Passa ai contenuti principali

Isole di Brissago

Talmente vicine, talmente scontate che alla fine gli autoctoni non ci vanno, o meglio, procrastinano col rischio di non andarci mai. E sbagliano, sì perché le isole di Brissago sanno presentare diversi scenari molto diversi tra loro nel giro di pochi ettari Se possibile ancora più vari rispetto al parco Scherrer di Morcote

Il bagno romano

Da buon semi autoctono atipico alle isole ci sono già stato, ma con la testa sono sempre rimasto a riva. Malgrado questo un posto l'ho ben immagazzinato in un angolino dei miei ricordi: il bellissimo bagno romano.
 
Bagno romano

Sebbene le isole siano state frequentate in epoca romana, come confermato da reperti archeologici, il "bagno romano" non è un'autentica rovina dell'antichità, ma una costruzione moderna che richiama quello stile.
Costruito nel 1927 dal proprietario dell'epoca, il mercante tedesco Max Emden. Si tratta di un'opera architettonica e paesaggistica, parte del giardino botanico, che comprende una piscina in marmo con vista sul lago.

Brevissima storia delle Isole di Brissago

Come ogni edificio, muro, zolla di terreno anche le isole di Brissago hanno una storia. A questo va aggiunto l'indubbio fascino che ogni isoletta scatena nelle menti. Simbolo di isolamento, di mondo a parte inculcano all'istante un fascino di mondo parallelo, una staccata di spina sempre molto apprezzata

1885-1927 - Le Isole dei St. Léger

Richard e Antoinette Fleming St. Léger acquistano le Isole di Brissago. Sull’Isola Grande la baronessa riattò i resti di un convento facendone la propria dimora. In seguito diede inizio alla creazione del giardino portando terra, costruendo viali e, seguendo la moda del tempo, piantando specie rare ed esotiche, come ad esempio eucalipti e palme.

1928-1940 - Le Isole di Max Emden

A causa di ristrettezze economiche, la baronessa è costretta a vendere le Isole di Brissago a Max Emden. La casa presente sull’Isola Grande viene sostituita da un grandioso palazzo (oggi Villa Emden) costruito con i più nobili materiali: dai candidi marmi di Carrara della Sala degli specchi e degli scaloni, al pavimento fiorentino intarsiato della Sala rossa. Nonostante Emden non fosse un grande appassionato di botanica, decise di conservare il giardino ideato dalla baronessa

1949-2019 - Le Isole aprono al pubblico

Gli eredi di Max Emden vendono le Isole di Brissago. All’acquisto partecipano la Repubblica e Cantone Ticino, i comuni di Ascona, Brissago e Ronco sopra Ascona, e le associazioni Patrimonio Svizzero e Pro Natura.Le Isole sono destinate alla conservazione e alla divulgazione delle bellezze naturali, a scopi culturali, scientifici e turistici. Nasce così l’allora Parco Botanico del Cantone Ticino che aprì al pubblico il 2 aprile 1950.

2020 - ad oggi - Il Giardino botanico cantonale

Il Cantone Ticino diventa interamente proprietario delle Isole di Brissago.
Questa riorganizzazione assicura la preservazione e l’ulteriore valorizzazione del patrimonio naturalistico, scientifico, paesaggistico e storico che esse rappresentano

Il parco botanico

Immerse nelle acque del Lago Maggiore, che accumulano calore durante l’estate e lo restituiscono in inverno, protette dalla catena alpina e ricche di sole, le Isole di Brissago godono di un clima subtropicale. Questo permette, all’interno della catena alpina, di coltivare all’aperto specie provenienti dall’asia e dalle aree a clima mediterraneo della terra, seconde per biodiversità solo alle foreste tropicali.

