e finiti dagli archibugieri armati di coltelli o armi da fuoco. Anche Trémoille venne ucciso dagli archibugieri: a quanto pare il suo corpo rimase crivellato dalle schegge metalliche staccatesi dalla sua armatura e dai proiettili nemici. Attorno a Francesco i nobili francesi cadevano ad uno ad uno sotto i colpi d'ascia, delle lame o delle armi da fuoco. La lista di quelli già uccisi comprendeva La Palice (maresciallo di Francia), Renato di Savoia (gran maestro di Francia) e Galeazzo da San Severino (gran scudiero del Re); gli ultimi due sarebbero stati al fianco del loro sovrano al momento della morte.

L'artiglieria francese, non potendo fornire supporto di fuoco al suo re senza sparare addosso alla nobiltà transalpina, fu costretta a fare da spettatrice agli eventi. 

La banda nera: lanzichenecchi contro lanzichenecchi

Richard de la Pole e Francesco di Lorena guidavano 4.000 lanzichenecchi della Banda Nera e 2.000 fanti francesi, avanzando per sostenere il re. Dopo aver superato la batteria d’artiglieria, si scontrarono con i lanzichenecchi imperiali di Frundsberg e con gli uomini d’arme di Borbone. Ne nacque uno scontro feroce tra lanzichenecchi di opposte fazioni, senza pietà né prigionieri.

Secondo la testimonianza di Frundsberg, i soldati di Borbone attaccarono per aiutarlo colpendo il nemico sul fianco. Nonostante l’inferiorità numerica, la Banda Nera combatté valorosamente fino all’annientamento.

A est e lontana circa 200 metri, la cavalleria francese veniva fatta a pezzi, e molti cavalieri avevano cominciato a fuggire dal campo di battaglia. I gendarmi che formavano la prima linea erano vincolati dal senso dell'onore e dalla loro posizione sociale a restare e a combattere fino alla fine, e in ogni caso avrebbero avuto più difficoltà a districarsi da quella situazione rispetto alla cavalleria leggera schierata alle loro spalle. 

Si tramanda che a questo punto Francesco abbia esclamato: "Mio Dio! Che succede?" Oramai la sua forza era stata smembrata in piccoli gruppi circondati dalla fanteria imperiale. Bonnivet (ammiraglio di Francia) morì accanto al re, restando in sella benché trafitto dalle picche. 

In mezzo a quella carneficina il sovrano si sarebbe battuto bene, fino a quando il suo cavallo non fu abbattuto ed egli si trovò attorniato da archibugieri nemici armati di pugnali. 

Lannoy, che nel frattempo era tornato sulla scena della battaglia, si sarebbe precipitato a cavallo nella mischia e avrebbe salvato Francesco, difendendolo in punta di spada dal suoi stessi uomini,

Le fonti francesi discordano su chi catturò il re Francesco I, ma sembra che Lannoy sia riuscito a prenderlo e a scortarlo nelle retrovie, protetto da archibugieri napoletani di del Vasto, che dovettero persino uccidere alcuni spagnoli per impedir loro di assassinare il sovrano.

Nel frattempo, la cavalleria francese veniva distrutta o messa in fuga, e la Banda Nera fu annientata: tra i caduti vi fu Francesco di Lorena. Anche se le fonti francesi parlano di una resistenza eroica fino all’ultimo, molti probabilmente tentarono di fuggire verso ovest, inseguiti da Frundsberg e Borbone, i quali appresero della cattura del re mentre oltrepassavano le postazioni d’artiglieria. Borbone cercò di raggiungerlo, ma non riuscì a trovarlo.

A est, i lanzichenecchi di Sittlich inseguirono gli svizzeri fino a Torre del Gallo, dove conquistarono i cannoni francesi e catturarono il maestro d’artiglieria Galliot de Genoillac. Gli svizzeri superstiti tentarono di fuggire verso sud, ma presso le cinque abbazie furono travolti: i 3.000 uomini di Montmorency, impossibilitati a muoversi sul terreno fangoso, non riuscirono a fermare i 9.000 soldati della guarnigione di Pavia, che li colpirono anche con il fuoco proveniente dalle linee imperiali e dalla città. Gli svizzeri si sbandarono completamente all’arrivo dei compagni in fuga da Torre del Gallo.

