La partenza é fissata alla stazione dí Lugano. So che sarà una sfacchinata, non esagerata ma pur sempre una sfacchinata. Il mese di maggio é agli sgoccioli, hanno iniziato ad esserci le giornate torride, o perlomeno afose. Di buona lena prendo il treno e verso le 09:00 sto già partendo dalla stazione di Lugano.
Per la giornata di oggi conosco alcuni posti in cui transiterò perché già visti da qualche parte, oltre a questi potrebbero esserci luoghi a me tutt'ora sconosciuti e se dovesse capitare mi lascerò piacevolmente sorprendere.
San Maurizio in Rovello
La prima grande sorpresa giunge alle porte di Lugano, la chiesa di San Maurizio in Rovello
La piccola chiesa, addossata a una masseria di origine medievale attestata sin dal 1203, è stata a lungo proprietà degli Umiliati.
Sorge sul territorio dell'antico quartiere di Rovello, ed è oggi parte di Molino Nuovo.
Il complesso rurale si sviluppa intorno ad una corte centrale di forma triangola allungata, selciata secondo tecniche tradizionali, suddivisa in due parti dal loggiato che collega le due ali. L'ala est di tre piani, di cui quello seminterrato ospitante le cantine, è contraddistinta da poderosi contrafforti di impianto medioevale.
Adiacente alla masseria si trova il piccolo oratorio a navata unica internamente decorato da una serie di affreschi databili a tre epoche diverse, dal tardo XV alla seconda metà del XVI secolo attribuiti ai maestri seregnesi Cristoforo e Nicolao.
L'entrata all'oratorio purtroppo chiuso
Anche se chiuso, nulla mi impedisce di dare un occhiata all'interno della masseria
L'intero complesso fu acquistato nel 1906 da Emilio Maraini, industriale luganese la cui salma riposa nel piccolo cimitero di famiglia fatto costruire nel 1935 dalla moglie, la contessa Carolina Maraini-Sommaruga, su progetto dell'architetto Mario Chiattone.
Vista dal cimitero verso la chiesa
Si tratta indubbiamente di una piccola perla di cui ignoravo (e scommetto anche buona parte dei luganesi) l'esistenza.
Mi avvio in direzione di Comano, che fino ad oggi per me é sinonimo di sede della televisione svizzero italiana. Poco prima dell'abitato sulla destra l'insegna sgualcita di un grotto
Birra e gazosa sull'insegna di questo grotto per ricordarci che in origine nei grotti si trovavano soprattutto queste bevande, minestrone e formaggi e salumi
Comano
Fino ad oggi per me Comano é il sinonimo della sede di Rete tre e dei gli studi televisivi. Stop.
È sempre bello avventurarsi in un nuovo villaggio, nelle sue stradine, nella sua storia, immaginarsi com'era, appropriarsi di quei simboli tramandati e giunti fino ad oggi. Ogni paese ha i suoi, trovarli é la mia missione
Oratorio di San Rocco
San Rocco è venerato soprattutto come protettore dalla peste e dalle epidemie. Si narra che il santo, in pellegrinaggio verso Roma, si prese cura di molti ammalati e dovunque andasse moltiplicò prodigi e guarigioni fino a quando anche lui si ammalò. Riuscì però miracolosamente a guarire e tornare in patria.
Come da tradizione, il San Rocco di Nag con una mano regge il bastone con il quale si sostiene, e con l’altra alza la tunica e fa vedere i segni della peste sulla gamba.
Due rappresentazioni diverse quelle presenti a Comano; oltre all'ostentazione della piaga e alla presenza del cane la presenza di appestati sullo sfondo per fugare ogni eventuale dubbio
Il San Gottardo presente nell'oratorio é degno di nota: trovarselo davanti di notte, se così come dipinto, sarebbe stata un esperienza tutt'altro che serena
Chiesa Santa Maria della purificazione
Come in ogni chiesa di cui varco la soglia é per un interesse culturale e artistico, sono in perenne ricerca di quei simboli particolari che vanno oltre ai canonici quadretti delle stazioni della via crucis o della statua della Madonna. A Comano riporto questo bellissimo rilievo all’esterno a ricordarci la brevità della vita
Sempre inerente il tempo che passa non una ma ben due meridiane sono presenti praticamente adiacenti sulla stessa facciata della chiesa. Poco distante la spiegazione
Ricercata e dal risultato dí sicuro effetto é la vista della chiesa da occidente. Il paese é impregnato di sculture dell’artista locale. Quella nel parchetto adiacente la chiesa é stata sapientemente piazzata permettendo uno scorcio suggestivo che qui riporto
Il percorso si addentra poi in un bosco, il grande ostacolo geologico odierno tra partenza e arrivo é una collina completamente boscosa che al suo interno contiene elementi di interesse.
