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Luigi XVII

Tra le varie biografie che ho letto quelle che più mi hanno lasciato un senso di desolazione e tristezza infinita sono quelle riguardanti i bambini. Procurare del dolore ad esseri innocenti, ingenui e nemmeno capaci di concepire la cattiveria é estremamente inumano.

Tra i personaggi che hanno avuto un destino particolarmente crudele e di cui ci sono documenti a testimoniarlo e di cui mi sono occupato sono Henry Lee Lucas e Luigi XVII. Trattasi di due storie in epoche e contesti completamente diversi ma diversi punti che le accomuna; un infanzia di stenti segnati da un abbandono completo degli affetti e un introduzione alle perversioni da parte del mondo adulto.

In breve: Luigi XVI fu l'ultimo re di Francia e venne ghigliottinato durante la rivoluzione francese. Dopo di lui, il delfino, suo figlio Luigi Carlo, o Luigi XVII al momento della morte del padre. Il suo ruolo di delfino prima, e di ipotetico re dopo, fu strumentalizzato dal regime del terrore portandolo a vivere un esistenza miserabile. Morì a 10 anni in condizioni terribili. 

La sua storia.


Ritratto del Delfino Luigi Carlo di Francia di Alexandre Kucharsky, 1792, Reggia di Versailles

Le ultime parole

Penso ai suoi ultimi istanti di vita descritti fa Frère Hilaire: 

«La notte tra il 7 e l'8 giugno lo stato del piccolo infermo si aggrava (...). Gomin si china in ginocchio accanto al piccolo Re che muore. Vedendolo soffrire molto, cerca di confortarlo: il bimbo gli afferra allora la mano e se la porta alle labbra. Passa qualche istante di silenzio.

"Spero che ora voi non soffriate." 
"Oh, sì! Soffro ancora ma molto meno: questa musica è così bella!" 
"Da dove sentite questa musica?" 
"Da lassù!"
"Ed è molto che la sentite?" 
"Dacché vi siete inginocchiato vicino a me. Come? Non l'avete sentita? Ascoltate!Ascoltatela!"
 
E con la mano il bambino indica il piano di sopra. Gomin finge di ascoltare.
"Sentite! in mezzo alle altre voci ho riconosciuto quella di mia madre."
Sorride. Entra anche Lasne (...) il piccolo Re si aggrappa alla mano di Lasne: 
"Ti devo dire una cosa...." 

Ma la sua testa reclina sul braccio dell'amico... E l'8 giugno 1795, alle due del pomeriggio. Aveva anni dieci, due mesi e dodici giorni.

I primi brevi anni felici

Luigi Carlo di Francia nacque nel 1785 alla reggia di Versailles, terzo figlio (secondo maschio) di Luigi XVI, re di Francia, e dell'arciduchessa Maria Antonietta d'Austria, sua moglie

Luigi Carlo fu molto amato dalla madre, che lo soprannominò «mon chou d'amour». In quanto secondogenito, ad ogni modo, il giovane Luigi non venne preparato per la successione al trono né venne per lui disposta un'educazione improntata a questo scopo, almeno agli albori della sua vita. Al suo servizio si trovava un gruppo di persone deputate alla sua cura: la marchesa de Tourzel fu sua governante, mentre Jean-Baptiste Cléry fu suo valletto. La figura che più di ogni altre ebbe un ruolo rilevante nell'infanzia e nella prima giovinezza del Delfino fu la sua balia, Agathe de Rambaud, di cui lo storico Alain Decaux disse:

«Madame Agathe de Rambaud era la governante del principe ereditario sin dal giorno della sua nascita e tale rimase sino al 10 agosto 1792. Fu così per sette anni. Durante questi sette anni non lo lasciò mai, lo cullava, lo curava, lo vestiva, lo consolava e lo rimproverava. Fu una vera madre per lui, dieci, cento volte più di Maria Antonietta!.»

Alla reggia di Versailles, dove visse i primi anni in spensieratezza, data la sua naturale passione per il giardinaggio, il giovane Delfino ottenne che gli fosse predisposto un piccolo orto personale presso la terrazza a sud, dove si dilettava in particolare nella coltivazione di fiori.

Il Delfino ritratto nel 1790 da Élisabeth Vigée Le Brun

" Luigi XVII, scrive il barone Hue, ereditò un volto celeste, una mente precoce, un cuore compassionevole e i semi delle più grandi qualità". "Luigi Carlo di Francia, duca di Normandia e dopo la morte precoce del fratello maggiore Luigi Giuseppe Saverio Delfino di Francia e dopo la morte del padre Luigi XVI di Francia il re Luigi XVII di Francia

Dalle stelle alle stalle

La vita del giovane Luigi XVII é strettamente correlata agli eventi storici della Francia del XVIII secolo. In particolare verrà al mondo nel momento peggiore per far parte della famiglia reale di Francia, infatti il futuro delfino nasce a soli 4 anni dalla rivoluzione francese che bussa alle porte.

Cerchiamo di metterci nei suoi panni:

L'addio a Versailles

Il mattino del 6 ottobre 1789 viene svegliato di soprassalto e vestito in tutta fretta dalla sua governante, Madame de Tourzel. Sopraggiunge il Re, preceduto da una guardia del corpo sanguinante: si accerta delle condizioni del figlio, lo prende in braccio ed esce di palazzo attraverso un corridoio segreto.
Fuori però la carrozza reale è circondata da una folla urlante. Delle megere, messe a cavalcioni sui cannoni, cantano oscenità contro sua madre. 


Sotto gli occhi del piccolo Principe, issate su picche, vengono agitate le teste di Varicourt e Deshuttes, le guardie del corpo cui egli era molto affezionato. «Mamma, è tutto molto brutto qui» così le dice, ritrovandola alle Tuileries.


«Vedo bene che ci sono persone cattive che fanno del male a papà. Rimpiango le nostre buone guardie del corpo a cui volevo tanto bene, assai più di questa gente di cui non m'inquieto affatto.» Quella gente sono le guardie nazionali del Signor de La Fayette.

Assalto del 5 ottobre 1789

La fuga di Varennes

Alcuni fanciulli di Parigi hanno intanto costituito un reggimento Real Delfino: inquadrati da ufficiali
della Guardia Nazionale, essi sfilano in parata nella loro divisa di guardie francesi e con la propria fanfara innanzi al Delfino, nominatone colonnello d'onore, il quale, in uniforme e fingendo una piccola spada, li passa in rassegna. Ma l'illusione è di breve durata. La notte del 21 giugno 1791, la notte della fuga di Varennes, la Regina sveglia il fanciullo: «Dovete recarvi ad un presidio militare ove comanderete il vostro reggimento.» «Presto, presto, sbrighiamoci,» le risponde il Delfino. «Datemi la mia sciabola, i miei stivali e partiamo!»