Questa massa di uomini si diede alla fuga verso sud, in direzione delle sponde acquitrinose del Ticino. 
Alcune fonti affermano che il ponte di barche costruito in quel punto venne reso inservibile dalle truppe francesi posizionate sulla sponda meridionale, su ordine di Alençon.Ciò sembra improbabile, dal momento che lo stesso Alençon si trovava vicino a San Lanfranco, a ovest della città, e non aveva un'idea precisa di cosa stesse succedendo. Se il ponte fu davvero distrutto, dovette esserlo su ordine del comandante locale di Borgo Ticino (sulla sponda meridionale del fiume). 

Ponte o no, la massa di svizzeri in fuga ebbe problemi ad attraversare il fiume ingrossato, e molti di loro vennero affogati nel corso d'acqua o abbattuti dai soldati nemici che li avevano inseguiti scendendo lungo l'argine. Probabilmente solo la metà dei 5-6.000 soldati svizzeri arrivati sulla sponda settentrionale riuscirono a mettersi in salvo sull'altra riva del Ticino.

Il duca di Alençon aveva capito che le cose si erano messe male nel parco. I primi segnali dell'attacco imperiale dovettero essere i rumori della battaglia che si svolgeva a quasi 5 km di distanza, verso nord-est. La forza ai suoi ordini comprendeva un reparto di cavalleria leggera italiana, ed è probabile che esploratori appartenenti ad esso gli abbiano portato notizia del disastro intorno alle 8:30. Questa venne confermata dai rapporti delle truppe in fuga dalla Porta Repentita verso ovest e oltre il fiume, a Borgo Ticino. Privo di ordini chiari, e non potendo influire sull'esito dello scontro, Alençon ordinò una ritirata generale in direzione di Binasco e Milano, abbandonando le opere d'assedio già realizzate.


Le fasi finali della battaglia (situazioni alle 8:20)
In seguito alla carica di Francesco I, il marchese di Pescara ordinò la concentrazione di tutte le truppe imperiali disponibili intorno alla cavalleria francese in difficoltà. La mossa fu agevolata dalla sconfitta dei picchieri svizzeri di Fleuranges, i quali si ritirarono verso Torre del Gallo, inseguiti da un distaccamento di lanzichenecchi. Ciò permise a Frundsberg di raggruppare una grossa porzione delle sue truppe e di unirsi all'assalto contro il re di Francia. In particolare, il comandante tedesco riuscì a contrastare un tentativo dei francesi di aprirsi la strada verso il loro sovrano, che si concluse con un sanguinoso combattimento fra i lanzichenecchi di entrambe le parti. Nel frattempo, Levva e la guarnigione di Pavia attaccarono le posizioni svizzere intorno alle “cinque abbazie". Non avendo lo spazio per disporsi in formazione, i picchieri elvetici furono sconfitti. Le truppe svizzere in ripiegamento da Torre del Gallo si riversarono nel settore delle abbazie, trascinando con sé i loro compatrioti. Mentre le ultime sacche di resistenza venivano eliminate nella parte settentrionale del parco, la componente svizzera dell'esercito francese lascio il campo per dirigersi verso il ponte di barche sul Ticino. Non appena fu raggiunto dalla notizia della sconfitta del re, Alençon cominciò a ritirarsi in buon ordine in direzione nord-ovest, schermando l'esercito in rotta da ulteriori attacchi delle forze imperiali.

Gli uomini al suo comando costituivano l'ultima forza francese ancora integra sul campo di battaglia. I combattimenti cessarono non più tardi delle 9:00. I comandanti dell'esercito imperiale si trovarono fra i resti di quello francese fatto a pezzi, cercando di convincersi della portata della propria inaspettata vittoria.

Francesco fu condotto al sicuro presso il quartier generale nemico alla Casa dei Levrieri, dove le sue ferite sarebbero state curate. Nel frattempo, i sopravvissuti dell'esercito francese erano in fuga e i loro vincitori si godevano il bottino di guerra, ringraziando di essere ancora vivi. La battaglia che nessuno si aspettava era terminata con un risultato che nessuno avrebbe potuto prevedere.

