No, questa non me la perderò. Dopo aver incredibilmente mancato l'esposizione temporanea sulla battaglia di Marignano 1515 al museo nazionale di Zurigo, poi parzialmente ricostruita scavando qua e la, decido di prestare la massima attenzione e prendermi per tempo sulle esposizioni temporanee. Gli anno dal 2000 in avanti sono molto succosi, infatti esattamente 500 anni fa andava in scena il secolo più incredibile della storia: una selva di avvenimenti di cui sovente vengono organizzate commemorazioni per il 500esimo. Quindi 2025-500=1525, l'anno della battaglia di Pavia. Ad essere pignoli l'esatto compleanno della battaglia, il 24.02.1525, l'ho snobbato, ma attendo pazientemente l'arrivo di 8 arazzi dal museo di Capodimonte per recarmi al castello della cittadina lombarda per l'esposizione sulla battaglia.
ATTENZIONE SPOILER! (o anche piccolo riassunto)
Fu la battaglia in cui quel che restava della gloria degli svizzeri in armi fu definitivamente spazzata via, ma dalle cronache si evince che la “vecchia guardia” dei mercenari, quelli di uno certo stampo insomma, fu spazzata via nella battaglia delle Bicocche nel 1522, quella a Pavia é una nuova pagina di mercenari.
Tra le cause della sconfitta ci fu quella di Francesco I che preferì affidarsi ai consigli di un amico di gioventù piuttosto che ai veterani di guerra.
Inoltre con la vittoria di Marignano Francesco I si era forse un po’ montato la testa che l’azione era ripetibile per poi lasciarsi prendere da facili entusiasmi in un momento positivo della battaglia. Se poi vogliamo aggiungerci un pizzico di meteo possiamo tranquillamente menzionare la deprimente nebbiolina tipica della pianura padana, perfetta per nascondere movimenti di truppe. Francesco I passó alla storia per aver dato ai pavesi l’omonima zuppa e per la celebre frase “tutto é perduto fuorché la vita e l’onore”. 
Da parte degli imperiali il vero, ed unico, capolavoro lo fece Leyva che riuscì ad evitare un ammutinamento dei mercenari asserragliati con lui a Pavia. La causa come sempre é da ricercarsi nel mancato pagamento alle truppe mercenarie, Leyva fu costretto a fondere gli arredi sacri delle chiese per poter pagare i suoi lanzichenecchi
Se veniamo alla battaglia in se bisogna immaginarsela in una mattina di febbraio; ancor prima delle prime luci dell'alba si sentono dei bisbiglii, dei fruscii al di fuori delle mura. Quando poi gli imperiali entrano nel parco per attaccare i francesi, che a loro volta stanno assediando la guarnigione imperiale all'interno di Pavia, c'é foschia. Ci sono gruppi poco eterogenei da parte dei due eserciti che si muovono nel parco, si passano da parte, si intravedono, si sentono, poi si vedono, ma non capiscono nemmeno quanti sono. Combattono. In realtà, ancora nessuno lo sa, la battaglia é già segnata; infatti entrando al centro del parco per direzionarsi verso Mirabello gli imperiali hanno diviso l'esercito francese in diverse sacche incapaci di collegarsi le une con le altri. Affrontandole separatamente (proprio la tattica preferita di Napoleone) gli imperiali avrebbero vinto il conflitto.
Quando nel 1519 muore l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, Francesco spera di esserne il successore ma la corona finisce nelle mani di Carlo, nipote di Massimiliano, già re di Spagna. Un colpo pesante per Francesco, preoccupato che Carlo V, ora imperatore del Sacro Romano Impero, possa conquistare la Lombardia e minacciare i suoi territori italiani.
Nel 1521 la guerra con l’Asburgo è ormai inevitabile. Milano cade subito nelle mani delle truppe imperiali e, nonostante i tentativi francesi per riconquistarla, la situazione sembra senza speranza. È a quel punto che Francesco I, che non ha intenzione di cedere senza combattere, decide di scendere in Italia.
Quando l’esercito imperiale, numericamente inferiore, vede arrivare i francesi, si ritira velocemente oltre l’Adda, abbandonando Milano ma lasciando guarnigioni in diverse città, tra cui Pavia.
Sebbene sia criticato dagli storici moderni per aver permesso alla vita di corte e alla passione per la caccia di occupare molto del suo tempo, Francesco I dovrebbe essere giudicato come un "prodotto" della sua epoca. Durante la prigionia che seguì alla sconfitta di Pavia egli scrisse romantici versi cavallereschi, mostrando un idealismo che contrastava con il crescente professionismo dei capi militari.

Nel 1518 Bonnivet guidò l'ambasciata in Inghilterra che portò all'incontro tra Francesco I ed Enrico VIll al Campo del Drappo d'Oro. Partecipò anche alla raccolta di voti per la candidatura del suo sovrano al trono del Sacro Romano Impero. Durante la campagna di Pavia, il re francese si affidò costantemente al suo consiglio invece che a quello dei suoi comandanti più esperti. Il coraggio di Bonnivet sul campo di battaglia non si accompagnava ad altrettanta competenza militare, e i suoi consigli ne evidenziarono l'impetuosità e l'idealismo cavalleresco piuttosto che il senso della realtà.
A dispetto dell'età, La Palice era famoso per avere un approccio moderno (non cavalleresco) all'arte della guerra, e ci si chiede quale sarebbe stato l'esito della campagna se Francesco I si fosse avvalso dei suoi consigli. La sua morte venne celebrata in una canzone divenuta popolare tra i soldati.

Durante la battaglia di Pavia, Pescara coordinò i movimenti della principale forza imperiale quando quest'ultima entrò nel Parco Visconteo, e la parte da egli avuta nella sconfitta di Francesco I fu notata da Carlo V. 
Moneta ossidionale è il termine usato in numismatica per indicare una moneta di emergenza coniata durante un assedio (dal latino obsidium, assedio).
Si trattava generalmente di monete coniate per pagare il soldo alle truppe. La caratteristica più rilevante di queste monete è l'irregolarità, nella forma ma anche del valore, spesso non in linea con lo standard monetario usato in genere nell'area, né corrispondente al contenuto in metallo. Esse venivano coniate sia dagli assediati sia, più raramente, dagli assedianti.
