Sembra incredibile che a tre anni di distanza dall’avvio di questo blog non ho ancora trattato i monumenti storici più famosi del Ticino, tanti da essere nella lista dei monumenti protetti dall’UNESCO: i castelli di Bellinzona; una fortezza che era intesa a controllare un valico alpino strategico.
Il promontorio
Non ci fosse stato questo promontorio, sopravvissuto decine di migliaia di anni fa all'erosione del fiume glaciale, la storia d'Europa non sarebbe probabilmente la stessa.
La lenta erosione dei ghiacci che ha disegnato le nostre valli: è appunto grazie a questo zoccolo di roccia che l'uomo ha potuto edificare uno sbarramento totale della valle alla confluenza di tre valichi alpini: il San Gottardo, il Lucomagno e il San Bernardino.
Sul rilievo roccioso, dove molto più tardi sorsero le fortificazioni e la grande murata a chiusura della valle, abitavano fin da tempi remoti popolazioni primitive. Ci sono tracce dell'età della pietra che risalgono a più di 4000 anni avanti Cristo.
Giù a valle il terreno era paludoso, insano, insicuro. Sul terrazzo si era più protetti. L'occhio poteva correre libero sulla valle a nord e a sud e soprattutto, elemento vitale per abitarli, c'era l'acqua. Gli incavi ricavati dai ghiacci nella roccia consentivano di fare ampia riserva di acqua piovana. Importanti scavi hanno riesumato tombe di epoche più recenti, a testimonianza di una continua presenza umana sul promontorio sin dai tempi più remoti.

Parete nord del Castel Grande
La parte più impervia della roccia è rivolta a nord. Nulla di più propizio, perché il pericolo veniva da quella parte. Lo sbarramento fortificato avrebbe dovuto tenere lontane le popolazioni del Nord con le loro armate da quelle del Sud.
Parete nord del Castel Grande
Franchi e Longobardi a Bellinzona
Grazie a una memoria scritta nell'anno 590, si sa che il promontorio doveva già essere fortificato. A difenderlo c'erano i Longobardi, che si scontrarono con i Franchi guidati dal duca Ottone, il quale fu colpito a morte e Bellinzona entrò così per la prima volta nella storia.
I costumi dei Longobardi corrispondono alle descrizioni fatte da Paolo Diacono e dal Corio. I Longobardi si radevano i capelli fino all'occipite lasciando crescere gli altri per poi farli cadere sulla faccia allo scopo di darsi un aspetto truce (come più tardi i bravi doscritti da A. Manzoni); indossavano ampie vesti listate a strisco di vari e ricchi colori. Le guarniture in metallo delle loro cinture vennero disegnate ad imitazione di alcune artisticamente cesellate, rinvenute nelle tombe longobarde scoperte a Castione presso Bellinzona, ed ora conservate nel Museo Nazionale Svizzero a Zurigo. Uno dei guerrieri franchi impugna la francisca, specie di scure a corto manico, atta al taglio od al getto a distanza.
I Franchi, guidati da Ottone, assediano Bellinzona, difesa dai Longobardi. Morte di Ottone sotto le mura, colpito da giavellotto. Con questo fatto i nomi di Bellinzona, del Lago Ceresio e del fiume Tresa appaiono per la prima volta nella storia. Ultimo tentativo dell'Impero Bizantino, alleato dei Franchi, di liberare dai Longobardi le nostre terre e l'Italia, dopo caduta l'Isola Comacina (587).
Questa calata infatti non ebbe alcun esito e si può ritenere che non solo Bellinzona, ma tutto il Ticino rimase ad essi e che data forse da quell'epoca il primo insediamento della nobiltà longobarda nelle nostre valli a guardia dei valichi alpini.
Un barbarico duello tra un capitano longobardo e un capitano dei Franchi, discesi da Bellinzona, si svolse sulla sponda sinistra della Tresa in seguito alle parole di un longobardo che dalla sponda destra gridỏ ai Franchi: "Oggi si deciderà tra noi a chi spetterà la vittoria". I Franchi ritennero tale frase come una sfida al giudizio di Dio e a singolare tenzone, ed un loro campione, varcato il fiume, affrontò il longobardo e l'uccise. I Longobardi si ritirarono allora, senza combattere, nei loro castelli e nelle città fortificate.
