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L'uomo albero

Pensava di fare una trovata originale e all'avanguardia il sito NIKIN proponendo una grafica perlomeno bizzarra e di sicuro effetto. Tutto nuovo? Non proprio. 

Ma cosa tratta la NIKIN?

INSIEME PER LA NATURA. ALBERO PER ALBERO.

Per ogni vendita di NIKIN, una parte è destinata a programmi di piantumazione di alberi in tutto il mondo. Un singolo albero non cambia il mondo da un giorno all'altro, ma a poco a poco, come comunità, stiamo rendendo la Terra un posto più verde. Bla bla bla....

Quello che colpisce é evidentemente l'uomo albero, immagine di sicuro effetto (più del 19° posto su 26 raggiunti dal Ticino nella classifica)

Sorprendentemente, ma neanche troppo, l'associazione tra uomo e pianta é molto più antica della NIKIN

Apollo e Dafne

I protagonisti di questo mito sono Cupido, Apollo e Dafne. Il primo, offeso dal secondo, scaglia per vendetta le sue frecce: quella dell'amore verso Apollo, quella dell'odio verso Dafne.

Apollo, pur essendo un dio con fascino e prestigio, viene ripudiato da una ninfa che, pur di conservare intatta la sua verginità rifiutando qualcuno che detesta, preferisce piuttosto essere trasformata in alloro.

Il vero messaggio nascosto nel mito tocca però anche una corda diversa: quella dell'amore non ricambiato. Inutile, dice il mito, amare qualcuno che non ricambia: qualunque sia la scelta che l'altra persona farà di fronte ai nostri sentimenti, deve essere rispettata senza ammettere violenza.

Ma che ruolo ha l'alloro all'interno del mito? Per gli antichi l'alloro, pianta sempreverde, poteva avere il significato di vita perpetua: Dafne prosegue la sua vita anche dopo l'incontro con Apollo.

"Apollo che insegue Dafne trasformata in alloro".
Le trasformazioni in minerali, piante e animali sono comuni nei romanzi medievali.
Metamorfosi di Ovidio (I secolo a.C.), manoscritto miniato del XV secolo,
Bodieian Library, Oxford, ms. Douce 117, fol. 2
Collezione Dagli Orti/Biblioteca Bodleiana, Oxford.

Wak wak

Questa leggenda appartiene a un gruppo di fiabe che ruotano intorno al "wak-wak". Il Baltrusaitis ne parla a lungo e ci sembra interessante riportare un ampio stralcio delle pagine dedicategli:
1a visione deve essere messa in rapporto ai racconti arabi relativi agli alberi che producono esseri viventi, diffusi dopo l'VIII secolo.
Il racconto ha avuto parecchie versioni. Secondo alcune di esse, quest'albero meraviglioso, che cresce in un'isola lontana, porta sui rami le teste dei figli di Adamo. Al sorgere del giorno e alla sera, esso grida "wak-wak" e canta inni al Creatore. Secondo altre versioni, ha come frutti corpi di donna interi e i suoi richiami " wak-wak" sono di cattivo auspicio. La leggenda è narrata nei Libri delle Meraviglie dell'India, scritti nel X secolo, nei quali compare un albero i cui frutti, simili a zucche, hanno una certa rassomiglianza con un volto umano. La prima menzione che se ne conosca compare in una relazione cinese, Tung-tien [...].


Un'altra variante figura del Kitab al-Haiyawan di al-Giahiz (859), in cui il wak-wak produce animali e donne sospesi per i capelli: queste ultime sono colorate e non smettono mai di dire "wak-wak". Esse però tacciono e muoiono quando vengono staccate dall'albero. Secondo il Kitab al-gaghraftya, opera di un geografo anonimo di Almeria del XII secolo, queste piante miracolose crescono nell'isola Wakwak, che si trova nel mar della Cina. Le loro foglie somigliano a quelle del fico. I frutti cominciano a formarsi all'inizio del mese di marzo, quando si vedono nascere piedi di fanciulle; i corpi spuntano nel mese di aprile e le teste nel mese di maggio. Queste fanciulle sono magnifiche e mirabili. Cominciano a cadere all'inizio di giugno e alla metà del mese non ne rimane più una. Cadendo urlano "wak-wak"