Un baldanzoso e infiocchettato Francesco I si divincola nel parco Visconteo di Pavia. Mancano pochi minuti alla sua sconfitta
Ma in questo momento il re di Francia, alla guida del corpo più consistente, é smanioso e stufo di aspettare, appena ha l'occasione si lancia "cavallerescamente" all'attaco, mette in fuga la cavalleria nemica e imprudentemente la insegue, trovandosi così all'improvviso solo, nella foschia, nella palude, senza visuale e circondato dai nemici. Saranno gli stessi ufficiali dell'impero a salvargli al vita mentre i soldati spagnoli stavano per farlo a pezzi. Alcuni furono addirittura essere uccisi dagli ufficiali spagnoli mentre scortavano il re lontano dai luoghi degli scontri
Il soldato Juan de Urbieta cattura il re Francesco I di Francia nella battaglia di Pavia del 24 febbraio
Gli antefatti
La guerra tra Francesco I e Carlo V.
Nel 1524, Francesco I di Valois re di Francia prende una decisione che si rivelerà fatale: scendere in Italia, dove lo attende una battaglia destinata a cambiare il corso della storia. Francesco, all’epoca trentenne, governa uno degli stati più potenti e ricchi d’Europa, che si estende dalle Alpi ai Pirenei, dall’Oceano Atlantico al Mar Mediterraneo. Il suo regno inizia con una grande vittoria a Marignano, dove schiaccia gli Svizzeri e riconquista Milano e la Lombardia ma suo cammino non sarà tutto rose e fiori.Quando nel 1519 muore l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, Francesco spera di esserne il successore ma la corona finisce nelle mani di Carlo, nipote di Massimiliano, già re di Spagna. Un colpo pesante per Francesco, preoccupato che Carlo V, ora imperatore del Sacro Romano Impero, possa conquistare la Lombardia e minacciare i suoi territori italiani.
Nel 1521 la guerra con l’Asburgo è ormai inevitabile. Milano cade subito nelle mani delle truppe imperiali e, nonostante i tentativi francesi per riconquistarla, la situazione sembra senza speranza. È a quel punto che Francesco I, che non ha intenzione di cedere senza combattere, decide di scendere in Italia.
La discesa in Italia di Francesco I
Nell’autunno del 1524 Francesco marcia verso la Lombardia, accompagnato da uno dei più imponenti eserciti che la regione abbia mai visto: oltre 30.000 soldati a piedi, tra cui lanzichenecchi tedeschi, svizzeri, fanti italiani e francesi. Non mancano 2500 cavalieri pesanti e 5700 leggeri, con una sessantina di cannoni.Quando l’esercito imperiale, numericamente inferiore, vede arrivare i francesi, si ritira velocemente oltre l’Adda, abbandonando Milano ma lasciando guarnigioni in diverse città, tra cui Pavia.
È proprio sotto le mura di Pavia che, il 28 ottobre 1524, Francesco I decide di accamparsi invece di inseguire il nemico in ritirata, deciso a battere le forze imperiali una volta per tutte.
Ma la città di Pavia, che ha già cambiato padroni più volte negli anni precedenti, si prepara a una nuova resistenza.Protagonisti - Francia - Francesco I
Per tutta la durata del suo regno egli adottò una politica militare aggressiva, tentando spesso di rompere quella che percepiva come una morsa imposta al suo Paese dai territori di Carlo V. Nel 1519 fallì quale candidato al trono del Sacro Romano Impero, ma l'anno successivo ristabilì il suo prestigio organizzando il famoso incontro con Enrico VIII d'Inghilterra al Campo del Drappo d'OroSebbene sia criticato dagli storici moderni per aver permesso alla vita di corte e alla passione per la caccia di occupare molto del suo tempo, Francesco I dovrebbe essere giudicato come un "prodotto" della sua epoca. Durante la prigionia che seguì alla sconfitta di Pavia egli scrisse romantici versi cavallereschi, mostrando un idealismo che contrastava con il crescente professionismo dei capi militari.
Un'altra colpa che gli viene addebitata è quella di essersi affidato ai consigli del suo ristretto circolo di favoriti, quali Bonnivet e Montmorency, invece che a quelli di comandanti più esperti.
Sembra che dopo l'assedio di Pavia egli non avesse alcun chiaro piano strategico, e la responsabilità per il difettoso schieramento del suo esercito intorno alla città può essere attribuita solo a lui: il coraggio personale e il comportamento cavalleresco non erano virtù sufficienti ad assicurare la vittoria sui campi di battaglia di inizio XVI secolo.
In foto: Francesco I, re di Francia (1494-1547). A partire dal 1519, con l’elezione al trono imperiale di Carlo d’Asburgo, Francesco I iniziò una serie di guerre per il controllo della penisola italiana che sarebbero durate fino alla metà del Cinquecento. (Atelier di Jean Clouet, Pavia, Musei Civici di Pavia)
Personaggi - Francia - Guillaume Gouffier de Bonnivet
Guillaume Gouffier, signore di Bonnivet, ammiraglio di Francia (1488-1525), fu il più intimo amico del re. Educato a corte, era entrato nel seguito di Francesco all'età di 15 anni, quando il futuro sovrano ne aveva 10. Assieme al suo fratello maggiore Artus, gran maestro di Francia, aveva accompagnato il re nella campagna di Marignano (1515), dove aveva combattuto con abilità e coraggio. Come nel caso di Francesco, la guerra non era la sua sola occupazione: egli fu descritto da Margherita d'Angoulême (la sorella del re) come un abile corteggiatore, benché proprio lei ebbe ad accusarlo velatamente di aver tentato di violentarla.

Guillaume Gouffier,
signore di Bonnivet e ammiraglio di Francia
(1488-1525), era intimo amico del re, il quale preferiva ascoltare il suo consiglio piuttosto che quello dei suoi comandanti più esperti. Morì nella battaglia di Pavia.
Personaggi - Francia - Jacques II de Chabannes, signore di La Palice
Jacques II de Chabannes, signore di La Palice, maresciallo di Francia (1470 ca.-1525), era tra i più anziani ufficiali dell'esercito francese e continuò a prestare servizio pur essendo ignorato nei consigli di guerra dai colleghi più giovani. 