I Longobardi erano díscesi in Italia per il passo di Predil (Friuli) nel 560, guidati dal loro feroce re Alboino e conquistarono, in breve, l'Italia settentrionale, quasi indifesa. Pavia cadde però dopo tre anni di eroica resistenza. L'Isola Comacina, che faceva parte del sistema di difese prealpine ideato da Narsete, divenuta rifugio della latinità e del cattolicismo, resistette per circa 20 anni, sotto il comando di Francio. Le sue fortificazioni si estendevano protettrici nei labirinti di monti, colline, laghi, paludi, tra il lago di Como, di Lugano ed il Maggiore dove potè mantenersi una popolazione ad usi e leggi romane. Durante la lunga resistenza, quei barbari si erano alquanto ammansati e rispettarono i vinti e la loro civiltà. Tra essi forse si conservarono, dediti alle vaste costruzioni difensive locali, i maestri comacini, (poco importa la discussa origine del nome; la cui arte costruttrice venne riconosciuta dagli editti di Rotari (643) e di Liutprando, In quegli Editti si presenta chiarissima l'influenza della romana coltura che tornava lentamente a risorgere.
Assedio di Bellinzona
Sappiamo anche di un assedio del borgo nel 1242, quando la potente Milano riuscì a mettere provvisoriamente le mani sulla roccaforte di Bellinzona, togliendola a Como, grazie al decisivo aiuto congiunto di Enrico di Sacco, signore di Mesocco, e Simone Teorello, famoso condottiero di Locarno.
Ma la grande opera fortificata non era ancora del tutto compiuta. Bisognerà attendere il XV secolo, quando i castelli e la città sembravano saldamente nelle mani dei duchi di Milano.
Simone de Orello sul cavallo bianco, Enrico de Sacco a destra di chi guarda. Le truppe dei due capitani sfilano per una dimostrazione di forza, sotto le mura in vista dei Bellinzonesi e Comaschi; durante la stessa venne fatta agli assediati l'intimazione di arrendersi entro un dato giorno; in caso contrario sarebbero stati passati tutti a fil di spada.
Simone de Orello ed Enrico de Sacco, con esercito comune assediano Bellinzona togliendola a Como ed all'Impero (1242).
« Abbiamo aperte a noi le porte della Germania e della Francia e le abbiamo serrate ai nostri nemici ». Così scriveva in una missiva al delegato pontificio G. de Montelungo, il podestà di Milano, Luca Grimaldi. Con ciò è dimostrata l'importanza che i Milanesi attribuivano a Bellinzona. Questa era difesa allora da Masnerio de Burgo per incarico di Federico II. L'Orello ed il de Sacco avevano vinto, prima della resa, probabilmente sul Ceneri, un esercito imperiale accorso per sbloccare Bellinzona, comandato da re Enzo, figlio di Federico Il, il quale lo aveva mandato a Como già nel 1241 per combattere contro Milano
« Abbiamo aperte a noi le porte della Germania e della Francia e le abbiamo serrate ai nostri nemici ». Così scriveva in una missiva al delegato pontificio G. de Montelungo, il podestà di Milano, Luca Grimaldi. Con ciò è dimostrata l'importanza che i Milanesi attribuivano a Bellinzona. Questa era difesa allora da Masnerio de Burgo per incarico di Federico II. L'Orello ed il de Sacco avevano vinto, prima della resa, probabilmente sul Ceneri, un esercito imperiale accorso per sbloccare Bellinzona, comandato da re Enzo, figlio di Federico Il, il quale lo aveva mandato a Como già nel 1241 per combattere contro Milano
Simone de Orello, nello scontro di Gorgonzola (1245), fece prigioniero re Enzo e salvò Milano. In compenso fu eletto capitano del popolo. L'esercito milanese era stato sorpreso dagli imperiali che superarono l'Adda nella notte e si poteva ritenere sconfitto, quando riusci all'Orello di impadronirsi della persona del re che trascinò sul campanile di Gorgonzola, obbligandolo ad ordinare ai suoi la ritirata oltre quel fiume, se voleva avere salva la vita. L'esercito tedesco si ritirò coi suoi alleati e re Enzo fu lasciato libero dall'avveduto locarnese. Alcuni anni più tardi Enzo cadde prigioniero dei bolognesi che non lo lasciarono più libero. (Vedi la Canzone dell'Olifante del Pascoli).
