Certo che di uno che di nome fa Galeazzo Maria é difficile scordarsi. Certo, la sua rilevante posizione che lo fa entrare di diritto, senza nulla fare, alla storia é un ulteriore aiuto. Fosse per l'uomo andrebbe più dimenticato che ricordato
Galeazzo Maria Sforza
Le cronache dell'epoca lo descrivono come uno dei nobili più viziosi e malvagi del Quattrocento, sospettato d'avere avvelenato la madre, oltre che d'essersi comprato le mogli altrui per poi lasciarle ai cortigiani quando se ne stancava.
Un uomo capace di far morire di fame un prete, solo perché lo aveva invitato a meditare sulla brevità della vita, che ha soffocato un cacciatore infilandogli una lepre in gola, e che ha amputato le mani di un tale che aveva osato insidiare una delle sue donne. E non è bastato, così lo ha ficcato in una bara ancora vivo, insieme a un cadavere putrefatto, e lo ha seppellito.
Non proprio una brava persona, quindi, ma indiscutibilmente potente, forse l'unico in Italia paragonabile a Lorenzo.
Incontri ravvicinati e casuali
L'ultima messa
Gli assassini sono tre: Carlo Visconti, Giovanni AndreaLampugnani e Girolamo Olgiati. La sorella del Visconti era stata violata dal duca, il Lampugnani aveva in sospeso una questione di terre che Galeazzo Maria tardava a riconoscergli, mentre l'Olgiati, giovanissimo, viveva nel mito dei tirannicidi e dell'instaurazione della libertà repubblicana.
Moventi diversi, ma lo stesso obiettivo: Galeazzo Maria.
La mattina del 26 dicembre fa freddo.
In chiesa vi erano anche alcune sue amanti e persino alcune prostitute. Malgrado le suppliche di Bona e i tentativi di dissuasione da parte di alcuni cortigiani, Galeazzo decise di allora recarsi in città. Indossava una veste di raso cremisi foderata di zibellino, cinta da un cordone di seta morella e dello stesso colore erano il berretto e la calza sinistra mentre la destra era bianca e bianche le due bottine ai piedi. Per precauzione indossò una corazza che però si tolse subito in quanto lo faceva apparire troppo grasso e lo soffocava. Giunto ai piedi della scalinata della corte ducale mandò a chiamare i figli Gian Galeazzo ed Ermes e li salutò affettuosamente per l'ultima volta, quasi presago del suo destino. Si diresse poi a piedi tenendo a braccetto Niccolò ambasciatore di Ferrara e il pisano Zaccaria de' Saggi, ambasciatore di Mantova. Giunto nel foro subito fuori dal Castello che era ghiacciato durante la notte, montò a cavallo seguito da tutto il resto del corteo
I tre congiurati, seguiti da undici sgherri, erano entrati nella basilica di Santo Stefano e avevano pregato il primo martire e San Carlo di intercedere per loro e di perdonarli per lo spargimento di sangue
Usciti dalla chiesa, i congiurati attesero il duca disposti in questo modo: Giovanni Andrea Lampugnani e Girolamo Olgiati, insieme a Francione da Venezia e i fratelli Baldassarre e Jacopo da Bellinzona, si trovavano a destra dell'ingresso laterale, riservato alla corte, che si apriva dove oggi si trova la cappella di San Carlo. I due indossavano una corazzina ricoperta da una veste corta di raso cremisi ed erano armati di daga; il Lampugnani era inoltre protetto da una celata. Carlo Visconti si trovava alla sinistra dell'ingresso, nascosto tra la folla con accanto Bernardino de' Porri.
Galeazzo giunse nel piazzale, preceduto dalla guardia ducale comandata da Ambrosino da Longhignana e dagli staffieri, ivi smontò da cavallo lasciandone le redini ad un moro e si diresse dritto verso l'ingresso mentre il coro all'interno della chiesa cantava Sic transit gloria mundi.
Poco dopo sotto i fendenti di Francione cadde anche Francesco da Ripa, staffiere ducale noto per la sua statura colossale, mentre cercava di difendersi con la spada. A questo punto i congiurati tentarono di darsi alla fuga. Il Lampugnani fuggì in mezzo ad un gruppo di donne sperando di raggiungere un cavallo che lo attendeva fuori dalla chiesa ma inciampò nelle vesti di una di queste e cadde bocconi a terra. Fu raggiunto da uno staffiere moro noto come Gallo Mauro che lo trafisse nella schiena con uno spiedo. Scoppiò allora un gran tumulto con il popolo che cercava di uscire dai portoni mentre la guardia ducale, armata di picche, alabarde e partigiane vi entrava per arrestare i congiurati; nella confusione molti furono calpestati e alcune nobildonne rapinate dei gioielli che indossavano al collo e tra i capelli. Dopo qualche tempo la guardia ducale riuscì a catturare vivi tutti i congiurati rimasti con l'eccezione del Visconti e dell'Olgiati che riuscirono a fuggire.
Il corpo del Lampugnani viene trascinato in strada, poi issato contro un muro per essere lapidato. Finite le pietre si passa ai bastoni, quindi ai coltelli. Dopo di che viene portato nella sua casa e appeso a testa in giù a una finestra, dove rimane tutta la notte. Il giorno dopo gli viene tagliata la testa e anche la mano destra, che viene attaccata a una colonna in piazza.
Lo stomaco viene squarciato e le interiora disperse; la leggenda vuole che il cuore e il fegato spariscano subito, per ricomparire sulla tavola di un fanatico sostenitore degli Sforza.
La fine dei congiurati
Sono quindi squarciati dal collo in giù, mentre la testa viene staccata anche a loro. I corpi, nudi e sanguinanti come quarti di bue, vengono appesi sulle porte principali di Milano. Le loro teste vengono invece infilate su tre picche, compresa quella conservata del Lampugnani, per essere esposte sul campanile del palazzo comunale, il Broletto, e lasciate lì a rinsecchire per più di vent'anni.
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