Aveva combattuto nella spedizione genovese di Luigi XII del 1507 ed era diventato governatore di Milano nel 1510. Si era battuto con coraggio a Ravenna (1512) nell'avanguardia della cavalleria, ma nel successivo ruolo di comandante dell'esercito non aveva mostrato altrettante capacità ed era stato scacciato dall'Italia. Combatté intorno a Pamplona e in Piccardia, e prese parte all'inutile Battaglia de
gli speroni (Guinegatte, 1513), dirigendo ancora una volta la ritirata dei francesi. Nonostante ciò, venne nominato maresciallo di Francia nel 1514 e combatté con Francesco I a Marignano (1515).
gli speroni (Guinegatte, 1513), dirigendo ancora una volta la ritirata dei francesi. Nonostante ciò, venne nominato maresciallo di Francia nel 1514 e combatté con Francesco I a Marignano (1515).
Inoltre partecipò alla battaglia della Bicocca (1522), dove consigliò al comandante francese di non attaccare. 
Quale cognato del re, dunque ritenuto uomo affidabile, gli venne assegnato il compito di eliminare ogni traccia della ribellione borbonica, e poi di organizzare la difesa della Provenza dall'invasione delle truppe imperiali del 1524. 
 Jacques Il de Chabannes, signore di La Palice, maresciallo di Francia (1468-1525).
Anziano ed esperto comandante al tempo della campagna di Pavia, si rivelò una grande risorsa durante l'invasione francese dell'Italia. Nel corso della battaglia principale prese parte alla carica di cavalleria e morì immediatamente.
Durante la campagna di Pavia ebbe un comando indipendente, ma si batté accanto al sovrano nel corso della battaglia.
A dispetto dell'età, La Palice era famoso per avere un approccio moderno (non cavalleresco) all'arte della guerra, e ci si chiede quale sarebbe stato l'esito della campagna se Francesco I si fosse avvalso dei suoi consigli. La sua morte venne celebrata in una canzone divenuta popolare tra i soldati.
Protagonisti - Impero - Il marchese di Pescara
Era nato in una importante famiglia napoletana che manteneva forti legami con le sue radici spagnole. A 16 anni combatté con la cavalleria spagnola a Ravenna (1512), dove venne ferito e catturato. A quanto risulta, trascorse l'anno di prigionia scrivendo versi dedicati alla moglie. Dopo il suo rilascio rientrò nell'esercito spagnolo e prese parte a operazioni militari in Italia e in Spagna. Si distinse in combattimento alla Bicocca (1522), in seguito gli venne assegnato il comando congiunto delle truppe impegnate nell'invasione della Provenza (1524).
In foto: Ferdinando Francesco d’Avalos, marchese di Pescara (1489 – 1525). Di nobile famiglia spagnola trapiantata in Italia, fu il migliore capitano imperiale durante le Guerre d’Italia. Nel 1525 fu l’artefice della vittoria imperiale di Pavia. Morì quello stesso anno a seguito delle ferite riportate in quella battaglia
Ferito in combattimento, trascorse la convalescenza a Milano, dove venne avvicinato da rappresentanti del papa che gli chiesero di supportare un'alleanza filofrancese. Nonostante le promesse ricevute di essere ricompensato con vaste terre nel napoletano, Pescara riferì l'accaduto all'imperatore. Morì di ulcera duodenale alla fine di quello stesso anno (1525).
La città, circondata da mura medievali, è dominata a nord dall’imponente castello visconteo, le cui stanze splendidamente affrescate ospitavano un tempo i tesori dei signori di Milano. A sud il ponte romano di pietra, ricostruito in epoca viscontea, collega Pavia al Borgo di Sant’Antonio sulla riva opposta del Ticino.
Alcuni chilometri a settentrione di Pavia si trova la Certosa e, tra questo meraviglioso monumento e la città, si estende un magnifico parco cintato da un muro di mattoni lungo tutto il suo perimetro: il Parco Visconteo. Giardino di piacere e riserva di caccia dei duchi di Milano. Al suo interno, a pochi chilometri dalla città, si trova il Castello di Mirabello, una casa di caccia edificata nella seconda metà del XIV secolo, che ospiterà Francesco I e il suo seguito durante l’assedio.
Pavia non cede facilmente. La città è difesa da circa seimila soldati scelti, tra cui un nutrito contingente di lanzichenecchi tedeschi comandati da Antonio de Leyva, un veterano di molte battaglie al servizio di Carlo V.
Mobilitando la popolazione locale, de Leyva riesce a mantenere e rafforzare le difese; con l’aiuto dei pavesi ripara le mura, scava trincee, raccoglie il denaro per pagare i mercenari ai suoi ordini. Le risorse alimentari, seppur a caro prezzo, sono ancora sufficienti a sopportare l’assedio. Le cronache raccontano che, nonostante le difficoltà, il nobile pavese Matteo Beccaria offre un banchetto fastoso ai comandanti della guarnigione, un segno di resistenza anche nei momenti più critici.
Il 28 ottobre, Anne de Montmorency e il marchese di Saluzzo Michele Antonio, fecero gettare un ponte di barche sul Ticino e occuparono i sobborghi di Pavia posti oltre il ponte Coperto a sud della città. Durante queste operazioni le artiglierie francesi distrussero la torre del Catenone, che, posta al centro del Ticino e presidiata da alcuni archibugieri spagnoli, difendeva l'accesso alla darsena ducale. Per non permettere ai francesi di penetrare in città attraverso il ponte, Antonio de Leyva fece fortificare il ponte e ordinò che fosse demolita una sua arcata. 
Protagonisti - Impero - Don Antonio de Leya
Principe di Ascoli, duca di Terranova, marchese delle Antille (1480-1536), nel 1525 era già un esperto comandante spagnolo, avendo partecipato alle prime campagne nella penisola e sul mare italiani. 
In foto: Antonio de Leyva (1480-1536). Originario della Navarra spagnola, comandante della piazza di Pavia durante l’assedio del 1524-1525, ottenne grandi ricompense da Carlo V per l’abilità e il valore dimostrato in questa occasione.
Comandò la guarnigione di Pavia con grande abilità, e arrivò a fondere gli arredi sacri delle chiese per pagare i suoi mercenari. In seguito alla morte di Pescara, nel dicembre del 1525, assunse il comando congiunto dell'esercito imperiale assieme al marchese del Vasto. Si comportò bene durante la campagna del 1526-27 che terminò con il sacco di Roma, e continuò a comandare le forze imperiali in Italia fino alla sua morte, avvenuta a Milano dopo una fallita invasione della Provenza nel 1535-36.