Minuto per minuto

5:00 Gli incursori al comando di del Vasto entrano nel Parco Visconteo e, secondo i piani, si dirigono verso il Castello di Mirabello dove credono che abbia sede lo stato maggiore di Francesco I, con l'intenzione di catturare quest'ultimo. Altre unità dell'esercito imperiale, con alla testa la cavalleria leggera di Lannoy, si muovono per dare sostegno all'azione e per bloccare ogni possibile intervento di forze ostili nell'area. A questo punto i francesi non sanno ancora quale sia la reale entità della forza nemica penetrata nelle loro difese.

5:30 La cavalleria leggera degli imperiali viene avvistata dalla sua omologa francese, al comando di Tiercelin. Ne nasce una scaramuccia in cui, a causa dell'oscurità mattutina (con visibilità inferiore a 100 metri), nessuna delle due parti è in grado di stimare la forza numerica della controparte.

5:30 Fleuranges si muove per dare supporto alla cavalleria francese, che si è imbattuta nell'artiglieria nemica mentre questa veniva spostata manualmente lungo la strada, catturandola. Questi cannoni leggeri non possono essere utilizzati, perché Fleuranges non dispone di artiglieri oltre a quelli già impegnati a sparare con i loro pezzi contro la cavalleria imperiale in ripiegamento verso la breccia nel muro. I francesi credono di aver vinto la scaramuccia, ma gli eventi stanno per sorprenderli altrove, dove sta rapidamente prendendo forma una battaglia in piena regola.

6:30 Le truppe di del Vasto emergono dalla boscaglia che confina con i terreni del castello (in realtà un padiglione di caccia), sopraffacendo rapidamente le sue difese, quindi saccheggiano il treno logistico del nemico, i cui carriaggi sono parcheggiati nei pressi, e massacrano i civili al seguito. Del Vasto occupa ora una posizione chiave che separa le due più importanti forze francesi, ancora ignare della gravità della loro situazione.

7:00 Gli esploratori di del Vasto attraversano la roggia Vernavola, situata a est di Mirabello, e si dirigono a Torre del Gallo. Vengono scoperti e finiscono sotto il fuoco dei cannoni francesi piazzati in quel luogo, la cui precisione li costringe a tornare alle posizioni di partenza.

7:00 I lanzichenecchi di Frundsberg hanno terminato di aprire la breccia nel muro di cinta del parco ed entrano nella tenuta, schierati in due colonne. La prima di esse, di circa 8.000 uomini al comando di Sittlich, riesce ad avanzare di circa 200 metri prima di essere affrontata dal contingente di 3.000 svizzeri di Fleuranges: ha inizio un sanguinoso combattimento fra picchieri.

7:00 Altre unità di fanteria imperiali passano attraverso la breccia nel muro del parco, al comando di Pescara, mentre gli uomini d'arme di Lannoy proteggono il loro fianco destro. Borbone supervisiona il passaggio di ulteriori truppe attraverso l'apertura nella cinta, pronto a fornire rinforzi se necessario. Adesso gli imperiali godono della superiorità numerica nel settore settentrionale del parco.

7:20 Quando la fanteria di Pescara, appoggiata dalla cavalleria leggera, si inoltra nella boscaglia in direzione di Mirabello, finisce sotto un intenso fuoco di artiglieria proveniente dalla batteria francese piazzata a sud della Porta Repentita. Benché siano combattenti esperti e addestrati a cambiare ampiezza e profondità dello schieramento per ridurre gli effetti del fuoco nemico, gli uomini di Pescara subiscono pesanti perdite.

7:30 Comprendendo che il nemico sta per attaccare, Francesco I ordina ai suoi 3.600 cavalieri pesanti di prepararsi per la battaglia. Con il fronte verso est-sud-est, i francesi si imbattono nella forza sul fianco di Lannoy, lontana circa 500 metri. Benché si renda conto che la sua cavalleria è numericamente inferiore, Lannoy decide di mantenere la posizione e di attendere i francesi in avvicinamento.

7:30 La fanteria guascona di Suffolk e i lanzichenecchi di Lorena sono schierati a sud della posizione di Francesco, in attesa degli sviluppi della situazione, pronti a muoversi in aiuto del sovrano in caso di necessità.