Federico II, che si avanzava dalla parte del fiume Ticino, dovette abbandonare l'impresa che egli riteneva sicura e Milano fu salva. Nell'esercito di re Enzo militava anche Ezzelino da Romano. Simone de Orello, dopo una vita avventurosissima e singolarmente battagliera, muore a Como nel 1286. In tutte le sue imprese egli condusse truppe ticinesi, la valorosa turba montanara cantata dal poeta cronista Stefano da Vimercate.
Federico II, che si avanzava dalla parte del fiume Ticino, dovette abbandonare l'impresa che egli riteneva sicura e Milano fu salva. Nell'esercito di re Enzo militava anche Ezzelino da Romano. Simone de Orello, dopo una vita avventurosissima e singolarmente battagliera, muore a Como nel 1286. In tutte le sue imprese egli condusse truppe ticinesi, la valorosa turba montanara cantata dal poeta cronista Stefano da Vimercate.
La roccaforte di Bellinzona era diventata, oltre che un nodo strategico, anche una barriera doganale, fonte di enormi guadagni. Decisi a fermare gli svizzeri ad ogni costo, che erano diventati guerrieri temutissimi in tutta Europa, i milanesi costruiranno addirittura un terzo castello. Le mura saranno rialzate e in certi punti persino raddoppiate e lo sbarramento della valle diventerà allora totale, fino oltre il fiume.
La cittadina di Bellinzona vista da sud infossata tra il castel Grande (a sinistra) e il castello di Monte Bello (a destra). Al centro si intravede piazza Collgiata
Ecco allora l'intero sistema fortificato al suo massimo splendore. Il borgo era completamente circondato da mura e protetto da porte, a loro volte inserite da altre torri e mura, con ponti levatoi e relativo fossato. Il meglio, insomma, della tecnica difensiva medievale.
Castello Monte Bello
Ludovico il Moro
A coronare il progetto faraonico fu il duca di Milano, Ludovico Sforza, detto il Moro.
Ludovico il Moro nel municipio di Bellinzona
Già nel 1460, Milano aveva inviato a Bellinzona uno dei massimi architetti costruttori del tempo a ispezionare i luoghi: Aristotele Fioravanti da Bologna. Fu in quelle occasioni che si gettarono le basi per il consolidamento delle mura, con percorsi di ronda, con nuove torri e un dispositivo di difesa secondo le regole dell'arte militare.
Castello Monte Bello (o Svitto)
La primitiva murata venne raddoppiata per una lunghezza di ottocento metri e si venne in tal modo a creare un lungo tunnel coperto sottostante. Al limite occidentale della valle si costruì un alto pontico-ponte fortificato sul fiume Ticino. Era così nata la nuova murata, inaugurata dal duca stesso di Milano nel 1487. Un'opera straordinaria del genio costruttivo ammirata da tutti, una sorta di quarto castello.
Distinguonsi nel quadro, Lodovico Il Moro con veste ricamata, circondato dal famigliari, da cavalieri, paggi, ingegneri ed architetti, in sfarzosi costumi quattrocenteschi, e le principali opere del suo casato, la Murata, il Castello di Sasso Corbaro,
Lodovico Sforza, detto il Moro, coi suoi architetti ed ingegneri e condottieri visita i lavori di costruzione del ponte in pietra, il primo sul Ticino che congiungesse Locarno con Bellinzona e le Alpi (1489).
Maestri da muro della Valle Lugano ricostruirono la Murata. Venne pure eretto, verso il 1479, il Castello di Sasso Corbaro.
Maestri da muro della Valle Lugano ricostruirono la Murata. Venne pure eretto, verso il 1479, il Castello di Sasso Corbaro.
Il terzo castello “Sasso Corbaro”
Chioza Antonio luganese lavorò come architetto ed ingegnere, dal 1487 al 1489 alle fortificazioni di Bellinzona e Murata
Negli anni precedenti alla guerra di Giornico, Aristotile Fioravanti da Bologna venne a Bellinzona e suggerì le opere di difesa necessarie. Dopo la sconfitta si rifece la Murata col nuovo ponte sul Ticino, opere eseguite da Gabriele Ghiringhelli. Avvenne negli anni 1487-88-89 la costruzione di un revellino a protezione della Porta Camminata, o Lugano, verso il Dragonato.

