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Su e giù per la Calanca

Una delle mie abitudini, complice il clima da bisboccia, quando nei capannoni tolgono la musica sull’albeggiare é quella di intonare canti popolari. Piuttosto limitato il mio repertorio, di molte canzoni infatti purtroppo conosco solo il ritornello. Tra queste possiamo tranquillamente annoverare quella della val Calanca "...dicono che la Calanca piccola valle sia, invece sei la più bella piccola valle mia..."
Ma sarà poi vero?
 
Sfatiamo subito; chi se la immagina stretta, con gole profonde scavate dal fiume si sbaglia, o almeno da Arvigo in su il fondovalle regala ampi spazi

L'obiettivo della giornata é recarsi in postale a Rossa. Da qui inerpicarsi alla ricerca di reperti sacrali (alcune cappelle segnalate in zona). Poi scendere lungo la strada carrabile di nuovo a Rossa e da qui seguire il sentiero sul fondovalle cercando di giungere almeno fino ad Arvigo

L'antico insediamento della Scata

Poco fuori Rossa inizia la salita e subito incontro il primo elemento di interesse.
Su questo ampio pianoro soleggiato sorgeva l'antico insediamento della Scata che, agli inizi dell'Ottocento, contava una trentina di abitanti. Il sito fu abbandonato per motivi in parte ancora da stabilire, e con esso la coltivazione sugli adiacenti terrazzamenti.
L'area è stata progressivamente invasa dal bosco fino al 2012, quando il Comune di Rossa ha deciso di promuovere un intervento di recupero, ripristinando l'antico paesaggio terrazzato con diversi metri lineari di muri a secco.

Sulla sinistra i terrazzamenti, a destra due insediamenti e più in alto completamente a destra il calvario

Promosso dal Comune di Rossa, un progetto di valorizzazione paesaggistica, storico-culturale ed ecologica della vasta area dei terrazzamenti agricoli e dell'antico abitato della Scata ha preso avvio nel 2012. In seguito al taglio del bosco pioniere sono riaffiorate le vestigia di imponenti muri di terrazzamento che hanno fatto l'oggetto di una ricostruzione, mentre è pure stato ripristinato il sentiero storico che, attraverso l'insediamento, porta agli alpi ed ai passi che collegano la Calanca con la Val Pontirone. 

Pro de Leura, sulla strada tra Calanca a Val Pontirone

Anche l'antica cascina proposta ad accogliere l'infopoint della Scata è stata restaurata.


L'origine di questo insediamento, dominato dalla cappella di S. Maria Maddalena al Calvario (1691), va lentamente delineandosi. Su incarico del Servizio archeologico cantonale, nel 2014 è stato realizzato uno studio approfondito del settore principale del sito, che ospita le vestigia dell'abitato.

Cappella di S. Maria Maddalena al Calvario (1691)

Mentre l'esterno é decisamente moderno l'interno profuma di altamente vissuto e antico, 
se solo i muri potessero parlare.,,,

Delle quarantasei strutture rilevate, quattordici corrispondono a degli edifici, tra i quali si contano cinque abitazioni. I risultati di un'analisi dendrocronologica effettuata su un elemento architettonico dell'antica cascina hanno svelato la data del 1525. I documenti storici che menzionano la Scata sono scarsi. Dall'esame dei registri dei battesimi si evince che nella seconda metà del Seicento era presente una comunità di una trentina di persone 


Per cause ancora sconosciute, l'abitato è stato abbandonato rapidamente nella prima metà dell'Ottocento. Per un certo periodo sui terrazzamenti adiacenti furono mantenute le attività agricole, dapprima la campicoltura ed in seguito unicamente la fienagione, fino al loro completo abbandono. L'antico insediamento della Scata oggi è un'antenna del Museo Moesano, che promuove la ricerca e la divulgazione della storia del popolamento delle valli Mesolcina e Calanca.

Dal 2021, nei terrazzi più in basso sono coltivate una ventina di varietà di patate, in gran parte provenienti dalla collezione di ProSpecieRara.
A rotazione vengono intercalati cereali e leguminose. La coltivazione è ispirata sia alla gestione tradizionale che ai principi della permacultura e rappresenta un piccolo laboratorio a cielo aperto.

La bambola dell'alpe Drusa

Trovandomi in questo momento del percorso ben sopra il fondovalle, ad altezza alpeggio, inserisco qui il primo dei tre elementi inerenti la Val Calanca scoperti nei miei vagare per musei che mi hanno aiutato ad avvicinarmi a questa particolare valle. Durante l'esposizione delle leggende alpine mi imbatto in un inquietante bambola 

Il nostro oggetto è stato spesso definito l’unica bambola dei pastori (in tedesco Sennentunschi) realmente esistente. La figura enigmatica è giunta nella collezione grazie all’etnologo Peter Egloff, che si è imbattuto nella bambola durante un’escursione in Val Calanca.