7:40 Francesco I lancia i suoi gendarmi in una carica generale contro la cavalleria di Lannoy, che viene messa in fuga, ma ulteriori avanzate sono bloccate dalla boscaglia che protegge la fanteria imperiale agli ordini di Pescara. I cavalieri francesi vengono così a trovarsi in una posizione precaria: impossibilitati a muoversi, con gli alberi e la roggia Vernavola davanti a sé, privi di qualsiasi supporto e senza contatti con il resto dell'armata.

7:45 Arrestatisi di fronte al bosco, i gendarmi di Francesco vengono affrontati dalla fanteria di Pescara, che li inchioda sul posto, mentre rinforzi imperiali giungono da Borbone (nord), del Vasto (sud) e Frundsberg (est). La cavalleria francese, appesantita dalle armature e intralciata dal terreno fangoso, non può retrocedere né avanzare, rimanendo così intrappolata dal movimento a tenaglia del nemico.

7:50 Le truppe svizzere al comando di Fleuranges e Tiercelin, fronteggiate da un nemico numericamente più che doppio, subiscono gravi perdite e rompono le file sotto la pressione esercitata dall'avanzata dei lanzichenecchi imperiali.

7:50 Trovandosi ora in una posizione abbastanza sicura da consentirgli di dividere la sua forza, Frundsberg si dirige velocemente a ovest per dare sostegno a Pescara, mentre Sittlich insegue le truppe svizzere in ritirata verso Torre del Gallo.

8:00 Borbone (con 4.000 lanzichenecchi) e del Vasto supportano Pescara nella manovra di aggiramento dei gendarmi di Francesco, i quali, privati della possibilità di manovrare, si trovano praticamente circondati dai picchieri e dagli archibugieri imperiali.

8:00 l gendarmi sono stati ormai divisi in piccoli gruppi dalla fanteria nemica e non possono più difendersi. A uno a uno, vengono disarcionati e finiti a colpi di pugnale, ascia o arma da fuoco.
Bonnivet, Trémoille, La Palice, Renato di Savoia e San Severino muoiono tutti in questo frangente,
assieme a molti altri nobili cavalieri agli ordini di Francesco

8:00 Dal momento che la forza di Francesco deve combattere con avversari tre volte più numerosi, e che lo stesso sovrano francese si trova in grave pericolo, Suffolk e Lorena tentano di avanzare per puntellarne la posizione.

8:15 Frundsberg intercetta e blocca il contrattacco dei francesi, costringendoli a tornare indietro. Mentre la fanteria transalpina si dà alla fuga, i lanzichenecchi al servizio di Francesco I (la "Banda Nera"), posti sotto il comando di Francesco di Lorena, vengono a trovarsi faccia a faccia con i loro omologhi dell'esercito imperiale.
Il disprezzo che le due unità tedesche provano l'una per l'altra alimenta uno scontro brutale, all'ultimo sangue, dove nessuno concede quartiere né se lo aspetta.

8:20 l soldati imperiali tentano di uccidere Francesco I, disarcionandolo. Lannoy, con l'aiuto di archibugieri napoletani, interviene immediatamente in suo soccorso per scortarlo fuori dal campo di battaglia, e nel farlo deve abbattere alcuni spagnoli che tentano ugualmente di ammazzare il monarca francese. La fanteria imperiale sconfigge le rimanenti sacche di resistenza nemiche, quindi si ritira per andare a saccheggiare l'accampamento francese.

Le conseguenze

Nella battaglia di Pavia i francesi persero circa 10.000 uomini, un numero relativamente insignificante se confrontato alle perdite complessive da essi subite nelle Guerre d'Italia. La differenza era che questa volta l'elenco dei caduti comprendeva una larga fetta della nobiltà francese, inclusi Bonnivet, Trémoille, La Palice, il duca di Suffolk, Foix-Lescun, Renato di Savoia, Francesco di Lorena e una sfilza di nobili minori.A questa lista si accompagnava quella dei prigionieri catturati dalle forze imperiali, alcuni dei quali gravemente feriti. Fra di essi vi erano Fleuranges, Montmorency, Saluzzo, Enrico di Navarra, Tiercelin, il conte di Saint-Pol, Galiot de Genouillac e numerosi altri.

