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La fine di Galeazzo Maria Sforza

Certo che di uno che di nome fa Galeazzo Maria é difficile scordarsi. Certo, la sua rilevante posizione che lo fa entrare di diritto, senza nulla fare, alla storia é un ulteriore aiuto. Fosse per l'uomo andrebbe più dimenticato che ricordato

Galeazzo Maria Sforza

Le cronache dell'epoca lo descrivono come uno dei nobili più viziosi e malvagi del Quattrocento, sospettato d'avere avvelenato la madre, oltre che d'essersi comprato le mogli altrui per poi lasciarle ai cortigiani quando se ne stancava.
Un uomo capace di far morire di fame un prete, solo perché lo aveva invitato a meditare sulla brevità della vita, che ha soffocato un cacciatore infilandogli una lepre in gola, e che ha amputato le mani di un tale che aveva osato insidiare una delle sue donne. E non è bastato, così lo ha ficcato in una bara ancora vivo, insieme a un cadavere putrefatto, e lo ha seppellito.
Non proprio una brava persona, quindi, ma indiscutibilmente potente, forse l'unico in Italia paragonabile a Lorenzo.

Ritratto di Galeazzo Maria Sforza di Piero del Pollaiolo, 1471. Oggi questo dipinto è conservato nella Galleria degli Uffizi, Firenze

Gerolamo Mangiaria, Udienza di Corte sforzesca al tempo di Galeazzo Maria, miniatura, Parigi, Bibliothèque Nationale

Incontri ravvicinati e casuali

Mi scontro con lui a più riprese durante le mie sortite a Milano, inevitabile.
Meno scontato dove:
La prima volta é una bella statua di un giovanetta nelle scure stanze del museo del Duomo

Galeazzo Maria Sforza, scultore milanese, 1480 circa
 statua da mensola - marmo di Candoglia

In seguito saprò darmi una risposta sulla scelta di ritrarlo giovanetto e dallo sguardo simpatico a 4 anni della morte (Galeazzo Maria é morto all'età di 33 anni).La scelta di ritrarlo ragazzo e non trentenne potrebbe essere giustificata che in questa tenera età é nel momento in cui la sua reputazione era ancora intatta, la sua vera indole doveva ancora uscire ed era sconosciuta ai più.

La seconda volta in occasione della mia visita all'ossario di San Bernardo decido di fare una capatina alla chiesa adiacente (che poi scopro chiamarsi di Santo Stefano), tutto a due passi dal Duomo di Milano. 
Una targa nella navata principale vicino all'entrata coglie la mia attenzione

La targa incrociata casualmente all'interno della basilica

Basilica Santo Stefano Maggiore, appena varcata la porta il luogo dell'agguato

L'ultima messa

Ma veniamo ai fatti: cosa é successo esattamente quel 26 dicembre 1476?
Poco prima dell'inizio della solenne messa nella chiesa di Santo Stefano a Milano, Galeazzo Maria Sforza diventa un bersaglio.
Gli assassini sono tre: Carlo Visconti, Giovanni AndreaLampugnani e Girolamo Olgiati. La sorella del Visconti era stata violata dal duca, il Lampugnani aveva in sospeso una questione di terre che Galeazzo Maria tardava a riconoscergli, mentre l'Olgiati, giovanissimo, viveva nel mito dei tirannicidi e dell'instaurazione della libertà repubblicana.
Moventi diversi, ma lo stesso obiettivo: Galeazzo Maria.

La mattina del 26 dicembre fa freddo.
In chiesa vi erano anche alcune sue amanti e persino alcune prostitute. Malgrado le suppliche di Bona e i tentativi di dissuasione da parte di alcuni cortigiani, Galeazzo decise di allora recarsi in città. Indossava una veste di raso cremisi foderata di zibellino, cinta da un cordone di seta morella e dello stesso colore erano il berretto e la calza sinistra mentre la destra era bianca e bianche le due bottine ai piedi. Per precauzione indossò una corazza che però si tolse subito in quanto lo faceva apparire troppo grasso e lo soffocava. Giunto ai piedi della scalinata della corte ducale mandò a chiamare i figli Gian Galeazzo ed Ermes e li salutò affettuosamente per l'ultima volta, quasi presago del suo destino. Si diresse poi a piedi tenendo a braccetto Niccolò ambasciatore di Ferrara e il pisano Zaccaria de' Saggi, ambasciatore di Mantova. Giunto nel foro subito fuori dal Castello che era ghiacciato durante la notte, montò a cavallo seguito da tutto il resto del corteo

Verso mezzogiorno, sotto un pallido sole, giunse nel piazzale davanti alla basilica, gremito di gente. All'epoca, la chiesa conservava ancora il suo aspetto altomedievale. Davanti al portale d'ingresso vi era un antico nartece (rimosso poi durante i lavori di sistemazione della chiesa nel Seicento), all'interno era costituita da tre navate separate da sei grandi arcate ed era priva di cupola.
Per l'occasione, Santo Stefano trabocca di fedeli.
Galeazzo Maria ha fatto sistemare le sue amanti nelle prime file, un gesto di umiliazione verso i legittimi consorti.