Terranova era di costituzione esile, e per gran parte della sua vita (anche durante la campagna di Pavia) fu afflitto da una forma grave di gotta. Al momento della sua morte aveva acquisito una sfilza di titoli, incluso quello di principe di Ascoli, duca di Terranova e marchese delle Antille.
Protagonisti - Impero - Georg von Frundsberg
Georg von Frundsberg , signore di Mindelheim (1473-1528), era considerato uno dei più esperti comandanti di campo della sua epoca. 
Nel 1499 aveva guidato il contingente imperiale nell'ambito dell'alleanza formata per supportare Ludovico Sforza detto il Moro, duca di Milano, nella sua guerra contro la Francia. La sua gestione dei lanzichenecchi al servizio dell'imperatore Massimiliano nelle successive campagne italiane gli guadagnò il soprannome di "padre dei lanzichenecchi". Svolse un ruolo importante nella vittoria imperiale alla Bicocca (aprile del 1522), dove combatté al fianco dei suoi soldati, picca in mano.
Quest'azione dimostrò che i mercenari tedeschi non dovevano più essere considerati inferiori a quelli svizzeri, e fece molto per accrescere la reputazione dei lanzichenecchi. 
Georg von Frundsberg, signore di Mindelheim (1473-1528). Comandante veterano dei lanzichenecchi, combatté in numerose battaglie delle guerre d'Italia, in particolare alla Bicocca (1522). Durante la battaglia di Pavia i suoi soldati sconfissero, in sequenza, gli svizzeri, la cavalleria francese e i lanzichenecchi ribelli.
Sebbene a Pavia fosse in cattive condizioni di salute, le capacità tattiche di Frundsberg nel controllare le truppe ai suoi ordini consentirono agli imperiali di spostare uomini laddove essi erano necessari. Frundsberg partecipò a successive campagne in Italia, ma i suoi problemi fisici lo costrinsero a ritirarsi nei suoi possedimenti, dove morì nell'agosto del 1528.
La città di Pavia
Pavia, nel 1524, è una città ricca di storia e dal passato travagliato, che ospita circa diecimila abitanti. Dopo essere stata per secoli la “gemma” del Ducato di Milano, è passata sotto il controllo della Francia, poi degli Sforza, e infine, nel 1521, ha aperto le sue porte senza combattere all’esercito spagnolo guidato da Prospero Colonna. L'antica capitale dei Longobardi era la seconda città del Ducato e occupava una importante posizione strategica  di fondamentale importanza.
La città, circondata da mura medievali, è dominata a nord dall’imponente castello visconteo, le cui stanze splendidamente affrescate ospitavano un tempo i tesori dei signori di Milano. A sud il ponte romano di pietra, ricostruito in epoca viscontea, collega Pavia al Borgo di Sant’Antonio sulla riva opposta del Ticino.
Alcuni chilometri a settentrione di Pavia si trova la Certosa e, tra questo meraviglioso monumento e la città, si estende un magnifico parco cintato da un muro di mattoni lungo tutto il suo perimetro: il Parco Visconteo. Giardino di piacere e riserva di caccia dei duchi di Milano. Al suo interno, a pochi chilometri dalla città, si trova il Castello di Mirabello, una casa di caccia edificata nella seconda metà del XIV secolo, che ospiterà Francesco I e il suo seguito durante l’assedio.
In foto: Bernardino Lanzani (attribuito), Veduta di Pavia con Sant’Antonio abate, 
affresco del XVI secolo, Pavia, San Teodoro
La situazione in città non era delle migliori, le mura erano state pesantemente danneggiate nel precedente assedio del 1522, le munizioni scarseggiavano e la popolazione era reduce da un'epidemia. Nonostante ciò, Antonio de Leyva si attivò per rinforzare le difese di Pavia: le torri medievali della cinta urbana furono riempite di terra e rottami e rese così più resistenti ai colpi dell'artiglieria avversaria, furono rafforzate le mura con terrapieni, scavati fossati e, grazie all'aiuto di alcuni aristocratici locali, come Matteo Beccaria, furono mobilitati circa 10000 abitanti, in parte destinati a rafforzamento delle difese e in parte destinati a sostenere in combattimento la guarnigione imperiale.
L’assedio di Pavia
Francesco I decide di mettere sotto assedio la città di Pavia, distribuendo le forze intorno alle mura e intimando la resa, ottenendo in risposta solo un silenzio carico di sfida. I tentativi di assaltare Pavia, condotti nei mesi di novembre e dicembre, falliscono miseramente. L’inverno, il freddo pungente e la neve trasformano l’assedio in una vera e propria stretta che mette a dura prova le forze francesi.
Pavia non cede facilmente. La città è difesa da circa seimila soldati scelti, tra cui un nutrito contingente di lanzichenecchi tedeschi comandati da Antonio de Leyva, un veterano di molte battaglie al servizio di Carlo V.
Mobilitando la popolazione locale, de Leyva riesce a mantenere e rafforzare le difese; con l’aiuto dei pavesi ripara le mura, scava trincee, raccoglie il denaro per pagare i mercenari ai suoi ordini. Le risorse alimentari, seppur a caro prezzo, sono ancora sufficienti a sopportare l’assedio. Le cronache raccontano che, nonostante le difficoltà, il nobile pavese Matteo Beccaria offre un banchetto fastoso ai comandanti della guarnigione, un segno di resistenza anche nei momenti più critici.
Tra il 6 e l'8 novembre i francesi bombardarono pesantemente le mura orientali e occidentali di Pavia, aprendo larghe brecce. Cessato il tiro d'artiglieria, assaltarono le mura sia a ovest sia a est, tuttavia, penetrati in città si trovarono davanti i terrapieni e i fossati fatti predisporre dal de Leyva alle spalle della cinta urbana, e dopo un furioso combattimento furono respinti con gravi perdite dai lanzichenecchi imperiali. 
Soluzione idrica
Vista l'impossibilità di prendere Pavia mediante un assalto, per non consumare ulteriormente le riserve di polvere da sparo, Francesco I ordinò ai suoi ingegneri di deviare il Ticino nel letto del Gravellone (un ramo del fiume che corre a sud della città), in modo da poter penetrare in città attraverso la parte più debole della cinta muraria, quella affacciata sul fiume. Gli uomini di Francesco I lavorarono duramente per creare una diga a nord di Pavia, ma quando la struttura era quasi ultimata, nel mese di dicembre, una forte piena del Ticino la spazzò via. Fallita l'operazione, i francesi ricominciarono ad effettuare sporadici bombardamenti contro le mura della città, con scarsi risultati, ma il vero avversario dell'esercito francese era oramai la stagione, le frequenti piogge, l'umidità e poi la neve, causarono parecchie perdite agli uomini di Francesco I, ormai accampati da mesi intorno a Pavia. 
