Ho un collega che si diverte vedermi indignare (per non dire altro) mentre utilizza l'appellativo di "vassoi mal riusciti" riferendosi alle rotelle della battaglia di Giornico.
Numerosi contingenti armati valicano così le Alpi per portare il loro supporto agli Urani, in ossequio ai patti di alleanza, e sotto la guida di personalità di spicco quali lo zurighese Hans Waldmann, il bernese Adrian von Bubenberg o l'urano Andreas von Beroldingen, alla fine del mese prende corpo un esercito cospicuo, capace di porre sotto assedio il borgo, di superare le mura e di accamparsi poi al di fuori della cinta difensiva.' Si ha allora notizia di scontri con i difensori asserragliati, di alcune vittime e di ripetute scorribande inoltratesi nella Valle Morobbia, nel Locarnese e nel Luganese. In questa fase del confronto i furti e i saccheggi sono motivati, almeno in parte, anche dalle necessità di sostentare la grande quantità di persone scese in campo, ormai da tempo lontane dai propri paesi
Il bottino assume quindi diversi tipi di valori: quello materiale, quello di piacere o quello di prestigio. Solitamente le bandiere rappresentano l'obiettivo massimo, conquistata la bandiera é come conquistare tutto l'esercito nemico, rubargli l’anima.
Se le bandiere rappresentano i simboli più espliciti dell'identità degli avversari stessi, le rotelle prese ai lombardi nelle circostanze particolari di Giornico possono senza dubbio esservi paragonate. È possibile che in battaglia siano state portate dai capitani a cavallo a mo' di vessilli, per risultare ben visibili ai propri soldati, e che l'assimilazione agli occhi degli avversari sia stata perciò immediata; in ogni caso, per l'interesse nei loro confronti non è tanto decisiva la funzione pratica quale strumenti di difesa personale, né il valore venale, e neppure il contenuto tecnologico - invero assai scarsi - quanto piuttosto i motivi delle decorazioni dipinte. Le rotelle portano in bella evidenza ritratti, imprese e stemmi, alcuni dei quali costituiscono dei rinvii chiaramente comprensibili alle figure dei nemici stessi. Vi si leggono infatti le insegne di diverse famiglie della nobiltà milanese e lombarda: fra tutti, spicca uno scudo su cui campeggia lo stemma inquartato con l'aquila imperiale e il biscione visconteo, appartenente al duca Gian Galeazzo Maria Sforza.
Cambin assegna invece alle rotelle una diversa funzione: esse sarebbero servite quale segno distintivo dei diversi gruppi di militi dell'esercito milanese, portate da capitani a cavallo in modo da essere viste e riconosciute da lontano. In questo senso si spiegherebbe la decorazione con elementi araldici delle famiglie nobiliari, con simboli ducali, con motti e con imprese significative per chi le portava. Si tratterebbe dunque di vessilli che marcavano l'individualità dei singoli gruppi armati, e in quanto tali si sarebbero inseriti in una tradizione all'epoca ben codificata. Questa lettura è stata sostenuta anche da Gigliola Soldi Rondinini, che sottolinea inoltre come nel sistema militare del tempo ciascun condottiero levasse truppe da lui direttamente gestite «con carattere talvolta di impresa familiare in forma spesso dinastica
Nel caso di Giornico sono diverse le rotelle trovate sul campo di battaglia.
Questi cimeli rappresentano una testimonianza, forse l'unica concreta, del più grande successo militare da parte dei ticinesi, anzi meglio ancora, dei leventinesi e di conseguenza di tutto il Ticino, nella storia.
IMPRESA DEL GUERRIERO GRECO
L'impresa rappresenta, come indica la bordura caricata del motto AIAX TELAMONVS, l'eroe greco Aiace, vestito di un saione rosso e ferito da una spada conficcata sotto l'ascella.
L'impresa intende richiamare, riferendosi alla leggenda greca di Aiace, il nobile proposito di vincere le proprie passioni. Non risulta che tra gli emblemi viscontei o sforzeschi figurasse il guerriero greco: l'emblema dovette appartenere ad un'altra famiglia o ad un altro personaggio, designato probabilmente dalla lettera G dipinta sulla rotella.
Soletta, Museo del Vecchio Arsenale.
Preambolo
Siamo nel 1478, si sono appena concluse le battaglie di Morat e Nancy, l'esercito Svizzero é nella suo momento di massimo splendore, il valore e l'efficacia delle tecniche da combattimento adottati dai Waldstätten iniziano a far parlare tutta l'Europa.
La spedizione transalpina avviata nell'autunno 1478 dagli Urani, decisi ad approfittare delle difficoltà in cui versa il ducato di Milano per estendere il controllo sulle valli superiori ticinesi e per acquisire definitivamente la signoria sulla valle Leventina, è sostenuta inizialmente da gruppi di Leventinesi e di liberi combattenti svizzeri (i «frilli» ricordati con timore nei documenti dell'epoca), attratti in buona misura dalla prospettiva di fare bottino personale nei villaggi rivieraschi, nelle campagne e anche nel borgo di Bellinzona.
Il 19 novembre le truppe urane entrano nel primo villaggio situato oltre i confini leventinesi, Iragna, e come d'uso impongono agli abitanti una sorta di tributo in cambio della protezione contro l'incendio delle loro abitazioni. "
Solo più tardi, e dopo molte ritrosie, gli altri membri della Lega confederata acconsentono alle sollecitazioni di Uri e degli inviati del papa Sisto IV, a sua volta interessato a servirsi degli Svizzeri per indebolire il ducato sforzesco, e per questo prodigo di promesse riguardo alla stipulazione di nuove alleanze e all'elargizione di grandi somme di denaro.