Scorcio sulla riva orientale - zona Australia, Nuova Zelanda e Tasmania

Questa ricca flora potrà essere scoperta partendo dall’Europa mediterranea, situata nella punta nord dell’Isola e caratterizzata dagli aromi sprigionati dalle Lamiaceae attorniate dal bianco dei cisti. Il viaggio prosegue alla scoperta delle foreste australiane (o mallee) dominate da Eucalyptus ed Acacia, da qui le Proteaceae e le Restionaceae lasciano assaporare i fynbos del Sudafrica. Lasciandoci le Ericaceae alle spalle, è possibile sbarcare nel continente americano dove Araucaria, Nothofagus e Jubaea ricordano il Cile centrale, mentre in lontananza le grandi agavi ed i fichi d’India ancorati alle scogliere ci portano nell’America centrale. Infine i colori dei rododendri e delle camelie, incorniciati dai grandi bambù richiamano l’esoticità dell’Asia

La mia visita

Esattamente come Max Emden la botanica non rientra nei miei interessi principali, questo comporta che moltissimi dettagli mi sfuggono ma semplicemente perché la mia curiosità é limitata e non vado a scavare. Alcuni elementi però sono impossibili da non notare, come questa bella capanna in mezzo ad una miniforesta di canne di bambù, o almeno, così le chiamano i comuni mortali.


Ci sono però un paio di piante legate alla storia. Chissà se troverò qualcosa su di esse...

Cosa ho visto: il cipresso calvo

Il cipresso calvo (Taxodium distichum) é una presenza difficilmente ignorabile nel Giardino Botanico delle Isole di Brissago. A caratterizzarlo sono tutti le escrscenze che spuntano dall'acqua dando alla scenografia un aspetto quanto meno curioso.

Questo cipresso, noto anche come cipresso delle paludi o tassodio, è una conifera decidua originaria del sud-est degli Stati Uniti che si adatta a terreni umidi e allagati. Le sue caratteristiche uniche includono la perdita delle foglie in autunno e la presenza di particolari radici aeree chiamate pneumatofori.

Pneumatofori: tipo di radice presente in molte piante tropicali palustri (per es., mangrovie) radicate in suoli asfittici, con concentrazioni di ossigeno insufficienti ad assicurare la respirazione; sono dette anche radici respiratorie.

Cosa ho visto: la protea

Non sono solito fotografare fiori, ma questo mi si é parato davanti sul mio cammino. Non so nemmeno se si tratta di un fiore, non sono stati di certo i colori a catturarmi, e a ben guardare risulta piuttosto freak rispetto al prototipo di fiore che balza alla mente quando viene scandito il nome.

Le protee (genere Protea) sono piante originarie dell’Africa meridionale, particolarmente presenti nella regione del Capo. Sono degli arbusti sempreverdi con foglie coriacee e possono raggiungere alcuni metri d’altezza. Si contano oltre 100 specie di protee, caratterizzate da grandi e vistose infiorescenze che assomigliano ad un fiore gigante. Ma quest’ultimo in realtà è un “falso fiore” composto dai fiori veri e propri che sono tanti e piccoli, raggruppati assieme. Grazie alla loro grande infiorescenza, le protee attraggono tutta una serie di impollinatori, tra cui lo zuccheriere del Capo. Si tratta di un uccello con una lunga coda e un becco sottile e appuntito, grazie al quale riesce a raggiungere e a nutrirsi del nettare delle protee.


Le protee hanno delle strutture legnose sotterranee, i lignotuberi (contenenti gemme e risorse), dai quali le piante possono rigenerarsi dopo il passaggio di un incendio. Questi sono frequenti nei fynbos, una vegetazione arbustiva tipica del Sudafrica. Proprio questi incendi frequenti hanno spinto le protee a sviluppare un altro adattamento: alcune specie rilasciano i semi solo dopo il passaggio del fuoco, in un ambiente temporaneamente più ricco di sostanze nutritive

La specie protea re (Protea cynaroides) è il fiore nazionale del Sudafrica ed è rappresentato nello stemma del paese. 
La grande varietà di forme e colori delle loro infiorescenze ha ispirato il nome delle protee, che deriva dal dio greco Proteo, il quale era in grado di cambiare forma quando e come voleva

Cosa mi sono perso: La cicuta

Me ne avvedo mentre sono sul battello che mi riporta a riva, poco lontano dal bellissimo bagno romano le isole ospitavano la cicuta. Mi dispiaccio, mi dispiaccio assai. Più volte ho letto di personaggi nell'antichita condannati a morte assumendo erba cicuta. 