Monete ossidionali
Tuttavia, anche in città la situazione cominciava a diventare preoccupante: le riserve di vettovaglie cominciavano ad esaurirsi e, soprattutto, scarseggiava il denaro per pagare gli stipendi dei lanzichenecchi. Per risolvere il problema, l'instancabile De Leyva fece riaprire la zecca, requisì oro e argento agli enti ecclesiastici urbani, all'università e ai cittadini più abbienti, arrivando perfino a donare la propria argenteria e i propri gioielli, e fece coniare monete ossidionali per pagare i soldati. 
Si trattava generalmente di monete coniate per pagare il soldo alle truppe. La caratteristica più rilevante di queste monete è l'irregolarità, nella forma ma anche del valore, spesso non in linea con lo standard monetario usato in genere nell'area, né corrispondente al contenuto in metallo. Esse venivano coniate sia dagli assediati sia, più raramente, dagli assedianti.
Monete ossidionali per l'assedio di Pavia 1524
Spesso a causa della carenza del metallo da coniazione, sono state fatte anche coniazioni con materiale non metallico come il cuoio o la carta. Per il loro valore intrinseco (proprio del metallo), solitamente inferiore al valore nominale, venivano prontamente ritirate dopo gli eventi bellici.
Le sorti della battaglia stanno intanto volgendo a favore degli imperiali anche al centro e sulla sinistra, dove i quadrati di lanzichenecchi imperiali hanno la meglio sui francesi. La Banda Nera, pur combattendo con coraggio, viene travolta dalle forze superiori degli imperiali e quasi tutti i suoi componenti cadono nella mischia. Gli svizzeri, che fino a quel momento hanno retto, iniziano a cedere e vengono messi in fuga.Mentre la cavalleria francese veniva annientata sull'ala sinistra, al centro dello schieramento prima gli archibugieri imperiali abbatterono gli artiglieri francesi, riducendo al silenzio i cannoni nemici, poi i lanzichenecchi tedeschi dell'Impero combatterono una violenta e sanguinosa battaglia fratricida contro i 5000 mercenari tedeschi di Francesco I, le cosiddette "bande nere tedesche"; dopo un aspro combattimento i lanzichenecchi dell'esperto e aggressivo Georg von Frundsberg ebbero la meglio e distrussero gran parte dei mercenari del re di Francia a colpi di picca e di alabarda. 
La situazione rimase in stallo fino all'arrivo, all'inizio di febbraio del 1525, di circa 22000 uomini agli ordini di Carlo di Lannoy, viceré di Napoli, di Carlo di Borbone e di Fernando Francesco d'Avalos, marchese di Pescara che vennero in aiuto degli assediati. L'esercito si accampò nella zona est di Pavia di fronte alle truppe francesi (che nel frattempo si erano riposizionate lungo le mura orientali del parco Visconteo e avevano eretto un terrapieno lungo la riva destra della Vernavola, dal parco fino al Ticino) e per tre settimane i due eserciti si fronteggiarono trincerati nel Parco Visconteo dove ora si trova Parco della Vernavola.
La tensione cresce e il destino di Pavia e di Francesco I sono ormai appeso a un filo: il 24 febbraio 1525 la battaglia che deciderà le sorti del conflitto esplode con tutta la sua forza
I comandanti di Carlo V, all’interno delle mura, stanno affrontando gravi difficoltà per la mancanza di denaro con cui pagare i lanzichenecchi, che minacciano di abbandonare l’esercito. Antonio de Leyva, comandante delle forze imperiali, chiede insistentemente un’azione decisiva. La guerra non può più andare avanti in quelle condizioni: le scorte di cibo nella città fortificata stanno diminuendo rapidamente e la situazione sta diventando insostenibile.
Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, le truppe imperiali si mettono in marcia fingendo una ritirata. Mentre il grosso delle truppe si dirige in direzione di Lardirago, alcuni gruppi di fanteria leggera coprono l’operazione con rumori diversivi e qualche colpo d’archibugio per distrarre l’attenzione dei francesi.
Percorsi pochi chilometri, l’esercito imperiale si accosta al muro del Parco, in prossimità di Due Porte, dove i guastatori spagnoli, guidato dal Conestabile francese Carlo di Bourbon che si era distinto al fianco di Francesco I in occasione della battaglia di Marignano nel 1515, ma che in seguito era passato in campo avverso, sono già al lavoro per aprire delle brecce nel muro del Parco Visconteo e consentire il passaggio. Il lavoro, lungo e faticoso, si conclude all’alba, e l’avanguardia guidata da Alfonso d’Avalos, composta da circa 3.000 archibugieri, riesce a penetrare nel parco, coperta dalla nebbia e dalla scarsa luce del mattino, per dirigersi verso il quartier generale francese.
I francesi, distratti dalle manovre diversive, non si accorgono immediatamente del pericolo. Gli archibugieri di del Vasto raggiungono il castello di Mirabello, cogliendo alla sprovvista i pochi soldati francesi di guardia e la folla di civili che si trovano nei dintorni. Sorpresi nel sonno, molti non hanno il tempo di fuggire e sono massacrati dai soldati imperiali che mettono a sacco ogni cosa. Del Vasto ristabilisce subito l’ordine e si attesta attorno al castello. Nel frattempo, il grosso dell’esercito imperiale penetra nel Parco, dirigendosi verso il castello di Mirabello.
I francesi si organizzano in fretta: il re, con circa 800 gendarmi e il loro seguito, si posiziona sulla sinistra, lungo la Vernavola. Al centro, 3.000 soldati svizzeri formano un quadrato, mentre a destra la Banda Nera, composta da 4.000 lanzichenecchi, occupa l’ala. Quattordici cannoni sono disposti lungo la linea di battaglia, mentre una riserva di 400 gendarmi, agli ordini di Carlo d’Alençon, si prepara a intervenire se necessario. Gli italiani delle bande di Giovanni de’ Medici, assente perché ferito, devono coprire la zona a nord di Pavia per prevenire l’eventuale sortita degli assediati. Altri 5.000 svizzeri schierati verso sud, così come alcune migliaia di soldati francesi e italiani accampati oltre il Ticino, sono troppo lontani per poter prendere parte alla battaglia.