Numerosi contingenti armati valicano così le Alpi per portare il loro supporto agli Urani, in ossequio ai patti di alleanza, e sotto la guida di personalità di spicco quali lo zurighese Hans Waldmann, il bernese Adrian von Bubenberg o l'urano Andreas von Beroldingen, alla fine del mese prende corpo un esercito cospicuo, capace di porre sotto assedio il borgo, di superare le mura e di accamparsi poi al di fuori della cinta difensiva.' Si ha allora notizia di scontri con i difensori asserragliati, di alcune vittime e di ripetute scorribande inoltratesi nella Valle Morobbia, nel Locarnese e nel Luganese. In questa fase del confronto i furti e i saccheggi sono motivati, almeno in parte, anche dalle necessità di sostentare la grande quantità di persone scese in campo, ormai da tempo lontane dai propri paesi
Al profilarsi dell'arrivo dell'esercito milanese preferiscono gli svizzeri preferiscono levare le tende e rifugiarsi a nord dalle alpi. Unica terra a sud ufficialmente svizzera, anzi urana, é il baliaggio di Leventina. Gli svizzeri quindi si limitano a lasciare 125 (!) soldati a presidiare Giornico mentre il grosso delle truppe varca il Gottardo.
Malgrado la stagione avversa (fine dicembre) e il consiglio dei comandanti milanesi da Milano viene ordinato l'inseguimento. Gli Svizzeri devono ricevere una punizione!
A Bellinzona, come in molte altre località, la conta dei danni provocati dagli Svizzeri si accompagna al timore che i soldati milanesi possano causare altrettante sventure; l'invio del comandante Marsilio Torelli, degli altri condottieri e dell'esercito verso la Leventina per infliggere una punizione ai valligiani e ai loro protettori d'oltralpe è di certo accolto con sollievo da molti anche per questo motivo.
La battaglia
Come spesso accade gli svizzeri applicano una trappola approfittando della morfologia del territorio. Una classica valanga di detriti composta da sassi e alberi é quello che ci vuole per bloccare l'esercito milanese.
La battaglia dipinta dal Cassina
Così i prodi 400 leventinesi (+ i 175 Svizzeri) elaborano un piano: fanno esondare le acque del Ticino in modo che il terreno ghiacci durante la notte. In questo modo l'esercito milanese si vede costretto ad avanzare in Leventina in un unica colonna ed affrontare una strettoia forzata in uscita da Bodio verso le campagne di Giornico, una località ancora oggi chiamata "sassi grossi".
Segue attacco a sorpresa dall'alto, smarrimento delle truppe milanesi che non ci pensano due volte a ritirarsi, (truppe a dir il vero poco motivate) sempre che non finiscano seppellite dalla valanga di detriti leventinese o annegati nel fiume (ulteriori dettagli qui)
Aldo Patocchi, La battaglia di Giornico,1948.
L'immagine della battaglia, realizzata su commissione si inserisce nella serie dei 252 cartelloni didattici destinati agli insegnanti della Svizzera, che la casa editrice Ingold Verlag pubblicò tra il 1936 e il 1995. Il suo utilizzo scolastico si deduce da alcuni dettagli quali le bandiere, che rappresentano i tre corpi militari, la neve, che rimanda al periodo invernale, e la dinamica schematizzata dello scontro.
Bottini di guerra
Il bottino di guerra può essere costituito da elementi molto etereogenei: dai cannoni ai cavalli, dalle donne alle bandiere, dal tesoro alle stoffe pregiate per finire con prigionieri da trattare poi come merce di scambio
Le truppe confederate saccheggiano l'accampamento abbandonato da Carlo il Temerario davanti a Grandson. Miniatura contenuta nell'Amtliche Berner Chronik (1483) di Diebold Schilling (Burgerbibliothek Bern).
Il cronachista, dopo aver narrato le diverse fasi della battaglia di Grandson nel marzo 1476, descrive come le truppe confederate si siano impadronite dell'accampamento abbandonato dai nemici, trovando cibo e bevande in quantità e «tutto quanto si può immaginare» da parte di chi mira a un ricco bottino.
Tutt'altro tipo di bottino stanno per aggiudicarsi questi soldati nella battaglia di Morat
(Panorama di Morat)
Il bottino di Giornico
Nel caso di Giornico i milanesi in fuga non hanno lasciato alcun vessillo. L'unico oggetto che assume un valore simbolico di questa eclatante vittoria sono le rotelle: piccoli scudi di legno la cui vera funzionalità é soggetta a varie ipotesi.Dalle lettere con cui le autorità di Uri annunciano la vittoria, scritte due giorni più tardi agli alleati di San Gallo, Glarona e Sciaffusa, traspare l'orgoglio per aver preso «un buon numero di colubrine, archibugi, schioppi, soprattutto molte corazze e armi, e inoltre tutti i loro averi, e anche sedici nobiluomini ben conosciuti». Anche un messo di Friburgo si affretta a rientrare in patria, per riferire al consiglio cittadino che i vincitori hanno preso 600 pezzi d'artiglieria." Il tono encomiastico, ovviamente, traborda anche dalla canzone che Hans Viol, a suo dire presente sul posto, compone poco tempo dopo, elencando «molti archibugi pesanti, trecento schioppi, cinquecento o più balestre» e aggiungendovi anche «molti muli e bei cavalli» lasciati dai milanesi.
