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Il leventinese eroe a Lugano e martire a Novara

Giacomo Mottino, un nome che nei miei paraggi rievocherà il cognome Mottini, piuttosto presente sul territorio (ne abbiamo nel comune di Airolo e Quinto, in particolare nella frazione di Altanca).

Come ho modo di leggere nelle pagine riportate dagli storici svizzeri il Mottino si rese protagonista in eventi nel momento caldissimo in cui gli svizzeri erano al centro del mondo, (da me nominato l’era delle picche) giusto prima della epica battaglia di Marignano, alla quale però non prese parte perché morì nella battaglia di Novara due anni prima.

Lasciamoci quindi cullare da queste epiche righe che danno modo a noi abitanti di una vallata di gonfiarci il petto e creare qualche canzone a mó di sfottò hockeystico

Giacomo Mottino

 Due mercenari alla battaglia di Novara del 1513. In questa battaglia ci furono svizzeri sui due fronti e Giacomo Mottino di Leventina fu un protagonista di primissimo piano 

Dal Dizionario leventinese

Personaggio storico illustre ma pressoché ignoto in patria: Giacomo Mottino, eroe sfortunato della battaglia di Novara del 6.6.1513: "Con gli assediati, poco più di quattromila uomini, era quel Giacomo Mottino, capitano di Uri ma d'origine leventinese, del quale la tradizione accolta da alcuni storici del tempo e letterariamente ampliata dal Guicciardini fece l'eroe della giornata". Racconta lo storico fiorentino che il Mottino, dopo aver esortato i suoi uomini con feroce e ardentissimo spirito (...), senza attendere nemmeno il primo chiarore dell'alba guidò la sortita degli Svizzeri e la sorpresa contro il campo francese. (...) Il 6 giugno 1513, a Novara, il Re (di Francia ndr) perdette circa settemila uomini, fra cui la quasi totalità dei lanzi, ma anche gli Svizzeri lamentarono le più gravi perdite di tutte le battaglie combattute fino allora - oltre duemila soldati.

Il castello di Lugano

Anche Lugano ebbe un castello, anche se per pochissimo tempo. Perché l’edificio fu eretto nel 1498 nell’area tra l’odierno Parco Ciani, Villa Ciani e il Palazzo dei Congressi per volere di Ludovico il Moro. Ma quando la Città finì sotto il dominio degli Svizzeri nel 1517 fu distrutto. Diciannove anni di esistenza.

Così come doveva apparire il castello di Lugano

I primi resti del castello – due tratti di muratura massiccia – vennero alla luce già nel 1918 durante la costruzione di una condotta fognaria. Poi, negli anni Settanta, con la costruzione del Palazzo dei Congressi, nuovi scavi confermarono l’esistenza della fortezza. Proprio dove oggi sorge il Palazzo dei Congressi, gli archeologi trovarono una grande torre circolare, con un diametro di 12 metri. Innalzata su pali infissi nel terreno fangoso, la torre era stata costruita con la stessa tecnica usata per edificare Venezia.

I ritrovamenti archeologici degli anni Settanta mostrano le strutture murarie sotterranee ancora esistenti.La storia infinita / Ufficio dei beni culturali del Cantone Ticino

Per sei lunghi mesi, dal 23 luglio del 1512 al 26 gennaio del 1513, le mura del castello furono teatro di uno scontro tra Svizzeri e Francesi che allora occupavano il Ducato di Milano. La cronaca di quei giorni è ricca di episodi che mescolano astuzia, coraggio e destino. Come la storia del medico luganese Nicolò Maria Laghi che fu attirato con l’inganno nel castello e costretto a curare i feriti francesi per l’intera durata dell’assedio. O ancora un epico inseguimento a cavallo: un assediato, mandato a chiedere rinforzi alla guarnigione francese di Locarno, fu inseguito a tutta velocità dagli Svizzeri e catturato a Taverne dopo un duello all’ultimo sangue. Gli trovarono un bigliettino in tasca, che invitava il capitano di Locarno ad accendere due fuochi sul Monte Tamaro se avesse potuto inviare aiuti, quattro in caso negativo. A Locarno il messaggio non arrivò mai, ma per sfiancare la resistenza gli Svizzeri accesero quattro falò (di cui menziona Gucciardini sotto)

Il mistero del dipinto

Ad aggiungere fascino alla vicenda del castello di Lugano c’è anche un antico dipinto conservato alla Pinacoteca di Brera di Milano: la Madonna dei garofani di Andrea Solario, pittore originario di Carona. Secondo una recente ipotesi, avanzata dall’archeologa Rossana Cardani Vergani dell’Ufficio dei beni culturali del Cantone Ticino, la scena oltre la finestra del dipinto potrebbe rappresentare il castello di Lugano. Osservando il paesaggio si potrebbero infatti riconoscere la foce del fiume Cassarate, l’ansa del lago, le colline che sovrastano Lugano, le mura e le torri del castello. Realtà o suggestione? Il mistero rimane.