La cicuta provoca la morte tramite avvelenamento, che può causare insufficienza respiratoria e arresto cardiaco. I sintomi iniziali includono bocca secca, tachicardia, tremori e debolezza muscolare, che progrediscono rapidamente verso convulsioni, paralisi e infine coma e morte. L'ingestione di anche poche foglie o frutti immaturi può essere letale, e il veleno può anche agire indirettamente attraverso il consumo di animali che hanno mangiato la pianta.

La cicuta è una pianta che porta con sé una storia particolare. È conosciuta da secoli per la sua pericolosità e il suo utilizzo nelle esecuzioni, fin dai tempi dell’antica Grecia e di Roma.
Il caso più famoso è quello di Socrate, che fu condannato a morte e obbligato a bere una bevanda a base di cicuta per le sue idee considerate pericolose.

Questo olio di Charles Dufresnoy mostra il momento in cui Socrate beve il cicuta che lo condurrà alla morte davanti al dolore dei suoi discepoli. XVII secolo. Galleria Palatina, Firenze.

Sintomi e decorso dell'avvelenamento

Inizio rapido:
I sintomi compaiono entro 15 minuti dall'ingestione.

Primi sintomi:
Bocca secca, accelerazione del battito cardiaco, tremori, sudorazione e debolezza muscolare.

Progressione:
Segue una fase di convulsioni, paralisi ascendente e debolezza muscolare crescente.

Cause della morte:
La morte avviene solitamente per arresto respiratorio o asfissia, a causa della paralisi dei muscoli respiratori.

Complicazioni:
Possono includere insufficienza renale, coma e sequele neurologiche permanenti.

Dose letale e rischio
Dose letale: Una decina di foglie o pochi frutti immaturi possono essere sufficienti a uccidere un adulto. I frutti immaturi sono più tossici delle foglie mature.

Rischio indiretto:
È possibile avvelenarsi anche mangiando carne di uccelli (come quaglie e pernici) che hanno ingerito la cicuta, poiché il veleno si accumula nella loro carne. La cottura non inattiva il veleno.

Approfondimento sulla mandragora

Come d'abitudine do un occhiata nel chioschetto-shop, alla ricerca di qualche chicca che possa andare a arricchire la mia wunderkammer o la mia biblioteca. Certo in un isola a tema esclusivo di botanica, materia ben lungi di essere tra le mie passioni, difficilmente troverò qualcosa, ma vale comunque la pena provare, sia mai trovo qualche libricino su piante velenose utilizzate per disfarsi di qualche regnante o pretendente al trono.

Nulla di tutto questo ma trovo un bel libricino tutto dedicato alla mandragora, pianta che ha generato riti e credenze della quali avevo già accennato in passato.
La mandragora è conosciuta fin dall'antichità; già Egizi e Greci la utilizzavano ma è nel Medioevo che assume una notorietà superiore alle sue reali virtù medicinali, grazie soprattutto alla forma antropomorfa della radice.

Ai tempi il basso livello di conoscenza del mondo e delle regole biologiche, la mescolanza tra scienza e religione, le superstizioni, le diverse credenze e il fascino per l'ignoto furono il terreno fertile sul quale germogliarono storie e superstizioni. Maghi, incantatori, negromanti e medici usarono e abusarono di questa pianta velenosa: nel bene e nel male.

Pagina del "Codex Medicina Antiqua". L'immagine mostra la raccolta della radice di mandragora. Il testo sopra spiega l'uso medicinale della mandragora per eruzioni cutanee e dolori articolari (circa 1250).

Si distinguono due specie di mandragora, diffuse nell'Europa meridionale:
  • la Mandragora officinarum L. (Mandragora officinale)
  • la Mandragora autumnalis Bertol. (Mandragora d'autunno)
Nessuna delle due mandragore cresce spontaneamente in Svizzera.
La Mandragora officinale è diffusa nel nord Italia e ad ovest dell'ex Jugoslavia, mentre la Mandragora d'autunno predilige la regione mediterranea e colonizza in particolare il centro e il sud del Portogallo. Una terza specie cresce sul massiccio himalayano del Sikkim (India). Le due specie occupano ambienti leggermente differenti: la Mandragora officinale cresce in boschetti con suoli ricchi di elementi nutritivi fino a 800 m di altitudine, quella d'autunno predilige campi, luoghi incolti e aridi sotto i 600 m.