La prima che incontro salendo da Comano é la Grà
La Grà
La Grà (o metato) è un piccolo edificio o locale, realizzato in pietra o mattoni, destinato alla essiccazione delle castagne attraverso l'affumicatura. È suddiviso in due spazi attraverso un graticcio orizzontale, posto all'altezza di circa 180-220 cm da terra. Ciascuno dei due locali, di solito, ha una propria apertura di accesso dotata di porta.
Nella parte inferiore viene acceso un debole fuoco con grossi ceppi di castagno che serve a seccare, ma non cuocere, le castagne poste nel piano superiore.
Il fumo caldo, che sale attraversa lo strato di castagne di 20-40 cm essiccandole, fuoriesce direttamente dal tetto.

Il processo di essiccazione dura 15-30 giorni, durante i quali il fuoco deve essere tenuto sempre sotto costante controllo e le castagne rimestate ogni giorno per farle seccare omogeneamente. Le castagne durante il processo perdono fino ad 1/3 del proprio peso.
Dopo l'essiccazione realizzata in ottobre/ novembre, si procede alla battitura delle castagne secche per togliere la buccia e la pelle interna ponendole in un saceo che viene battuto contro un ceppo o un tronco. Anni fa il processo veniva fatto anche con la spadigia, un bastone con la testa rinforzata con denti di legno.
Una volta sbucciate le castagne sono pronte per la macinatura e la produzione di farina di castagne.
Torre di Redde
Nel cuore del bosco mi ritrovo in una sorta di
ombelico della selva, un punto in cui diversi sentieri si ricongiungono. Esso corrisponde ad una radura dove la fa da padrona la torre di Redde
Situata in prossimità dell'Oratorio di San Clemente, la Torre di Redde, immersa nella faggeta,
è di origine medievale ed è attestata in un documento del 1310. Sovrastava una casa-fortezza che faceva parte di un complesso rurale, comprendente anche la Chiesa. È attestata come appartenente alla famiglia comasca dei Rusca, allontanatasi da Como e stabilitasi nel Ticino (Magliaso, Bedano, Torricella, Bironico e Bellinzona) con lo scopo di controllare le principali vie di comunicazione che portavano ai valichi alpini.Della torre, di forma rettangolare, a quattro piani, restano i muri spessi più di un metro, alti circa 15 metri. Il tetto in piode e i solai in legno sono crollati.
La Fondazione Torre di Redde, proprietaria della costruzione, alla fine degli anni novanta si è impegnata in un riuscito lavoro di restauro conservativo.
In rosso: Torre medievale: costruzione unitaria. In origine presentava ad est un'unica apertura a livello di piano terreno; il collegamento verticale era garantito da una scala interna di legno.In blu: Modifiche alla torre: interno suddiviso in tre piani. Una nuova entrata permetteva l'accesso al locale inferiore; una scala esterna poggiante su un basamento massiccio permetteva l'entrata al locale centrale.
In viola: Probabile muro di cinta delimitante il pianoro verso nord.
In verde: Strutture abitative, slegate dalla torre medievale.
L'oratorio di San Clemente
Di proprietà dei Terrieri di Vaglio l'Oratorio costituisce una significativa testimonianza religiosa e dell'arte cristiana, particolarmente caro agli abitanti di Vaglio e della Pieve della Capriasca. Il luogo sacro, in passato è stato meta di processioni votive per invocare l'acqua nei periodi di prolungata siccità.
Con un riuscito intervento conservativo, terminato nel 2014, al piccolo tempio è stato ridato, nella sua semplicità, il suo originale decoro. Il primitivo edificio religioso è datato 1280/1290, mentre l'attuale Oratorio fu ricostruito all'inizio del '700, probabilmente sulle rovine dell'antica Chiesa del villaggio di Redde che volge verso oriente.
La piccola cappella barocca, dedicata a San Clemente, è menzionata in un documento del 14° secolo. Durante i lavori di restauro sono emerse tracce di affreschi di fine 1300 ed è stata riportata alla luce un'immagine di Maria Maddalena; sono stati ricuperati gli antichi affreschi del '700 e i pregevoli stucchi.