La Madonna dei garofani conservata alla Pinacoteca di Brera potrebbe nascondere la rappresentazione del castello di Lugano. La storia infinita

Mottino a Lugano

Circa l'attività del capitano leventinese all'assedio del castello di Lugano, in virtù dei documenti italiani e luganesi, ma altresì per quelli ricavati dagli archivi svizzeri concordi, la figura del Mottino risulta cosi reale e cosi forte alla testa di quegli avvenimenti turbinosi che ben farebbe Lugano a dedicargli una sua contrada.

Intanto l'ordine della Dieta di sospendere le ostilità e di concedere l'uscita dal castello di Lugano alla guarnigione francese era giunto ai capitani svizzeri in Lugano. Questi si raccolsero a Consiglio il di primo dell'anno (1513). Nella lettera di relazione che ne riferisce le decisioni è ripetuto, quasi a rivelarne la gravità per gli assedianti, privati così dell'agognato bottino, l'ordine della Dieta di concedere libera uscita alla guarnigione assediata, col suo oro, l'argento e con tutti i beni. Quest' ordine fu malissimo accolto dalla soldatesca.

I capitani decisero quindi di spedire al Mondragone (capitano francese della guarnigione presente nel castello) per trattare il capitano bernese e Giacomo Mottino. Ma quegli si era barricato in tal modo entro il Castello, che non fu possibile penetrarvi sicché egli stesso li consigliò di avvicinarsi con una barca dalla parte del lago. Essendosi quel giorno fatto troppo tardi venne rinviata la cosa

La domenica seguente i capitani svizzeri, radunati i soldati, lessero loro l'ordine della Dieta. Questi ne furono indignati, perchè si vedevano sfuggire, dopo tante fatiche, la preda.

Alla domenica, poi, nel pomeriggio, il Mottino si recò nuovamente al Castello (vi era già stato lo stesso giorno col capitano bernese) per sentire la risposta. Il Mondragone promise la pace qualora noi fossimo usciti dalle nostre trincee, e chiese di lasciargli portare entro le mura carne fresca, dietro pagamento. Il Mottino gli rispose di non avere tal potere e di doverne riferire ai capitani. Al che il Mondragone, irritato, fotolisi vicino, gli disse: - Giacomo, devo ben dirti che tu mi hai reso cattivi servigi coll' opera tua sempre rivolta a mio danno. Tu hai portato qui contro di me la grossa artiglieria e tu hai fatto fare i falsi segnali sulla montagna per togliermi ogni speranza, e tu mi hai messi in pezzi i remi per impedirmi di navigare.... - Il Mottino non attese altro e se ne andò.

Questa relazione torna a mettere in ben singolare rilievo l'opera del capitano leventinese, ritornato all'assedio dalla sua spedizione in Uri e le parole del capitano francese dimostrano come egli lo ritenesse il vero capo intellettuale degli assedianti, anche se non riconosciuto, e certamente contrastato, dall'anarchia che distinse questo strano assedio.

I francesi e i luganesi sostennero per sei mesi la guerra e la fame, poichè gli svizzeri colle artiglierie avevano ridotto quasi in rovina il castello, che essi riparavano con volto ilare, sostenendo virilmente la lotta ed uccidendo molti svizzeri ed italiani
Qualche anno fa l’illustratore Simone Boni ha ricostruito secondo evidenze archeologiche il castello di Lugano durante il suo assedio.La storia infinita / Ufficio dei beni culturali del Cantone Ticino

Nell'anno 1513 il re di Francia, per placare gli svizzeri. ordinò fosse loro consegnato Locarno col suo castello dai francesi custodito. Così Lotario e Galeazzo Rusconi, conti, vennero in quello stesso giorno privati del dominio di Locarno, che prese ad obbedire agli svizzeri, similmente ordinò si consegnasse il castello di Lugano, salvo le cose e le persone.


In una lettera di Michele Negelin al suo governo, in data del 28 gennaio, dice che i francesi escirono dal Castello il mercoledi dopo S. Sebastiano, ossia il 26 gennaio 1513, che era appunto un mercoledì.
Nello stesso giorno i capitani dei sei Cantoni città, ossia di Berna, Basilea, Friborgo, Soletta e Sciaffusa, occuparono il Castello; giurando di rimanervi e mantenervisi con cinque soldati cadauno, sino a nuovo avviso della Dieta federale.