Dal resoconto degli avvenimenti fatto agli ambasciatori confederati riuniti a Lucerna nella dieta del 14 gennaio 1479, registrato solo in forma compendiata, si apprende poi che oltre alle armi, ai cavalli e ai muli si sono messe le mani anche sulle provviste e sui denari che gli avversari portavano con sé. Sono gli stessi elementi su cui si concentrano diverse cronache confederate composte negli anni seguenti.
Le rotelle di Giornico
Diebold Schilling il vecchio, nella rielaborazione della sua Cronaca di Berna donata nel 1483 al consiglio cittadino, precisa che nei carri sottratti si sono trovate «vettovaglie, corazze, indumenti e altre cose», mentre l'omonimo nipote, che conclude la Cronaca dei Confederati entro il 1513, è il solo a nominare esplicitamente anche gli scudi dei nemici, e li fa rappresentare in maniera ben visibile nell'illustrazione che integra il testo dedicato allo scontro.
Pur turbati dalla concitazione generale, i comandanti milanesi riescono a riportare con sé i loro vessilli, che in effetti non compaiono in nessuna delle testimonianze coeve sul bottino. É un particolare non irrilevante, perché strappare la bandiera ai nemici è ritenuto uno degli atti che conferiscono il più grande onore militare ai combattenti, e proprio tali trofei sono i più gelosamente conservati.
Se le bandiere rappresentano i simboli più espliciti dell'identità degli avversari stessi, le rotelle prese ai lombardi nelle circostanze particolari di Giornico possono senza dubbio esservi paragonate. È possibile che in battaglia siano state portate dai capitani a cavallo a mo' di vessilli, per risultare ben visibili ai propri soldati, e che l'assimilazione agli occhi degli avversari sia stata perciò immediata; in ogni caso, per l'interesse nei loro confronti non è tanto decisiva la funzione pratica quale strumenti di difesa personale, né il valore venale, e neppure il contenuto tecnologico - invero assai scarsi - quanto piuttosto i motivi delle decorazioni dipinte. Le rotelle portano in bella evidenza ritratti, imprese e stemmi, alcuni dei quali costituiscono dei rinvii chiaramente comprensibili alle figure dei nemici stessi. Vi si leggono infatti le insegne di diverse famiglie della nobiltà milanese e lombarda: fra tutti, spicca uno scudo su cui campeggia lo stemma inquartato con l'aquila imperiale e il biscione visconteo, appartenente al duca Gian Galeazzo Maria Sforza.
Bottega lombarda, Frontale del cassone detto «dei tre duchi», 1480-1494.
Il cassone fu realizzato probabilmente per una famiglia della nobiltà lombarda legata alla corte ducale.
Sul frontale dipinto si riconoscono le figure a cavallo di Galeazzo Maria e di Gian Galeazzo Maria Sforza, duchi di Milano, e di Ludovico il Moro, qualificato come duca di Bari, accompagnati da alcuni scudieri armati di lancia e rotella. Gli scudi tondi, di cui è mostrata solo la parte interna, sono simili a quelli recuperati a Giornico.
In genere, la conquista di rappresentazioni araldiche è ritenuta valorosa di per sé stessa, e per questo anche in altre occasioni i Confederati hanno cura di prendere tutti gli oggetti su cui sono apposte: ad esempio le prede delle guerre di Borgogna comprendono diversi pavesi sottratti ai combattenti e alcune tende da campo appartenute al seguito di Carlo il Temerario, le cui stoffe non vengono reimpiegate per la funzione originaria o per altri usi pratici, bensì sono esposte pubblicamente proprio per mettere in mostra gli stemmi. Le rotelle sforzesche, dunque, sono ben più che semplici surrogati delle bandiere non conquistate.
Bottino delle guerre di Borgogna presso il castello di Gruyere (FR)
Diversi pezzi presi sul campo a Giornico rimangono in Leventina, e alcuni sono esposti sulle pareti della parrocchiale di Quinto, forse insieme ad altri trofei di guerra.
Borromeo e le rotelle
Gli scudi danno una rappresentazione tangibile dell'onore acquistato dalle comunita locali tramite la partecipazione agli eventi bellici, e inoltre rinforzano attraverso la loro materialità la celebrazione liturgica del fatto d'armi, ripetuta ogni anno nelle stesse chiese in occasione dell'anniversario e fissata per iscritto nei cosiddetti «martirologi». Si tratta di una forma di memoria collettiva complessa e palesemente molto efficace; anche per questo si scontra nella seconda metà del Cinquecento con la disapprovazione di Carlo Borromeo, il quale rileva come la presenza di oggetti del genere strida con il carattere sacro delle chiese, e in occasione di una visita pastorale nella valle ne ordina la rimozione.
Il monito dell'arcivescovo ambrosiano al rispetto delle norme tridentine provoca però la ferma reazione negativa di una parte consistente della comunità locale e delle stesse autorità di Uri, per le quali onorare il ricordo dell'evento bellico implica anche rammentare il distacco della valle proprio dall'appartenenza al ducato di Milano.
A distanza di quasi un secolo da 1478, dunque, nei momenti in cui si prospetta una modifica profonda dei rapporti d potere sul piano regionale, gli oggetti esprimono tutto il loro potenziale di portator della memoria collettiva locale, assumendo una forte valenza politica.
Dopo lo spostamento dalle chiese, avvenuto peraltro in momenti non precisabili la dimensione comunitaria di tali richiami al 1478 pare poi scomparire.