Parrocchiale di Tessere
Questo é uno dei pochi punti di cui conoscevo l'esistenza e la forma ancor prima di partire. Avevo già visitato in passato il vicino cimitero e malgrado la chiesa attirasse su di se un certo richiamo non ne avevo mai varcato la soglia, o meglio ancora non mi ero mai nemmeno veramente avvicinato
Cartina della Capriasca compilata probabilmente attorno al 1600.
Risulta piuttosto difficile avere un’idea complessiva della chiesa, in quanto da lontano si può apprezzare la parte superiore
Mentre per vedere la parte inferiore occorre avvicinarsi molto di più. Nel suo complesso si capisce da subito che potrebbe riservare elementi di interesse

Da più di 1000 anni la chiesa di santo Stefano veglia, dal piccolo rilievo sul quale si appoggia, i paesi della Pieve di Capriasca. Le montagne le fanno da corona e proprio la sua posizione centrale e la sua armonia architettonica (vale la pena guardarla in facciata quando dietro si stagliano le guglie dei Denti della Vecchia) ne fanno un soggetto panoramico d'eccellenza.

L'immagine più conosciuta è quella realizzata nel primo Novecento dal pittore Luigi Rossi, che soggiornava a lungo in Capriasca.La chiesa è orientata ed è bello quindi a sera ammirarne la facciata illuminata dal sole. In primavera ed in estate ci si sofferma con piacere a contemplare le rondini che fanno il girotondo attorno al campanile.
Sempre rimanendo all’esterno e osservando attentamente la parte destra della facciata si può intuire il San Cristoforo gigante che si vede bene nel dipinto di Luigi Rossi.
Un omicidio da farsi perdonare
La prima attestazione di questa chiesa risale al 1078. In quell'anno una certa Contessa, nobildonna di Milano di origini longobarde, aveva fatto dono alla Chiesa di santo Stefano di vari beni, in particolare gli alpeggi. Desiderava infatti salvare l'anima sua e dei suoi figli, che avevano ucciso il sacerdote Fedele. Il documento originale non è però mai stato trovato e su tutta la vicenda plana un velo di leggenda. La stessa leggenda ha identificato la tomba di Contessa (popolarmente chiamata Contessa Grassa) nel sepolcro medievale che si trova sul lato nord della chiesa.
Contessa era una famiglia milanese, di legge longobarda, proprietari di vasti territori in Capriasca. Nel 1078 Arnolfo e Azzone Contessa uccisero il sacerdote Fedele, e la madre, pur di aver salva la vita dei figli e in remissione della sua anima e di quella dei parenti, stilò il testamento che può essere considerato, a giusta ragione, la carta di libertà dei Capriaschesi.
A prescindere dalle perplessità che alcuni studiosi hanno sollevato circa l'autenticità del documento (L. MORONI-STAMPA nel Codex paleographicus Haelvetiae subalpinae ecc a pag. 3 dell'introduzione ritiene il documento «anche nel suo complesso, una grossolana falsificazione del sec. XIV»), ci sia permesso riprodurlo così come ci è pervenuto con le osservazioni che ci sembrano più opportune.
Ecco la traduzione libera:
1078 settembre 1, Tesserete
«Nel nome di Cristo. Il giorno 30 agosto 1078 dell'incarnazione del Signore. Indizione prima. Io Contessa madre di Arnolfo e di Azzone della città di Milano che riconobbi di vivere secondo la legge longobarda, col consenso di Azzone di Arnolfo, secondo il desiderio dei contadini dei nostri figli, voglio e notifico e per questa mia dichiarazione inviolabilmente confermo e metto in possesso e dono e concedo io coi miei figli Azzone e Arnolfo alla Chiesa di Santo Stefano, come (faccio) in questo giorno ed ora tutti i territori che ho sul monte di Santa Maria di Albigorio, colla decima e con ogni onoranza, e un prato di mia giurisdizione che giare in territorio di Sala e sette moggi di biada e staia quattro e misura di canova sopra la canova sua di Cavrisca (Criviasca), un terzo del frumento e un terzo della segale e un terzo del panico e la rata di formaggio che a guisa di affitto ho su tutti gli alpi di Crivasca, il di di San Giovanni Battista: dal confine coi particolari in su, con ogni onoranza, cosi che non abbiate facoltà di vendere o di donare se non col consenso della Comunità della terra, e dono a voi cosi che ogni lunedi di quaresima facciate funzioni religiose per l'anima mia e di tutti i miei parenti.