Bambola di alpigiani, Val Calanca, monte Masciadone, legno dipinto, stoffa

La storia di questa bambola è sconosciuta. Proprio per questo lascia spazio all’immaginazione e alla fantasia. Il suo aspetto singolare fa pensare alle leggende legate a «Sennentuntschi», ampiamente diffuse nello spazio alpino

Il Weissenboden, sotto il passo del Kinzig nella valle dello Schächen, è una di quelle zone alpine dove si dice che sia apparso il “Sennentuntschi”. La stessa leggenda si racconta anche nella valle di Urseren e in altre zone delle Alpi. Si è diffusa dalle Alpi bernesi a Uri, nei Grigioni, nell'Oberland sangallese, fino al Liechtenstein, al Vorarlberg, al Tirolo e alla Carinzia. Varianti della leggenda sono diffuse nell'Alto Vallese, in Stiria e nell'Alta Baviera. 

Esistono diverse versioni di questa leggenda, ma i punti centrali sono solitamente i seguenti: i solitari malgari e pastori delle Alpi, per noia – nelle Alpi lavoravano per lo più solo uomini – creano una bambola femminile. Per divertirsi, la nutrono, le parlano e la portano a letto con loro. Poco prima della discesa dall'alpeggio, la bambola prende vita e inizia a parlare. Si vendica delle malefatte e dell'atto empio che i pastori hanno commesso nei suoi confronti. Nella leggenda, costringe uno dei pastori a restare con lei e gli strappa la pelle dal corpo.

Probabilmente la leggenda è nata dalle fantasie sulla vita isolata dei pastori durante i mesi estivi. 
Nel linguaggio comune, Sennentuntschi è diventato una metafora per un'opera d'arte o un prodotto nato dalla disperazione, con cui le persone perbene non vogliono avere a che fare.

Affresco col morto ad Augio

Augio é il penultimo paese della valle e lo raggiungo una decina di minuti dopo aver lasciato Rossa, é iniziata la mia discesa sul fondovalle.
Augio sarebbe una località perfettamente silenziosa se non fosse per l'ininterrotto fragore della cascata presente poco fuori il paese.

Piuttosto curioso più che la chiesa l'affresco sulla casa proprio di fronte al sagrato, probabilmente in passato la casa del curato. Oltre al pubblico in alto a destra (che fa tanto da telelavoro in ottica rinascimentale) é la scena che piuttosto sfumata ma ancora distinguibile avviene nella parte destra inferiore dell'affresco a suscitare interesse.

L’artista che ha dipinto questo affresco su di una casa di Augio in Val Calanca ci ha reso il compito facile in quanto ha scritto sotto il dipinto che si tratta di San Giovanni Nepomuceno, che è il protettore di coloro che sono in pericolo di annegamento, oltre che della Boemia. Il santo, martire, fu gettato nella moldava dal ponte Carlo di Praga. Come vuole l’iconografia tradizionale, è raffigurato con l’abito da canonico, con il crocifisso in mano, la palma del martirio e la corona con 5 stelle (che qui però sono 6) che si dice apparvero in cielo quando fu gettato dal ponte. 


Gli fu fatto subire ogni tipo di tortura, inclusa la bruciatura dei fianchi con torce, ma neppure questo lo indusse all'obbedienza. Alla fine, il 20 marzo 1393, il re ordinò di metterlo in catene, condurlo attraverso la città e gettarlo nel fiume Moldava. Il luogo della sua esecuzione, sul Ponte Carlo, è luogo di venerazione e viene ricordato da una lapide. Secondo la credenza popolare toccando la lapide con la mano sinistra si avrà fortuna per i successivi 10 anni.

Sullo sfondo la scena del martirio: i soldati sul ponte e Giovanni che cade nel fiume. In alto a destra 5 angioletti su di una nuvola, illuminati da un raggio di luce divina, assistono alla scena. Purtroppo l’artista non ha né firmato né datato l’opera che potrebbe essere del 17. o 18. Secolo. L’edificio si trova proprio di fronte alla chiesa parrocchiale (Via Frott 2).

Pala d’altare

Essendo in tema ecclesiastico riporto qui il secondo elemento calanchino già facente del mio bagaglio di conoscenze sulla valle prima della visita odierna

Quando si giunge per la prima volta nella sala principale della chiesa, ora museo storico di Basilea, si rimane a bocca aperta dinnanzi all'enorme altare che svetta sul fondo. Esso domani la stanza e il suo luccichio cattura l'attenzione.