Mentre l’esercito francese si prepara alla battaglia, l’esercito imperiale marcia in formazione compatta: cavalleria sulla destra, un forte contingente di 5.000 fanti spagnoli al centro e due enormi quadrati di lanzichenecchi a sinistra con 6.000 uomini ciascuno. Il marchese del Vasto, temendo di restare isolato, ha nel frattempo abbandonato la posizione a Mirabello e si è riunito al grosso dell’esercito con i suoi 3.000 archibugieri.

Quando gli eserciti si avvicinano, la battaglia diventa inevitabile. L’artiglieria francese inizia a bombardare i quadrati imperiali, i primi colpi aprono solchi tra questi ultimi. Le fonti riferiscono particolari macabri sul micidiale effetto del tiro dell'artiglieria sulle dense file dei mercenari lanzichenecchi.
Sul far dell'alba, nonostante la fitta nebbia, Francesco I lanciò la propria cavalleria pesante contro la cavalleria imperiale disposta alla sinistra dello schieramento. Probabilmente Francesco I credeva che la fanteria nemica, ormai scompigliate dalle sue artiglierie, in breve tempo sarebbe stata spazzata via dai suoi mercenari svizzeri e tedeschi, che nel frattempo avevano anche respinto un attacco della cavalleria leggera spagnola.
La controffensiva imperiale
L’idea è quella di logorare l’esercito francese, sperando che Francesco I, stanco di aspettare, decida finalmente di uscire allo scoperto per affrontarli in campo aperto. Il piano, tuttavia, non prevede che il re di Francia preferisca restare dietro le sue fortificazioni, contando sul fatto che il freddo, la fame e la disperazione pieghino le forze imperiali.
La tensione cresce e il destino di Pavia e di Francesco I sono ormai appeso a un filo: il 24 febbraio 1525 la battaglia che deciderà le sorti del conflitto esplode con tutta la sua forza
La battaglia del 24 febbraio
Le tre settimane precedono lo scontro sono un continuo crescendo di tensione. Gli eserciti si fronteggiano in schermaglie quotidiane, incursioni notturne e piccoli combattimenti, senza che nessuna delle due fazioni riesca a imporsi. Le truppe di Carlo V ottengono piccole vittorie locali senza mai riuscire a sfondare le posizioni francesi, che risultano forti e ben difese. Nonostante i tentativi di scalzare l’esercito di Francesco I, i francesi continuano a mantenere la superiorità difensiva

 Lanzichenecchi tedeschi
I comandanti di Carlo V, all’interno delle mura, stanno affrontando gravi difficoltà per la mancanza di denaro con cui pagare i lanzichenecchi, che minacciano di abbandonare l’esercito. Antonio de Leyva, comandante delle forze imperiali, chiede insistentemente un’azione decisiva. La guerra non può più andare avanti in quelle condizioni: le scorte di cibo nella città fortificata stanno diminuendo rapidamente e la situazione sta diventando insostenibile.
L’attacco imperiale
Spinti dalla necessità, i comandanti imperiali decidono di giocare il tutto per tutto. Dopo aver scartato l’idea di un assalto frontale, il marchese di Pescara escogita un piano audace: muoversi di notte e penetrare nel Parco Visconteo per occupare Mirabello, con l’intento di entrare alle spalle dei francesi e tagliare loro le comunicazioni con Milano, costringendoli a combattere in campo aperto e in condizioni sfavorevoli.
Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, le truppe imperiali si mettono in marcia fingendo una ritirata. Mentre il grosso delle truppe si dirige in direzione di Lardirago, alcuni gruppi di fanteria leggera coprono l’operazione con rumori diversivi e qualche colpo d’archibugio per distrarre l’attenzione dei francesi.
Percorsi pochi chilometri, l’esercito imperiale si accosta al muro del Parco, in prossimità di Due Porte, dove i guastatori spagnoli, guidato dal Conestabile francese Carlo di Bourbon che si era distinto al fianco di Francesco I in occasione della battaglia di Marignano nel 1515, ma che in seguito era passato in campo avverso, sono già al lavoro per aprire delle brecce nel muro del Parco Visconteo e consentire il passaggio. Il lavoro, lungo e faticoso, si conclude all’alba, e l’avanguardia guidata da Alfonso d’Avalos, composta da circa 3.000 archibugieri, riesce a penetrare nel parco, coperta dalla nebbia e dalla scarsa luce del mattino, per dirigersi verso il quartier generale francese.
I francesi, distratti dalle manovre diversive, non si accorgono immediatamente del pericolo. Gli archibugieri di del Vasto raggiungono il castello di Mirabello, cogliendo alla sprovvista i pochi soldati francesi di guardia e la folla di civili che si trovano nei dintorni. Sorpresi nel sonno, molti non hanno il tempo di fuggire e sono massacrati dai soldati imperiali che mettono a sacco ogni cosa. Del Vasto ristabilisce subito l’ordine e si attesta attorno al castello. Nel frattempo, il grosso dell’esercito imperiale penetra nel Parco, dirigendosi verso il castello di Mirabello.
Francesco I e i suoi cavalieri, arazzi fiamminghi della battaglia di Pavia, sec. XVI, particolare del secondo arazzo, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli
La reazione francese
Nel campo francese viene dato l’allarme. Francesco I e i suoi comandanti capiscono subito che la situazione è grave. Non si tratta più di una semplice incursione notturna, ma di un’azione decisiva da parte degli imperiali. La tensione sale alle stelle.I francesi si organizzano in fretta: il re, con circa 800 gendarmi e il loro seguito, si posiziona sulla sinistra, lungo la Vernavola. Al centro, 3.000 soldati svizzeri formano un quadrato, mentre a destra la Banda Nera, composta da 4.000 lanzichenecchi, occupa l’ala. Quattordici cannoni sono disposti lungo la linea di battaglia, mentre una riserva di 400 gendarmi, agli ordini di Carlo d’Alençon, si prepara a intervenire se necessario. Gli italiani delle bande di Giovanni de’ Medici, assente perché ferito, devono coprire la zona a nord di Pavia per prevenire l’eventuale sortita degli assediati. Altri 5.000 svizzeri schierati verso sud, così come alcune migliaia di soldati francesi e italiani accampati oltre il Ticino, sono troppo lontani per poter prendere parte alla battaglia.