Di tutte le predette cose e dei fitti, come si legge sopra, la predetta Chiesa e i di lei ministri pro tempore siano, facciano ogni cosa che sarà loro utile, poiché così decretò la vera buona volontà, celebrando l'annuale mio e di tutti i miei parenti in riparazione ed in suffragio delle anime nostre ed in espiazione dello omicidio del sacerdote Fedele, e ciò si faccia ogni lunedì di quaresima, e sempre pregate per me peccatrice e per i miei due figli che uccisero il sacerdote ...».
Commento al testamento
- La donazione degli alpi è espressa molto succintamente «a diviso in sursum». Non si cita nemmeno il nome di un alpe (in realtà parecchi e sparsi su una vasta superficie). Manca pure l'indicazione dei confini il che sarà causa di lunghe liti, specialmente con i patrizi di Isone.
- La donazione fatta in apparenza alla chiesa è legata, in realtà, con circonlocuzione ambigua, ai Capriaschesi « cosi che non abbiate facoltà di vendere o di donare se non col consenso della Comunità della terra», Alla Chiesa plebana è invece legato il ricavo del latte prodotto sugli alpi nel giorno di S. Giovanni Battista (ancora oggi alcuni Patriziati versano alla prepositurale il latte di S.Giovanni» e ancora oggi si celebra la messa di suffragio per Contessa e parenti nel giorno previsto dal testamento)
- La cessione sembra volontaria, ma in realra non lo é. I Capriaschesi erano sdegnati del comportamento dei Contessa. L'uccisione del sac. Fedele fece traboccate il vaso e Contessa, pur di aver salvi l'onore e la vita dei figli, rinuncio ai suol possedimenti nella Pieve.
- Intorno ai Contessa (contrariamente a quanto oggi ancora parecchi credono, Contessa non deve essere inteso qui come titolo nobiliare, ma come nome di casato) i Capriaschesi ricamarono e tramandarono oralmente alcune leggende tra le quali una molto assurda che pretende l'esistenza di un passaggio sotterraneo tra il castello di Tesserete e la torre di San Clemente, nel villaggio scomparso di Redde (Vaglio).
Cassa delli incerti
Siamo ora all'interno della chiesa
Sul muro a circa un metro di altezza, la "CASSA DELLI INCERTI", del 1725.
Serviva probabilmente alla restituzione del denaro rubato ed era utilizzata da chi si pentiva del gesto, temendo le pene dell'inferno.
I dipinti vis a vis nella cappella della morte devono in qualche maniera aver sortito l'effetto desiderato...¨
Gli affreschi sono opera di F.A. Giorgioli "pitor de Meride" che ha affrescato con fare brillante anche se con una visione piuttosto popolaresca le scende del purgatorio e della liberazione delle anime
"Tutto il mio corpo é pieno di orrore"
Il "Cristo festivo"
L'affresco di questa cappella è stato realizzato nel 1400 e rappresenta il Cristo con il nimbo, i lunghi capelli e il corpo nudo sul quale sono puntati alcuni degli oggetti dipinti. Proviamo a riconoscerli scorrendo il dipinto dall'alto verso il basso. Alla sinistra del volto stanno due strumenti del calzolaio: il coltello per scarnificare e la lesina per fare i buchi nel cuoio. A destra si riconosce una mano che stringe la borsa delle monete.

In alto a destra ci sono due mani che toccano la testa: secondo noi rappresentano qualcuno che sta lavando i capelli (Lavaggio della testa e pettinatura dei capelli sono proibiti alla domenica: vedi
Dizionario della superstizione tedesca» (Vol. 8, 106).
Quell'oggetto che ai nostri occhi sembra a un ombrello chiuso è una rocca a braccio, utilizzata per la filatura; proprio sotto c'è il fuso. A sinistra del fuso si riconosce un rasoio e a destra una forbice, utilizzata dal sarto e per la tosatura delle pecore. La forbice si trova proprio sopra ad un libro. Sotto al braccio sinistro di Cristo sta una bilancia ad asta e sotto a questa un recipiente, tipo brocca, da cui il vino si versa in un bicchiere. Più sotto uno staio, unità di misura per il grano e ancora sotto un sacco, forse di grano. Non siamo riusciti ad identificare l'oggetto a sinistra del sacco di grano. A destra c'è invece una balestra e sotto un'incudine con tenaglia e martello, gli strumenti del fabbro.