La pala d’altare sullo sfondo domina l’ampia sala del museo di storia di Basilea. Ancora non lo so e lontanamente immagino che arrivi da un piccolo villaggio dell’altrettanto piccola val Calanca

La sorpresa é quando leggendo le prime indicazioni scopro che proviene dalla Calanca. La piccola e nascosta Calanca! Da non crederci!

Oggi è difficile capire perché l'altare maggiore del 1512 sia stato sostituito all'inizio del XVIII secolo e messo in un altro posto (che non ha senso dal punto di vista liturgico). Dopo altri 150 anni circa, è stato rimosso dalla chiesa (1887) e acquistato per la Collezione Medievale di Basilea. Dopo una collocazione provvisoria nella sala del Concilio nel 1894, è stato inserito nel Museo Storico di recente costituzione e ora si trova nel coro della Barfüsserkirche di Basilea.

Sopra la predella con Cristo e i dodici apostoli, il reliquiario aperto mostra la statua della Madonna tra quattro scene in plastico e otto scene in rilievo della vita di Maria. Il retro e i lati esterni delle ante sono occupati da pannelli dipinti con i quattro evangelisti e otto santi. L'altare tardogotico, conservato nella sua versione originale, proveniente dal capoluogo della Val Calanca, testimonia in modo impressionante l'importanza della comunità di artigiani Strigel della Svevia meridionale per l'esportazione di grandi altari intagliati nella regione alpina fino al confine linguistico italiano. Data la complessità dell'opera, vi hanno lavorato diversi maestri: la Madonna è considerata un'opera sopra la media di Christoph Zeller, un allievo di Hans Herlin. Già nel 1887, quando l'altare fu acquistato dalla parrocchia di Santa Maria per la Collezione Medievale di Basilea, fu considerato «il più grande e significativo altare in terra svizzera dopo quello dell'altare maggiore della cattedrale di Coira».

Siamo nel 1512 nella città imperiale di Memmingen. Memmingen era al crocevia di importanti vie commerciali e, con circa cinquemila abitanti, era una delle città di medie dimensioni della Svevia meridionale. 

Ivo Strigel, che all'epoca aveva più di ottant'anni, gestiva qui una fiorente produzione di pale d'altare di grandi dimensioni. Erano un vero successo nell'esportazione. Seguendo le indicazioni del capo officina, artigiani specializzati realizzavano i singoli pezzi dell'altare a portatile. 

All'inizio della produzione, il falegname costruiva la struttura centrale in legno di conifere e inseriva le ante nei telai. Il fabbro martellava i ferri e le cerniere. Gli scultori intagliavano circa ottanta figure in legno di tiglio, dai bassorilievi alle sculture a tutto tondo. I pittori erano responsabili della pittura e della doratura della pala d'altare. Per questo, i pigmenti venivano mescolati con leganti e poi applicati. L'oro veniva steso in foglie sottilissime. 

Sul retro della pala d'altare, Ivo Strigel ha lasciato la sua firma per garantire la qualità dell'intera opera.

Dei sei campi della parete posteriore dell'altare, i tre superiori sono pieni di foglie e fiori rampicanti e solo quelli inferiori sono riservati alla pittura figurativa.
Nei due scomparti esterni si vedono i quattro evangelisti, vestiti in abiti secolari, in piedi dietro arcate. Un'iscrizione continua è distribuita su quattro nastri che incorniciano le loro teste. È fatta di esametri in rima e dice, 
per San Matteo: «implens jus legis davit est de semine regis»; 
per Giovanni: «est incarnatum verbum de virgine natum»; 
per Luca: «et nece crudeli reparans dispendia celi»; 
per Marco: «ille leo fortis confregit vincula mortis».
Traduzione: “Adempiendo la legge, dal seme del re Davide il Verbo si è fatto carne, è nato dalla Vergine e, con la sua morte crudele, ha riconquistato il cielo perduto, spezzando le catene della morte”.

Al centro c'è un angelo con un rotolo su cui si legge (dopo aver risolto le abbreviazioni): 
Post annos mille • quingentos • bisseno currente • hoc opus ut cernitur • hiis edibus sacris aptatur manu ac industria yvonis • cognomine strigel / insignis opidi memingen • quod cesari subest / concivis ac incole • Michahelis principis almi / profesto • qui tutor huius machine esse dignetur.
In italiano: “Nell'anno 1512 quest'opera, come si può vedere (qui), è stata inserita in questo sacro edificio grazie alla mano e alla diligenza di Yvo, di nome Strigel, cittadino e abitante della gloriosa città di Memmingen, suddita dell'imperatore, alla vigilia del santo principe Michele, che sia il protettore di quest'opera d'arte”.

 Per il trasporto, le singole parti venivano avvolte in teli imbevuti d'olio per proteggerle da urti e umidità. Questi sono stati riposti in casse e barili e caricati su carri trainati da buoi. 