Il nome mandragora potrebbe provenire dal greco pávopa (scuderia), e dyopá (assembramento), ad indicare una pianta che cresce nei pressi delle stalle. Nel Medioevo il naturalista e religioso Albert le Grand propone per delineare l'origine del nome, la dicitura "Man (uomo) e dragen (tragen, portare)", alludendo alla forma antropica della sua radice

Frutto: Mela del Diavolo, Mela d'Adamo, Mela di cane.
Radice: Radice dello Spirito Santo. Fittone robusto e ramificato che raggiunge il metro di lunghezza nelle piante più vecchie. A volte assume una forma che ricorda quella dell'essere umano; si possono persino riconoscere gli organi genitali maschili e femminili. 
Ed é proprio questa somiglianza che porta a ricamarci sopra storie, leggende e credenze e renderla particolarmente affascinante ai miei occhi

Mandragora maschio (M.officinarum) a sinistra
Mandragora femmina (M.autumnalis) a destra
Illustrazioni di J.B. Morandi nel 1761

Virtù medicinali

Le due specie di mandragora hanno le stesse proprietà e sono sempre state impiegate in modo intercambiabile e indifferenziato, nonostante la loro pericolosità
Secondo Plutarco (I sec. d.C.), quando la mandragora cresce in un vigneto le proprietà ipnotiche del suo succo sono maggiori. 
In passato si credeva che lo stesso succo, assunto in piccole quantità e aggiunto al vino, potesse provocare un sonno tranquillo dal quale destarsi "senza pesantezza alla testa e ricordi". La bevanda era inoltre considerata leggermente euforizzante, adatta a scacciare malinconia e pensieri suicidari. In dosi maggiori, il succo poteva però creare allucinazioni o, come indicato da Apuleio (II sec. d.C.): condurre a "un sonno simile alla morte".
Per questa sua proprietà soporifera/ narcolettica, la mandragora era utilizzata come anestetico.

Come suggeriva il medico e botanico Leonhart Fuchs (fine XVI secolo), le foglie potevano eliminare "ogni durone, piaga, tumore e pustola se strofinate dolcemente per cinque o sei giorni". Lo stesso Fuchs invitava a non abusare della pianta: "perché se non si beve con moderazione, uccide e attenta alla vita".

Oggi la mandragora non è quasi più utilizzata: i suoi principi attivi sono estratti da piante simili e più facili da coltivare, come la belladonna, il giusquiamo e lo stramonio.

La mandragora, da Chaumeton (1835-1844).

Virtù fecondanti

A una pianta dalla radice con un aspetto talmente umano (con tanto di distinzione tra maschio e femmina) non potevano non essere attribuite virtù afrodisiache, fecondanti, anestetiche,
analgesiche (per alleviare i dolori mestruali e del parto) e persino allucinogene. Proprietà portentose che hanno alimentato innumerevoli superstizioni sulla capacità di questa pianta di causare un'irrispettosa e amorale ingovernabilità del corpo, causata in realtà dal suo alto contenuto di alcaloidi che provocano comportamenti disinibiti.

Virtù e leggende legate, nel bene o nel male, pur sempre alle parti intime del corpo. Al potere fecondante della pianta il poeta comico greco Alessi (IV sec. a.C.) dedica l'opera "La (donna) drogata di mandragora".

Mandragora maschio a sinistra e femmina a destra secondo
J. de Cuba, "Le jardin de sante", 1501. Da Lieutaghi 1991.
Queste immagini furono incluse in molte opere dell'epoca.
La mandragora maschio, ad esempio, compare identica nel
De Crescentis 1531, p. XC.

Un passaggio della Genesi (XXX, 14-16) racconta invece di una donna che chiede alla prima moglie di suo marito (e pure sua sorella) di offrirle qualche frutto di mandragora raccolto dal figlio per guarire dalla sterilità; in cambio è disposta a cederle il consorte
"Al tempo della mietitura del grano, Ruben uscì e trovò mandragore, che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: «Dammi un pơ' delle mandragore di tuo figlio». Ma Lia rispose: «È forse poco che tu mi abbia portato via il marito perché voglia portar via anche le mandragore di mio figlio?».
Riprese Rachele: «Ebbene, si corichi pure con te questa notte, in cambio delle mandragore di tuo figlio». Alla sera, quando Giacobbe arrivò dalla campagna, Lia gli uscì incontro e gli disse: «Da me devi venire, perché io ho pagato il diritto di averti con le mandragore di mio figlio». Così egli si coricò con lei quella notte." 