Il Cristo è marcato da zampilli di sangue causati dai molteplici attrezzi di lavoro che lo attorniano.
Alcuni oggetti sono collegati al corpo con delle linee tratteggiate di color rosso.
Questa rappresentazione viene denominata "Cristo festivo" o "Cristo della domenica" ed è un'iconografia che ci riporta nel cuore della cultura religiosa e popolare di fine Medioevo.
L'immagine serviva da monito ai fedeli affinché si astenessero dal lavoro festivo e non trasformassero in guadagno il tempo da dedicare a Dio. Presentano un Cristo sofferente, trafitto dagli strumenti del lavoro che non devono essere utilizzati dall'uomo nei giorni di festa, che è invece tempo da consacrare alla lode di Dio. Il messaggio espresso è la denuncia di una colpa addebitata agli uomini che stanno compiendo una o più azioni in contrasto con l'insegnamento della Chiesa. Questi affreschi, secondo l'antica tradizione pittorica popolare, avevano finalità didattiche e di catechesi.
Dopo il Concilio di Trento (1545) e durante la Controriforma, la Chiesa iniziò a far cancellare queste immagini, adottando un rigore strettamente legato ai testi evangelici.
Nel Ticino, specie nelle parrocchie di rito ambrosiano, San Carlo aveva richiamato la santificazione festiva in modo energico. Altresì lo stesso non gradiva il soggetto caricato da numerosi oggetti profani, non riconducibili ai testi religiosi.
Il nostro affresco venne ricoperto da una tela raffigurante san Gerolamo, a cui è anche dedicata la cappella. E forse questa la ragione che l'ha preservato: la gente aveva dimenticato la sua esistenza. Venne rinvenuto durante i lavori di restauro del 1952.
Altre immagini del Cristo festivo
Laffresco di Tesserete è di grande importanza perché al mondo si trovano oggi solo un centinaio di rappresentazioni simili, in particolare nell'area inglese, germanica e italiana. Questa iconografia ha un grande rilievo di carattere etnografico: vi si possono infatti trovare gli oggetti del lavoro quotidiano nel Medioevo che solo raramente venivano raffigurati. Indubbiamente il nostro affresco è uno dei meglio conservati. Nella primavera del 2011 l'artista Massimo Soldini ha operato sull'intera superficie, con un sapiente e riusciro lavoro di restauro.
In Italia ne menzioniamo principalmente tre.
Nel duomo di Biella (Piemonte) il Cristo festivo è stato forse commissionato dalla corporazione dei lanaioli ed è circondato sopratutto dagli oggetti tipici di quel me-stiere. Sull'affresco di Tèsero (Trentino-Alto Adige) sono raffigurati una cinquantina di oggetti nella parte superiore e una decina di scene di lavoro campestre nella parte inferiore. Infine ricordiamo l'affresco di San Pietro di Feletto (Veneto) dove il Cristo ha una tunica e alcuni attrezzi sono simili a quelli Tesserete.
In Svizzera ne rammentiamo tre, tutti nel Canton Grigioni.
Cominciamo con quello della splendida chiesa monastica di Mistail, risalente all'Ottavo secolo: il Cristo festivo, dipinto alla fine del Trecento, è bello per il suo carattere quasi naïf. Dal 1450 è il Cristo festivo di Waltensburg, in una notevole chiesa ricoperta da affreschi dell'omonimo maestro. Terza splendida chiesa e terzo Cristo della domenica a San Giorgio di Rhäzuns; l'edificio sacro ha la navata interamente affrescata e viene da alcuni denominato "la Cappella Sistina delle Alpi"
Cristo della domenica a San Giorgio di Rhäzuns
Tre sono anche quelli in Ticino.
Oltre a Tesserete ce n'è uno nella piccola chiesa di San Pietro di Orlino, a Pregassona e un altro molto rovinato, nella chiesa di san Michele ad Arosio, dipinto nel 1508 da Antonio da Tradate.