La famiglia viene intercettata a pochi chilometri dal confine a Varennes e viene riportata a Parigi tra due ali di folle in un silenzio agghiacciante

21 giugno 1791 La famiglia reale (Luigi XVI re di Francia, la regina Maria Antonietta e i loro due figli Madame Elisabeth la sorella del re e l'istitutrice dei bambini) catturati nella locanda di Varennes

Invasione delle Tuileries

Passa un anno: il 20 giugno 1792 i sanculotti sbraitanti di Santerre invadono la Reggia delle Tuileries, sfilano innanzi al Re e, dopo aver forzato le porte, anche davanti alla Regina, insultandola. Al Delfino viene posto in capo il rosso berretto frigio.


Qualcuno evoca la notte di San Bartolomeo. «A che proposito? Qui non c'è un Carlo IX,» commenta un uomo li dappresso. «Né una Caterina de' Medici,» aggiunge il fanciullo settenne.
Anche in questi giorni così convulsi, intanto, l'abbé d'Avaux, suo precettore, e Madame de Tourzel non cessano di curarne l'educazione. Al Marchese de Villeneuve, ch'è venuto a visitarlo, il Delfino mostra il suo nuovo giocattolo: una lepre che batte il tamburo.
«So che voi ci amate,» gli dice. «Sapete: batte il tamburo per il Re la mia lepre, è monarchica; però non lo dite a nessuno, ché altrimenti la ucciderebbero!»

La Torre del Tempio

Il 10 agosto del 1792 il palazzo delle Trullerie é preso d'assalto dai rivoluzionari, un mese prima dell'abolizione della monarchia, Luigi Carlo venne trasferito insieme alla sua famiglia dapprima al convento dei Foglianti di Rue Saint-Honoré e dal 12 agosto nella prigione della Torre del Tempio, un antico edificio medievale costruito dai Templari

Il tempio nel 1795. Ogni singolo elemento che circonda la storia di Luigi XVII sembra adattarsi perfettamente al regime di terrore e desolazione che l'accompagna

La separazione dai genitori

Luigi Carlo viene in un primo tempo separato dalla mamma e dalla sorella e rimane col padre, re Luigi XVI. Durante il processo di Luigi XVI, il Delfino fu affidato a sua madre.

Gli addii al Re, la veglia della sua esecuzione, che fu alle ore 10.22 del mattino del 20 Gennaio 1793, furono uno strazio.
Madame Royale, la sorella del piccolo Luigi XVII scrisse: “La mattina di quel terribile giorno, ci levammo alle sei. La sera prima mia madre aveva appena avuto la forza di spogliare e di coricare mio fratello: ella s’era gettata vestita sul letto, dove l’udimmo tremar di freddo e di dolore tutta la notte. Alle sei ed un quarto la nostra porta fu aperta, e qualcuno venne a chiedere un libro di preghiere per la messa di mio padre credemmo che ci invitassero a scendere e stemmo a lungo con questa speranza, sino a che gli urli di gioia d’una folla sfrenata non venne ad informarci che il delitto era consumato”.

Divenuto Re, il piccolo Luigi XVII venne levato a sua madre.

ll 1° Luglio infatti il comitato di salute pubblica ordina che “il giovane Luigi, figlio di Capeto” sia separato da sua madre, alloggiato in un appartamento a parte ed affidato ad un istitutore scelto dal consiglio generale della comune.
Alla sera del 3 Luglio, verso le 22.00, Maria Antonietta e Madame Elisabeth sedevano nella loro stanza al Tempio mentre mettevano a posto i vestitini di Luigi XVII che dormiva già tranquillo. Addirittura affinchè la luce non lo disturbasse, sua madre stese un vecchio scialle dinnanzi al suo letto, mentre la zia leggeva un libro di preghiere: ad un tratto alcuni passi pesanti risuonarono nelle scale, le porte vennero spalancate con fracasso ed entrarono 6 ufficiali municipali, ed uno di essi annunciava brutalmente un decreto col quale il figlio del cittadino Capeto doveva esser separato da sua madre. Paralizzate nelle loro sedie, Maria Antonietta, Madame Royale ed Elisabeth udirono raggelate, ma la madre urlò ponendosi dinnanzi al letto del figlio in difesa, come si potesse pensare di toglierle il figlio, che era piccolo, debole ed entrato in convalescenza da pochi giorni.

Attorno al letto si schierarono a protezione sia Maria Teresa che Elisabeth, pronte a difendere Luigi XVII, ma i commissari, invece che inteneriti apparvero seccati: certo qualche lacrima se l’aspettavano, così pure come qualche protesta viva, ma non si aspettavano questa resistenza. Furono prese per le braccia per scostarle dal letto, ma alla minaccia che avrebbero chiamato la guardia, Maria Antonietta raccolse le sue forze e iniziò a vestire il bimbo che singhiozza attardandosi nell’operazione d’amore che non farà mai più, aiutata dalla zia e sorella del piccolo. Non sanno che il piccolo sarà affidato ad un calzolaio…

The long slow goodbye

Il ciabattino

Dopo la morte del padre, ghigliottinato il 21 gennaio 1793, il Delfino fu riconosciuto dai monarchici espatriati come nuovo re, con il nome di Luigi XVII. Il conte di Provenza (futuro Luigi XVIII), fratello del defunto monarca, che si trovava all'epoca in Germania dove era fuggito dopo la rivoluzione, si autoproclamò reggente per il nipote, riconoscendolo sovrano col nome di Luigi XVII e iniziando con altri aristocratici, come il cavaliere de Jarjayes, il barone Jean-Pierre de Batz e la britannica lady Charlotte Atkyns a progettare un metodo per far evadere il giovane principe dalla prigionia. 

In nome di Luigi XVII agì il fronte monarchico durante l'assedio di Tolone del maggio-dicembre del 1793, segno che la sua figura continuava ad avere una rilevanza importante per i filo-monarchici. Per maggiore sicurezza, quindi, il 3 luglio dello stesso anno, il bambino fu separato a sua volta dalla madre per essere affidato alle cure di Antoine Simon, un ciabattino analfabeta, con lo scopo di educarlo da repubblicano.