Mentre l’esercito francese si prepara alla battaglia, l’esercito imperiale marcia in formazione compatta: cavalleria sulla destra, un forte contingente di 5.000 fanti spagnoli al centro e due enormi quadrati di lanzichenecchi a sinistra con 6.000 uomini ciascuno. Il marchese del Vasto, temendo di restare isolato, ha nel frattempo abbandonato la posizione a Mirabello e si è riunito al grosso dell’esercito con i suoi 3.000 archibugieri.

In foto: La battaglia di Pavia nella stampa di Giovanni Andrea Vavassori detto il Guadagnino ( attribuito). Pavia, Musei Civici.
Note dal libro Pavia 1525 da inserire Cavalleria francese Gendarmi
Per ripararsi, i fanti si stendono a terra, riparandosi negli avvallamenti naturali del terreno.
Sul far dell'alba, nonostante la fitta nebbia, Francesco I lanciò la propria cavalleria pesante contro la cavalleria imperiale disposta alla sinistra dello schieramento. Probabilmente Francesco I credeva che la fanteria nemica, ormai scompigliate dalle sue artiglierie, in breve tempo sarebbe stata spazzata via dai suoi mercenari svizzeri e tedeschi, che nel frattempo avevano anche respinto un attacco della cavalleria leggera spagnola.
Francesco I voleva quindi ora, come a Marignano, assicurarsi il merito principale della vittoria.
Il re francese, secondo schemi puramente medievali, si pose davanti ai suoi cavalieri e cercò di vincere la battaglia con onore e gloria.
In realtà lo stesso Francesco I con tutta la cavalleria pesante passò davanti alla propria artiglieria impedendole così di aprire il fuoco sulle formazioni imperiali e perdendo in tal modo ogni contatto con il resto dell’esercito.
La cavalleria francese si abbatté contro l'avanguardia di quella imperiale, che fu battuta e dispersa, lo stesso Francesco I nel combattimento uccise Ferrante Castriota, marchese di Civita Castellana.La situazione degli imperiali era a questo punto abbastanza critica: il loro fronte era immobilizzato dalla numerosa artiglieria francese e dai fanti svizzeri e tedeschi del re di Francia e minacciato sul fianco dalla cavalleria nemica, che poteva essere rafforzata dalla riserva di 400 cavalieri pesanti agli ordini di Carlo IV di Alençon che non avevano ancora partecipato ai combattimenti.
La carica francese riesce a respingere temporaneamente quella imperiale, i francesi si fermano per far rifiatare i cavalli, sfiancati dal combattimento. 
Ormai sicuro della vittoria, il re francese ordinò ai suoi cavalieri di fermarsi e per riprendere fiato e, pare, rivolgendosi a Thomas de Foix-Lescun, che cavalcava a suo fianco, disse che ormai era il "signore di Milano", Francesco I è raggiante, ma il vero colpo di scena arriva proprio in quel momento.
La battaglia di Pavia, Ruprecht Heller, Nationalmuseum Stoccolma.
Sconfitta e cattura di Francesco I
Il marchese di Pescara osservando che la cavalleria francese si era spinta molto in avanti e aveva perso ogni contatto con la propria fanteria, fece muovere 1500 archibugieri spagnoli che si schierarono al riparo di un bosco lungo la riva sinistra della Vernavola e aprirono il fuoco sul fianco destro della cavalleria pesante francese con effetti devastanti.
Gli archibugieri spagnoli erano organizzati secondo il famoso sistema del Tercio. Quelli tedeschi, che anche presero parte alla raffica di fuoco, costituivano parte della prima linea dei lanzichenecchi ed erano, per tale ragione, pagati il doppio rispetto ai normali mercenari. 
I cavalieri, senza protezione, cominciano a cadere sotto il fuoco ravvicinato degli archibugieri, molti trascinati a terra dalla caduta dei loro destrieri. Con una pioggia di piombo, i gendarmi francesi vengono decimati. La cavalleria imperiale, che nel frattempo si è riorganizzata, si unisce al combattimento. i superstiti vennero attaccati dalla cavalleria leggera imperiale
La cavalleria pesante francese venne distrutta; i cavalieri rimasti appiedati vennero annientati all'arma bianca dalla fanteria con colpi di pugnale al collo, nella giunzione tra elmo e corazza, o attraverso le piccole fessure della celata dell'elmo. Gli archibugieri, invece, impiegarono le loro armi da fuoco colpendo a distanza ravvicinata, in molti casi facendo partire il colpo direttamente dentro l'armatura dei cavalieri dopo aver sistemato l'archibugio attraverso la cotta. I principali comandanti del re Francesco I caddero in questa fase della battaglia; Louis de la Trémoille venne ucciso da un colpo ravvicinato di archibugio, lo stesso Guillaume Gouffier de Bonnivet e Galeazzo Sanseverino, mentre La Palice morì per ferite da pugnale.
Le sorti della battaglia stanno intanto volgendo a favore degli imperiali anche al centro e sulla sinistra, dove i quadrati di lanzichenecchi imperiali hanno la meglio sui francesi. La Banda Nera, pur combattendo con coraggio, viene travolta dalle forze superiori degli imperiali e quasi tutti i suoi componenti cadono nella mischia. Gli svizzeri, che fino a quel momento hanno retto, iniziano a cedere e vengono messi in fuga.
Fase finale
Dopo la vittoria i lanzichenecchi avanzarono e misero in pericolo l'artiglieria francese che venne in parte travolta e catturata. Dopo aver distrutto i mercenari tedeschi al soldo del re di Francia, i lanzichenecchi avanzarono contro gli svizzeri del Fleuranges, ma, mentre costoro si stavano posizionando per il combattimento, il loro quadrato fu scompaginato dai superstiti cavalieri pesanti in fuga prima e dagli archibugieri e dalla cavalleria imperiale poi, tanto che si dettero alla fuga. 
Nel frattempo, le altre fanterie svizzere al soldo di Francesco I accampate presso i monasteri a sud-est della città stavano risalendo la Vernavola verso nord per entrare in azione, esse tuttavia furono a loro volta disorientate dalla vista della ritirata, oltre il Ticino, dei cavalieri pesanti di Carlo IV di Alençon, e poi attaccate dalla guarnigione di Pavia, che, al comando di Antonio De Leyva, uscita dalle mura, non solo aveva sbaragliato le bande nere italiane (prive del loro comandante, dato che Giovanni dalle Bande Nere era stato ferito alla gamba destra da un colpo d'archibugio il 20 febbraio durante una scaramuccia sotto le mura di Pavia), ma puntava ora contro le ultime formazioni di fanteria svizzera al soldo dei francesi. 