Infine gli svizzeri nel 1517 hanno smantellato tutte le rocche dell’area - specie Capolago, Morcote e appunto Lugano -, sì da levare ai francesi motivi per un riacquisto. Non fosse accaduto, sarebbe stato comunque difficile che il castello potesse sopravvivere al XIX secolo: troppo ingombrante e prossimo al centro, è probabile che sarebbe stato abbattuto per lasciar spazio all’espansione dell’abitato luganese.

Mottino a Novara 

La battaglia durò, a seconda delle fonti, da due a quattro ore. Lo scontro molto cruento fu vinto dalle fanterie svizzere che catturarono i 22 cannoni francesi e distrussero gli odiati mercenari antagonisti.
Con la battaglia dell’Ariotta gli svizzeri raggiunsero l’apice della loro gloria militare.

"Alle parole di Mottino gridò ferocemente tutta la moltitudine, approvando ciascuno, col braccio disteso, il detto suo

cosi descrive il Guicciardini, l'effetto prodotto sugli svizzeri dal discorso del capitano leventinese, e con queste parole ha principio la descrizione della battaglia di Novara.


Il Gagliardi, ricordando il Mottino, soggiunge: « fondati più specialmente sull'autorità del Guicciardini, si è voluto, nelle più recenti narrazioni, elevare il Mutt (il Mottino) al grado di vero eroe di Novara, per cosi far vieppiù risaltare l'intiero avvenimento, raggruppato intorno ad un personaggio eminente; ma non una sola fonte diretta vi accenna. Soltanto si può constatare che il Mottino abbia esistito ed abbia preso parte a quella campagna; non una sillaba intorno al grado della sua partecipazione ».

Del necrologio di Schachdorf che annovera tra i caduti presso Novara un « Jacob von Ure» ma veramente non ne curano la identificazione con il Mottino.

Secondo lo storico Gucciardini

Onde i Franzesi , ritornati agli alloggiamenti , inteso che il giorno medesimo erano entrati in Novara nuovi Svizzeri , ed avendo notizia aspettarsi Altosasso , Capitano di fama grande , con numero molto maggiore , disperati di poterla più espugnare , si discostarono il giorno seguente due miglia da Novara ; sperando oramai di ottenere la vittoria più per i disordini , e mancamento di danari agl'inimici , che per l'impeto delle armi . Ma interroppe queste speranze la ferocia ed ardentissimo spirito di Mottino , uno dei Capitani de ' Svizzeri , il quale chiamata la moltitudine in sulla piazza di Novara , gli confortò con ferventissime parole che , non aspettato il soccorso di Altosasso , ( il quale doveva venire il prossimo giorno ) andassero ad assaltare gl'inimici ai loro alloggiamenti : non patissero che la gloria , e la vittoria , la quale poteva essere propria , fosse comune , anzi diventasse tutta di altri 

Mottino sprona le truppe

Quanto a cosa , disse Mottino , pare più difficile , e più pericolosa , tanto riuscirà più facile e più sicura ; perchè quanto più sono gli accidenti improvvisi ed inaspettati , tanto più spaventano e mettono in terrore gli uomini . Niente meno aspettano i Franzesi al presente, che il nostro assalto; alloggiati pure oggi , non possono essere alloggiati, se non disordinatamente , e senza fortezza alcuna solevano gli eserciti Franzesi non avere ardire di combattere , se non avevano appresso i fanti nostri ; hanno da qualche anno in qua avuto ardire di combattere senza noi , ma non mai contro a noi : quanto spavento , quanto terrore , quando si vedranno furiosamente e improvvisamente assaltati da coloro , la virtù e la ferocia dei quali soleva essere il cuore e la sicurtà loro ! 

Piano d'attacco

Non vi muovano i loro cavalli , le loro artiglierie; perchè altra volta abbiamo sperimentato quanto essi medesimi confidino in queste cose contro a noi . 