Le antiche cronache risalgono pure sino al Giardino dell'Eden, quando Eva a un "algido" Adamo offre un (carnale) frutto di Mandragora...generando così Caino

Persino il Cantico dei Cantici cita la fragranza di questa pianta (Capitolo VII), mentre Sant'Agostino (354 d.C.) la definisce rarissima e dal profumo inebriante.

Si diceva addirittura che la mandragora germogliasse e crescesse sotto i patiboli.
Il farmacista francese Laurens Catelan (1639) nel suo saggio riservato alla pianta riferisce che: 
"Le mandragore non si ottengono da trapianti o da semi, ma si sviluppano dallo sperma di uomini perduti e impiccati o schiantati sulle strade, che liquefacendosi e colando con il grasso, cade goccia a goccia a terra, che così ingrassata e untuosa, a causa della frequenza dei corpi caduti, produce la pianta; lo sperma dell'uomo funge quindi da vero e proprio seme."

Nella miniserie televisiva Alì Babà e i 40 ladroni lo speziale Youssef dà ad Ali un tonico che usa anche il califfo, in realtà un afrodisiaco. Quando sua moglie Yasmina e Ouria lo danno a Serafino questo ha su di lui degli effetti devastanti; Morgiana ne annusa il contento i cui ingredienti sono: pepe e zenzero e mandragora e afferma che quella è la stessa pozione che suo padre dava allo stallone per accoppiarsi.

Un estrazione rischiosa

Da ogni regione d'Europa giungono resoconti leggendari relativi alla raccolta della radice di mandragora, operazione da eseguire con le dovute precauzioni.


Stratagemma indispensabile: tapparsi rigorosamente le orecchie, perché si raccontava che al momento della sua estrazione la pianta emettesse un grido che poteva causare la morte o fare impazzire. 

Innanzitutto l'intervento doveva essere preceduto da un periodo di digiuno, d'astensione e di meditazione, affinché anima e corpo dei raccoglitori fossero puri. Occorreva inoltre attendere la congiunzione astrologica favorevole - l'ascendenza di Saturno e della Luna - ed eseguire il lavoro diligentemente di sabato (giorno di Saturno). Per l'occasione s'indossavano abiti neri dai decori bianchi, ci si agghindava con una tiara e monili di piombo, bastone, bacchetta magica, coltello sacrificale, pentacoli e miscele per la fumigazione. 


Dopodiché si tracciavano dei cerchi all'interno dei quali scrivere formule magiche. Infine, dopo aver eseguito alcuni sacrifici per calmare gli spiriti, con una mano avvolta in un lenzuolo rubato da un cimitero, si poteva afferrare l'estremità della pianta e strapparla. È fatta? Ebbene no! Spesso anche per questa operazione si doveva ricorrere ad aiuti o stratagemmi, facendo ad esempio estirpare la pianta da un cane o da una vergine dai capelli biondi.

"Tre donne che raccolgono la mandragora" di Robert Bateman (1870).
© Wellcome Collection gallery

L'antropromorfo

Secondo alcune tradizioni la mandragora non doveva essere toccata (la stessa radice indietreggiava dinanzi alla mano che voleva appropriarsene) e quindi andava tenuta tranquilla e innaffiata con urina di donna. 

Solitamente chi possedeva la radice tentava di dar vita all'antropomorfo. Con il coltello utilizzato per il sacrificio effettuato prima della raccolta, il "mago" toglieva alla pianta tutto quanto ne ostacolasse l'aspetto umano (foglie e frutti); dopodiché intagliava superficialmente la scorza, inseriva due bacche di ginepro al posto degli occhi e un frutto di rosa canina. Nelle parti in cui era necessario ricreare dei peli - basso ventre, cranio o mento - fissava dei semi di miglio. Ricopriva poi la radice di terra rossa inumidita dalla rugiada, la piantava in un vaso ricolmo di terra da esporre al sole. 
Dopo circa un mese (il tempo necessario affinché si completasse la metamorfosi) veniva alla luce un piccolo essere irsuto di una quindicina di centimetri "dotato di senso della ragione" al quale poter porre domande di varia natura.

