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Cala do dit (o anche le peripezie di Sant'Eligio)

Due quadri, di stile e raffinatezza diversa ma con un punto in comune: una zampa orribilmente tranciata ad un cavallo e tenuta in mano ad un maniscalco. Quando trovo il secondo dipinto nella cappella di Gallus a Oberrheim torna alla mente il soggetto già visto a Zurigo. Ce n'é abbastanza affinché l'arcano venga risolto in maniera definitiva

I due dipinti

Inizio con l'ultimo visto in ordine cronologico: si trova nella cappella di San Gallus nei pressi di Oberstammheim

Dipinto su una parete dell cappella di Gallus a Oberstammheim (TG)

Cappella di Gallus a Oberstammheim

Il secondo quadro, quello che mi é subito saltato alla mente é in bella mostra al museo nazionale di Zurigo. Impossibile non notarlo: il dipinto é diviso in tre parti, due laterali ed una centrale più grande, presumibilmente trattasi di una pala d'altare.

La parte che ci interessa é quella centrale dove un maniscalco con l'aureola stringe il naso di una donna con le pinze mentre nell'altra mano tiene la zampa di un cavallo bianco che se ne sta ritto davanti a lui sostenuto da un altro uomo. 

Il santo sta per riattaccare a un cavallo una gamba mozzata, ma una strega prova a impedire il miracolo. Eligio le prende il naso con le tenaglie e rompe così l'incantesimo.
Pala d'altare. Hans Leu il Vecchio (1460-1507) 1495 circa. 
Proviene dalla chiesa degli agostiniani, Zurigo. 
Tempera su tavola. Museo nazionale svizzero, Zentralbibliothek Zürich.

Itinerario di Sant'Eligio. Il passaggio sia dalle parti di Sciaffusa che quelle di Zurigo rafforzano ulteriormente l'ipotesi che il dipinto deturpato nella cappella di Gallus fa riferimento a quest'episodio

Alexandre Dumas racconta

La leggenda di Sant’Eligio e del cavallo risanato”, alla quale Alexandre Dumas (padre), autore de I tre moschettieri, ha dedicato un intero capitolo, il LXV “Comment Saint Éloi fut guéri de la vanité”, del suo Impressions de voyage, reportage feuilleton apparso a puntate, sulla Revue des deux mondes, nel 1832 e pubblicato in Italia nel 1834, in versione ridotta, con il titolo di In viaggio sulle Alpi.

L’autore descrive il momento in cui, proveniente dalla Svizzera in prossimità di Domodossola si imbatté in una processione, tutta italiana, di una corporazione di maniscalchi che stava festeggiando Sant’Eligio. Dumas, che riporta alcune notizie della vita del santo, afferma però di non conoscere l’episodio per il quale i maniscalchi gli sono devoti. Incuriosito chiede notizie al mastro di posta, a cui si era rivolto per un servizio di carrozza da Domodossola a Baveno, e viene così a conoscenza di quanto narra la leggenda.

Maestro dei maestri

Eligio, oltre che un orafo, era anche un abilissimo maniscalco tanto bravo che gli bastavano tre “calde” per modellare i ferri. I chiodi che usava per fissarli allo zoccolo sembravano delle pietre preziose incastonate su anelli.
Ben presto però l’abilità portò con se la vanità ed Eligio fece montare un’insegna sulla sua bottega che diceva Éloi, maître sur maître, maître sur tous, il maestro dei maestri, il maestro su tutti
La superba affermazione non mancò di suscitare la sensibilità degli altri maniscalchi, sia in Francia che in Europa, tanto che il clamore raggiunse anche il paradiso. 

Ga pensi mi...

Fu così che il buon Dio, girato lo sguardo verso Limoges, vide l’insegna, tanto orgogliosa, e sapendo come l’orgoglio fosse frutto del demonio già stava pensando a quale castigo, l’irrispettoso maniscalco, meritasse. 
Ma Gesù Cristo, che osservava il padre assorto nei sui pensieri, intervenne a difesa di Eligio: "è vero padre, l’insegna è irrispettosa, ma Eligio è veramente abile, solo ha dimenticato che la sua abilità gli viene dal regno dei cieli e comunque, a parte l’orgoglio, è pieno di buoni principi".

Gesù Cristo ottenne dal padre il permesso di provare a riportare ad un più umile e rispettoso contegno l’abile maniscalco.