 Appurato non esser pari i Lanzchenech agli Svizzeri: avere la medesima lingua, la medesima ordinanza, ma non già la medesima virtù , la medesima ferocia . Una sola fatica è di occupare le artiglierie; ma l'alleggerirà non esser poste in luogo fortificato, l'assaltarle all'improvviso, le tenebre della notte . Assaltandole impetuosamente, è piccolissimo spazio di tempo quello, nel quale possono offenderci; e questo interrotto dal tumulto, dal disordine, dalla subita confusione. 
Le altre cose sono somma facilità 
Non ardiranno i cavalli venire ad urtar le nostre picche: molto meno quella turba vile dei fanti Franzesi e Guasconi verranno a mescolarsi con noi. 
Apparirà in questa deliberazione non meno la prudenza nostra, che la ferocia . È salita in tanta fama la nostra nazione, che non si può più conservare la gloria del nostro nome, se non tentando qualche cosa fuora della espettazione ed uso comune di tutti gli uomini 
Andiamo adunque con l'aiuto del sommo Dio, persecutore degli scismatici, degli scomunicati, degl'inimici del suo nome; andiamo ad una vittoria, se saremo uomini, sicura e facile; della quale, quanto pare che sia maggiore il pericolo, tanto sarà il nome nostro più glorioso e maggiore; quanto sono maggiore numero gl'inimici, che noi , tanto più ci arricchiranno le spoglie loro . 

Alle parole di Mottino , gridò ferocemente tutta la moltitudine , approvando ciascuno col braccio disteso il detto suo. 

E poi egli, promettendo la vittoria certa , comandò che andassero a riposarsi, e procurare le persone loro, per mettersi , quando col suono dei tamburi fossero chiamati , negli squadroni . 

Gli svizzeri attaccano

Non fece mai la nazione de ' Svizzeri nè la più superba, nè la più feroce deliberazione . Pochi contro a molti, senza cavalli, e senza artiglierie, contro ad un esercito potentissimo di queste cose, non indotti da alcuna necessità perchè Novara era liberata dal pericolo, e aspettavano il giorno seguente non piccolo accrescimento di soldati elessero spontaneamente di tentare piuttosto quella via, nella quale la sicurtà fosse minore, ma la speranza della gloria maggiore, che quella, nella quale dalla sicurtà maggiore risultasse gloria minore . 

Uscirono adunque con impeto grandissimo dopo la mezzanotte di Novara , il sesto giorno di Giugno, in numero circa di diecimila , distribuitisi con quest'ordine: settemila per assaltare le artiglierie, intorno alle quali alloggiavano i fanti Tedeschi; il rimanente per fermarsi con le picche alte all 'opposito delle genti di arme 

Non erano per la brevità del tempo, e perchè non si temeva tanto presto di un accidente tale , stati fortificati gli alloggiamenti dei Franzesi; ed al primo tumulto, quando dalle scolte fu significata la venuta degl'inimici, il caso improvviso; e le tenebre della notte dimostravano maggior confusione e maggior terrore. 

Nondimeno e le genti di arme si raccolsero prestamente agli squadroni, ed i fanti Tedeschi, i quali furono seguitati dagli altri fanti , si messero subitamente negli ordini loro. Con grandissimo strepito percotevano le artiglierie negli Svizzeri , che venivano per assaltarle , facendo tra loro grandissima occisione, la quale si comprendeva piuttosto per le grida ed urla degli uomini, che per benefizio degli occhi, l'uso dei quali impediva ancora la notte. 
E nondimeno, con fierezza maravigliosa , non curando la morte presente, nè spaventati per caso di quegli, che cadevano loro a lato, nè dissolvendo la ordinanza, camminavano con passo prestissimo contro alle artiglierie  Alle quali pervenuti , si urtarono insieme ferocissimamente essi e i fanti Tedeschi , combattendo con grandissima rabbia l'uno contro all'altro , e molto più per l'odio e per la cupidità della gloria. 

Avresti veduto (già incominciava il Sole ad apparire ) piegare ora questi, ora quegli; parere spesso superiori quegli, che prima parevano inferiori; da una medesima parte, in un tempo medesimo, alcuni piegarsi, alcuni farsi innanzi, altri difficilmente resistere, altri impetuosamente insultare agl'inimici  piena da ogni parte ogni cosa di morti, di feriti, di sangue: i Capitani fare ora fortissimamente l'uffizio di soldati, percotendo gl'inimici, difendendo sè medesimi e i suoi; ora fare prudentissimamente l'ufficio di Capitani , confortando , provvedendo, soccorrendo, ordinando, comandando. 

Da altra parte quiete ed ozio grandissimo, dove stavano armati gli uomini di arme; perchè, cedendo al timore nei soldati l'autorità, i conforti, i comandamenti, i preghi , l'esclamazioni , le minacce della Tramoglia , e del Triulzio , non ebbero mai ardire d'investire gl 'inimici , che avevano innanzi a loro , ed ai Svizzeri bastava tenergli fermi, perchè non soccorressero i fanti loro . 