Il ciabattino era un rivoluzionario giacobino, cui fu assegnato il compito di plagiare il bambino e condurlo a rappresentare l'elemento finale della decadenza della monarchia francese, così che potesse divenire inviso persino all'aristocrazia

Presunto ritratto del calzolaio Simon, attribuito ad Antoine-Jean Gros, 1794-1795
L'autore Georges Bordonove delinea Simon come un uomo di intelligenza limitata, interamente dedito agli ideali della rivoluzione, probabilmente analfabeta e fortemente influenzato da leader politici hébertisti come Pierre-Gaspard Chaumette e Jacques-René Hébert.

«Povera madre! - scrive Madame Royale -. Il suo solo piacere era di veder passeggiare da lontano mio fratello, scrutandolo da una piccola finestra nel guardaroba. Ella se ne rimaneva lì per due ore, in attesa di vedere quel fanciullo tanto amato.» Il bimbo piangerà per due interi giorni. «Simon - prosegue madame Royale -, maltrattava assai mio fratello nel vederlo piangere per la separazione da noi e il fanciullo, perciò, non ha più versato lacrime.»

A depravare il Re bambino, Simon (e sua moglie!) si adopereranno a dovere: l'istitutore, facendo anche uso della violenza. Gli storici che lo negano sono degl'impudenti, che non si curano di disprezzare anche le testimonianze più certe.  Scapaccioni, calci, battiture, urla all'indirizzo del "lupacchiotto", sarcasmi contro Capeto, sveglie notturne brutali, umiliazioni e asservimenti, questi sono i metodi.

Alle volte, da principio, il bambino ribatte, ma ben presto non può più farlo. Simon, istruito in precedenza da Hébert, sa alternare alle punizioni le lusinghe: blandisce il fanciullo, carezza la sua pigrizia, ne accende i sensi. Un carrettino, una voliera, una gabbia per canarini con un organetto, ricuperati fra gli scarti del vecchio palazzo sono altrettanti pretesti per divertirlo.


Luigi XVII di Francia e il suo carceriere;
il riparatore di scarpe Antoine Simon

Discesa verso gli inferi

Viene ritrovato anche un biliardo, attorno al quale, Simon con i Commissari e i soldati di guardia, giocando a carambola, fumando e bevendo, prendono in giro con risatacce il piccolo Capeto. Queste riunioni, divenute il grande divertimento del Tempio, ben presto degenerano in vere e proprie orge, tanto che il Consiglio deve ordinare che il biliardo ritorni in cantina.

Biliardo di fine XVIII secolo, museo castello di Wildegg 

Frattanto il piccolo Re cade malato. Scrive Madame Royale: «A fine agosto il cambiamento di vita e i maltrattamenti fecero deperire mio fratello. Simon lo rimpinzava in maniera orribile e gli faceva tracannare molto vino, che mio fratello detestava. Così si procurò la febbre [...] la sua salute si guastò: si era enormemente ingrassato, ma non era cresciuto

"..al piccolo Re si fanno bere liquori forti, s'insegnano inverecondie e bestemmie, si fanno leggere per divertirlo i libri più infami".


Il responsabile è individuato in Hébert.
«È egli stesso - si precisa nei rapporti - a portare con sé nella stanza del fanciullo delle giovani prostitute», gli ambasciatori britannico e spagnolo riportarono ai rispettivi sovrani dei racconti avuti dai loro informatori, secondo i quali il bambino sarebbe stato stuprato da delle prostitute con l'intento di infettarlo con malattie veneree e gettare ulteriore discredito sulla regina, anche se, «dopo la morte della Regina, a Luigi XVII non si presentarono più altre meretrici.» «Quanto a suo tempo fu fatto per farlo deporre contro sua madre - commentano le stesse fonti d'informazione - era stato dunque sufficiente per corromperlo e depravare.» E ancora: «Di quando in quando egli si rende conto del suo stato, piange e si dispera. Allora i Commissari lo stordiscono con dell'acquavite e lo fanno giocare a biliardo» Spesso Hébert "minaccia di ghigliottinarlo" e questa intimidazione lo atterrisce a tal punto da farlo svenire.

Il vero obiettivo della prigionia di Luigi XVII e della sua mancata uccisione da parte dei rivoluzionari rimaneva infatti quello di colpire sua madre Maria Antonietta e in tutti i modi i rivoluzionari cercarono di convincerlo a testimoniare contro la madre al suo processo per alto tradimento, anche con la forza.

Dipinto di Émile Mascré raffigurante Luigi XVII nel tempio con i suoi carcerieri

Il processo

Il 6 ottobre 1793 (15 vendemmiaio) il Sindaco di Parigi, Pache, e il procuratore della Comune bussano al portone del Tempio, seguiti da cinque tristi figuri, Commissari civili e funzionari di polizia. Salgono, agitati, fino alla camera del fanciullo, al secondo piano: Simon, che prima l'aveva tenuto apposta a digiuno porta ora al bambino pasticcini e liquori. Il birichino si trova così nelle condizioni psicologiche più adatte: come previsto, denunzia subito alcuni Commissari che avevano dimostrato qualche indulgenza verso sua madre e dei quali Simon voleva vendicarsi.

Dichiara quindi di essere stato sorpreso diverse volte, da Simon e da sua moglie, nell'atto di commettere su se stesso atti impuri e di aver loro confessato che erano state sua madre e sua zia ad insegnargli quest'abitudine, tanto nociva per la sua salute; che anzi, molte volte, esse si divertivano a vedergli ripetere questi atti davanti a loro e che queste indecenze avvenivano più di frequente quando lo facevano coricare fra di loro. 
Nella dichiarazione si legge, inoltre, che sua madre l'aveva un giorno fatto accostare a sé e che (sulla base delle spiegazioni fornite dal fanciullo) si capiva esservi stata copulazione, con conseguente rigonfiamento di un testicolo, a causa del quale, come attesta la cittadina Simon, il bimbo porta un cinto ortopedico.

Si aggiunge che la madre gli aveva molto raccomandato di non parlare mai di tutto questo e che, nondimeno, quest'atto impuro era stato in seguito ripetuto più volte. Firmato: Luigi-Carlo Capeto. La sottoscrizione è autentica: tuttavia questo fanciullo, la cui grafia un tempo era così formata e sicura, ora non allinea che delle lettere tremolanti, scritte con mano incerta.

Di fronte a questo documento gli storici restano sconcertati: quelli del secolo XIX tralasciano, per pudo-re, di scriverne. I moderni (Garçon, Marina Grey) sono spregevoli: essi 'industriano a cercare spiegazioni che possano discolpare questi "buoni Simon". Ma, alla fine chi, se non i Simon, era al corrente che l'abbassamento di un testicolo il bimbo se l'era cagionato da sé, correndo a cavallo di un bastone, come attestato dal medico curante, dottor Pipelet.