Dopo lo spostamento dalle chiese, avvenuto peraltro in momenti non precisabili la dimensione comunitaria di tali richiami al 1478 pare poi scomparire.
Ipotesi sulla funzione delle rotelle
La funzione delle rotelle in seno all'esercito sforzesco non è ancora stata chiarita definitivamente. Per le decorazioni che recano, talvolta è stato ascritto loro un uso limitato all'ambito dei tornei. Tale ipotesi, come nota Gastone Cambin, può tuttavia essere refutata grazie alle rotelle della battaglia di Giornico, che furono bottino di guerra. La presenza di stemmi, insegne e motti ha indotto altri a interpretarle quali strumenti difensivi dei combattenti di rango elevato. Però, in quel periodo lo scudo tondo stava per essere abbandonato dai cavalieri a causa della diffusione delle armature in metallo.
Questo tipo di difesa potrebbe essere rimasto in uso per i fanti, tuttavia la decorazione pare poco conforme alla semplice posizione del soldato a piedi. Volendo affidarsi alla testimonianza delle immagini coeve, la miniatura sulla battaglia di Giornico nella Cronaca dei Confederati di Diebold Schilling il giovane mostra tre rotelle imbracciate da cavalieri.
Le truppe milanesi respinte dai Confederati; una scena della battaglia del 28.12.1478 immaginata dall'illustratore della Luzerner Chronik (1513) di Diebold Schilling (Zentral- und Hochschulbibliothek Luzern, Sondersammlung, Eigentum Korporation Luzern).
I soldati milanesi, con il vessillo del duca a destra, sono raffigurati in primo piano armati di scimitarre e di scudi decorati, le famose rotelle; la guarnigione confederata, meno numerosa, è radunata presso le case di Giornico, rappresentato in forma più simbolica che realistica.
Raccolte venivano poi appese nelle chiese, questo almeno fino al giungere in valle di Carlo Borromeo che inorridito le fece togliere
La maggior parte delle rotelle sono esposte al museo di storia di Lucerna. Sono appese a parete lungo la scala tra il primo e il secondo piano, come si appendono le pentole in rame sulle scale a casa della nonna.
"Le scrivo in merito ai 12 scudi presenti (foto allegata). Da quel che ho potuto dedurre provengono tutti dalla battaglia di Giornico combattuta nel dicembre
Lo scudo rotondo è in legno e rivestito esternamente di cuoio dipinto. All'interno, ricoperto da tre pezzi di pergamena uniti insieme, sono visibili i resti della cinghia del braccio e dell'impugnatura. In tempi successivi, lo scudo fu rinforzato da una tavola di legno fissata con otto chiodi. La pittura esterna è ben conservata. Il fondo verde scuro è delimitato da una fascia rossa e da un bordo dorato interrotto da incisioni nere a forma di "becco di flauto". Questo fondo reca uno scudo da cui emergono dei raggi. Esso mostra un quadrato di rosso e oro, coperto alla base da un setaccio dorato, sotto una testa di scudo dorata, all'interno della quale si trova un'aquila nera (testa di scudo "imperiale"). Sotto lo scudo c'è un drappo giallo con il motto "OL SE PESTA MOR[...] DOLCE FORTE CHI VOLE HONORE NON STEMA LA MORTE". La prima parte di questo detto non è traducibile in modo attendibile - anche a causa della lettura incerta - la seconda significa "chi vuole [acquisire] onore non teme la morte". Sul lato sinistro araldico dello scudo è dipinto un secondo stemma, più piccolo, circondato da raggi d'oro.
Lo stemma con il crivello è quello di una linea della casata dei Crivelli. Questa famiglia apparteneva alla nobiltà milanese. La testa "imperiale" dello scudo potrebbe indicare l'appartenenza al partito ghibellino. Il secondo scudo, di piccole dimensioni, rappresenta lo stemma dei Pietrasanta. Essi furono infeudati nel 1477 da Gian Galeazzo Sforza (20.06.1469-21.10.1494) con vari domini ed erano vicini alla casa ducale.
Lo scudo è un bottino della battaglia di Giornico del 28.12.1478, in cui una guardia valligiana confederata e seicento valligiani leventinesi misero in fuga uno strapotente esercito milanese. Zugo ricevette lo scudo in dono da Lucerna. Sebbene non vi sia traccia di un contingente di Zugo nella battaglia, il dono potrebbe indicare la partecipazione di una piccola banda di Zugo.
Al centro della rotella è raffigurata l'impresa del velo annodato, detto «Capitergium cum gassa», il cui tessuto è decorato con l'impresa del fasciato ondato. Il velo racchiude un viso di luna ed è sormontato da uno scudetto con il biscione visconteo rivolto. Il campo della rotella è seminato da semicerchi scintillanti, mentre la bordura ripete il fasciato ondato.
Il «Capitergium cum gassa» è un emblema della dignità ducale conferita nel 1395 da re Venceslao IV a Gian Galeazzo Visconti. Altri simboli sulla rotella richiamano la casa ducale: il fasciato ondato, lo scudo col biscione, il viso di luna (impresa viscontea, che però non ricorre mai all'interno del velo) e i raggi scintillanti che si ricollegano ai vari fiammanti, primo fra tutti la «Radia Magna», presenti nell'araldica viscontea.
La rotella porta il celebre stemma visconteo-sforzesco dell'inquartato con l'aquila e il biscione, cimato da una corona. Lo scudo è affiancato dalle iniziali IO-GA e da due rami.