In un viaggio di circa due mesi, il monumentale polittico è stato così trasportato attraverso le Alpi fino alla remota Val Calanca nei Grigioni. Nel Medioevo, il trasporto attraverso i passi era rigorosamente organizzato. Il trasporto veniva effettuato in più tappe e la merce veniva trasbordata in diverse stazioni. Oggi, con un mezzo per il trasporto di opere d'arte, ci vogliono solo tre ore e mezza per percorrere i duecentoquaranta chilometri dell'autostrada. 

Tra il 1450 e il 1525 ci fu un boom edilizio di chiese nei Grigioni. In questo periodo sorsero un centinaio di chiese nella diocesi di Coira, vasta ma scarsamente popolata. Anche nella zona italofona dei Grigioni, la chiesa di Santa Maria Assunta doveva essere dotata di una nuova pala d'altare. La vita nel Medioevo era caratterizzata dall'insicurezza. Gli abitanti di Santa Maria in Calanca speravano che la presenza della santa li proteggesse dalle epidemie e dai cattivi raccolti. La chiesa era il centro della vita sociale. La sua grandezza e bellezza testimoniavano la prosperità della comunità, che per questo si concesse un altare costoso e sfarzoso. 

La pala d'altare fu assemblata nella chiesa come un sistema modulare. Purtroppo, però, gli artigiani commisero un errore: due rilievi furono scambiati sulle ali. 

Durante i giorni feriali le ali erano chiuse e mostravano otto santi ai quali i fedeli potevano rivolgersi in caso di preoccupazioni e sofferenze. Solo nei giorni di festa, come Pasqua e Natale, le ante venivano aperte e la decorazione dell'altare veniva mostrata in tutto il suo splendore. 

Nel XVII secolo le pale d'altare medievali passarono di moda e furono sostituite da altari barocchi più moderni. Così, nel 1724, l'altare di Calanca dovette lasciare il posto a un esemplare più moderno. 

Nel XIX secolo le città iniziarono a fondare nuovi musei. Nel 1887 Basilea riuscì ad acquistare l'altare di Calanca per la sua collezione medievale. L'anno dopo la città si candidò per diventare sede del Museo Nazionale Svizzero, che doveva essere fondato, e voleva così arricchire la sua collezione con un'opera importante. Ma fu Zurigo ad aggiudicarsi l'appalto. 

Dall'inaugurazione del Museo storico di Basilea nella Barfüsserkirche nel 1894, l'altare Calanca è esposto nel coro, dove i visitatori possono ammirarlo in tutto il suo splendore anche nei giorni feriali.

Secondo Poeschel, l'altare è stato spostato nel 1724 dalla sua posizione originale e messo “su travi sporgenti sulla parete di fondo del coro”. Ecco due fotomontaggi digitali che cercano di ricostruire come poteva essere:


Per la maggior parte dell'anno le ante dell'altare erano chiuse. Mostrano otto santi: Barbara, Caterina, Apollonia, Dorotea, Martino, Bernardo, Nicola e Modesto. Questi cristiani esemplari furono torturati e giustiziati perché non rinunciarono alla loro fede cristiana nonostante il divieto. Grazie alla loro storia di sofferenza, erano particolarmente adatti a intercedere presso Dio. Come ad esempio Apollonia di Alessandria. Nel III secolo le furono strappati i denti perché non voleva rinnegare la sua fede cristiana. Per questo i fedeli la pregano quando hanno mal di denti. 


San Nicola, vescovo di Myra in Asia Minore, salvò tre giovani figlie dei vicini lanciando loro dei lingotti d'oro attraverso la finestra. In questo modo il padre, ormai povero, non dovette vendere le figlie per prostituirle. Da allora Nicola è considerato l'amico dei bambini e colui che porta i doni. Ancora oggi, il 6 dicembre, Babbo Natale premia i bambini buoni e rimprovera quelli cattivi. 

Durante le festività importanti come Natale e Pasqua, le ali venivano aperte. Qui la vita di Maria appare immersa in uno splendido oro luminoso, un riflesso della gloria celeste. 
 Al centro dell'altare si trova la figura principale di Maria, splendente come regina del cielo.

Sulla parete di fondo dell'altare sono raffigurati i quattro evangelisti. Tra di essi, l'arcangelo Michele presenta l'iscrizione dell'artista: "Nell'anno 1512, quest'opera, come si vede, fu aggiunta a questo sacro edificio dalla mano e dalla diligenza di Ivo detto Strigel, cittadino e abitante dell'eccellente città di Memmingen, che è soggetta all'imperatore, nella vigilia [vigilia di feste cattoliche elevate] dell'onorevole principe Michele 29 settembre]

Ossario di Cauco

È in maniera molto casuale che giungo all'ossario di Cauco. Dopo un lungo tratto nelle campagne giungo infatti nel piccolo insediamento. 