Prima prova: preparazione del ferro

Fu così che, sotto mentite spoglie, discese in terra e si presentò alla bottega di Eligio per offrirgli i propri servigi. 

"Che cosa sai fare?" domandò il maestro dei maestri

"Penso di poter forgiare e ferrare altrettanto bene di chiunque altro", fu la risposta.

"Senza eccezione alcuna?" ribatté Eligio. 

"Senza alcun dubbio!" disse pronto il “finto” viandante.

 L’orgoglio cominciava a prendere il sopravvento su Eligio che mostrò a Gesù il ferro che aveva appena terminato e gli chiese: "sapresti realizzarne uno così?" 

"Un bel lavoro, ma penso di poter far meglio"  rispose l’altro. 

"In quante “calde” pensi di poter forgiare il ferro?" chiese Eligio, 

"Una!" fu la pronta risposta. 

In media ogni maniscalco faceva ricorso a non meno di cinque sei “calde”, mentre ad Eligio, il migliore, ne bastavano tre. Eligio rise, certo che fosse impossibile, prese una verga di ferro e la porse allo sconosciuto che osava sfidarlo. 

Gesù presi gli attrezzi, pinza e martello, mise la verga nella forgia e con una “calda” realizzò il ferro. Eligio esaminò il ferro senza trovare alcun difetto e non gli rimase altro da fare che mettere alla prova lo sconosciuto con la ferratura.

Seconda prova: la ferratura

 Eligio fece per chiamare gli assistenti perché bloccassero il cavallo, ma lo sconosciuto gli disse che non serviva. Estratto un affilato coltello sollevò l’arto posteriore sinistro e lo tagliò di netto all’altezza del garretto e comodamente ferrò lo zoccolo per poi riattaccarlo e ripetere la medesima procedura sui restanti tre “piedi”.

 Eligio rimase a dir poco sbalordito e Gesù rincarando la dose gli chiese: "ma come, voi non conoscevate questo metodo per ferrare?" 

"Si si! ne ho sentito parlare…ma ho sempre preferito l’altro metodo…" 

Eligio, per evitare di avere un tal concorrente, decise di assumerlo a bottega come primo garzone.

La nuova tecnica

L’indomani mattina lo inviò fuori città per alcune commissioni. Approfittando della sua assenza, cominciò a studiare attentamente la tecnica che aveva visto mettere in pratica il giorno prima, in attesa della prima occasione per applicarla. Poco dopo si presentò alla sua bottega un cavaliere proveniente dalla Spagna e diretto in Inghilterra, per concludere degli affari con San Dustano, il suo cavallo aveva appena perso un ferro posteriore. Quale miglior occasione per provare la nuova tecnica? 

In un attimo Eligio amputò il “dito” del cavallo, subito lo ferrò, ma a differenza di quanto aveva fatto Gesù non era più in grado di riattaccare il moncone al cavallo, che stava rapidamente perdendo sangue ed esanime giaceva a terra. 

La discesa dal piedistallo

Disperato Eligio, pervaso da un gelido sudore, stava per rivolgere il coltello contro se stesso, pur di non sopravvivere a un tale disonore, ma Gesù ricomparve e gli chiese cosa stesse facendo. A mala pena Eligio riuscì ad indicargli il cavallo morente e l’arto ormai freddo. 

"Ah è per questo!" esclamò Gesù che, presa in mano la situazione, prontamente poneva rimedio riattaccando l’arto tagliato. 

Eligio guardò per un istante il suo nuovo garzone e allargando le braccia gli disse: sei tu il maestro ed io il tuo garzone. 

Felice chi si umilia perché sarà premiato! gli rispose con voce suadente Gesù. 

Eligio alzato lo sguardo vide che il capo del nuovo garzone era cerchiato da un’aureola e riconobbe all’istante Gesù Cristo, e si inginocchiò dinanzi a lui. 

A quel punto, Gesù gli disse: "bene ti perdono perché ti credo guarito dal tuo orgoglio: rimani maestro dei maestri, ma ricordati che solo io sono maestro di tutti." 

Detto ciò salì in groppa, dietro al cavaliere, al cavallo risanato e con lui sparì. Il cavaliere, diretto in Inghilterra era san Giorgio! 

Tutta questa storia nel dialetto ticinese é riassumibile con la presente espressione


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