Questa rotella si riferisce, come indicano le iniziali, a Gian Galeazzo Sforza, IV duca di Milano (1476-1494), ma gli emblemi riportati erano applicati già da tempo dai Visconti. L'inquartato risale al conferimento del vicariato imperiale ad Azzone Visconti (1329), mentre la corona ducale e i due rami (in origine di palma e di ulivo o di alloro) costituiscono una impresa, detta dei «piumai», concessa da re Alfonso I d'Aragona a Filippo Maria Visconti.
Lo scudo reca casco, cimiero e lambrecchini: l'arma è d'oro con l'aquila in nero coronata, mentre il cimiero, una cuffia bianca con fasce rosse verticali, è cimato da un gallo, impresa viscontea applicata in segno di fedeltà al ducato; la bordura è decorata con motivo «a tacche di piffero».
Il retro della rotella reca ancora il cuscino, mentre le cinghie sembrano posticce; il rivestimento in pelle è formato da almeno due pezze, e quella frontale è fissata sul retro lungo i bordi con chiodi.
Il leone di S. Marco, alato e diademato, posto in maestà e tenente il Vangelo tra le zampe anteriori, è il simbolo dela città di Venezia. Esso testimonia la presenza tra i militi che combatterono a Giornico di soldati veneziani al sen zio, come attesta la bordura della rotella che porta gli scaglioni viscontei, dei signori di Milano. Il Vangeloè chis, mentre normalmente viene raffigurato aperto, poichè l'emblema dipinto sulla rotella era destinato ad un impiego bellico.
Lo «Jesus» è un'impresa della famiglia Trivulzio, composta da una croce patente iscritta in un cerchio che emette otto raggi ondati (sulla rotella dodici). Fu concesso da Papa Alessandro V ad Ambrogio Trivulzio nel 1409.
L'importanza di questa rotella sta nel fatto che è il primo esempio conosciuto di «Jesus» impiegato come mobile principale dello scudo, in modo da costituire uno stemma araldicamente puro.
Sulla rotella l'impresa è accompagnata dal motto DOMINVS CVSTODIAT INTROITVM TVVM ET EXITVM TVVM (Il Signore custodisca il tuo ingresso e la tua uscita)
Questo gruppo di rotelle porta un inquartato: al I e IV d'oro alla fascia di rosso carica del motto BENE VIVERI ET LETARI (su alcune rotelle la fascia manca), al II e III fasciato ondato d'argento e di azzurro. L'inquartato, araldica-mente perfetto, è il risultato dell'accostamento dell'impresa visconteo-sforzesca del fasciato ondato con uno stemma attribuibile ai Sanseverino. La bordura porta una nebulosa d'argento.
Il fasciato ondato è un'impresa degli Sforza assai diffusa anche come figura araldica vera e propria. Si ritrova su parecchi monumenti e fu portata, ad esempio, da Francesco Sforza sulle proprie vesti. E' anche l'insegna più ricorrente nelle rotelle di Giornico, sia inquartata che combinata con altri elementi.
In queste rotelle il fasciato ondato è affiancato, nella bordura, dall'impresa sforzesca del nuvoloso, che deriva dalle nuvole araldiche.
Lo stemma con la fascia rossa su un fondo d'oro è da attribuire probabilmente ai Sanseverino, famiglia apparentata ai duchi di Milano che portava un'arma d'argento alla fascia di rosso. Il motto per contro appartiene alla famiglia dei Viti, ed è probabile che esso sia stato aggiunto allo stemma Sanseverino da un successivo titolare.
12 rotelle originali presenti nel museo di Storia di Lucerna. Riconoscibili nelle descrizioni seguenti (dall'alto a sinistra nel senso di lettura)
Corrispondenza con il museo di Lucerna
La domanda nasce spontanea: malgrado la forte prevalenza di leve rimedi nei fatti di Giornico del 28.12.1478 come si spiega la grande maggioranza delle rotelle si trovano a Lucerna che ha avuto un ruolo secondario?
Niente di meglio che chiederlo direttamente al museo storico di Lucerna, più precisamente alla direttrice come mi é stato indicato dai collaboratori al museo di Lucerna
(…) Malgrado il sacrifico e il merito dei miei conterranei il bottino di guerra (rappresentato per la parte più simbolica dagli scudi) sono andati a finire dopo varie peripezie ben lontani dalla Leventina.
(...) Lei sa se esistono altri scudi oltre a quello presente in Leventina e a quelli da voi esposti?
Scusi se mi permetto, ma non crede che qualche scudo dovrebbe rientrare verso i luoghi in cui si sono svolti questi fatti?
Non le nego che questi avvenimenti del 1478 sono fattore di orgoglio per tutta la valle e il Ticino intero.
A questo punto passa più di un anno per avere risposta, il libro di Machiavelli mi viene utile e dopo una "forzatura" riesco finalmente ad avere risposta
Egregio Signor Degiorgi,
Grazie per la Sua richiesta e l’interesse per le "Rotelle Milanesi" che ha visto da noi al Museo storico di Lucerna. La prego di scusare la mia risposta tardiva.
Questo non giustifica tuttavia in alcun modo la Sua minaccia e le offese verso la mia persona.
