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Donne sfiorite

Questo idilliaco quadro l’ho visto due volte in pochi mesi: alla galleria Züst di Rancate e al MASI di Lugano pochi mesi dopo. Ma poco importa.

Idilliaco e utopico 

Il canto dell'aurora, 1910 - 1912
Luigi Rossi (1853–1923)
1910–1912, olio su tela.
MASI Lugano. Deposito Fondazione Antonio Caccia. Acquisto 1913

Sotto un ampio cielo, si apre il paesaggio della Capriasca, luogo di villeggiatura estiva del pittore, in cui sono collocate quattro contadine che intonano un canto, orientate verso i punti cardinali. Il tema dei contadini al lavoro, ampiamente trattato dall’artista, mostra un rapporto sereno fra la natura e l’uomo, mentre la resa pittorica, dalle pennellate parzialmente filamentose, rende il soggetto quotidiano atemporale e simbolico.

Quello che importa sono le identiche sensazioni che mi ha trasmesso entrambi le volte. La prima cosa che ho notato sono le gerla: vuote! Finalmente e inesorabilmente vuote! Ci voleva un quadro per una visione simile, che io ricordi non esiste foto, ex voto dove il gerlo non sia colmo / causa di orribili sventure. Piuttosto che dedicare un canto all'aurora le donne dipinte dal Luigi Rossi sembrano gioire per il mancato carico, la leggerezza dell’assente scortica spalle sembra quasi staccarle dal suolo e portarle via mentre euforiche urlano la loro gioia ai quattro venti.

Come detto il quadro riprende una situazione che difficilmente ha riscontrato. La gerla era sempre piena, come scriveva Plinio Martini, c’era sempre qualcosa da portare su e qualcos’altro da portare giù con il viaggio di ritorno.

Un secondo quadro conferma la gerla sempre piena. Ma é l'unico elemento di sicura verità

Contadina Ticinese
Pietro Anastasio (1859-1913)
Olio su tela
MASI Lugano

La contadinella é in piena salute, dal bel colorito e forme sinuose. Lo sguardo é sfuggente e piuttosto imbronciato, ma la maniera in cui tiene il rastrello e la mano al fianco trasmette forza e facilità nello svolgere le mansioni. Il contenuto della gerla, presumibilmente foglie e quindi non eccessivamente pesante, corre in aiuto

Un terzo quadro ci porta pian piano verso una situazione più realistica. Il suo titolo é "Il Ticino"  e che se ne voglia dire quello che colpisce, oltre al comunque romantico paesaggio, é la donna davanti a destra intenta a riposarsi dalle sue fatiche con l'immancabile gerla colma sulle spalle.

Il Ticino
Marianne von Werefkin (1860–1938)
Il Ticino, 1927, olio e tempera su cartone. 
Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano. 
Collezione Cantone Ticino

Le montagne rosa e rosse sottolineano il senso di tranquillità e pacatezza che riecheggia il tramonto sul lago, non esplicitamente rappresentato nell’opera. Si potrebbe pensare che questa iconica immagine del Ticino rappresenti il sentimento che Werefkin provava verso la sua terra adottiva che la accoglie fino alla sua morte.

CI vuole una foto: ecco che ci ritroviamo di fronte alla dura realtà: immagini di donne che osservano l’obiettivo con un sorriso sforzato mentre emergono a stento tra le gerle e il loro carico intente a soffocarle


Basterebbe quindi una qualsiasi foto ritraente donne con gerlo per fare da contrapposto ai più o meno fantasiosi quadri.

Quel sorriso sforzato per le memorie dei posteri viene inesorabilmente cancellato nella rivista della comunità Fontana Martina: finalmente un ritratto realistico, senza le possibili forzature dei sorrisi sulle foto, una donna porta una gerla piena, lo sguardo é verso il basso e trasmette sofferenza

Monte verità Carl Meffert (pseudonimo Clément Moreau), illustra la rivista della comunità Fontana Martina con xilografie, che sono fra i primi esempi di critica alle condizioni sociali della popolazione ticinese.

Henrich Zschokke annota

Ma le testimonianze scritte cosa dicono? Ben tre testimoni di tutto rispetto, due dei quali proveniente dal nord delle Alpi, notano la difficile condizione femminile in Ticino

Il primo di questi Heinrich Zschokke nominato direttore dell'ufficio della cultura nazionale dell'Elvetica. Inviato come commissario di governo nel distretto insorto di Stans (1799), a Uri e Svitto (settembre 1799) e nel Ticino (1800)

"...la maggior parte degli uomini emigra ogni anno in primavera, per andare a guadagnare denaro col lavoro delle proprie braccia in città e villaggi di paesi stranieri. Si disperdono allora nelle regioni d'Italia, facendo gli spazzacamini, i muratori, i facchini, i carpentieri, i venditori ambulanti, i rigattieri, gli stallieri, e cosi via. Spesso interi paesi restano pressoché spopolati di uomini.
Le donne nel frattempo coltivano i campi e gli orticelli di casa, o guadagnano il pane per sé e per i figli con lavori di paglia intrecciata, tessendo, ritorcendo la seta eccetera.
Solo all'inizio dell'inverno gli uomini emigrati ritornano a casa, consumando con le loro famiglie, al focolare domestico, quanto hanno messo da parte."

Donne valmaggesi

Qualche cifra

Ma quanti sono gli uomini che lasciano la terra natia per recarsi come stagionale all'estero? Una tabellina ci viene in soccorso

Uomini (dai 15 anni) su 100 donne in alcuni villaggi del Luganese durante la primavera e l'estate.