L'animo dei duchi si manifesta nella sollecitudine posta a tali provvedimenti e nelle molte lettere da essi dirette agli ingegneri. Già il 1° gennaio 1479 viene dato ordine a Danesio Maineri di trasferirsi a Bellinzona ed ivi, assieme a Maestro Benedetto da Firenze ed a Maffeo da Como, vedere le fortificazioni e riferire sulle riparazioni necessarie con proibizione di partire di là senza speciale licenza.
Negli anni seguenti si pensò anche a rinforzare la seconda e la terza linea di difesa verso la Lombardia e non solo venne rinnovato il Castello di Morcote, ma se ne eresse uno nelle immediate vicinanze di Lugano, allora cinta di mura.
Negli anni seguenti si pensò anche a rinforzare la seconda e la terza linea di difesa verso la Lombardia e non solo venne rinnovato il Castello di Morcote, ma se ne eresse uno nelle immediate vicinanze di Lugano, allora cinta di mura.
La buzza di Biasca
Fu però una festa di breve durata. Le sorti di Ludovico il Moro cominciarono a vacillare e appena un paio di decenni dopo, si rovesciò su Bellinzona un vero cataclisma. Lo scivolamento di una montagna presso Biasca aveva provocato un immenso straripamento di acque che travolse e distrusse parte di quell'opera gigantesca.

La buzza di Biasca a Bellinzona
.... alla ruina che nel fianco
di qua da Trento l'Adige
percosse o per tremoto o per sostegno manco.
(Inferno, c. XII.)
Ne andò in gran parte sepolta quella terra, salvo poche case e la magnifica chiesa romanica, situate in posizione elevata. Le macerie risalirono, per l'impeto della caduta, la montagna opposta e chiusero la valle di Blenio in modo che il fiume Brenno formò un lago, dal quale sembra emergesse solo la cima del campanile di Malvaglia.
Il 29-30 maggio 1515, il lago formatosi per lo scoscendimento del Monte Crenone, superata la diga, proruppe improvvisamente verso il fiume Ticino, portando morte e rovina sino al Verbano.
Un testimonio oculare così ne scrisse:
«Biasca è rasato via, in modo che non si vedono più nè campi, nè prati. Tutto è coperto di grossi macigni e la valle intera è devastata da rottami sino verso Bellinzona. Il territorio poi di Bellinzona è seminato da pietrame, cosi che non è più da attenderne nessun frutto. La Murata di Bellinzona col ponte lapideo sul Ticino, turribus repietum et totius Lombardiae pulcherrimum, è stata portata via dalle fondamenta, eccetto un piccolo tratto verso la città.
L'acqua poi sorpassò le mura e giunse sino in piazza, penetrando in tutte le cantine e nelle stufe, cosicchè in questi locali si presero pesci e molto vino andò perduto. Nella valle annegarono circa cento persone e venti soldati tedeschi; l'acqua distrusse circa 400 case, cosi da non lasciare a posto nè legno, nè pietra. Insomma è tale un disastro che io non so descriverlo e sembra incredibile a chi non l'ha veduto».
La distruzione del ponte di Ludovico il Moro causò gravi danni a Locarno ed a tutto il locarnese; cessò il traffico verso le Alpi e le merci presero la via di Magadino. Il ponte fu ricostruito soltanto dopo che il Ticino riebbe la sua indipendenza, dal 1814 al 1815.
Il ponte ad inizio 1800
Fu la fine di un'epoca, perché tutto il Quattrocento fu per Bellinzona e i suoi castelli un secolo di incursioni, di saccheggi improvvisi, di colpi di mano, di scorribande militari con due momenti culminanti: la battaglia di Arbedo nel 1422, vinta dai Milanesi, e quella di Giornico nel 1478, vinta dagli Svizzeri.
Arbedo 30 giugno 1422
Tutto avvenne però fuori le mura. I castelli e la murata avevano in fondo retto molto bene al tumulto ed evitato assalti diretti alla città. Ecco come i confederati dell'epoca avevano rappresentato quelle battaglie. La barriera fortificata bellinzonese era presente, anche se le raffigurazioni risultano qui piuttosto fantasiose.
Dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti (1402) primo Duca di Milano (uomo di grandissimi meriti, e che nel 1391 aveva dato ordine si studiasse la costruzione di un canale navigabile da Lugano a Milano, per il fiume Tresa ed il Lago Maggiore, « perchè le lontane contrade luganesi potessero meglio commerciare con Milano», il Ducato andò a soqquadro.
Suo figlio Filippo Maria si accinse all'impresa di ricostituirlo. Aiutato dal più grande condottiero dell'epoca, il Conte di Carmagnola, si adoperò a riconquistare le regioni settentrionali del Ducato che erano venute in parte, in potere degli Svizzeri, come Bellinzona e le Valli Superiori, la Vallemaggia colla Verzasca, dopo che queste due valli, si erano date al Duca di Savoia per qualche anno (1411-1412), allo scopo di rendersi indipendenti dalla nobiltà locarnese e di avere giudice proprio a Cevio.
Tornarono alla soggezione volontariamente nel 1412, l'Onsernone, le Centovalli con Intragna per opera di un Orello e Brissago. Ma il rimanente dovette venir ripreso colla forza, il che avvenne con la vittoria detta di Arbedo (1422), in seguito alla quale i confini milanesi restarono fissati sullo spartiacque alpino. Seguì il giuramento di fedeltà, prestato dal comune di Bellinzona, dai nobili De Rusconi e dalle vicinanze della Leventina. II Duca nominò a podestà di Blenio Agostino di Schaffenati che l'aveva ritolta a Giovanni de Sacco, signore della Mesolcina.
Lugano venne eretta in contea nel 1416, con investitura feudale a Loterio Rusca, il quale rinunciava a Como
I rappresentanti dei cantoni che presero parte alla battaglia di Arbedo, le autorità cantonali, quelle della città di Bellinzona e di Arbedo, commemorarono il V centenario dello storico avvenimento, il 30 giugno 1922, collocando sulla facciata della Chiesa di S. Paolo, una lapide con la seguente epigrafe:
IL 30 GIUGNO 1422
SI CONTESE FIERAMENTE IN QUESTA CAMPAGNA
IL POSSESSO DI BELLINZONA
CHIAVE DEI PASSI ALPINI
FRA LE TRUPPE CONFEDERATE E L'ESERCITO LOMBARDO VINCITORE
DUCE IT. CARMAGNOLA IN MEMORIAM
1922
Giornico 28 dicembre 1478
al confine del Brenno, detto allora Biaschina, nel suo ramo superiore. Rimaneva ancora da regolare la quistione della sudditanza al Capitolo del Duomo di Milano, come alla donazione di Attone, vescovo di Vercelli (864) e dovendosi dipendere dalla Santa Sede, le cose andavano per le lunghe, così che i Leventinesi si trovavano, pur sempre, nell'incertezza cui sottostare, e dubbiosi circa il pagamento dei relativi tributi.
Il passaggio poi da uno stato all'altro, entro così breve e povero territorio, con alle spalle le Alpi, quasi impervie ed attraverso le quali erano difficili gli approvvigionamenti e collo sbocco della valle chiuso dal nuovo confine politico e doganale, non era stato convenientemente regolato, in modo che la Leventina potesse vivere, stroncata dal rimanente Ticino.
In quell'epoca le alte valli del Ticino si nutrivano specialmente del frutto del castagno, non essendo ancora conosciuta la patata. L'alta Leventina non produce tale albero e le sue selve castanili si trovano nella Riviera, ad Iragna, a Lodrino, a Claro, che facevano ancora parte di altro Stato, per di più ostile. Nacquero difficoltà per recarsi a raccogliere le castagne e per trasportarle nella valle e le relazioni tra le popolazioni, già poco amichevoli, si inasprirono crudelmente.
I Leventinesi possedevano diritti d'alpeggio nella Lavizzara (Campolatorba, da poco acquistato dagli Orelli di Locarno) in Valle di Blenio e su quel di Disentis e per accedere a detti alpi dovevano passare col bestiame sul territorio del Ducato di Milano, del quale faceva parte tutto il rimanente Ticino.