Le rispondo comunque volentieri. Le “Rotelle Milanesi" sono di proprietà del Canton Lucerna. Lei chiede pure informazioni su altri oggetti simili. Una descrizione molto esauriente si trova nel libro "Le Rotelle Milanesi" di Gastone Cambin, che forse già conosce. Uno degli scudi sembra essere proprietà del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
È evidente un legame molto stretto ed emotivo da parte Sua con questo periodo di storia della Leventina. Nella nostra esposizione mostriamo le “Rotelle Milanesi” da una prospettiva storica più imparziale. Saremmo tuttavia molto interessati al Suo punto di vista. Avrebbe tempo e voglia di parlarci attraverso un'intervista della sua attuale visione degli scudi e sul loro significato?
Come appassionato di storia capirà che non possiamo prestare oggetti storici a privati. Ho quindi contattato il Museo di Leventina e chiesto alla direttrice, signora Diana Tenconi, se fosse interessata ad una collaborazione.
Spero di aver risposto a tutte le Sue domande.
Cordiali saluti
(...) Lei sa se esistono altri scudi oltre a quello presente in Leventina e a quelli da voi esposti?
Scusi se mi permetto, ma non crede che qualche scudo dovrebbe rientrare verso i luoghi in cui si sono svolti questi fatti?
Non le nego che questi avvenimenti del 1478 sono fattore di orgoglio per tutta la valle e il Ticino intero.
A questo punto passa più di un anno per avere risposta, il libro di Machiavelli mi viene utile e dopo una "forzatura" riesco finalmente ad avere risposta
Egregio Signor Degiorgi,
Grazie per la Sua richiesta e l’interesse per le "Rotelle Milanesi" che ha visto da noi al Museo storico di Lucerna. La prego di scusare la mia risposta tardiva.
Questo non giustifica tuttavia in alcun modo la Sua minaccia e le offese verso la mia persona.
Le rispondo comunque volentieri. Le “Rotelle Milanesi" sono di proprietà del Canton Lucerna. Lei chiede pure informazioni su altri oggetti simili. Una descrizione molto esauriente si trova nel libro "Le Rotelle Milanesi" di Gastone Cambin, che forse già conosce. Uno degli scudi sembra essere proprietà del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
È evidente un legame molto stretto ed emotivo da parte Sua con questo periodo di storia della Leventina. Nella nostra esposizione mostriamo le “Rotelle Milanesi” da una prospettiva storica più imparziale. Saremmo tuttavia molto interessati al Suo punto di vista. Avrebbe tempo e voglia di parlarci attraverso un'intervista della sua attuale visione degli scudi e sul loro significato?
Come appassionato di storia capirà che non possiamo prestare oggetti storici a privati. Ho quindi contattato il Museo di Leventina e chiesto alla direttrice, signora Diana Tenconi, se fosse interessata ad una collaborazione.
Spero di aver risposto a tutte le Sue domande.
Cordiali saluti
Una rotella in Leventina.
La rotella menzionata nella corrispondenza con la direttrice del museo storico di Lucerna si tratta della rotella dei Crivelli.
Normalmente é esposta al museo di Zugo ma é stata poi prestata per un periodo é stata prestata al Museo di Leventina
scudo rotondo milanese della battaglia di Giornico.
Lo stemma con il crivello è quello di una linea della casata dei Crivelli. Questa famiglia apparteneva alla nobiltà milanese. La testa "imperiale" dello scudo potrebbe indicare l'appartenenza al partito ghibellino. Il secondo scudo, di piccole dimensioni, rappresenta lo stemma dei Pietrasanta. Essi furono infeudati nel 1477 da Gian Galeazzo Sforza (20.06.1469-21.10.1494) con vari domini ed erano vicini alla casa ducale.
Lo scudo è un bottino della battaglia di Giornico del 28.12.1478, in cui una guardia valligiana confederata e seicento valligiani leventinesi misero in fuga uno strapotente esercito milanese. Zugo ricevette lo scudo in dono da Lucerna. Sebbene non vi sia traccia di un contingente di Zugo nella battaglia, il dono potrebbe indicare la partecipazione di una piccola banda di Zugo.
Lo scudo è attualmente esposto al Museo Burg Zug (1° piano, torre, tema della guerra).
Le 12 rotelle esposte al museo storico di Lucerna
1. IMPRESA DEL «CAPITERGIUM CUM GASSA»
Al centro della rotella è raffigurata l'impresa del velo annodato, detto «Capitergium cum gassa», il cui tessuto è decorato con l'impresa del fasciato ondato. Il velo racchiude un viso di luna ed è sormontato da uno scudetto con il biscione visconteo rivolto. Il campo della rotella è seminato da semicerchi scintillanti, mentre la bordura ripete il fasciato ondato.
Il «Capitergium cum gassa» è un emblema della dignità ducale conferita nel 1395 da re Venceslao IV a Gian Galeazzo Visconti. Altri simboli sulla rotella richiamano la casa ducale: il fasciato ondato, lo scudo col biscione, il viso di luna (impresa viscontea, che però non ricorre mai all'interno del velo) e i raggi scintillanti che si ricollegano ai vari fiammanti, primo fra tutti la «Radia Magna», presenti nell'araldica viscontea.
2.AQUILA SOSTENUTA DA UN MONTE
Su un fondo giallo (bianco?) è dipinta una grande aquila nera, al volo abbassato, linguata di rosso e sostenuta da un monte.
L'aquila è un simbolo ricorrente in araldica, ed è difficilmente riconducibile ad uno stemma specifico.
Come emblema indicava maestà e vittoria ed era il simbolo della dignità imperiale o del potere sovrano. Col passare del tempo assunse però molti altri significati e venne applicata arbitrariamente, senza più alcuna relazione col potere imperiale.
L'aquila è un simbolo ricorrente in araldica, ed è difficilmente riconducibile ad uno stemma specifico.