Dopo una rapido sguardo alla mia mappa digitale scopro che una strada si chiama "via all'ossario".
La sorpresa della giornata! Un ossario! In val Calanca!

Presso la chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Abate a Cauco si trova l’ossario, che è una costruzione a loggia del ‘700 con volte gemelle. Paragonando i dipinti con altri già identificati a Malvaglia, Acletta, Miraniga e Darvella, i dipinti sono stati attribuiti con buona sicurezza all’artista Johann Jakob Riegg. Un restauro fu effettuato nel 1993/95 grazie all’impegno di Andras Schulthess di Andermatt. Johann Jakob Riegg (1678 – 1731) era un pittore di Coira (secondo altre fonti di Sumvitg o perlomeno ha vissuto a Sumvitg). Forse un pittore itinerante, che girava di valle in valle a offrire i sui servizi. Ha lasciato opere nei Grigioni (soprattutto nella valle del Reno Anteriore o Surselva dove ha vissuto), in Val di Blenio e in Calanca. Se effettivamente i dipinti sono suoi, l’ossario è antecedente al 1731.

Eccolo, giusto di fianco alla chiesa

Sulla facciata –nella foto- vediamo in alto sul timpano, ai lati della finestra rotonda, due angeli che suonano le trombe del giudizio con le scritte “Surgite mortui” e “Venite ad iudicium” quindi “sorgete o morti e venite al giudizio”.

Prima dei social le perle di saggezza venivano pubblicate sugli ossari

L'inferno di Cauco. L'espressione dei condannati alle fiamme eterne rasenta la noia piuttosto che il dolore. Piu che le fiamme sembra sia il rammarico ad essere finiti li la vera fonte di malessere

Questa parte é sulla parete di fondo lato sinistro, senza dubbio una figura infernale, e le catene e la corda lo confermano, anche se non riesco a decifrare la figura. 

E’ noto a tutti i biaschesi come, attraverso il passo di Giumella, biaschesi e pontironesi stabilirono già nei tempi antichi rapporti di buon vicinato con gli abitanti della Val Calanca, specialmente con quelli di Rossa. E’ altrettanto noto che alcuni di questi biaschesi trovarono in questi luoghi la donna del cuore, si sposarono e si trapiantarono là. E’ il caso dei Capriroli, dei Papa, dei Motalla.

Durante i lavori di restauro dell’ossario di Cauco ,per caso, una restauratrice ha scoperto una strana iscrizione…….

Nel 1694 anche un Pietro Danes o Danese si fermò a Cauco e, come pittore, fu incaricato di dipingere l’ossario del villaggio. La notizia è stata data dal signor Dr. Med. Andreas Von Schlthess di Andermatt con una lettera del 29.6.95. 

«Gentile Signor Oliveta, gentile Signora, in fretta qualche righe; prego scusi il mio Italiano defettuoso... Le sono molto grato, che Lei si interessasse per il «mio Ossario» a cauco, Val Calanca e la sua attribuzione. Sto restaurando questo edificio magnifico ma molto rovinoso già da quattro anni e fine allora abbiamo sempre pensato, che l'artista degli affreschi motto belli sia il Grigionese Johann Jacob Rieg da Somvico (vicino Disentis), che ha eseguilo tante opere nei Grigioni ma anche nella Val Blenio.
Per caso una restauratrice ha scoperto una firma che forse cambia molto. Si può leggere: Petrus ...anesius Biaschensis hic fecit anno 1694. 

La scritta misteriosa
 si vede che il tempo ha cancellato la «D» di Danesius

Chi era questo Petrus? Forse il fondatore? Lo stile delle pitture è così tipico per Rieg, che pensiamo sempre sia stato lui ad eseguire gli affreschi.  Con saluti cordialissimi. Suo A. V. Schulthess Copia a Sig. Alex Triebold, storico (che si interessa al Rieg), Basilea.

Danesius tra i documenti dell’archivio. 

Questo nome ritorna sul libro dei conti del comune del 1681, sulla prima pagina, con questa indicazione: «Laus Deo sii semper, Quinternet del Comune di Biasca ove contiene il maneggio tanto dei crediti, come de debito ocorsi l’anno 1681 registrato da me Pietro Danes Console, con miei Colega». Ritorna poi anche sul Quinternet del 1683 come debitore di una lira verso il Comune e su quello del 1684 come creditore del Comune di Lire 9e 7 soldi. Le date dei «Quinternet» fanno pensare che questo Danes potrebbe essere lo stesso che ha scritto il suo nome sulle parete dell'ossario. E forse è certo. 