Il Duca poi, spinto dai Lavizzaresi e dai Conti Rusca, signori di Locarno e Valle Maggia, annullava la vendita di Campolatorba fatta da sudditi a stranieri e che poneva i Leventinesi e gli Urani in possesso delle sorgenti della Maggia, aprendo cosi ad essi la via di Locarno, senza dovere affrontare le fortificazioni di Bellinzona. Offriva tuttavia di rimborsare il prezzo della vendita sborsato
dai Leventinesi.
La testa della colonna milanese fu assalita dai Leventinesi in Giornico, appostati sulle balze del monte. Un drappello di Svizzeri uscito incontro ai Milanesi, si fermò a protezione del paese, tra il fiume ed i « Blocoi» (ossia sassi grossi) dove la valle si restringe alquanto e comincia a salire verso il villaggio. Il colpo di mano, che fu causa del disordine e del panico, fu inferto all'improvviso dai Leventinesi dal sentiero da Bodio a Sobrio.
Appena giunta in Leventina la notizia che il Duca annullava la vendita e nell'imminenza dell'inverno che avrebbe tra breve impedito l'accesso agli alpi per ritirarne i latticini, frutto della stagione, e col pericolo della fame, mancando le castagne e gli altri alimenti che i paesi alpestri devono ricavare dalla pianura, i Leventinesi impugnano le armi e scendono sino ad Iragna ed a Biasca, guidati dal capitano urano Andrea Beroldingen e dal Landvogto e coi loro capi i notari A Prò, di Prato-Leventina, landscriba e Giannetto da Giornico, rampollo dell'antico casato dominatore. Ad essi si uniscono i Bleniesi.
Seguono poi gli Urani ed i contingenti dei vari cantoni colle truppe e coi capitani istessi che avevano vinta la guerra contro Carlo il Temerario. Bellinzona viene assediata, dopo aperta una breccia nella Murata.
Milano prepara intanto il suo esercito alla riscossa, che raccolto a Varese e occupato Luino, Locarno, Domodossola, Chiavenna, il Jorio, ed avanzandosi per il Ceneri, minaccia di prendere a tanaglia gli Svizzeri sotto le mura di Bellinzona. Questi allora, levano frettolosamente il campo, lo incendiano e si rifugiano oltre il Gottardo a malgrado delle proteste dei Leventinesi che appoggiano alle mura di Bellinzona duecento scale per l'assalto. Gli svizzeri, ripassando le alpi perdono una trentina di soldati sotto le valanghe. Eravamo alla metà di dicembre. Rimangono in Leventina meno di duecento Confederati.
Contro la volontà dell'esercito milanese, e specialmente dei suoi condottieri, il Consiglio ducale decide l'avanzata nella Leventina. La neve era alta sil tutte le vie e l'inverno rigido. In due colonne l'esercito milanese, marciando sulle rive del Ticino, occupa Biasca per poi convergere da Pollegio sopra
Giornico, dove stavano i Leventinesi (600) ed i pochi Svizzeri.
Sappiamo ora dal Corio, attendibile storico contemporaneo, chè egli aveva proprietà nella Riviera, che, oltre alla cattiva disposizione delle truppe, influì sulla fuga, il getto di pietre eseguito dai Leventinesi dai punti più scoscesi delle loro montagne e probabilmente dal sentiero che da Bodio conduce a Sobrio, Cavagnago e Anzonico. Il piano del Ticino era coperto da un alto strato di neve. Possiamo figurarci così l'andamento della battaglia.
La dedizione volontaria di Bellinzona agli svizzeri - 14 aprile 1500
Ma non sarà un attacco ai castelli a far prendere ai Bellinzonesi la decisione di voltare le spalle ai Milanesi e di chiedere protezione agli Svizzeri.
Ludovico il Moro, il duca di Milano, era stato catturato dai Francesi di Luigi XII, i quali premevano da sud per ottenere il controllo di Bellinzona.
Presa in una giornata storica dell'anno 1500, quella decisione fu chiamata Atto di Benizione.
Per paura dei Francesi, i Bellinzonesi si consegnarono agli Svizzeri e restarono sotto la loro protezione per i successivi 300 anni. Il nemico, insomma, non veniva più dal nord.
La dedizione volontaria di Bellinzona agli svizzeri - 14 aprile 1500
Quattro giorni dopo che i Francesi avevano fatto prigioniero Ludovico il Moro a Novara, i Bellinzonesi si danno spontaneamente ai Confederati, con atto steso nella Chiesa dei Santi Pietro e Stefano.