Chi, se non Hebert e i Simon, architettò di servirsi di questo piccolo incidente per fabbricare le accuse contro la Regina? E la "cittadina Simon" si è prestata a una macchinazione del genere!

Lei, che sapeva tutto, presenzia sia a questo interrogatorio che a quello del giorno successivo, per sorvegliare il bambino, affinché dia le risposte volute.

Il giorno dopo (presente, spinto dalla curiosità, anche il pittore David) i Commissari procedono, per tre ore, ad un interrogatorio prima, ad un confronto poi, con la sorella, Teresa Capeto: «Quando mi avvicinai a mio fratello - scrive Madame Royale - lo abbracciai teneramente; allora la signora Simon me lo strappò dalle braccia e mi disse di passare nell'altra camera.

Dopo averle notificato le denunce del giorno precedente, Chaumette domanda a questa giovinetta, di soli quattordici anni, se, quando ella giocava con suo fratello, egli la toccasse là dove non avrebbe dovuto e se sua madre e sua zia fossero solite farlo coricare fra loro.

Ella rispose di no. Viene fatto entrare allora Luigi Carlo Capeto e lo s'invita a dichiarare se quanto ha esposto il giorno innanzi, circa i toccamenti indecenti sulla sua persona, risponda a verità. «Egli confermò le sue dichiarazioni, le ripeté e le sostenne innanzi alla sorella, insistendo nel dire ch'era la verità.»

Sebbene offesa, la Regina sarà di una dignità ammirevole: dopo aver risposto su ogni altra circostanza, di fronte alle triviali insistenze di un giurato, che indugia sulle accuse più infamanti che le vengono rivolte, esclama: 

«Se a questo non ho risposto, è perché la natura stessa si ribella davanti a una simile accusa, diretta a una madre. Mi appello a tutte la madri qui presenti!»

La regina si difende durante il processo

Un fremito percorre l'aula. Il presidente della Corte con fatica riesce a riportare l'ordine. Occorre forse dire che anche il "bravo Simon" si presenta alla sbarra per deporre contro la Regina? Ormai il gioco è fatto: il 16 ottobre 1793 anche Maria Antonietta sale, con semplicità e coraggio, alla ghigliottina. Regina più che mai, anche nella sventura.

Datano a questo periodo, secondo Beauchesne, alcuni permessi che si accordano al "piccolo Capeto":
può così giocare con la piccola Clouet, la figlia della lavandaia, quando questa accompagna sua madre al Tempio, mentre Gourlet, il secondino, ed il suo aiuto

Meunier, presi da pietà per il piccolo prigioniero del Tempio, gli riparano la gabbia per canarini e Meunier stesso s'incarica di mettervi gli uccelletti. Ma, ahimé!, il vecchio organetto della gabbia, ora aggiustato, suona il motivo della "marcia reale". Irrompono allora le guardie, che hanno udito quest'inno sedizioso, e spezzano al fanciullo il suo fragile balocco.

Simon, intanto, si annoia; "l'istitutore" non sa ormai che farsene del suo allievo, stanco, malato, che sembra uscire adesso da un incubo. Anche la moglie di Simon si ammala. Beauchesne situa ai primi di gennaio del 1794 un episodio, di cui gli storici moderni non fanno il più piccolo cenno: il carceriere sorprende il bambino, nel cuore della notte, in ginocchio e con le mani giunte. Gli versa allora sulla testa una brocca d'acqua, atterrendolo con manifestazioni di una collera spaventosa.

Murato vivo

Cos'avvenne del fanciullo? Fu murato vivo. «Non è possibile!» si grida. «È esagerato!» protestano i ricercatori moderni. E, invece, accadde proprio questo: lo attestano autori' come Simien-Despréau, Eckard, Beauchesne e tutti gli storici cronologicamente più vicini ai fatti. Poco importa che il bimbo sia stato rinchiuso nella camera di Clery o in quella del Re: la metratura non supererà mai i 4,50 per 5.

Un rapido esame delle fatture, rilasciate in quei giorni, ai muratori che lavoravano al Tempio, ci permette di ricapitolare le opere che vi furono eseguite e di comprendere che cosa si era deciso: ripristino di uno stretto abbaino; serramento a spagnoletta per finestre, chiuso con un lucchetto; vasista di sicurezza; porte chiuse a chiave; l'entrata che dà sull'anticamera, murata e divisa con un tramezzo, munito di spioncino (rinforzato da sbarre e a cui ci si prende la briga di mettere un vetro); collocazione della stufa all'esterno, nell'anticamera.

Un letto inutilizzato, un lettuccio costituito da un materasso senza lenzuolo, un tavolo, una seggiola: questo è l'arredamento. Infine, ovviamente, una tinozza per i suoi bisogni, mentre lo spurgo è rimesso al buon cuore dei carcerieri, come pure il poter disporre di una brocca d'acqua per la propria igiene.

Lo spioncino a vetro permette di accertarsi della presenza e delle condizioni del prigioniero bambino, sia di giorno che di notte, mediante un riverbero di luce, al momento del cambio della guardia: «Dormi tu, Capeto? gli si grida. I pasti (zuppa, bollito, legumi secchi, il normale vitto dei carcerati) gli vengono serviti attraverso uno sportello: è più comodo!

Terminati gli ultimi lavori di sistemazione, la reclusione del piccolo Re ha inizio, a tutti gli effetti, il 21 gennaio 1794: durerà sei mesi, nell'inverno ghiacciato della Torre.

Il medico delle carceri, Thierry, non visita più i prigionieri. I primi cinque giorni di detenzione, ci si dimentica perfino di cambiare la biancheria del bambino. In seguito, sottostando alle esigenze della nobildonna Clouet, la lavandaia, il bucato si limiterà alla sola biancheria intima, come calze e camicie. Il gilet, i pantaloni che indossa, non saranno più cambiati. Il piccolo orfano viene abbandonato a sé stesso, assolutamente solo, senza niente da fare, senza aria, senza cure, senza la possibilità di muoversi un po', senza luce di sera e durante la notte. Inizia così a sfiorire.