Un censimento del novembre 1743 di tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni indicava che in Blenio, su circa 1.500 individui atti al servizio militare, quasi il 60% era lontano dalla patria, soprattutto emigrati in Italia, la maggior parte a Milano. Per una lunga intermittenza, Leontica con ben il 93% di uomini assenti si trasformava in un gineceo

Schiacciata dal carico in un animatissima via di Lugano

Decisamente significativa questa foto che vede inesorabilmente una donna riposare dal pesante fardello
Fotografo amatoriale Charles Alfred Seltzer-Bürgin (1859 -1945), Basilea. Intorno al 1900.

Franscini ribadisce

Franscini, il primo statista svizzero si concentra inizialmente sul proprio cantone, anche a lui non sfugge la miserabile condizione delle donne

"...le donne campagnole sono della peggio capitale, siccome quelle i cui mariti recandosi in esteri paesi lasciandole spesso sole a sopportar fatiche gravissime e incessanti"

Zoccole chiodate, quelle che la leggenda vuole indossate dai leventinesi sulle pianure ghiacciate a Giornico

Bonstetten affonda

Da più narratori é riportato lo sfiorire anzitempo, l'invecchiare precoce di queste giovani fanciulle condannate a mille fatiche che le segnano irrimediabilmente nell'aspetto. Viktor von Bonstetten (dal 1775 membro del Gran Consiglio bernese, si attirò la diffidenza del partito reazionario per le idee riformiste d'impronta illuministica) non gira troppo intorno alla torta

Il Bonstetten riferì che le donne dell'Onsernone erano utilizzate come animali da soma e occupate in lavori faticosi, tanto da sfiorire precocemente.

Sorrisi piuttosto sforzati in queste donne della Valle Maggia del XIX secolo

La donna che alleva, coltiva e raccoglie

In un'economia agro-pastorale, fra le gravose e umili attività assegnate alla donna, numerose sono quelle che vengono svolte fuori casa, specialmente nella stagione estiva: dallo zappare i campetti, ai lavori dell'orto, alle cure del bestiame minuto, alla raccolta di strame, legna, sassi, fieno, fino agli ultimi ciuffi d'erba sulle cenge più pericolose.

Di questi prodotti raccolti dalla donna molti provengono esclusivamente dalla terra di proprietà comune che nel passato ha dato un contributo non indifferente alle più povere economie familiari.
Con il diffondersi dell'emigrazione oltremare aumenta il peso e la fatica di questi lavori, alcuni dei quali particolarmente pericolosi e responsabili di una delle maggiori cause di mortalità femminile. Numerosi gli ex voto a testimonianza delle dure condizioni di vita e lavoro con le quali si deve confrontare la donna rimasta unico sostegno di bimbi ed anziani.

In questo ex voto delle donne sono sorprese da uno scoscendimento. 
Il contenuto delle loro gerle precipita a valle

Culla e fasce

"Per nove lune e sette giorni", durante tutta la gravidanza, continua l'abituale duro lavoro della donna:
pur osservando delle precauzioni magiche volte alla salvaguardia del nascituro, nè diminuisce la sua fatica quotidiana, nè migliora la sua povera alimentazione.

Il parto avviene abitualmente in casa, talvolta sul lavoro: nei campi, ai monti o sugli alpi. È un evento domestico durante il quale sono scrupolosamente applicati dei precetti tradizionali che non sempre rispettano i più rudimentali principi d'igiene. La mortalità di madre e neonato è perciò particolarmente elevata.
Molto poche le levatrici, sostituite da donne che, prive di ogni conoscenza teorica, basano il loro sapere sulla sola esperienza.
Il neonato per alcuni mesi viene completamente fasciato affinché cresca ben diritto. Poi, durante i primi anni di vita, per comodità igieniche, maschi e femmine portano entrambi la "sottanella"

La partoriente in alto a sinistra ha l'aria parzialmente serena, osserva il bombo che ha appena dato al mondo e che sta per fare il suo primo bagnetto. Il passare indenni il parto é solo il primo step, la mortalità nei primi anni di vita é elevata. La presenza di questo ex voto ne é testimonianza

La donna che lava e stira

Fare il bucato, poche volte all'anno ma per parecchie giornate consecutive, per la donna del passato, vuol dire lavare e risciacquare a mano grandi quantità di biancheria.
Un lavoro faticoso, fatto spesso all'aperto, ostacolato dal freddo e dal maltempo invernale e dal gran carico di lavoro estivo.
Dopo l'ammollo, la biancheria viene insaponata e poi lavata con il ranno, sorta di lisciva a base di cenere contenente sali con proprietà detersive. Infine il risciacquo dei panni vien fatto al fiume o al lavatoio, luogo di cordiale socialità, fatta di molte chiacchiere e qualche maldicenza.
Poca la biancheria che viene stirata dopo essere stata stesa ad asciugare al sole, su prati e sassi.

Uniti per la vita

Povertà, discrezione e semplicità rituale nulla tolgono alla solennità della cerimonia nuziale: il giorno del matrimonio, anche nelle società più povere, rappresenta un legame di fondamentale importanza non solo per la vita di due persone e per la relazione fra due famiglie, ma anche per l'equilibrio demografico di un'intera comunità, la cui crescita numerica è costantemente limitata dalle precarie risorse.
Questo equilibrio demografico è preservato da un elevato celibato e da un tardivo matrimonio: ci si sposa attorno ai 25 anni, in una società in cui la speranza di vita non raggiunge i 50. In occasione del matrimonio la donna porta la "scherpia", dote che comprende un insieme di beni materiali di grande utilità per l'avvio di un nuovo nucleo domestico.
La "scherpia" rappresenta in realtà l'eredità femminile, escludendo di fatto la donna dalla partizione egualitaria prevista dall'applicazione del diritto ereditario romano.


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