La dedizione volontaria fu fatta ai rappresentanti di Uri, Svitto e Sottoselva, essendo gli altri Cantoni titubanti, per non avere difficoltà col Re di Francia Ludovico XII, la cui guarnigione di circa 1000 uomini era stata vinta e scacciata dai Bellinzonesi il 23 gennaio 1500.
Bellinzona, dopo la rivolta contro la Francia, si mantenne per qualche tempo quasi indipendente e le sue autorità agirono in nome e per volontà del popolo. La rivolta venne appoggiata dai Ghibellini luganesi. Anche Venezia cercava di persuadere i bellinzonesi a darsi ad essa, come già Bergamo. Temendo la vendetta della Francia - di cui avevano terribili esempi - e vedendo ormai sicura la fine del Ducato di Milano indipendente, i bellinzonesi rivolsero i loro occhi agli Svizzeri che occuparono la fortezza, con milizie leventinesi e bleniesi, sotto la guida di Andrea Beroldingen, d' Indergassen e del notaro Pedruzzi.
È certo però che i bellinzonesi rimasero ben presto quasi soli (alcune centinaia di Urani, 150 luganesi ed i valorosi abitanti) contro gli attacchi francesi, i quali cinsero, da Locarno, da Lugano e dal Jorio, con fiero blocco, il borgo ribelle affamandolo. I documenti sono unanimi nel constatare che la dedizione ebbe luogo per libera disposizione dei cittadini e col loro aiuto.
Gli atti relativi sono conservati nel Museo Civico e negli Archivi bellinzonesi e vennero stesi dal notaio bellinzonese Varrone e dal notaio leventinese Pietro de Pedruzzi da Quinto (Ronco), la cui presenza lascia supporre quella di milizie leventinesi che marciavano, del resto, sempre in prima linea.
I bellinzonesi ottennero la conferma ed il rispetto di tutte le loro precedenti franchigie e libertà. Ad un regime a tendenze democratiche subentrò più tardi una specie di oligarchia locale, come all'andazzo dei tempi.
Gli atti relativi sono conservati nel Museo Civico e negli Archivi bellinzonesi e vennero stesi dal notaio bellinzonese Varrone e dal notaio leventinese Pietro de Pedruzzi da Quinto (Ronco), la cui presenza lascia supporre quella di milizie leventinesi che marciavano, del resto, sempre in prima linea.
I bellinzonesi ottennero la conferma ed il rispetto di tutte le loro precedenti franchigie e libertà. Ad un regime a tendenze democratiche subentrò più tardi una specie di oligarchia locale, come all'andazzo dei tempi.
Il passaggio di Bellinzona ai Confederati provocò una feroce guerra di rappresaglia contro Locarno e contro Lugano, sia per vendicare il blocco sofferto, sia a scopo di occuparle. Sono specialmente degni di nota i combattimenti alla Fraccia (Murata, presso Tenero) e la rivolta della Vallemaggia contro i Francesi, la quale costrinse i difensori di Locarno alla fuga e segnò la caduta del dominio dei conti Rusca. Nel 1503 ha luogo la pace di Arona, con cui il re di Francia cede Bellinzona e le valli.
Infine, nel 1512-13 i Confederati, con milizie leventinesi, bleniesi, riverasche, bellinzonesi, occupano Locarno e Lugano, malgrado l'eroica resistenza dei Castelli. Quello di Lugano si arrese il 28 gennaio e quello di Locarno il 1° febbraio 1513, dopo 6 mesi di assedio.
Diebold Shilling, Battagha fra Confederati e Francesi davanti a Locarno, 1513
Tempera su pergamena dalla Luzerner Bilderchronik 1513, foglio 214 (Cat. 11.1.)
Nel 1516, colla Lega Perpetua, la Francia cede definitivamente le nostre terre che diventano i Baliaggi italiani. Nel 1522 Mendrisio e Balerna, spaventati dal sacco di Como, accettano spontaneamente il dominio dei Confederati.
Bene avrebbero fatto i dodici Cantoni se, imitando il modo d'agire dei Grigioni verso la Mesolcina, avessero accettate, già allora, nella Confederazione, le terre ticinesi a parità di diritti, tanto più che l'annessione era avvenuta non solo col consenso, ma colla battagliera cooperazione dei ticinesi ed in grazia del loro volere poté essere mantenuta anche dopo Marignano.