E, del resto, come potrebbe resistere? Dove trovare la forza e i mezzi per lottare, per lavarsi, per tenere pulita la cella? S'introducono così e si stabiliscono in quello stambugio i parassiti, le cimici, i ragni, i ratti e i topi, la scabbia e tutto il resto... Il bimbo si gratta la cute, corrosa dalla scabbia, scorticandola con unghie lunghe e dure come corna. «Non è possibile!» scrivono scandalizzati certi storici: «Vi erano bene delle persone pietose, guardie municipali amiche, il cortese Barelle, per esempio, al quale egli offrì insistentemente del cibo, in ringraziamento della sua bontà.» Oh, certo! Fra quanti si trovano al Tempio, ci sono delle persone pietose; sono però rare, rarissime. E, comunque, che potrebbero fare? Nulla! Si vive allora in pieno Terrore: alcuni erano già stati diffidati dal mostrarsi troppo indulgenti.

Il testimone più veridico e imparziale del martirio del piccolo Re, resta Madame Royale, la quale, già allindomani di Termidoro, poté ricostruire su fonti dirette ogni cosa: «Barbarie inaudita - scrive - di abbandonare un bambino sventurato, di otto anni, solo, chiuso sotto chiave e catenaccio dentro una cella, senz'altro soccorso che quello di un campanello, ch'egli non tirò mai, preferendo mancare di tutto piuttosto che supplicare i suoi persecutori. 
Mio fratello giaceva in un letto che non veniva rifatto da sei mesi e che non aveva la forza di mettere in ordine: cimici e pulci lo coprivano, i suoi indumenti e la sua persona ne rigurgitavano. I suoi escrementi rimanevano nella cella: egli non poteva gettarli, né mai altra persona glieli gettò via; la finestra non veniva mai aperta e, all'interno, non si poteva resistere, a causa di quell'odore ripugnante.
D'indole egli era sporco e pigro e avrebbe potuto avere più cura della sua persona...»

«Spesso non gli si dava neppure un lume; il poveretto moriva di paura, ma non domandava mai nulla. Trascorreva le sue giornate, senza poter fare niente e questa situazione fu molto nociva per il suo spirito oltre che per il suo corpo (..). 

Le guardie municipali lasciarono sempre che mio fratello languisse in mezzo agli escrementi e non entravano che per i pasti, senza sentire alcuna pietà per questo sventurato fanciullo.

Nessuno ebbe mai il coraggio di denunciare le crudeltà, a cui mio fratello fu sottoposto: sarebbe stato cacciato l'indomani.»

Ne volete una conferma? Nel processo verbale del Consiglio generale della Comune del 27 marzo 1794 (7 germinale, anno II) si può leggere quanto segue:
«Cressend si è permesso di compatire la sorte del piccolo Capeto [...]. Il Consiglio ordina che il cittadino Cressend sia escluso dal Consiglio e che sia inviato immediatamente alla questura.»

Madame Royale, istruita dalla zia, reagirà alla prigionia: cura la propria igiene, spazza la sua cella, fa ogni giorno nella sua stanza un'ora di esercizi fisici e di cammino, si sforza di leggere e di rileggere i pochi libri che ha a disposizione, lavora a maglia, sebbene ciò ""annoi molto".

...Ma il bimbo è senza sostegni, senza neppure un gioco per svagarsi!

Durante la sua prigionia il fanciullo, per tre giorni di seguito, rifiuta di mangiare: il cuoco Gagnié (che testimonierà questo fatto al tempo della Restaurazione) ottiene allora dal Comitato per la sicurezza generale l'autorizzazione a farsi aprire le porte della cella, per poter vedere il fanciullo e rendersi conto di persona di come stanno le cose.

«Già nel salire le scale che conducevano alla sua cella - ricorda - io avvertii un fetore ammorbante [...]. Affermo che, entrando nella stanza, vidi il giovane principe, riverso, in posizione curva, le calze arrotolale, con un ginocchio e un braccio tumefatti, nell'incapacità di alzarsi, il collo roso dalla scabbia. Gli chiesi per quale ragione non avesse toccato cibo per tre giorni, Da egli mi rispose: "Che vuoi amico mio, desidero morire!"»


Nella sua deposizione Gagnié precisa, naturalmente, che il bimbo da lui veduto era il figlio di Luigi XVI, ch'egli lo conosceva bene ed enumera anzi tutte le volte in cui l'aveva visto, dal momento del suo arrivo al Tempio: egli era stato infatti uno dei membri del personale di servizio che, a suo tempo, si erano adoperati, perché cessassero le orge attorno al biliardo.

Gagnié aveva osservato allora (e di ciò renderà testimonianza in seguito) lo stato di eccitazione del tutto innaturale in cui si trovava il bambino e come le guardie se lo gettassero l'un l'altra, sfidando Gagnié stesso ad associarsi a questo loro gioco da canaglie alcolizzate.

Luigi XVII ritratto per l'ultima volta alla prigione della Torre nel 1793 da Joseph-Marie Vien le Jeune
 
Il cuoco Gagnié sarà uno dei pochissimi ad avere il coraggio di vergognarsi di tanta bassezza. Egli non ha dubbi: dopo che nulla era stato tralasciato per traviare Il piccolo Sovrano, ora lo si voleva uccidere  lasciandolo marcire solo e abbandonato. Il piano è, dunque, quello di sempre: «Disfarsene!» Chi ha impartito quest'ordine? Chi vuole murarlo vivo? Hébert e Chaumette, senza dubbio, sono stati i primi, ma si può dire che sia stato poi l'intero Comitato di salute pubblica, divenuto l'anima della Repubblica in quei primi mesi del 1794, a pretenderlo.

Il bambino non parla più e si comprende perché.

Inutile vaneggiare di un sostituto sordomuto! Il piccolo cristiano, il piccolo Re col pensiero ritorna sui suoi giorni passati: ora che non è più costretto a bere e che la sua mente, tornata sobria, non conosce più l'euforia dell'alcool, di quali tristi pensieri diviene preda? Anche se debilitato, Luigi XVII resta pur sempre un bel bambino, intelligente e sensibile: egli si rende perfettamente conto (non c'è da dubitarne) di ciò che gli hanno fatto commettere e che cosa lui è diventato. Prende perciò partito di non più rivolgere la parola a persone tanto malvagie, come del resto farà anche sua sorella maggiore di lui.

Un giorno d’aria

«Venne un giorno un uomo - ricorda Madame Royale - che io credo fosse Robespierre. Le guardie municipali gli manifestavano grande rispetto e la sua visita rimase segreta. Neppure le persone della Torre lo riconobbero.» (Madame Royale allude qui al personale di servizio, col quale Robespierre si era mischiato). «Venne da me, mi scrutò con protervia, esaminò i libri e, dopo aver bisbigliato qualcosa alle guardie, se ne andò.»