Mandragore animate, secondo un'incisione olandese del XVIII secolo. Da Tercinet (1948).

Non tutti i maghi avevano un obiettivo così elevato, in effetti spesso questi fantocci erano semplicemente utilizzati dai ciarlatani per derubare i contemporanei. Si diceva che possedere un omuncolo di tal tipo portasse vantaggi poiché le mandragore erano dei porta fortuna: in Germania si credeva che un tessuto che avesse qualche fibra della pianta rendesse invincibile, mentre in Romania osti e mugnai nascondevano delle mandragore nei pressi delle loro botteghe per attirare clienti. La radice era quindi venduta a caro prezzo nei mercati, ma sui banchi si potevano trovare delle contraffazioni, spacciando per omuncoli persino delle piccole scimmie mummificate.

Magia nera

La radice di mandragora era usata sia nella magia bianca sia in quella nera poiché, se assunta in una determinata dose o preparazione, poteva provocare un sonno profondo durante il quale lo stregone effettuava (o immaginava di fare) viaggi o voli sabbatici.

Esisteva pure un unguento - a base di radice polverizzata nel sangue di pipistrello e amalgamata con il grasso di un impiccato o di un bambino morto senza battesimo - che permetteva al negromante di assumere qualsiasi aspetto nel corso delle cerimonie.

L'utilizzo della mandragora da parte di maghi o presunti tali lega particolarmente questa pianta alla stregoneria, tant'è che Giovanna D'Arco, durante il processo per eresia nel 1431, fu accusata di possederne e fini direttamente sul rogo.

La mandragora di Macchiavelli

Nella commedia cinquecentesca di Machiavelli, Messer Nicia Calfucci fatica ad avere eredi con la bella moglie Lucrezia.
Il giovane Callimaco, innamorato della donna, si finge medico e consiglia all'uomo di far bere alla moglie un decotto di mandragora. Mentendo, gli spiega che il primo uomo che si congiungerà con lei dopo l'assunzione del farmaco morirà dopo una settimana. I due architettano quindi un piano: farla finire a letto con un poveraccio raccolto dalla strada.
Sarà però Callimaco, travestito, a coricarsi con Lucrezia, riuscendo anche a conquistarne l'amore.
Machiavelli, oltre a sottolineare la capacità della pianta di eccitare all'amore e di aumentare la fecondità femminile, ne rileva la sua pericolosità.

Frontespizio dell'edizione del 1556 della Mandragola di Nicolò Machiavelli

Commenti

Post popolari in questo blog

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 5 - Il vecchio editore

Giungo da Roveredo in perfetto anticipo, ho il tempo anche di gustarmi un Campari soda in piazza grande; la giornata volge al termine ma ho ancora una tappa finale in programma. Essa ha luogo nella ridente Locarno dove per l’occasione sono stati trasportati due vagoni in piazza Grande Vagoni della Pace in piazza grande L’occasione é la presentazione di un libro legato ai patti di Locarno del 1925, tema già accennato nelle settimane scorse. La vera première della serata é la possibilità di visitare il palazzo della Sopracenerina, vera e propria icona della nostra storia Cantonale Il palazzo della sopracenerina alle spalle dei due vagoni Storia del palazzo La realizzazione del Palazzo oggi comunemente definito «della Sopracenerina» – proprietaria dello stabile – data degli anni Trenta dell’Ottocento ed è frutto di una contingenza storica particolare, quella della capitale itinerante, quando Bellinzona, Lugano e Locarno ospitano a rotazione le istituzioni cantonali. La Costituzione cant...