La battaglia di Novara del 1513 in una xilografia del cronicario di Stumpf, 1548


Finalmente in tanta ferocia , in tanto valore delle parti che combattevano , prevalse la virtù degli Svizzeri , i quali occupate vittoriosamente le artiglierie, e voltatele contro agl'inimici, con esse, e col valore loro gli messero in fuga. 

Con la fuga dei fanti fu congiunta la fuga delle genti di arme, delle quali non apparì virtù, o laude alcuna: solo Ruberto della Marcia , sospinto dall'ardore paterno, entrò con uno squadrone di cavalli nei Svizzeri per salvare Floranges e Denesio suoi figliuoli , Capitani di fanti Tedeschi , che oppressi da molte ferite giacevano in terra; e combattendo con tale ferocia, che, non che altro, pareva cosa maravigliosa agli Svizzeri , gli condusse vivi fuori di tanto pericolo.

La morte del Mottino

Durò la battaglia circa due ore , con danno gravissimo  delle due parti . Dei Svizzeri morirono forse mille cinquecento , tra i quali Mottino , autore di così glorioso consiglio , percosso , mentre ferocemente combatteva , nella gola da una picca (da mille e trecento Svizzeri , dice il Giovio , ed è da avvertire , che Mottino , secondo lui , fu morto da un ' artiglieria , e non  come qui si legge da una picca)  degl' inimici numero molto maggiore: dicono alcuni diecimila; ma dei Tedeschi fu morta la maggior parte nel combattere; dei fanti Franzesi e Guasconi fu morta la maggior parte nel fuggire. 

Salvossi quasi tutta la cavalleria , non gli potendo perseguitare i Svizzeri , i quali se avessero avuti cavalli gli avrebbero facilmente dissipati; con tanto terrore si ritiravano . Rimasero in preda ai vincitori tutti i cariaggi, ventidue pezzi di artiglieria grossa , e tutti i cavalli deputati per uso loro. 

Che la morte del Mottino avvenisse realmente a Novara, e che fosse degna di ricordo, lo conferma una fonte contemporanea - fin qui dimenticata - il poeta Andrea Assaraco, di Vespolate, nel suo poemetto in onore del Trivulzio, stampato a Milano nel 1516, ossia poco dopo l'avvenimento.

L'Assaraco, come chè di parte francese, essendo panegirista del Trivulzio, sorvola a disegno sulla terribile sconfitta che ricacciò i francesi dall'Italia e ne incolpa il La Tremouille per la leggerezza con cui questi dispregiava il nemico, il di cui valore il nostro poeta altamente riconosce ne' suoi versi; e laddove ricorda taluno dei caduti, tuque Motine peris, soggiunge.

All'Assaraco, dunque, attinsero il Guicciardini ed il Giovio. 

Pur riconoscendone esagerate le loro narrazioni - forse anche mai pronunciata la feroce arringa alla vigilia della battaglia - rimangono tuttavia accertate la importanza militare e la morte del Mottino, un'unica persona col Jacobo d'Uri, originario al pari degli a Pro, dalla Leventina.

Non solo il Mottino

Rimarrebbe a discutere come mai egli portasse il parentado von Uri nei documenti tedeschi, parentado che continuò lungamente a sussistere nei Cantoni forestali. La cosa tuttavia si spiega pensando al caso di altro celebre casato leventinese fattosi urano. Quello degli a Pro, ovvero, da Prato, la cui parentela prese il nome del villaggio leventinese d'origine, mentre i Mottino, traslocatisi essi pure in Uri, vennero detti d'Uri, per eccellenza, metemsicosi di parentele frequentissima allora e neppure impossibile oggidi come sopranomi.
Del resto, la parentela Uri e Urietti esiste tuttora nella Leventina.
Secondo lo storico urano Schmid, certamente attendibile, un Giacomo a Pro, il quale si era distinto combattendo nella guerra di Svevia nel 1499 e nella difesa di Bellinzona contro i francesi, veniva accolto nella cittadinanza urana nell'anno 1512. L'accenno alla difesa di Bellinzona contro i francesi e quest'ultima data rendono verosimile l'asserto.

E noto che alla famiglia a Pro, la quale ebbe più tardi grandissima influenza nel Cantone d'Uri e anche nei baliaggi ticinesi, da essa soccorsi durante una terribile carestia, si deve la costruzione, attorno al 1558, del tetro Castello di ferro, sulla riva del lago, in località detta la Vignascia, presso Locarno, castello che ebbe la triste missione di caserma di reclutamento per il servizio mercenario.


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