A Cademario, in sant'Ambrogio vecchio, sulla controfacciata è stato dipinto un affresco raffigurante l'inferno. Nella parte bassa, una piccola imbarcazione è carica di dannati accompagnati da oggetti di uso quotidiano. Si riconosce tra l'altro una cazzuola, una zampogna, lo stesso coltello da calzolaio già raffigurato a Tesserete. Probabilmente è già l'immagine che concretizza l'ammonimento del Cristo festivo: chi non santifica la festa, andrà all'inferno.
Dipinto rubato a Peccia
Questo fatto di staccare di pinti intera dalle cappelle per popi rivenderli qua e la mi é del tutto nuovo.
Affresco strappato da una cappella votiva di Peccía e venduto per. la somma di fr. 1600 al sig. Stefano Antonini di Lugaggia che lo regalò alla chiesa di S. Stefano.
Attualmente è appeso sul lato meridionale della quarta nicchie destra entrando.
San Sebastiano - strappo
Chiudo questa immersione dedicata alla chiesa di Tesserete con uno degli innumerevoli San Sebastiano presenti, su una parete ne ho contati addirittura tre in pochi metri
Si trova ora sul lato destro del battistero.
E' della seconda metà del sec. XV, riscoperto durante i lavori di restauro (1952-53).
Il viso del Santo non è molto espressivo e non ha quella rassegnazione sovrumana come sarà poi nel famoso S. Sebastiano di Melozzo da Forlì. La testa è arricchita da folta chioma, il corpo è di normali proporzioni, ma non si denota nessun segno di spasimo per le numerose frecce che lo trapassano: l'idea del movimento è ancora lontana dall'arte di questi pittori. Notevole il drappo serpeggiante abbondantemente sui fianchi del Santo rappresentato legato a una colonna: si pensa che il drappeggio sia stato aggiunto alla figura in un secondo tempo, quando non furono più ammissibili nelle chiese le effigie dei Santi nudi.
Il convento del Bigorio
Primo tra i conventi cappuccini in Svizzera, il convento del Bigorio fu fondato nel 1535 a soli 10 anni dalla Riforma cappuccina e come tale emblema dei suoi tempi fedele interprete del rinnovamento cattolico. Nel 1577 San Carlo Borromeo ne consacrò la nuova chiesa. Nel 1659, il convento fu ingrandito per la prima volta e nel 1688 fu innalzato di un piano, mentre nel restauro generale del 1767 acquisto quelle caratteristiche architettoniche che possiamo tuttora ammirare.
Ultimi metri della via Crucis che porta da Bigorio al suo convento
Nel 1966 venne restaurato completamente con l'intenzione di farne un centro di formazione religiosa, spirituale e culturale. Va segnalata inoltre la cappella, progetto del giovane Mario Botta.
La notte del 6 febbraio 1987, un incendio distrusse parzialmente il convento provocando ingenti danni. L'attività fu sospesa per consentire i lavori di ricostruzione e di miglioria, resi possibili anche dal generoso aluto di una moltitudine di persone e di enti. L'attività del Convento fu ripresa regolarmente il 1º ottobre 1988
Bellissimo affresco davanti alla porta d'entrata inesorabilmente chiusa. Il convento apre regolarmente in determinati giorni. Mi riprometto di tornarci per fare una visita più approfondita
Qui dovrebbe finire la mia gitas, o meglio questo era l'obiettivo principale. Dato che ho ancora tempo, energie e che soprattutto devo scendere da qui perché mezzi pubblici non ce ne sono decido di fare un ultimo tratto andando ad esplorare quel tratto di Capriasca che comprende la chiesa di Vaglio.
Un dipinto da salvare
Sceso dalle alture del convento del Bigorio entro nell'agglomerato di Sala Capriasca. Stradine strette, una bella fontana al centro della piazza. Impossibile non notare l'affresco sulla parete della chiesa in uscita dal paese. Fin dal primo sguardo appare innaturale la sua posizione sotto la tettoia
Accostato al sentiero romanico che partendo a ovest del villaggio di Sala-Capriasca porta nei vasti coltivi e boschi della Meraggia e successivamente nella Valle del Vedeggio, a monte di un esteso vigneto, sta un rustico - chiamato Tecc di Madonn - che racconta oltre tre secoli di storia, di fatiche e di fede.
Fede resa visibile da questo affresco di largo respiro e di notevoli dimensioni (cm 250 x 217) dipinto sulla facciata rivolta a levante, verso il villaggio.
Si deduce che i proprietari, costruita la stalla abbiano affidato il loro podere all'intercessione divina. Sconosciuto l'artista, che doveva possedere buona mano.