Dentro le mura
Le murate avevano perso la loro funzione, ma continuarono tuttavia a mantenere una stretta relazione con la cittadella medievale sottostante per tutta la durata del dominio svizzero. Dentro le mura, cosa significava allora vivere in quei secoli a Bellinzona senza più il pericolo da nord? La cintura muraria era diventata una solida barriera doganale per traffici sempre più fecondi e persino una barriera sanitaria per fermare le epidemie che potevano venire sia da sud che da nord.
Bellinzona era dotata anche di una rete di canali di scolo, cui ci si appellava per risolvere i problemi igienici. Confluivano dai quartieri maleodoranti, liquami di ogni sorta, che venivano alla bell e meglio scaricati nel fosso fuori le mura.

Castel Grande (o di Uri)
Si tenevano nel borgo orti e animali per la sopravvivenza in caso di assedio. Sui loggiati c'era di tutto: fieno, paglia e strame. Esisteva persino una zecca per coniare monete proprie, strumento vitale per una cittadina di frontiera.
Fiorino della Zecca di Bellinzona (1506-1508)
Coniata a Bellinzona, nella zecca gestita per alcuni anni (1503-1529) dai cantoni primitivi, per ordine del solo cantone di Svitto, è conosciuta per questo unico ed eccezionale esemplare esposto.
Si tratta di una «moneta di ostentazione», coniata in pochi esemplari, non destinata alla circolazione corrente, bensì a donativi cerimoniali o di protocollo, allo scopo di esaltare l'immagine del cantone emittente.
Più tardi, sotto l'influenza svizzera, arriveranno anche dei conventi. Se ne contavano dentro le mura e negli immediati dintorni, almeno cinque. Di questo convento benedettino oggi rimane solo la traccia della navata della chiesa situata nella coda da più antica, la via Codeburgo.
Non è un caso che qui si tenne il primo governo cantonale, perché molti dei beni religiosi furono incamerati dallo Stato a metà dell'Ottocento, così come del resto l'attuale governo ha sede in un ex-convento di suore. E qui un altro convento, appena fuori le mura, con la Chiesa della Madonna delle Grazie, bruciata nel 1996, con pitture di grande pregio, oggi splendidamente restituite. Il riferimento ai castelli sembra qui quasi d'obbligo anche per l'artista.
Tutto era di impronta lombarda: l'arte, l'architettura, le famiglie gentilizie, lo stile di vita, i commerci, la lingua. Tutti aspetti che in un modo o nell'altro perduravano anche dopo la dominazione svizzera. Le case che si affacciano sulla Piazza Collegiata ancora oggi si richiamano ai maestri della cultura italiana e alle diverse epoche che la rappresentano, sia nel decoro sia nelle raffigurazioni.

Di notevole interesse storico e artistico sono per esempio le tavole di soffitto esposte nel Museo di Castelgrande. La tecnica è quella della tempera su carta trasferita su legno, in uso proprio a Milano nel Quattrocento. Steli di famiglie patrizie si possono ancora notare sui frontespizi dei portoni delle antiche residenze. Altri sono conservati nei musei della città a testimonianza dei prestigi e poteri d'altri tempi.
Ritratti di Galeazzo Maria Sforza e Bona di Savoia, duchi di Milano (1466-1477)
I quadri di William Turner, l'artista britannico dell'Ottocento che ha reso fama alla città di Bellinzona con insolite vedute dei castelli, oggi conservate in celebri pinacoteche. Così come le numerosissime raffigurazioni dei castelli di Bellinzona riprodotti lungo i secoli in mille modi da artisti, viandanti, supervisori. Abbandonate all'incuria per secoli, le opere murarie cadute nel degrado, sono oggi riportate a un nuovo splendore, tanto da essere riconosciute nella lista dei patrimoni dell'UNESCO.

Guardando adesso avanti, non saranno più certo le ombre delle battaglie o delle alabarde che potranno contornare ancora queste strutture fortificate, ma piuttosto ombre e impronte di cultura nelle sue più svariate rappresentazioni che potranno così valorizzare al meglio uno straordinario patrimonio medievale.






















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