I tre congiurati, seguiti da undici sgherri, erano entrati nella basilica di Santo Stefano e avevano pregato il primo martire e San Carlo di intercedere per loro e di perdonarli per lo spargimento di sangue
Usciti dalla chiesa, i congiurati attesero il duca disposti in questo modo: Giovanni Andrea Lampugnani e Girolamo Olgiati, insieme a Francione da Venezia e i fratelli Baldassarre e Jacopo da Bellinzona, si trovavano a destra dell'ingresso laterale, riservato alla corte, che si apriva dove oggi si trova la cappella di San Carlo. I due indossavano una corazzina ricoperta da una veste corta di raso cremisi ed erano armati di daga; il Lampugnani era inoltre protetto da una celata. Carlo Visconti si trovava alla sinistra dell'ingresso, nascosto tra la folla con accanto Bernardino de' Porri.

Galeazzo giunse nel piazzale, preceduto dalla guardia ducale comandata da Ambrosino da Longhignana e dagli staffieri, ivi smontò da cavallo lasciandone le redini ad un moro e si diresse dritto verso l'ingresso mentre il coro all'interno della chiesa cantava Sic transit gloria mundi. 
I congiurati, una volta avvistato il duca, si fecero largo tra la folla. Il Lampugnani, avvicinatosi alla sua persona, fece un gesto di saluto con il berretto poi, fingendo di inginocchiarsi, sferrò un fendente dal basso verso l'alto con la daga che aveva nascosto nella manica, colpendo Galeazzo alla coscia e recidendogli l'arteria femorale sinistra. Il duca vacillò, fece per accasciarsi ma fu subito assistito dagli ambasciatori di Ferrara e di Mantova che gli stavano a fianco. Presto fu raggiunto da un secondo fendente al collo (o allo stomaco secondo il Cenni). Sopraggiunse quindi l'Olgiati che infierì con un colpo al pettorale sinistro, uno alla gola e uno al polso, poi fu il turno del Visconti che lo ferì alla schiena e alla spalla quindi Francione lo trafisse con uno stocco alla schiena. I colpi ricevuti successivamente, stando al Cenni, affondarono nella giugulare sinistra, sull'arcata orbitale sinistra e sulla tempia oltre che sul capo. Il duca morì quasi istantaneamente ma secondo il Corio prima di spirare ebbe il tempo di proferire "Oh Nostra Donna!". Si contarono in tutto quattordici coltellate, di cui otto mortali.

Poco dopo sotto i fendenti di Francione cadde anche Francesco da Ripa, staffiere ducale noto per la sua statura colossale, mentre cercava di difendersi con la spada. A questo punto i congiurati tentarono di darsi alla fuga. Il Lampugnani fuggì in mezzo ad un gruppo di donne sperando di raggiungere un cavallo che lo attendeva fuori dalla chiesa ma inciampò nelle vesti di una di queste e cadde bocconi a terra. Fu raggiunto da uno staffiere moro noto come Gallo Mauro che lo trafisse nella schiena con uno spiedo. Scoppiò allora un gran tumulto con il popolo che cercava di uscire dai portoni mentre la guardia ducale, armata di picche, alabarde e partigiane vi entrava per arrestare i congiurati; nella confusione molti furono calpestati e alcune nobildonne rapinate dei gioielli che indossavano al collo e tra i capelli. Dopo qualche tempo la guardia ducale riuscì a catturare vivi tutti i congiurati rimasti con l'eccezione del Visconti e dell'Olgiati che riuscirono a fuggire.

Francesco Hayez, La congiura dei Lampugnani, 1826.

Il corpo del Lampugnani viene trascinato in strada, poi issato contro un muro per essere lapidato. Finite le pietre si passa ai bastoni, quindi ai coltelli. Dopo di che viene portato nella sua casa e appeso a testa in giù a una finestra, dove rimane tutta la notte. Il giorno dopo gli viene tagliata la testa e anche la mano destra, che viene attaccata a una colonna in piazza.

Lo stomaco viene squarciato e le interiora disperse; la leggenda vuole che il cuore e il fegato spariscano subito, per ricomparire sulla tavola di un fanatico sostenitore degli Sforza.
Ciò che resta viene gettato al porci.

La fine dei congiurati


Pochi giorni dopo, vengono catturati anche l'Olgiati e il Visconti. Per loro c'è subito la tortura, non per estorcere una confessione, superflua data la flagranza del reato, ma per il puro piacere di metterli alla ruota, sottoponendoli a uno degli strumenti di sevizie più sofisticati, tale da non lasciare praticamente un osso intero.

Sono quindi squarciati dal collo in giù, mentre la testa viene staccata anche a loro. I corpi, nudi e sanguinanti come quarti di bue, vengono appesi sulle porte principali di Milano. Le loro teste vengono invece infilate su tre picche, compresa quella conservata del Lampugnani, per essere esposte sul campanile del palazzo comunale, il Broletto, e lasciate lì a rinsecchire per più di vent'anni.

Del corpo di Galeazzo Maria non si seppe nulla. Venne sepolto di nascosto, durante la notte, tra due colonne del Duomo in un luogo imprecisato. Si temevano disordini pubblici, visto l'odio che si era accumulato nei suoi confronti

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