Come emblema indicava maestà e vittoria ed era il simbolo della dignità imperiale o del potere sovrano. Col passare del tempo assunse però molti altri significati e venne applicata arbitrariamente, senza più alcuna relazione col potere imperiale.
3. STEMMA COTTA
Cotta - vifurono parecchi Cotta anchge uomini d'arme in quel tempo: qui si trova lo smalto azzurro o rosso. Un Cotta er nel settembre con truppe a Domodossola
(Maletta, ha i bordi ornati, fondo azzurro. Un Francesco Maletta comandava - 4 dicembre - tuttavia a Lugano: era consigliere ducale. Camiosani - fondo azzurro - ma é famiglia meno nota. Sui COtta in relazione con gli svizzeri, vedi "COme il Ticino venne in potere agli svizzeri" (Eligio Pometta) Vol II, pag. 88, 92, 93, 97. Occupazione di Luino del 1513. La Val Marchirolo - Val Cuvia - erano feudi dei Cotta
Questa rotella è assai simile, nell'aspetto stilistico, a quella recante l'arma Pusterla (R. VI.1.). Lo stemma parlante della famiglia Cotta, una cotta bianca su fondo nero, è completata da casco, cimiero e lambrecchini.
La figura del cimiero è un'antica impresa, leggermente modificata, della famiglia Trivulzio. Nella figurazione originale rappresenta una sirena che tiene un anello con diamante in una mano e una lima spezzata nell'altra. I Trivul-zio concessero, come in questo caso, l'impresa ad altre famiglie a loro sottoposte.
La bordura della rotella porta otto volte l'inquartato di rosso e d'un fasciato ondato d'argento e d'azzurro, e indica un legame dei Cotta anche con la casa ducale milanese.
La bordura della rotella porta otto volte l'inquartato di rosso e d'un fasciato ondato d'argento e d'azzurro, e indica un legame dei Cotta anche con la casa ducale milanese.
4. IMPRESA DEL CUORE E DEL CINGHIALE
Una coppia di giovani, posti l'uno di fronte all'altro, hanno una mano levata come promessa d'amore e di fedeltà.
Il giovane inoltre reca nella mano destra un cuore. Nel cielo, sopra di essi, vi è una testa di cinghiale con la lingua stretta in un morso, e con accanto un crescente.
Il cuore è simbolo della promessa d'amore, e fu un'impresa cara alla casa sforzesca dove sembra alludesse alle nozze di Galeazzo Maria con Bona di Savoia. Anche la luna ed il morso furono imprese diffuse nella casa ducale. Il morso, che in genere era accompagnato dal motto ICH VERGIES NIT, era già applicato da Gian Galeazzo Visconti.
La testa di cinghiale, riconoscibile perchè possiede gli attributi araldici delle zanne, potrebbe alludere alla «scrofa mediolanea», l'antico emblema della città di Milano.
Il giovane inoltre reca nella mano destra un cuore. Nel cielo, sopra di essi, vi è una testa di cinghiale con la lingua stretta in un morso, e con accanto un crescente.
Il cuore è simbolo della promessa d'amore, e fu un'impresa cara alla casa sforzesca dove sembra alludesse alle nozze di Galeazzo Maria con Bona di Savoia. Anche la luna ed il morso furono imprese diffuse nella casa ducale. Il morso, che in genere era accompagnato dal motto ICH VERGIES NIT, era già applicato da Gian Galeazzo Visconti.
La testa di cinghiale, riconoscibile perchè possiede gli attributi araldici delle zanne, potrebbe alludere alla «scrofa mediolanea», l'antico emblema della città di Milano.
5. GENTILUOMO CON BERRETTA
Ritratto a mezza figura di un giovane, volto a tre quarti, circondato da un corona d'alloro. Il volto è stato in parte ridipinto in epoca posteriore.
Può trattarsi della raffigurazione di un personaggio appartenente alla casa ducale milanese, o di un importante condottiero al servizio di quel casato. La corona d'alloro che borda la rotella è una impresa dei duchi di Milano.
Può trattarsi della raffigurazione di un personaggio appartenente alla casa ducale milanese, o di un importante condottiero al servizio di quel casato. La corona d'alloro che borda la rotella è una impresa dei duchi di Milano.
6. FANTE CON ELMO
Un mercenario con elmo e armato tiene una rotella inquartata con il fasciato ondato e con un monogramma. La bordura è formata dagli scaglioni viscontei d'argento e di rosso.
I colori delle calze a braca del mercenario indicano senza dubbio una livrea. L'arma della rotella è composta dall'ondato sforzesco e da una sigla. Il monogramma, che sembra manomesso in epoca po-steriore, presenta delle analogie con un emblema composto dalle lettere ATR, applicato da Antonio Trivulzio e da lui trasmesso a suo figlio Giovanni Giacomo detto il Magno.
I colori delle calze a braca del mercenario indicano senza dubbio una livrea. L'arma della rotella è composta dall'ondato sforzesco e da una sigla. Il monogramma, che sembra manomesso in epoca po-steriore, presenta delle analogie con un emblema composto dalle lettere ATR, applicato da Antonio Trivulzio e da lui trasmesso a suo figlio Giovanni Giacomo detto il Magno.
7. SCUDO CON L'ARMA DI GIAN GALEAZZO SFORZA
La rotella porta il celebre stemma visconteo-sforzesco dell'inquartato con l'aquila e il biscione, cimato da una corona. Lo scudo è affiancato dalle iniziali IO-GA e da due rami.