A Robespierre, passato questo terribile momento di panico, è dunque riuscito di eliminare tutti i suoi avversari: il Terrore impera, la ghigliottina furoreggia ovvero furoreggia il piccolo avvocato di Arras, l'ideologo dalla folle ambizione. Mentre la Francia giace esangue ai suoi piedi, egli rende noto il suo programma ideologico e prepara la propria apoteosi, nella festa dell'Essere Supremo.

Decide perciò di prendersi un giorno di riposo, per gioire del proprio trionfo e per godersi lo spettacolo delle sue vittime:«Nella notte fra il 23 ed il 24 maggio - scrive l'agente segreto britannico - Robespierre si recò a trovare il Re al Tempio e lo condusse a Meudon.»

Il fatto è certo, quantunque ne fosse al corrente soltanto il Comitato di salute pubblica. "Si assicurò poi che fosse ricondotto al Tempio la notte fra il 24 ed il 25. Si crede che l'intento fosse quello di dimostrare con quanta facilità ci si poteva impadronire del fanciullo"

Quest'intento è, naturalmente, una finta: l'agente inglese s'inganna, come quando, in aprile, dà credito alla notizia, falsa, secondo cui Luigi XVII godrebbe di miglior trattamento.

Uscito un solo giorno, il bambino viene di nuovo imprigionato nel suo stanzino. Il caldo soffocante di quell'estate del'94 si fa sentire.

La fine di Antoine Simon

Ma se "il tiranno" Robespierre è stato eliminato (seguito, stavolta, anche da Simon) non per questo a Luigi XVII è consentito uscire dalla sua prigione. Quei membri della Convenzione, che hanno tratto vantaggio, prima dalla Rivoluzione e poi dal Termidoro, non vogliono saperne, neanche loro, del piccolo Capeto.

Simon fu tra i ventuno giacobini ad essere inviato alla ghigliottina insieme a Robespierre in Place de la Révolution, oggi Place de la Concorde, a Parigi, in un'esecuzione di massa che segnò la fine del regime del Terrore.
Esecuzione di Robespierre e dei suoi cospiratori contro la libertà e l'uguaglianza.
1. Grado Cidevant Meubles
2. Ingresso dell'ex Jardin des Thuileries in Place de la Révolution
3. Il Faubourg St. Germain
4. Sanson, il boia di Parigi
5. Il traditore Lebas che si bruciò il cervello
6. Il traditore Couthon già giustiziato
7. La testa del suddetto scelerat
8. Il traditore Robespierre il giovane
9. Hanriot ex comandante della Guardia Nazionale di Parigi
10. Il tiranno Robespierre il vecchio
11. Dumas ex presidente del Tribunale rivoluzionario
12. Lo scelerato Saint-Just
13. Lescot Fleuriot ex sindaco di Parigi
14. Gli altri 14 complici su 2 carri

Nelle sue Memorie, Lombard de Langres narra la visita di Barras al piccolo Principe, basandosi sui ricordi dello stesso Barras, di cui egli era segretario:

«Rifiuti corporei giacevano accumulati in più angoli della cella [...]. Ciò che impressionò di più il generale Barras fu un lettuccio, a forma di culla, collocato in mezzo alla stanza e costituito da un materasso senza lnezuolo, sul quale il figlio di Luigi XVI se ne stava rannicchiato. Quella culla era davvero troppo piccola per la sua altezza e non poteva contenerlo, quando vi si sdraiava [.). 

Barras pensò che dormisse, ma poi gi accorse che teneva gli occhi aperti. Gli domandò allora, perché preferisse quella culla al suo letto, dove avrebbe potuto riposare più comodamente. Senza neppure muoversi, il bambino rispose che soffriva di meno in quella culla che nel suo letto. Allora il generale gli chiese, se fosse malato e dove sentisse male: invece di parlare, il bimbo si accontentò d'indicargli la testa e le ginocchia [...]. 

Barras ordinò allora ad un ufficiale della guardia municipale e ad un ufficiale di servizio di sollevarlo con cautela e di metterlo in piedi, per vedere se poteva camminare. Il bimbo non si prestò che a malincuore a questi tentativi, pur se fatti con qualche riguardo. Non riuscì infatti a stare in piedi, tanto che volle appoggiarsi alla culla, dove subito si gettò con la testa. Di nuovo Barras ordinò che si provasse a rialzar-lo, tenendolo sollevato per le braccia; ma, fin dal primo passo, il bimbo denunciò dolori tanto forti che subito fu fatto sedere. Vestiva un gilet e pantaloni di panno grigio; i pantaloni gli andavano stretti e pareva gli dessero fastidio. Per accertarsi del male, Barras fece allora tagliare le calze in alto e i pantaloni da entrambe le coste, fin sopra i ginocchi, che riscontrò estremamente gonfi e lividi all'aspetto.»

Ancora una volta ogni ipotesi di sostituzione del fanciullo si rivela impossibile: il giorno in cui Barras viene a trovare Luigi XVII, è infatti commissario di guardia al Tempio il medico Lorinet, cioè uno dei quattro Commissari che ne avevano materialmente rilevato la custodia dalle mani di Simon, il 19 gennaio di quell'anno. Inoltre Barras descrive il piccolo Re, pallido, con dei gonfiori alle mani, alle caviglie, ai ginocchi: sono precisamente i mali (negli stessi punti) che aveva riscontrato Gagnié.

Anne de Chardonnet (1869-1926), Louis XVII au Temple (prigione del Tempio), Musée des beaux-arts et d'archéologie de Besançon.

Cambio della guardia

Racconta, Barras, di aver dato disposizioni, affinché fosse fatto venire il medico Desault: in realtà nessun medico visita Luigi XVII. Barras si disinteressa totalmente di lui, salvo assegnare al Tempio, "come guardiano dei figli del tiranno" , un suo fido, un creolo ventiquattrenne, Laurent, intelligente, convinto repubblicano e democratico solerte. Questo guardiano sostituirà nel loro incarico i Commissari della Comune.

Al piccolo Re, sempre recluso e isolato nella sua cella, Laurent finalmente fa cambiare il letto; lo fa lavare dall'ostessa del Tempio, madre Mathieu, che gli taglia i capelli e lo pettina; gli fa medicare, di quando la guando, le piaghe al collo e alla testa da parte di una guardia municipale-chirurgo.