Il monastero di Claro

“Posso farle una domanda?”- era da parecchio tempo che aspettavo questo momento, quello di porre una semplice domanda, molto probabilmente ingenua dal punto di vista della monaca di clausura che si appresta ad ascoltarla, ma così carica di significati per me. Sarei però un folle a riportare qui il punto apice della mia visita al monastero benedettino di Santa Maria assunta sopra Claro , questo il nome ufficiale che per motivi di scorribilità della lettura non ripeterò più in maniera completa  Il monastero da un depliant presente al monastero. La zona aperta al pubblico é assai limitata, consiste nella terrazza che da sulla valle (tutta a sinistra) con annessa chiesa e localino per gli acquisti (vedi sotto) L’itinerario odierno parte e finisce nell’abitato di Claro, ridente agglomerato ai piedi del monastero. Prima di salire al monastero faccio un giro alla ricerca dei luoghi di interesse in paese. Mentre cammino per i vicoli noto gente indaffarata: un'intera famiglia sta partecipan...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 1 - L’uomo col gozzo

Festeggiare il tempo che passa é deleterio, così come passare il giorno del proprio compleanno lavorando é umiliante. Lavoriamo una vita intera, evitiamo di farlo anche il giorno in cui tutti ci dicono "Auguri! E ora torna a lavorare!" Ma che senso ha festeggiare il proprio compleanno quindi? Spesso si dice che dagli anta in su andrebbe passato in sordina. Potrebbe però essere la possibilità di aggiungere un giorno di libero con la scusa di autocelebrarsi. Da qualche anno infatti (la prima volta fu a Vufflens le Château ) in corrispondenza di questa ricorrenza, ho preso l'abitudine di farmi un regalo, a dire il vero me ne faccio in continuazione, organizzare trasferte per alimentare le mie passioni sono gesti d'amore verso se stessi. Ogni anno cerco di organizzare una gita particolare, fuori dagli standard, magari approfittando che sia in un normalissimo giorno in cui tutti il resto del mondo (o quasi) sta lavorando. Tra gli obiettivi li nel cassetto una chiesa che h...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 4 - Le tre colonne

Ci vogliono pochi minuti dalla chiesa di San Giulio alle famigerate tre colonne nella campagna di Roveredo. La mia prossima tappa é semplice, spartana dal lato concreto ma carica di significati. Le tre colonne Ci sono tre colonne nella campagna di Roveredo, un collega originario di li mi ha riferito che quando hanno costruito l'autostrada hanno previsto una curva per preservare il sito. Tutto per tre piccole colonne, anzi, avanzi di colonne.... Le tre colonne di Roveredo Incrocio due signore a qualche centinaia di metri dal posto, scambio due parole, sono tentato di chier loro cosa sanno in proposito ma non lo faccio. Avrò modo di scoprire più tardi che le persone del luogo sono tutti a conoscenza della loro presenza e spannometricamente della loro funzione. Nessuno però sa indicare con precisione cosa si svolgeva. Sulla sinistra si intravedono i resti delle tre colonne Dopo pochi minuti giungo in vista del luogo. È a qualche metro dalla strada che costeggia il fiume e che una volt...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 2 - Il Dio di lamiera

Il tragitto in postale tra Mesocco e Roveredo dura pochi minuti, non c'é nemmeno il tempo di sentiere le emozioni della prima tappa scendere che già si giunge nella ridente capitale della Moesa.  Roveredo Roveredo ha preso il suo nome dai folti boschi di rovere che lo circondano. Negli antichi documenti troviamo spesso le impronte del sigillo di Roveredo. Il più antico porta la data del 1615 e non rappresenta altro che un rovere con sei rami, tre per lato, armonizzati in uno stemma. Attorno sta la dicitura “Sigilium Roveredi Comunitatis”. Roveredo (GR): casa Zuccalli con i suoi graffiti risalenti alla metà del sedicesimo secolo. Nella foto il graffito presente sulla facciata della casa risalente alla metà del sedicesimo secolo riscoperto e restaurato. Al primo piano, dopo un restauro parziale eseguito dal restauratore Marco Somaini nel 2004, possiamo ammirare  il dio greco Hermes dai piedi alati, messaggero degli dei e protettore dei mercanti (il dio Mercurio romano) e i...