Anni, secoli sono trascorsi, tante famiglie hanno faticato nel vigneto sottostante.
Contemporaneamente il tempo ha in parte scancellato il soggetto. Sono cadute parti d'intonaco e il bell'affresco sollecitava un por mano subitaneo, alché la storia, la fede e il soggetto potessero continuare.
Con il consenso del proprietario si è proceduto alla non facile rimozione. Operato lo stacco, l'affresco è stato portato in laboratorio dove si sono salvate e consolidate le parti pittoriche restanti.
Ne ammiriamo qui il risultato finale che permetterà alla Madonna del Carmine di continuare a sorridere al paese di Sala.
Il dipinto risale al '600. La Vergine sorregge il Bambino che tiene in mano gli scapolari. Sul lato sinistro si legge, pressoché scomparsa, la figura di S. Carlo Borromeo prostrato. A destra altri Santi. La Madonna del Carmelo è tra le più venerate in Capriasca ed è stata dipinta su varie cappelle votive a comprova della probabile presenza dell'Ordine carmelitano nelle nostre Terre. Una fontana miracolosa
Le sorprese sembrano non finire più. A poca distanza della chiesa di Sala una strana scultura, che ad un primo sguardo potrebbe ricordare le torri Inca in Messico, ad uno sguardo più attento si nota la sua vera funzione di fontana
La fontana è stata posata nell'attuale sito nel 1996; in origine si trovava nei ronchi di Sala Capriasca, lungo la vecchia mulattiera che conduceva al convento del Bigorio.
È stata realizzata nel 1770 da Carlo Martino Moncrini, un abile scalpellino vissuto tra il 1729 e il 1781 a Sala. Detta anche di Santa Lucia, è la sua opera più importante.
Il corpo principale è composto da 19 blocchi di pietra di forma rettangolare, provenienti dalla nostra regione. L'insieme costituisce una specie di puzzle di massi di granito scolpiti e decorati, che raggiunge quasi 3 metri d'altezza e 1 metro e 30 di larghezza. Sui blocchi sono raffigurati: due teschi, un santo, delle immagini di donne, un probabile autoritratto (è la figura centrale, con un tubicino nella bocca, dal quale una volta sgorgava l'acqua) e sono scolpite diverse scritte.
Si riteneva che la sua acqua avesse poteri miracolosi ed era considerata benedetta perché usciva protetta da queste immagini sacre.Chiesa di Vaglio
Prima di inerpicarmi verso la meta finale passo veloce da Vaglio dove mi é stata segnalata una chiesa piuttosto bizzarra dalle nostre latitudini. Effettivamente il colpo d'occhio ripaga l'apposita deviazione, ma poi tutta questa bellezza esteriore si sgonfia li. Chiesa recente, dopo uno sguardo al suo interno dalle finestrelle (la chiesa é chiusa) quello che vedo non mi accende particolari emozioni
Avevo già chiesto informazioni su questa chiesa alla signora trovata nella chiesa di Tesserete intenta a sistemare in fiori davanti all'altare. `" È di un architetto della zona"
La costruzione dell'edificio fu completata nel 1916 su un progetto di Ernesto Quadri. L'edificio, improntato allo stile liberty, è pieno di riferimenti all'architettura neoromanica e neogotica.
Due delle tre campane sono più antiche della chiesa: provengono infatti dalla chiesa di Santa Maria Incoronata e risalgono al 1835.
La chiesa dei Santi Antonio da Padova, Giacomo e Filippo è un edificio religioso costruito fra il XIX e il XX secolo a Vaglio, nel comune di Capriasca.
La parte esterna dell'edificio manifesta ampiamente la volontà di Quadri di sperimentare, assemblando forme, colori e persino materiali di costruzione diversi: nella struttura si alternano pietra e laterizio e il profilo del coro, di forma poligonale, entra in contrasto con quello rettangolare della navata. La chiesa è dominata da un campanile.
Outro
La mia avventura finisce qui. Riavvolgo un attimo il nastro: é incredibile quanti elementi ho trovato, degni di un museo all'aperto, questo naturalmente solo per chi ha gli occhi per vederlo. E non ho nemmeno riportato tutto, la chiesetta di San Bernardino chiusa e completamente nascosta dalla rigogliosa vegetazione, il convento trovato chiuso che é ancora tutto da scoprire. Sono semplicemente felice di come ho impiegato il mio tempo. Molto felice.
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