Dopo un incontro molto atteso tra Francesco I e Borbone, Lannoy si assicurò che le ferite del re (al viso e alle mani) venissero fasciate, quindi lo condusse per il resto della giornata alla Certosa di Pavia, ben lontano dal luogo del massacro, dove scrisse una lettera nella quale descriveva la sua vittoria all'imperatore

Carlo V. In cambio di un salvacondotto attraverso la Francia, un suo messaggero recapitò una nota di Francesco per Luisa di Savoia (la madre del re) che si chiudeva con la famosa frase: 

"Tutto è ormai perduto fuorché l'onore e la vita che è salva..."

Nel giro di pochi giorni Francesco venne trasferito alla fortezza di Pizzighettone, al sicuro da ogni possibile tentativo di liberarlo o assassinarlo. 

Nel frattempo, mentre i corpi dei nobili francesi venivano venduti dalla truppa ai loro servitori, ai loro pari o ai rappresentanti delle rispettive famiglie, cresceva il disaccordo fra i ranghi degli imperiali. I mercenari non erano stati pagati fin da prima della battaglia, e il malcontento che ciò aveva generato stava arrivando a un punto critico. Quattro giorni dopo lo scontro, i lanzichenecchi ignorarono le suppliche di Frundsberg e Sittlich e assalirono il quartier generale imperiale, che in quel momento aveva sede nel Castello Visconteo di Pavia. Lannoy non aveva denaro per pagarli, ma fu in grado di emettere delle cambiali offrendo come garanzia le sue proprietà e quelle di Pescara e Leyva. Riuscì così a tranquillizzare i mercenari, e la crisi passò. 

Quindi rilasciò i prigionieri per i quali non era possibile chiedere un riscatto e li scortò alla frontiera con la Francia, in quella che si rivelò una marcia estenuante, nella quale molti di essi morirono per assideramento e per fame. 

Alençon, dopo aver raggiunto Milano con ciò che restava della retroguardia dell'esercito, radunò una guarnigione, eccetto un distaccamento che aveva l'ordine di tenere il Castello il più a lungo possibile. Quindi condusse una ritirata fino alla frontiera francese, e alla fine di marzo arrivò a Lione, dove mori della polmonite contratta durante il viaggio.

Milano fu occupata dalle truppe imperiali il 3 marzo, e Lannoy, Pescara e Borbone vi trasferirono i loro quartieri generali appena fu possibile. Solo adesso i tre comandanti si rendevano conto della portata della loro vittoria, dopo il riserbo e l'umiltà iniziali che traspaiono da lettere e dispacci. A questo approccio si sostituirono presto i tentativi di spiegare il proprio comportamento nella confusa battaglia del 24 febbraio, e di accentuare l'importanza del ruolo che ciascuno aveva svolto in essa. Tanto Lannoy quanto Pescara elogiarono Borbone. Il primo riferi che questi "si era comportato bene e ha sicuramente fatto il suo dovere." Pescara fu molto più critico riguardo alle prestazioni di Lannoy, definendolo un inetto, e il suo resoconto della battaglia enfatizzò il ruolo giocato da del Vasto, suo nipote. 

In retrospettiva, è abbastanza facile concordare con Pescara: mentre Lannoy aveva svolto un piccolo ruolo diretto nella battaglia e si era tenuto occupato prendendo il comando di una formazione di cavalleria che successivamente era stata messa in fuga, i suoi subordinati si erano comportati bene. Borbone, Frundsberg e, forse soprattutto Pescara, erano stati capaci di capire lo sviluppo della situazione e reagire di conseguenza, a seconda dei casi tenendo ferme le truppe, spostandole dove erano necessarie o coordinandone gli attacchi. 

Si dice che in ogni battaglia arrivi un momento critico in cui lo scontro può essere vinto o perduto a causa di una decisione del comandante. Un buon condottiero dovrebbe capire quando tale momento è arrivato e fare una mossa decisiva. Così si comportò Pescara, il quale seppe leggere bene la situazione della battaglia e agire di conseguenza. Da questo punto di vista i comandanti imperiali mostrarono maggiore abilità rispetto alle loro controparti francesi. Se è vero che entrambe le fazioni furono disorientate dalla foschia e incerte di quale fosse la forza e lo schieramento del nemico, Pescara, Borbone e Frundsberg capirono rapidamente che la loro incursione si stava sviluppando in una battaglia su vasta scala

Gli imperiali trassero vantaggio dalla loro posizione centrale per sconfiggere, una alla volta, le singole parti in cui l'esercito nemico si era frazionato.

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