Out di calanchitt

Una delle storia a legarmi maggiormente con la valle Calanca e i suoi abitanti é una tragedia occorsa loro a pochi chilometri da casa mia. L'iconica strada della Tremola che porta al passo del San Gottardo si snoda in una stretta valle e la risale tra innumerevoli tornanti donando quel tocco di luogo epico

Manifesto dell'artista basilese Niklaus Stoecklin, 1925 (collezione di manifesti ZHdK).

La strada così come la vediamo é stata costruita ben dopo le vicende che andiamo narrando
La strada infatti è stata costruita tra il 1827 e il 1830. L'opera, progettata dall'ingegnere ticinese Francesco Meschini, collegava Airolo al Passo del San Gottardo attraverso numerosi tornanti. La strada è stata poi rifatta tra il 1937 e il 1941, con un rivestimento di pietre in granito.

La strada prima di allora era larga da 3 a 4,5 metri, era ricoperta di detriti di pietra e lastre di granito e spesso era in forte pendenza. È questa strada difficile e accidentata che è rimasta in gran parte fino al 1820, quando i cantoni interessati hanno iniziato la costruzione di una nuova strada larga 5,5 metri.

Diebold Schilling ha cercato di descrivere il paesaggio del Gottardo nella sua Cronaca delle guerre di Borgogna (1480). La descrizione è molto stilizzata e non rivela alcuna osservazione della natura. La sua Cronaca ufficiale di Lucerna (1513) ci mostra i mercenari svizzeri al servizio dei francesi che tornano in patria attraverso il Gottardo (nel 1509).
Il passaggio del Gottardo era pieno di pericoli. Bisognava superare la gola dello Schöllenen, il Monte Piottino con la gola del Dazio Grande e la gola della Tremola, il cui nome ricorda il tremito che prendeva i viaggiatori alla vista dell'abisso. Nevicate impreviste, valanghe, cadute di massi e temporali causavano grandi ritardi o addirittura la perdita di vite umane e di materiale. In inverno il passo rimaneva bloccato per periodi piuttosto lunghi. Un disegno a penna nera tratto dalla Cronaca delle guerre di Borgogna di Werner Schodoler (1514) raffigura in modo sommario i Confederati di ritorno da Bellinzona sorpresi da una valanga. 

Spedizione degli Urani oltre il Gottardo (1478). 
Cronaca delle guerre di Borgogna Diebold Schilling, Biblioteca centrale di Zurigo

Il Passo del Gottardo era il più pericoloso di tutti i passi alpini. Qui si verificarono vere e proprie catastrofi: centinaia di persone furono spazzate via in un colpo solo da valanghe. Nel corso di una sola settimana, nel novembre 1874, quando la strada postale e le sue misure di protezione esistevano già, tra Hospental e Airolo si verificarono i seguenti incidenti: un uomo trovato congelato; un postiglione travolto da una valanga; cento italiani sepolti sotto una valanga, di cui cinque morti e novantacinque tratti in salvo.

Valanga nella Tremola
Nonostante l'avvertimento di pericolo, il 24 aprile 1841 un olandese, una donna belga e una di Basilea si avviarono atraverso la gola della Tremola e vengonop travolti da una valanga di neve
Litografia colorata, Heinrich Triner, 1841
Fondazione Pro San Gottardo

Gli antichi confederati la tradussero semplicemente in svizzero tedesco con Trümelen. La Val Tremola era molto temuta in passato; ogni primavera si verificavano disastri. Il più terribile avvenne nel 1624, quando trecento persone persero la vita in una valanga


I 25 tornanti sono stati assegnati dei nomi che rievocano santi, nomi di montagne o insediamenti.
Uno però colpisce particolarmente: il numero 15, l'out di calanchitt (il tornante dei calanchini)

La nominazione dei tornanti della vecchia strada del Gottardo. La tremola é nella parte alta, dai tornanti 15 in su, che vediamo riprodotti qui sotto

Il tornante, o buco, dei calanchitt si identifica con la parte basse della valle, vedi cerchiolino rosso. Se questo, e tutto lo fa pensare, fu il luogo dove ben 300 abitanti della Calanca persero la vita sarebbe ancora più beffardo. Siamo infatti a pochi metri dall'uscita della stretta valle. La pericolosa scelta di varcare il Gottardo in inverno si rilevò fatale per il gruppo smanioso di riabbracciare i cari in vista del Natale

"Val Tremola, il ponte dei Calanchetti e in alto la Casa cantoniera di San Giuseppe. 
(Collezione stampe Massimo Lucchinetti)"

Un tempo i calanchini giravano, come venditori di falci fienaie, i cantoni di Berna e Soletta e nel medio evo, stando a Tschudi, intessevano canestri e si davano all'accattonaggio.
I mestieri esercitati sono quelli del pittore e del vetraio, poco contando le altre arti.