Ma questi riguardi non nascondono neppure un attimo di commozione e, meno ancora, un mutamento d'opinioni. Da zelante repubblicano, il 31 luglio 1794 (13 termidoro) scrive nel suo rapporto: «Tutto è calmo è tranquillo. Le mansioni vengono espletate con vigile sollecitudine. Cinquecento uomini compongono la guardia. I prigionieri non comunicano con nessuno e stanno bene. Le camere dei due figli del tiranno sono chiuse e ben sbarrate. È urgente che la Convenzione nazionale mi dia un aiutante, perché, da solo, malgrado la mia buona volontà, non ce la faccio più.» Laurent ripeterà questa richiesta, come un ritornello, in tutti i suoi rapporti. Come immaginare che un uomo del genere, che invoca un aiutante per la sorveglianza del Tempio, possa al tempo stesso progettare il rapimento o la sostituzione di Luigi XVII?

Sul momento però Laurent ottiene soltanto del personale "per pulire la stanza del figlio di Capeto e per disinfestarla dai parassiti introdottisi a causa della sporcizia". Ma la disinfestazione tarda ad arrivare.

Passa settembre, passa ottobre e l'aiutante non si vede. Laurent non si rassegna e scrive lettere su lettere al Comitato; in esse, oltre alla solita richiesta, spiega di avere una responsabilità terribile in un momento in cui i legittimisti rialzano la testa; afferma che gli uomini del contingente di guardia, non vedendo mai i Principini, si domandano, "se stiano li a sorvegliare delle pietre o qualche cosa"

Il Comitato ingiunge al comandante militare del Tempio d'impartire le disposizioni, le più rigorose, al fine di prevenire anche solo l'ombra d'una possibile evasione" e impone "la nomina di un cittadino di provata fede repubblicana", da aggiungere alla guardia del Tempio, cui si accompagnerà un Commissario delle sezioni civili di Parigi, che sarà avvicendato ogni giorno.

Il falso allarme fa ottenere a Laurent, finalmente, l'aiutante che tante volte ha richiesto: si chiama Gomin e si presenta al Tempio 1'8 novembre 1794. Nel timore che si possa accusare la Convenzione di eccessiva indulgenza, il convenzionale regicida Mathieu comunica alla tribuna che «il Comitato per la sicurezza generale non ha inteso curare sotto un profilo materiale un servizio affidato alla sua sorveglianza. Esso è ben lungi da qualsiasi idea di migliorare le condizioni di prigionia dei figli di Capeto o di affidarli ad istitutori.

I comitati e la Convenzione sanno come si fanno rotolare le teste dei re, ma ignorano come si educhino i loro figli  

Il figlio di Capeto resterà umiliato.

[...] de la Meuse scrive nel 1814, sotto la Restaurazione, la cronaca di questi fatti. Nonostante lo stile ampolloso, le opinioni e il ruolo che il buon uomo si attribuisce (i quali sono evidentemente più che discutibili, tanto che si è soliti mettere in dubbio la sua attendibilità) raccontando di questi fatti egli si dimostra invece chiaro e sicuro: descrive la stufa, la porta sbarrata. Sottolinea la pulizia degli ambienti, che ora viene fatta regolarmente. Il fanciullo ch'egli vede, nel corso di quest'ispezione, è incontestabilmente lo stesso che ha visto Barras a termidoro, lo stesso visto da Gagnié prima ancora:

prostrato, illanguidito a causa della tubercolosi e tuttavia assai attento; sul viso un'espressione fiera, egli non risponde né vuole rispondere a quest'uomo della Rivoluzione, sebbene intenda benissimo.

La patologia è quella ben nota alla scienza medica: polsi e gomiti tumefatti; noduli sotto le ascelle; ulteriori tumefazioni alle ginocchia e ai garretti, le gambe e le cosce allungate e sottili, come pure le braccia; corto il tronco, il torace alto, spalle rinserrate; un fisico affetto da rachitismo, con una conformazione difettosa, a causa dei terribili patimenti sofferti dal piccolo Re per ben due anni, in piena fase di crescita; ereditariamente predisposto (secondo la legge dell'atavismo) alle scrofole, come i suoi antenati. Colpito dallo stesso male che condusse alla morte suo fratello maggiore, questo fanciullo regale, più di chiunque altro avrebbe necessità di sole, d'aria e di moto, come sua madre aveva detto.

Harmand de la Meuse prosegue: «Il capo assai bello, in tutti i suoi particolari; la carnagione chiara, priva di colorito; i capelli lunghi e belli, curati, di un colore castano chiaro» (Il bambino è dunque sempre il grazioso Principe). I convenzionali presenziano al suo pasto: lenticchie, bollito e castagne, lo stesso vitto degli altri prigionieri. Harmand scarica ogni responsabilità su Simon e sulla Comune, cercando di discolpare la Convenzione; ma, in realtà, anche in questa circostanza, i tre emissari della Convenzione non fanno niente di più di quanto aveva fatto Barras. Non v'è traccia di rapporti, né di medici. E mentre i giornali francesi, le Corti europee seguono con grande attenzione le condizioni del piccolo Re (e un Mallet du Pan se ne farà eco) la consegna, al Tempio, rimane sempre la stessa.

La fine e la pietà

Ma se i convenzionali non conoscono pieta, 1 guardiani, loro, s'impietosiscono. Quando arriva Gomin, il fanciullo di salute sta un po' meglio: lo si chiama ora "Signor Carlo" e non più "Capeto". "Perché vi prendete cura di me?", domanda a Laurent, che aveva ordinato di farlo lavare, guardandolo con i suoi occhi grandi. E aggiunge: «Credevo che voi non mi voleste bene.»

Qualche volta Laurent lo fa salire sul terrazzo della Torre, a fatica, sorreggendolo. Li il bambino raccoglie qualche fiore smagrito, che si aggrappa ai muri della merlatura. Quando ne discende, passando davanti alla porta del terzo piano, apre la mano e sparge i suoi fiori sulla soglia: se lo ricorda, li dimorava sua madre, la cui sorte egli ignora.

Lo storico Beauchesne conobbe benissimo Gomin, uomo timido, ma dal cuore buono. Al Tempio Gomin abbandonerà le sue idee rivoluzionarie, avvertendone ogni giorno di più l'odiosità. Quest' uomo gentile prende a voler bene al piccolo Principe, le sue condizioni miserevoli gli destano compassione: cosi, all'ora di cena, gli prolunga un poco la durata dell'illuminazione (che, invece, Laurent gli nega); gli fa passare un po' di tempo, gli regala dei fiori, delle carte; si studia di addolcire un po' il regolamento o gli orari, che sono sempre rigorosi.