Belli i capelli

La lunghezza massima dei miei capelli l’ho raggiunta nel 1994 quando mi arrivarono quasi alle spalle. Durò poco. Ora a 20 anni di distanza il mio pensiero inerente i capelli é "meglio grigi che assenti".  Non fanno sicuramente parte della mia quotidianità ma tornano saltuariamente nei miei pensieri quando lo scarico della doccia si ottura.  Al castello di Valangin ho modo di approfondire il tema e rendermi conto che anche loro fanno parte in qualche modo della storia Volantino dell mostra temporanea NON C'È NESSUN PELO IN CIÒ CHE PORTA FORTUNA: IL PIEDE, IL TALLONE E LA LINGUA Detto di Trinidad e Tobago Peli e capelli come barriera contro le aggressioni esterne  Proprio come la pelle, anche i peli hanno diverse funzioni. Prima di tutto, fanno da barriera fisica e aiutano a regolare la temperatura, soprattutto grazie al sudore.  I capelli proteggono dal sole, una funzione che i peli hanno perso perché ormai sono troppo sparsi per essere davvero efficaci. I peli pubici...

Glorenza

Approfitto della mia tre giorni in "estremo oriente" (con le dovute proporzioni), per penetrare in Italia, o meglio ancora nel ambiguo territorio della Val Venosta. Dopo aver visitato Curon mi sposto a sud per visitare Glorenza. Glorenza é affascinante per una sua caratteristica che difficilmente si riscontra nei villaggi nelle Alpi: le sue mura. Quando si entra da una delle sue tre porte si ha la voglia di scoprirne ogni angolo, di non lasciarsi sfuggire l’occasione di sentirsi catapultati in un altra epoca ad ogni passo che si fa. Per dare un’immagine dell’urbanistica della cittadina la miglio soluzione é dall’alto.  Foto scattata all’esterno del museo storico di Glorenza Ma non bisogna fantasticare troppo, avere la testa tra le nuvole potrebbe diventare estremamente pericoloso, meglio guardare chi arriva, soprattutto dai due assi principali che tagliano la cittadina; se una volta era cavalli oggi i tempi di reazione devono essere più scattanti, perché chi sopraggiunge po...

Scioperi svizzeri

Mia nonna diceva sempre di non parlare né politica né di religione durante gli incontri conviviali. A casa però le discussioni più accese ruotavano proprio attorno al tema politico. Con il susseguirsi delle epoche le ideologie hanno mutato assai l’impatto sulla società. Ho però sempre pensato che se fossi vissuto ai tempi della nonna sarei stato con ogni probabilità della sua stessa fazione. Basta vedere cosa proponeva il comitato di Olten nel 1918: il diritto di voto e di eleggibilità per le donne, l'introduzione della settimana di 48 ore e l'assicurazione per la vecchiaia e l'invalidità. Come non essere d'accordo? Oggi questi punti sono delle ovvietà, ma non fu sempre così...anzi come vedremo sorprendentemente durante le ondate di peste, nella perenne guerra padrone - operaio ,  il coltello dalla parte del manico passò decisamente in mano a questi ultimi....e se così non era bastava a ricorrere all’arma dell’ultima spiaggia, arma potentissima: lo sciopero. Alexandre ...

Dürer tatuato - prima parte

Ho un debole per Albrecht Dürer, molto marcato. Molto meno per i tatuaggi. Diciamo che se proprio fossi obbligato a tatuarmi qualcosa, la scelta potrebbe facilmente cadere su un opera dell’incisore tedesco. Pensieri ben distanti da me nella giornata del 8 febbraio 2025. L’obiettivo odierno era il moulage di Zurigo appena finito di visitare. La strada di rientro verso la città vecchia passa davanti all' ETH di Zurigo (politecnico). Edificio principale rispettivamente Graphische Sammlung, Politecnico federale svizzero (ETH Zürich) in Svizzera Ero passato di lì ore prima in direzione del moulage e sulle sue fiancate, tra tanti personaggi non mi é scappato, con grande sorpresa, quello di Albrecht Dürer. E li ero già contento, la giornata era già guadagnata, un accenno ad uno dei miei artisti preferiti, che volere di più? Lo spicchio della facciata del Politecnico di Zurigo dedicato a Dürer Il resto poi l’ha fatto la mia curiosità: notare che l'edificio era aperto al pubblico, entr...