L'economia della Calanca si è sempre basata unicamente sull'allevamento del bestiame e la pastorizia, poiché il tipo di suolo e l'altitudine permettevano solo alcune coltivazioni (segale, frumento, patate). Buona parte del reddito dei suoi abitanti fu nei secoli passati dovuto alla forte emigrazione nella Svizzera tedesca e in Francia nel caso dei vetrai, nella Germania meridionale e in Austria in quello dei venditori di resina (ragiaioli) e di pece e nella Francia e nella Svizzera romanda per i pittori

Sotto: una compagnia di commercianti e la loro carovana ai piedi delle Alpi nel 17° secolo

Quella del vetraio è antica in questa valle. Troviamo nel dicembre del 1624 ben 300 vetrai calanchini coinvolti in una terribile tragedia alpina. Scendevano lieti, di ritorno dalla Francia, alla volta del focolare, quando una valanga, in Val Tremola, li seppellì tutti.


È con questa immagine di immensa sofferenza e sfortuna che concludo il mio viaggio ad Arvigo.
So che ci sono ancora parti della valle da scoprire, a partire dai villaggi in altezza, vere e propri insediamenti fuori dal mondo meritevoli di una visita, inoltre ci sono temi da approfondire come la sventura dei 300 calanchetti, o la figura misteriosa dell'ossario, un archivio della valle a Cauco potrebbe essermi utile.

Arvigo

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La strada dei banchi per un airolese é un classico, anzi un must. È la strada che corre in alto sul fianco della montagna lungo tutta la valle Bedretto. È esattamente l'equivalente della strada alta, quella della "famosa canzone" di Nella Martinetti, ma dall'altro versante della valle Bedretto. Oggi in aggiunta un bonus, che si rivela una perla che impreziosisce e di molto il giro, una deviazione al lago di Sabbioni. La strada dei banchi La strada dei banchi rispetto all strada alta presenta delle differenze sostanziali, ha molta poca ombra, é molto meno frequentata e all'apparenza potrebbe risultare più monotona. Per buona parte la strada é costituita da una carrabile che serve per collegare le varie alpi, poi ad un certo punto diventa sentiero, più precisamente in vista dell'arrivo del riale di Ronco che presente l'unico vero e proprio strappo del percorso. Come dicevo la strada dei banchi é un must per un Airolese, in pratica questa strada porta ai pied...

Chasa Chalavaina

Non son solito fare post dedicati agli alberghi, ma questo, come l’ hotel Dakota,  riporta eventi storici e merita una menzione  a parte. Chi entra in questa casa respira la storia e per uno come me non c'é nulla di più entusiasmante L'albergo sulla centralissima piazza di Müstair. Il monastero é a circa 100 passi di distanza Sopra la porta tutta a destra la mia stanza per una notte Nel 1254, la Chasa Chalavaina fu menzionata per la prima volta come locanda.  Questa casa è unica perché rappresenta l'hotel più antico della Svizzera.  1930 (?) La locanda, situata nella strada principale di Müstair, si trova a pochi passi dal monastero di St. Johann, patrimonio dell'Unesco. L'hotel comprende 18 camere, un ristorante, una cucina "colorata" di nero dalla fuliggine e un ampio giardino. Dove un tempo dormivano galline, gatti e capre, oggi ci sono camere per gli ospiti. Le stanze sono in parte arredate con mobili in legno secolari e in tutta la casa si trovano ute...

Il Dazio Grande e la via delle genti

Orson Wells afferma che gli svizzeri in 500 anni sono riusciti a creare ben poco, in particolare: "In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù." Orson Wells - Il terzo uomo - fim 1949 Possiamo tranquillamente affermare che gli urani hanno seguito la stessa falsa riga per quanto riguarda il baliaggio di Leventina: in oltre 300 anni sono riusciti “solo” a migliorare la viabilità presso la gola del piottino (e di conseguenza fabbricarci il redditizio Dazio grande) . Le virgolette sul solo stanno comunque a sottolineare la difficoltà di costruire una strada in quel punto, questo senza nulla togliere alla difficoltà nel costruire un orologio a cucù che meritava forse anch’esso sarcasticamente le stesse virgolette nella battuta di Well...

Sulla strada per Beromünster

Domenica 10 agosto 2025. Sono seduto su di un bus in stazione a Lucerna. A momenti partirà e in men che non si dica lascerà la città per addentrarsi nelle campagne lucernesi. Ed é proprio questo che amo, essere portato in quello che nel film Trainspotting viene definito “il nulla”. La mia esplorazione oggi mi porterà da una cappella in piena campagna fino al villaggio di Beromünster. La cappella e il nome del villaggio posto come traguardo intrigano (Beromünster si chiamava fino al 1934 semplicemente Münster, monastero). Sono 7 km completamente piatti in una rovente giornata d’estate. Mi aspetto di vedere forse qualche giocatore di golf ad inizio percorso per poi isolarmi completamente tra campi e boschi fino all’arrivo, la tappa di per se non ha nulla che attiri le grandi masse, in Svizzera Mobile non fa nemmeno parte di un percorso a tema. Ma oggi per stare nella pace occorre ricorrere a questi tragitti di “seconda fascia”. La vera gioia sta nell’apprezzare quello che la natura o ...