Questa rotella si riferisce, come indicano le iniziali, a Gian Galeazzo Sforza, IV duca di Milano (1476-1494), ma gli emblemi riportati erano applicati già da tempo dai Visconti. L'inquartato risale al conferimento del vicariato imperiale ad Azzone Visconti (1329), mentre la corona ducale e i due rami (in origine di palma e di ulivo o di alloro) costituiscono una impresa, detta dei «piumai», concessa da re Alfonso I d'Aragona a Filippo Maria Visconti.
8. STEMMA PUSTERLA
Rotella proveniente dalla battaglia di Giornico, con lo stemma della famiglia Pusterla.Lo scudo reca casco, cimiero e lambrecchini: l'arma è d'oro con l'aquila in nero coronata, mentre il cimiero, una cuffia bianca con fasce rosse verticali, è cimato da un gallo, impresa viscontea applicata in segno di fedeltà al ducato; la bordura è decorata con motivo «a tacche di piffero».
Il retro della rotella reca ancora il cuscino, mentre le cinghie sembrano posticce; il rivestimento in pelle è formato da almeno due pezze, e quella frontale è fissata sul retro lungo i bordi con chiodi.
Lo stemma Pusterla, d'oro all'aquila di nero coronata, è completato da casco, cimiero e lambrecchini.
Il cimiero rappresenta un gallo, concessione viscontea che allude all'impresa applicata da Azzone Visconti quando ottenne in feudo il contado di Gallura in Sardegna.
Il cimiero rappresenta un gallo, concessione viscontea che allude all'impresa applicata da Azzone Visconti quando ottenne in feudo il contado di Gallura in Sardegna.
9. LEONE DI SAN MARCO
Stemma un po' diverso dal solito - col libro aperto che però non é di rigore; anzi nel periodo antico é spesso chiuso. Prova della presenza a Giornico di truppe al servizio di Venezia (e i 6 cannoni con lo stemma veneziano?). C'era artiglieria pesante a Giornico, con tanta neve? 18.12.1478. Forse stemma degli uomini d'arme che il Fracasso figlio di Roberto Sanseverino condusse da Brescia (secondo una Cronaca bresciana erano 17 squadre d'uomini d'arme, partite per Bellinzona contro gli Svizzeri). I Sanseverino erano allora passati al servizio di Venezia abbandonando Milano. Qualche anno dopo sono ancora con Milano ed investiti della Val Lugano
L'originale fotografato a distanza ravvicinata al museo di storia di Lucerna
10. COPPIA TENENTE LO SCUDO CON L'IMPRESA DELLO «JESUS»
Una coppia di giovani sostiene uno scudo d'oro allo «Jesus» di rosso. Lo scudo è accompagnato da due cartigli la cui iscrizione è scomparsa. La bordura della rotella, in origine forse rossa, porta dodici scaglioni partiti d'argento e d'azzurro coi colori alternati.
Lo «Jesus» è un'impresa della famiglia Trivulzio, composta da una croce patente iscritta in un cerchio che emette otto raggi ondati (sulla rotella dodici). Fu concesso da Papa Alessandro V ad Ambrogio Trivulzio nel 1409.
L'importanza di questa rotella sta nel fatto che è il primo esempio conosciuto di «Jesus» impiegato come mobile principale dello scudo, in modo da costituire uno stemma araldicamente puro.
11. IMPRESA DELLA «RADIA MAGNA» (R. II.4.)
La «Radia Magna», detta anche «razza» o «radiante», è una figura composta da otto raggi ondati e fiammeggianti che muovono dal centro. Fu un'impresa di Gian Galeazzo Visconti, primo duca di Milano, e volle significare splendore, grandezza, magnificenza. È scolpita ad esempio nella parte superiore del finestrone absidale del Duomo di Milano, eseguito nel 1402.Sulla rotella l'impresa è accompagnata dal motto DOMINVS CVSTODIAT INTROITVM TVVM ET EXITVM TVVM (Il Signore custodisca il tuo ingresso e la tua uscita)
12. INQUARTATO CON L'IMPRESA DELL'ONDATO
Poco guerriero il motto "vivere bene e stare allegro!", si capisce che abbia gettato la parmula
Questo gruppo di rotelle porta un inquartato: al I e IV d'oro alla fascia di rosso carica del motto BENE VIVERI ET LETARI (su alcune rotelle la fascia manca), al II e III fasciato ondato d'argento e di azzurro. L'inquartato, araldica-mente perfetto, è il risultato dell'accostamento dell'impresa visconteo-sforzesca del fasciato ondato con uno stemma attribuibile ai Sanseverino. La bordura porta una nebulosa d'argento.
Il fasciato ondato è un'impresa degli Sforza assai diffusa anche come figura araldica vera e propria. Si ritrova su parecchi monumenti e fu portata, ad esempio, da Francesco Sforza sulle proprie vesti. E' anche l'insegna più ricorrente nelle rotelle di Giornico, sia inquartata che combinata con altri elementi.
In queste rotelle il fasciato ondato è affiancato, nella bordura, dall'impresa sforzesca del nuvoloso, che deriva dalle nuvole araldiche.
Lo stemma con la fascia rossa su un fondo d'oro è da attribuire probabilmente ai Sanseverino, famiglia apparentata ai duchi di Milano che portava un'arma d'argento alla fascia di rosso. Il motto per contro appartiene alla famiglia dei Viti, ed è probabile che esso sia stato aggiunto allo stemma Sanseverino da un successivo titolare.
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