Giovanni di Mandeville

Anche se Giovanni di Mandeville non parla di quest'albero favoloso, pare tuttavia serbarne qualche ricordo quando nomina l'albero delle "bernacole"; gli uccelli sbocciati dall'albero vivono solo finché vi restano attaccati, ma "quelli che cadono in terra muoiono subito 

Uomo albero - Giovanni di Mandeville

Anche gli alberi del sole e della luna, in quanto alberi parlanti, sono molto simili al wak-wak. Secondo Giovanni di Mandeville, essi sono "gli alberi del sole e della luna, e quali parlarono ad Alessandro Re e predissero a lui la morte sua.
Ai primi dell'XI secolo, questa leggenda ci è stata rinviata dagli arabi, i quali l'hanno associata all'epopea di Alessandro Magno.
All'inizio, questi alberi hanno soltanto il dono della parola e vengono raffigurati con una sola testa; "quindi, in seguito a un'evoluzione facilmente comprensibile, le teste si moltiplicano od è così che appaiono nel Livre des Merveilles del duca di Berry .

Anche l'albero araldico del Male si riallaccia a questa tradizione: in tal modo, il Medioevo
"adatta" l'albero leggendario "ai propri sistemi religiosi e simbolici
[...]. La pianta che dà come frutti delle teste umane cambia costantemente di significato, dall'alchimia fino agli emblemi morali.

Come i vegetali possono ricoprirsi di frutti umani, così gli uomini possono diventare, per converso, il terreno di una fioritura vegetale: questo, almeno, è quanto potrebbe indurre a credere, come attraverso un'illusione ottica, un'incisione su legno reperibile nella seconda edizione di Giovanni di Mandeville, pubblicata ad Augsburg (Augusta) a cura di Anton Sorg, ma in merito alla quale non abbiamo trovato nel testo nessuna indicazione riguardante il soggetto raffigurato

Wak wak sbarca in Europa

Incisione ottocentesca di un albero magico da "Il folletto e il droghiere" (danese: Nissen hos Spekhøkeren, 1852), una fiaba di Hans Christian Andersen. L'albero è raffigurato con frutti sorridenti a forma di testa femminile, simili a quelli dell'albero waqwaq . La descrizione dell'albero recita:

Dal libro uscì una striscia di luce che si trasformò in un grande albero e che estese i suoi rami molto al di sopra dello studente. Ogni foglia era viva e ogni fiore era una bella testa di ragazza, alcune con occhi scuri e brillanti, altre con meravigliosi occhi blu. Ogni frutto era una stella scintillante" (Anderson, 1904, pp. 13-14).

Sembra quindi che l'albero del wak wak abbia influenzato anche la letteratura europea.

Mandragora

Un'altra creatura, famosissima, può ben illustrare lo stretto legame tra il regno umano e quello vegetale: la Mandragora, le cui radici hanno forma umana - maschile o femminile - a seconda dei casi

Mandragora maschile e femminile, dall'Hortus Sanitatis (1491)

Si credeva che quando veniva estratta, la mandragora emettesse un urlo in grado di uccidere: ecco perché la radice è legata tramite una corda a un cane - che ha il compito di tirarla fuori dalla terra - mentre l'uomo che osserva la scena si copre le orecchie con le mani.

Metodo per cogliere la mandragora da un'immagine medievale

Disco allegorico Peter Hans 1610: La discordia della mente

Nel museo cantonale di storia di Friborgo mi imbatto in questa decorazione in vetro:


Un uomo barbuto in pantaloni gialli attillati e doppietta gialla si trova di fronte a un paesaggio montuoso e a una balaustra gialla. Ha un mantello blu ricco di tessuto drappeggiato sulle spalle e indossa un copricapo simile a un turbante. Dal suo petto spunta un folto ramo, tra i cui rami appaiono una testa barbuta, una figura nuda e orante illuminata dal sole e un cuore. Con una sega, l'uomo si prepara a rimuovere il ramo dal petto. 