Curon sul lago di Resia

Diciamo subito che io sappia non esistono altri Curon per cui si necessita aggiungere la precisazione “sul lago di Resia”. La scelta di aggiungere l’indicazione del lago é per facilitare la messa a fuoco del lettore. Se poi vogliamo esagerare sarebbe bastato dire “dove c’è la chiesa sommersa ed emerge solo il campanile." Sarebbe poi bastato aggiungere due foto del caso, da due angolazioni diverse e chiuderla lì, verso nuove avventure. Ma sarebbe stato “facile”, superficiale e maledettamente incompleto. Se il campanile compare un po’ ovunque, sulle portiere dei veicoli della municipalità agli ingombranti souvenir (vedi sotto) un motivo ci sarà.  Il classico dei classici. E non é legato all’aspetto “wow” che questo edificio immerso in uno scenario idilliaco suscita alla prima vista, come se si trattasse di un opera artistica moderna. C’è dell’altro. Basterebbe porsi semplici domande, ad esempio come si é giunti a tutto questo? Un inondazione? Una tragedia? Oppure é una semplice attr...

Kyburg e la vergine di Norimberga

Il tempo passa ma per la vergine di Norimberga presente al castello di Kyburg sembra non incidere, ache se poi vedremo che qualche ritocco l'ha necessitato pure lei. Che poi se ne possano dire finché si vuole ma la vera superstar del castello del castello di Kyburg é lei, proprio come aveva ben visto chi l'acquistò proprio per questo scopo «Vergine di ferro» I visitatori del castello si aspettavano sempre di vedere armi storiche e strumenti di tortura.  Appositamente per loro venivano realizzate delle «vergini di ferro». Matthäus Pfau acquistò il suo esemplare nel 1876 in Carinzia per mettere in mostra «il lato più oscuro del Medioevo».  A quel tempo, le forze conservatrici cercavano di reintrodurre la pena di morte, che era stata abolita poco prima in Svizzera. Attrazione turistica È risaputo che la Vergine di ferro fu inventata nel XIX secolo. Non vi è alcuna prova che in una simile cassa dotata di lame e con una testa di donna sia mai stata uccisa o torturata una persona....

Da Campo Valle Maggia a Bosco Gurin - parte II - Da Cimalmotto al passo Quadrella

Sbuco su Cimalmotto dal sentiero proveniente da Campo Valle Maggia verso mezzogiorno. Non mi aspetto di trovare spunti storici altrettanto avvincenti che a Campo, sarebbe impensabile in così pochi ettari sperare in tanto. Eppure.... Vista da Cimalmotto in direzione di Campo Valle Maggia di cui si intravede il campanile in lontananza Ci sono due elementi geologici che caratterizzano questa parte della valle: la frana che domina la parte inferiore e il pizzo Bombögn che sovrasta la parte superiore. Campo Valle Maggia e Cimalmotto sono l'affettato di questo ipotetico sandwich Chi visita Campo e le sue frazioni con occhio attento non può non rimanere esterrefatto dal contrasto fra la bellezza paesaggistica della zona e la ricchezza dei monumenti storici da un lato e la desolante povertà demografica dall’altro. I motivi sono diversi: innanzitutto Campo, al momento dell’autarchia più dura, era uno dei comuni più popolati della Valmaggia (nel XVIII superava i 900 abitanti; nel 1850 erano...

Mosé Bertoni

C'é una piccola sala nel museo di Lottigna, resta staccata dal complesso principale del museo, una piccola sala che per eventi sfortuiti (si con la "s" davanti) sono riuscito a vedere solo di sfuggita. Però quello che sono riuscito a assaggiare nei pochi momenti mi ha affascinato. Il classico ometto nato in un piccolo villaggio in una valle discosta per poi costruirsi una vita tutt'altro che scontata. Un personaggio amante delle tradizioni svizzere e dei principi anarchici, una combinazione piuttosto bizzarra per non dire incomprensibile. Si capisce fin dai primi momenti che si ha a che fare con un personaggio di nicchia, degno di un approfondimento. Mosè Bertoni verso il 1910 Foto F. Velasquez, Asuncion (Coll. priv.) Mosè Bertoni non è un uomo comune. Giovane irrequieto, dai molteplici interessi, impegnato politicamente tra i liberali innovatori e vicino all'anarchismo, a 27 anni decide di «dare un calcio a questa vecchia Europa» . Non è neppure un emigrante comu...