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La peste in Europa - Capitolo III - La peste nell'antichità

Le prime pandemie di peste di cui si ha notizia in realtà si trattavano di altre malattie messe velocemente sotto il grande cappello di "peste", riporto qui le due più famose

La peste di Atene

Ad esempio una delle prime ondate di cui si ha notizia é la peste di Atene (430 A.C.) dove perse la vita Pericle, ebbene questa "peste" con ogni probabilità non era nient'altro che tifo.
L'epidemia tornò altre due volte, nel 429 a.C. e nell'inverno del 427/426 a.C..

Gli storici hanno a lungo cercato di identificare la malattia nota come la peste di Atene. La malattia è stata tradizionalmente considerata un focolaio di peste bubbonica nelle sue molteplici forme, ma riconsiderazioni dei sintomi riferiti e dell'epidemiologia hanno portato gli studiosi ad avanzare ipotesi alternative. Queste comprendono tifo, vaiolo, morbillo e sindrome da shock tossico.

La natura esatta della peste ateniese non potrà mai essere conosciuta. Inoltre, l'affollamento causato dall'afflusso di rifugiati portò alla scarsità di cibo e delle forniture di acqua e all'accumulo di rifiuti con enorme proliferazione di topi, mosche, zanzare, pidocchi. Queste condizioni avrebbero incoraggiato più di una malattia infettiva durante l'epidemia. Tuttavia il miglioramento delle tecnologie scientifiche può rivelare nuovi indizi.

Implicazioni sociali

Le fonti descrivono la peste ateniese e le conseguenze sociali dell'epidemia. Secondo Tucidide in questi periodo si verificò la completa scomparsa dei costumi sociali. Tucidide afferma che le persone cessarono di temere la legge in quanto sentivano di vivere già sotto una condanna a morte. Allo stesso modo, la gente iniziò a spendere il denaro indiscriminatamente. Molti ritenevano che non avrebbero vissuto abbastanza a lungo per godere i frutti di un saggio investimento, mentre alcuni tra i poveri improvvisamente divennero ricchi ereditando la proprietà dei loro parenti. Si registrò inoltre che molti rinunciavano a comportarsi onorevolmente perché non si aspettavano di vivere abbastanza a lungo per usufruire della buona reputazione.

Il dipinto raffigura una folla di persone terrorizzate, ritratte il più delle volte in fuga tra i cadaveri degli appestati che coprono il terreno; a terra abbondano anche i topi e gli uomini si tappano il naso per il fetore dei corpi. I colori sono tetri e gli edifici incombenti rendono la scena oppressiva. Questa rappresentazione tanto cruda della piaga fu ispirata all'autore dall'epidemia di peste scoppiata a Milano nel 1630

Cura della malattia e morte

Un altro motivo per la mancanza di un comportamento onorevole era la contagiosità della malattia. Coloro che tendevano ad ammalarsi erano più vulnerabili alla malattia. Questo fece sì che molte persone morissero solo perché nessuno era disposto a rischiare di prendersi cura di loro. I morti furono ammucchiati e abbandonati alla decomposizione o gettati in fosse comuni. A volte coloro i quali trasportavano i morti incontravano un rogo già in fiamme, e su di esso scaricavano i cadaveri. Altri preparavano cataste di legna per cremare i loro morti. Quanti ebbero la fortuna di sopravvivere alla peste svilupparono un'immunità e divennero poi i custodi di coloro che si andavano ammalando.

Conflitti religiosi

La peste causò anche dubbi di ordine religioso . Dal momento che la malattia aveva colpito, senza riguardo alla pietà che una persona aveva verso gli dei, la gente si sentiva abbandonata da essi e sembrava che non si ricavasse alcun beneficio dal loro culto. I templi stessi erano in stato di abbandono, poiché i rifugiati provenienti dalle campagne ateniesi erano stati costretti a trovarvi una sistemazione. Presto gli edifici sacri furono pieni di morti e morenti. Gli ateniesi pensarono che la peste fosse la prova che gli dei favorivano Sparta

Tucidide  osserva che gli uccelli e gli animali che avevano mangiato cadaveri infettati dalla peste erano morti a loro volta, cosa che lo portò a concludere per una causa naturale della malattia piuttosto che una sovrannaturale.

La peste antonina

La peste antonina (165-180), fu una pandemia di vaiolo, o morbillo,o meno probabilmente tifo, propagata entro i confini dell'impero romano dai soldati dell'esercito di ritorno dalle campagne militari contro i Parti.

L'epidemia potrebbe avere anche causato la morte dell'imperatore romano Lucio Vero, morto nel 169, co-reggente con Marco Aurelio, il cui patronimico "Antoninus" diede il nome all'epidemia.

Le fonti antiche concordano sul fatto che l'epidemia apparve la prima volta durante l'assedio portato dai Romani a Seleucia, nell'inverno del 165–66, durante le campagne partiche di Lucio Vero.

Storia ed epidemologia

Il focolaio scoppiò di nuovo nove anni dopo, secondo lo storico romano Cassio Dione, e causò fino a 2.000 morti al giorno a Roma, uccidendo un quarto degli infetti. La peste avrebbe imperversato nell'impero per quasi 30 anni, facendo secondo le stime tra i 5 e i 30 milioni di morti. La malattia uccise circa un terzo della popolazione in alcune zone, e decimò l'esercito romano.

La peste é descritta come "grande" e di lunga durata, si citano febbre, diarrea e infiammazioni della faringe, oltre a eruzioni sulla pelle, a volte asciutte e altre volte purulente, che apparivano verso il nono giorno di malattia. L'informazione fornita da Galeno non definisce chiaramente la natura della malattia

Sconvolti dal disastro, molti si affidarono alla protezione offerta dalla magia. 
L'epidemia ebbe drastici effetti sociali e politici in tutto l'impero romano.  "nel momento in cui il regno di Marco Aurelio ha un punto di svolta in molte cose, soprattutto letteratura e arte, questa ha una correlazione con la peste."  Il mondo antico non si riebbe mai dal colpo inflitto dalla piaga che lo visitò durante il regno di Marco Aurelio"

Statua di Marco Aurelio nel Campidoglio a Roma

Alcuni effetti del contagio però sono evidenti. Per molti anni i popoli germanici e galli a nord dei confini dell'impero avevano premuto verso sud, in cerca di nuove terre per sostenere la crescita numerica della loro popolazione: decimati dalla malattia, gli eserciti romani non furono in grado di respingerli. Dal 167 fino alla sua morte, l'imperatore Marco Aurelio comandò personalmente le legioni nei pressi del Danubio, tentando con un successo solo parziale di controllare l'avanzata dei Germani oltre il fiume. All'imperatore è inoltre stata attribuita la seguente frase, pronunciata poco prima di morire: «Perché piangete voi per me, e non pensate piuttosto alla pestilenza e alla morte comune?».

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