L'immagine centrale mostra la rappresentazione allegorica del dubbio. I rami, che simboleggiano un carattere ambivalente, terminano in varie figure simboliche: l'uomo deve decidere tra la ragione (la testa), il desiderio (l'omuncolo radioso) e l'emozione (il cuore). La raffigurazione risale con precisione a una xilografia che l'incisore, noto con il noto nome di Maestro del Petrarca, realizzò per il libro di Francesco Petrarca "Von der Artzney bayder Glueck des guten und widerwaertigen". 
Si tratta di una delle opere più lette del suo tempo, pubblicata per la prima volta in tedesco ad Ausgburg nel 1532, che passò attraverso diverse nuove edizioni fino al 1620 e fu chiamata anche "Trostspiegel" a partire dalla seconda edizione. In esso Petrarca spiega che i filosofi fanno derivare la mente da tre fonti, dalla testa, che governa la vita umana, dal cuore, dove si accumulano e divampano l'ira e la rabbia, e dalla regione sottostante il cuore, luogo del desiderio e dell'impurità

Petrarca - De remediis utriusque fortunae 
(i rimedi contro la buona e la cattiva sorte)

 Das ander Buch, l'autore afferma, come dice l'iscrizione esplicativa sul disco in latino e tedesco, che la persona dubbiosa e interiormente divisa deve concentrarsi su un obiettivo e superare la vita emotiva e istintiva per raggiungere la pace interiore. La figura allegorica rimuove quindi con decisione il ramo che rappresenta il conflitto interiore. Tuttavia, l'immagine può anche alludere a emblemi analoghi, che mostrano che da un ramo tagliato crescono nuovi rami giovani e forti, cioè nuova forza. Non è chiaro dalla sua biografia se il fondatore abbia vissuto in prima persona delle difficoltà emotive a seguito di esperienze personali e si sia quindi sentito particolarmente indirizzato da questo motivo petrarchesco.

Dante, inferno, canto XIII

Anche Dante menziona degli uom ini piana ma il contesto é decisamente diverso: si tratta di dannati all'infermo in quanto suicidi

Le arpie erano creature orrende avevano l'aspetto di enormi uccelli rapaci, con aguzzi artigli ma dal viso di donna. Conficcavano le loro unghiacce nelle cortecce degli alberi provocando la fuoriuscita di minute gocce di sangue umano.
Com'è possibile?, mi chiesi.
«Avvicinati al ramo e spezzalo!», m'invitò il mio maestro.
Mi accostai e presi un rametto tra le dita facendo leva e spezzandolo. D'improvviso si udì la voce dolorosa di un uomo che invocò pietà.
«Perché mi schiante? Perché mi scerpi?», cioè perché spezzi i miei arti legnosi?
Fui colto da un profondo imbarazzo e mi sentii meschino per aver provocato una lacerazione dolorosa a quell'albero.
La sua voce umana (e il sangue che stillava dalla ferita del ramo) mi convinsero pertanto che si trattasse di un uomo e non di un vegetale. Anzi, proprio un essere mutato in albero, per il motivo che egli stesso mi raccontò...


Si trattava del protonotaro alla corte dell'imperatore Federico II, Pier delle Vigne, un notissimo poeta che conoscevo bene. La sua condanna era tremenda. Il notaio-poeta aveva rivolto violenza contro di sé, era cioè un suicida; aveva rinnegato e perduto il proprio corpo. Secondo la Legge divina era di conseguenza stato condannato ad abitare una forma di vita inferiore, vegetale, cioè un tronco d'albero. Non gli sarebbe stato più concesso un nuovo corpo umano.

Il povero dannato subiva inoltre l'attacco sconsiderato delle Arpie che arpionavano la sua corteccia; esse divoravano inoltre le poche foglioline che spuntavano, lordavano i suoi rami con il loro sterco, facendo soffrire immensamente il «violento contro se stesso».
Una fine ingloriosa per un grande poeta!, pensai; tuttavia provocata per sua stessa mano...

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