Cerca di contenere gl'insulti e i sarcasmi verso il bambino dei Commissari repubblicani di servizio: «E io vi dico, cittadini, ch'egli sarà imbecille o idiota prima di sessant'anni, se non sarà crepato prima» sbraita un giacobino incallito. Al che il piccolo Re: «lo tuttavia non ho mai fatto del male ad alcuno.»

Gomin comprende a poco a poco tutta la delicatez-za, la dignità fiera, la dolcezza di questa piccola anima regale, infinitamente offesa. Ma mai, né lui, né Laurent infrangeranno le consegne. Fra queste, vi era che fratello e sorella non potessero mai vedersi: era il regolamento. E quando, un giorno, il bambino, direttosi verso la camera della madre, lo implora: «Voglio rivederla, almeno una volta; permettetemi di rivederla, prima di morire...» ricacciando indietro le lacrime, il buon Gomin lo allontana.

Negli ultimi giorni di vita, il piccolo Re non è che dignità, semplicità e perdono, come gli aveva chiesto suo padre: Lasne lo copre di premure e ha ogni giorno per lui dei riguardi. Zoppicante, lo fa salire sul camminamento dove passa la ronda; per tenerlo allegro, canta e il bambino sorride. Il "Signor Carlo" diventa l'amico del cuore di questo soldato, figlio del popolo; e a lui, che aveva ripreso a dargli del "voi", il bimbo si rivolgerà col "tu", come un piccolo Re. A Lasne, che un giorno gli ricorda le sfilate del suo reggimento, Il piccolo Principe sussurra, come in un soffio: «Allora tu mi hai visto con la mia spada?»

Si avvicina intanto la fine. Il fanciullo, che aveva trascorso l'inverno accanto al fuoco, bersaglio di frequenti attacchi febbrili, colto ora da marasmi, deve restare chiuso in camera. Non riesce più a camminare e ogni movimento gli è causa di dolori atroci.

Lasne e Gomin, violando per la prima volta la consegna, osano scrivere: «Il piccolo Capeto è indisposto l.] è gravemente ammalato l..l. Si teme per la sua vita» 
II 6 maggio 1795, il Comitato per la sicurezza generale manda a loro il dottor Pesault, primo ufficiale  presso l'ospedale dell'Humanité (ex Hotel Diew). Ma è troppo tardi. Il celebre clinico se ne avvede subito: il bimbo sta morendo. Per lui ci vorrebbe dell'aria pura, della campagna, non il chiuso di una torre vetusta. Non c'è più nulla da fare; il medico si limita a prescrivergli una ricetta, a base di calmanti e di corroboranti, raccomanda che gli si facciano delle frizioni, quindi torna a visitarlo.

Il 31 maggio, il Commissario di turno Bélanger, che è anche pittore, traccia con la matita il profilo di Luigi XVII, ch'egli "conosceva bene". Il 1° giugno 1795, il dottor Desault muore: corre voce di un suo avvelenamento, ma l'autopsia, eseguita da Corvisart sul suo corpo, non rivela alcuna traccia di veleno. Lo sostituisce il dottor Pelletan, cui si affianca il dottor Dumangin.

Intanto il piccolo Sovrano viene finalmente trasferito nella torre piccola, in una camera areata e senza serrande. Da quel momento, non c'è più vera prigionia: tutti lo possono vedere, anzitutto le guardie che, del resto, già lo conoscevano. La notte tra il 7 e l'8 giugno lo stato del piccolo infermo si aggrava: chiamato d'urgenza al suo capezzale, Pelletan non si disturba a venire! Il mattino dell'8 i due medici trovano il bambino in condizioni gravissime: la povera anima soffre molto, il ventre è contratto e dolorante.

Quando i medici se ne vanno, Gomin si china in ginocchio accanto al piccolo Re che muore. Vedendolo soffrire molto, cerca di confortarlo: il bimbo gli afferra allora la mano e se la porta alle labbra. Passa qualche istante di silenzio. 

"Spero che ora voi non soffriate".
"Oh, si soffro ancora, ma molto meno: questa musica è così bella!" "Da dove sentite questa musica?" «Da lassù!» «Ed è da molto che la sentite?» «Dacché vi siete inginocchiato vicino a me. Come? Non l'avete sentita? Ascoltate! Ascoltatela!" E con la mano il bambino indica il piano di sopra. Gomin finge di ascoltare.
«Sentite! In mezzo alle altre voci ho riconosciuto quella di mia madre.» Sorride.
Entra anche Lasne. Il bimbo deve sopportare ancora un'ultima, terribile crisi. Gomin esce dalla camera, per scrivere e spedire al medico una richiesta urgente di soccorso. 

Il piccolo Re si aggrappa alla mano di Lasne: 
"Ti devo dire una cosa..", ma la sua testa reclina sul braccio dell'amico.

Post Mortem

Quattro medici (Pelletan, Dumangin, Jeanroy e Lassus) procedono all'autopsia. Il referto necroscopico rivela la malattia e le sofferenze del bambino, nonché la causa del suo doloroso marasma: diversi tumori, turgidi di materia puriforme e di sostanze linfatiche, nelle ossa, negl'intestini, nello stomaco e grande quantità di tubercoli. Nessuna traccia di veleno.

Secondo la storica Helene Becquet, che ha scritto nel 2017 un libro su Luigi XVII, il bimbo era già malato da anni, ma di certo la reclusione aveva fatto precipitare un male che l’avrebbe tuttavia portato prima o poi alla stessa fine del fratello maggiore

Il corpo viene adagiato dentro una bara di legno bianco, avvolta da un velo nero. Quindi si fa scendere il feretro; il grande portone del palazzo del Tempio, dove stazionavano dei balordi, viene spalancato. Alcune guardie aprono il passaggio; seguono Lasne, i Commissari civili e di polizia. Tutto si svolge nel più grande ordine.

La bara, portata a spalle, viene interrata nella fossa comune del cimitero di Santa Margherita: non un tumulo, né una lapide ad indicarne il sito.

Nel cimitero di Santa Margherita, a Parigi, una lapide semplicissima, sormontata da una croce, ricorda oggi il martirio del piccolo Re. Sulla croce sta l'iscrizione "L XVII 1785-1795", mentre sulla lapide sono scolpite queste parole: "Attendite et videte, si est dolor sicut dolor meus" ("Fermatevi e considerate, se vi è un dolore simile al mio").


Il dolore, le prove e le tribolazioni purificano.
Vorrei che i tanti giovani d'oggi, talvolta smarriti, trovassero nella vita del Delfino di Francia un esempio, un punto di riferimento.

Monumento funebre col cuore di Luigi XVII, Basilica di Saint-Denis

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