Il duca d’Alençon, che ha visto la battaglia volgere a sfavore dei francesi, anziché intervenire in aiuto di Francesco I, decide di ritirarsi e attraversa il Ticino sul ponte di barche gettato dai francesi durante l’assedio, abbandonando il campo di battaglia.
Circondati, gli svizzeri si diedero alla fuga, cercando disperatamente di raggiungere il ponte di barche gettato sul Ticino a valle di Pavia forse presso la chiesa di San Lazzaro, dove erano transitati i cavalieri di Carlo IV di Alençon. Li attendeva però un'orribile sorpresa: il ponte, dopo il passaggio dei cavalieri francesi era stato da questi ultimi distrutto. Inseguiti dai nemici che non concedevano quartiere, molti svizzeri si gettarono nel Ticino, e annegarono, altri cercarono di arrendersi ma, almeno all'inizio, furono trucidati sul posto.
La battaglia si concluse sul fare della mattina del 24 febbraio. Il re francese venne imprigionato in Lombardia (Pizzighettone) e poi trasferito in Spagna (Madrid), mentre sul campo si contavano circa 5000 soldati francesi caduti.
La battaglia di Pavia segna un punto di svolta nella storia europea, non solo per la vittoria imperiale e per la cattura di Francesco I, ma anche per le implicazioni simboliche che porta con sé: la cavalleria nobiliare francese, con il suo orgoglio e la sua tradizione, è annientata non da forze di cavalleria nemica ma da umili soldati armati di archibugi, le odiate armi da fuoco che cambiano il volto della guerra per sempre.
In foto: Il ponte sul Ticino, arazzi fiamminghi della battaglia di Pavia, sec. XVI,
 particolare del sesto arazzo, Napoli, Museo di Capodimonte
I cavalieri francesi assieme al re si ritrovarono disorientati e circondati dalla cavalleria e dagli archibugieri nemici. In poco tempo la cavalleria francese fu annientata. Francesco I continuò a combattere strenuamente nonostante fosse stato appiedato da un'archibugiata dell'italiano Cesare Hercolani, che, per questo, ottenne il soprannome di Vincitore di Pavia, dato che la conclusione della sua azione fu la cattura del Re.
"Vincitore di Pavia" è il soprannome con cui è conosciuto il condottiero forlivese Cesare Hercolani, non sappiamo però con quanta aderenza al vero. Di lui infatti parla solo Giovanni Tarcagnota, affermando, non si sa in base a quali prove, che Hercolani fu il primo a ferire il cavallo del re di Francia durante la battaglia di Pavia
 Alla fine, avendo visto cadere uno alla volta i suoi cavalieri e comprendendo inutile ogni resistenza, cercò, anche lui, scampo nella fuga. L'unica via ancora libera era quella per Milano. Francesco I si diresse verso il muro settentrionale del parco Visconteo, forse per uscire da porta Mairolla e del Cantone delle Tre Miglia. Rimasto isolato e giunto nei pressi della cascina Repentita, gli fu ferito il cavallo che cadde morto sopra di lui. Trascinato a terra dalla caduta dell'animale, circondato da nemici, fu salvato dalla morte e catturato, presso la cascina Repentita, dal comandante Imperiale nonché viceré di Napoli Carlo di Lannoy.
Tre cavalieri spagnoli lo fanno prigioniero. Poco dopo, il re è condotto davanti a Charles de Lannoy, il viceré di Napoli, che riceve formalmente la resa del sovrano francese.
Battaglia di Pavia (1525). Cattura del re Francesco I di Francia. Dipinto di Juan de la Corte.
Il trionfo imperiale
La battaglia di Pavia, durata meno di due ore, si conclude con una vittoria schiacciante per Carlo V. La cattura del re di Francia è un colpo devastante, non solo per l’esito della battaglia, ma anche per l’intera guerra. La sconfitta francese è totale: tra i 7.000 e gli 8.000 soldati perdono la vita, mentre migliaia di prigionieri sono presi. Le perdite imperiali sono di circa 500 uomini.La battaglia di Pavia segna un punto di svolta nella storia europea, non solo per la vittoria imperiale e per la cattura di Francesco I, ma anche per le implicazioni simboliche che porta con sé: la cavalleria nobiliare francese, con il suo orgoglio e la sua tradizione, è annientata non da forze di cavalleria nemica ma da umili soldati armati di archibugi, le odiate armi da fuoco che cambiano il volto della guerra per sempre.
Cartina della battaglia di Pavia: in blu i francesi, in giallo gli imperiali
Leggenda
Alla battaglia di Pavia è legata, secondo la leggenda, la nascita della "Zuppa alla pavese". Si racconta, infatti, che Francesco I, fatto prigioniero dai soldati spagnoli dopo la sconfitta del suo esercito, venne portato da coloro che lo avevano catturato all'interno della cascina Repentita (tuttora esistente), per medicare le leggere ferite che aveva ricevuto nel combattimento e ristorarsi con un po' di cibo. La contadina del luogo, sempre secondo la leggenda, aveva in quel momento a disposizione solo del brodo di carne, del pane secco ed alcune uova. Mise allora il pane nel brodo bollente ed aggiunse le uova, servendo al sovrano prigioniero un piatto semplice ma gustoso, che è arrivato fino ai nostri giorni.
“Tutto è perduto fuorché l’onore!”
Francesco I (noto anche come mecenate delle arti: accolse alla propria corte, tra gli altri, anche Leonardo da Vinci) voleva impadronirsi dell’Italia Settentrionale. Ma a Pavia la mattina del 24 febbraio commise un grave errore strategico: lanciò la cavalleria pesante seguendo schemi medioevali, cioè ponendosi davanti a tutti con l’obiettivo di vincere con onore e gloria. In questo modo impedì però alla propria artiglieria di fare fuoco sul nemico.
Deportato a Madrid, Francesco I fu obbligato a sottoscrivere un trattato che prevedeva condizioni umilianti. Dalla città spagnola scrisse una lettera alla madre, con la famosa frase.

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