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Processi agli animali - capitolo I - Maiali assassini

Sbigottimento. Non saprei quali altre parole utilizzare quando alla serata informativa sulle streghe e il Malleus Maleficarum sento citare per la prima volta i "processi agli animali". Nella breve parentesi di uno dei relatori si parla anche di "avvocati" ed "impiccagioni di cavalli".
L'argomento suscita indubbiamente curiosità.

La prima verifica, quella più veloce é su internet:
A Falaise, nel 1386, la scrofa che aveva dilaniato il viso e le braccia di un bambino piccolo fu condannata ad «aver maciullate e straziate la testa e le gambe anteriori» prima di essere impiccata. Tutto fa pensare che non si volesse soltanto liberarsi dell'animale, ma punirlo per le sue malefatte.

Ho la conferma: di punto in bianco, a 46 anni di età vengo a conoscenza di questa assurdità umana, mi sembra impossibile non averne sentito parlare prima, e ancora non mi rendo conto della complessità dell'argokento in cui mi sto ficcando

Il frontespizio di questo libro straordinario mostra un maiale, vestito con giacca e calzoni, che viene appeso alla forca mentre gli abitanti del XIV secolo di un villaggio della Normandia lo guardano. Il maiale era stato condannato a essere "maciullato e mutilato nella testa e nelle zampe anteriori", poi vestito e impiccato, per aver strappato il volto e le braccia di un bambino nella sua culla.

Maiali assassini

Tra i processi agli animali quelli intentati ai maiali sono i più numerosi.
Uno dei più antichi risale al 1266, quando i monaci dell'abbazia di Sainte-Geneviève condannano a essere arso vivo su rogo un maiale accusato di aver divorato un bambino nel paese di Fontenay, vicino a Parigi.

Ma è solo il primo dei molti casi registrati, perché i suini sono tanti, si tratta dei mammiferi più presenti in Europa, cresciuti spesso allo stato brado, liberi di muoversi per le strade dei centri abitati.
Inoltre sono onnivori, e nonostante l'aspetto goffo e pacioso sono animali aggressivi se provocati, e pronti a intervenire in difesa della prole, al pari dei cugini, i cinghiali.


È quello che succede a Saint-Marcel-le-Jussey, un piccolo villaggio in Borgogna, il 5 settembre 1379.
Jean Muet, detto «Hochebet», che lavora per il Comune come porcaro, si sta occupando di un gruppo di scrofe con i loro maialini di proprietà del paese; con lui c'è Jehan Benoit de Norry, guardiano delle bestie del priore della chiesa locale.


Hanno portato le due mandrie a mangiare poco fuori dal centro abitato, e insieme ai due c'è anche Perrinot, il figlio di Hochebet, che si mette a giocare con un porcellino.
Il piccolo si spaventa e scappa, il bambino gli corre dietro, il maialino comincia a gridare, e allora tre scrofe della mandria comunale saltano addosso a Perrinot, lo gettano a terra e lo mordono con tanta ferocia che, nonostante l'intervento dei due porcari, il ragazzo muore pochi minuti dopo.
Sull'identità e sulla sorte delle tre scrofe assassine non ci sono dubbi: con le sue ultime forze, prima di spirare, Pertinor le ha indicate chiaramente, e infatti vengono arrestare e subito condannate a morte per impiccagione.


Processo a una scrofa e ai maiali a Lavegny, da Il libro dei giorni: A Miscellany of Popular Antiquities in Connection with the Calendar, Including Anecdote, Biography, & History, Curiosities of Literature and Oddities of Human Life and Character, ed. Robert Chambers, 1879. Robert Chambers, 1879.


I problemi sorgono per gli altri maiali che erano presenti, e che a loro volta vengono fermati.

"Perché non solo non erano intervenuti a fermare le tre scrofe, come è tenuto a fare chiunque sia rispettoso della legge, non importa se umano o non umano, ma gridavano forte, tanto che sembrava approvassero quello che stava succedendo, quasi facessero il tifo per le tre assassine."


È importante poiché, se considerati participes crimini, allora si configurerebbe per loro il reato di complicità, e, secondo legge e giustizia, dovrebbero essere condannati tutti alla decapitazione.
E questo è un guaio, in quanto la loro morte rappresenterebbe un'enorme perdita economica, sia per il villaggio sia per il priore della sua chiesa, frate Humbert de Poitiers, che infatti scrive a Filippo il Temerario, duca di Borgogna, chiedendo clemenza.


Dev'essere stato molto convincente, perché il duca si mostra magnanimo e il 12 settembre risponde al priore accordando il perdono alle due mandrie di scrofe, che vengono rimesse in libertà.



Non è così fortunato un maiale accusato di aver ucciso un bambino a Martigny, una cittadina del Canton Vallese, in Svizzera, nel 1339.

Arrestato, processato per infanticidio e riconosciuto colpevole, il povero maiale resta in carcere per quattordici settimane in attesa d'essere impiccato, finché le autorità locali non si mettono d'accordo su chi debba eseguire la sentenza.

I costi della giustizia

Non è soltanto un problema di giurisdizione, ma anche una questione di soldi.
Amministrare la giustizia ed eseguire le pene costa, e pure tanto.

Gli animali accusati di reati vengono arrestati e detenuti in cella insieme ai prigionieri umani: anche loro hanno bisogno di vitto e alloggio, che il Comune deve pagare al guardiano del carcere, come accade per un maiale detenuto in attesa di giudizio nella prigione reale di Pont-de-l'Arche, in Normandia.

Il visconte Jehan Monet, rappresentante del re, corrisponde al capo guardiano Toustan Pincheon la somma di 19 soldi e 6 denari tornesi per il mantenimento dei prigionieri, tra cui un maiale detenuto in attesa di giudizio per aver ucciso un bambino.

Dal 21 giugno, data dell'arresto, fino al 17 luglio, quando viene finalmente appeso per le zampe, il porcello costa alle casse regie 2 denari tornesi al giorno per un vitto che, si specifica, corrisponde esattamente a quello degli altri detenuti, più 4 soldi e 2 denari per la corda acquistata per legarlo.
Non bastasse, oltre alle spese sostenute per la detenzione e il processo dell'animale, ci sono anche quelle per la corretta esecuzione.

A qualunque specie appartenga, umana o animale, il condannato deve essere portato al patibolo su una carretta accompagnata da una scorta di arcieri o balestrieri, che può costare anche 30 soldi, come nel caso del maiale di Domcevrin.

E poi c'è il boia, perché l'animale non può essere ucciso da chi lo farebbe normalmente, come il porcaro che macella i maiali.

Si tratta di giustizia, non di gastronomia.

E comunque le carni di un animale macchiatosi di un delitto non possono essere mangiate, ma devono essere bruciate, sepolte sotto il letame o date in pasto ai cani.

Ci vuole un professionista, e un professionista costa: bisogna pagargli la diaria, ovvero vitto e alloggio, le prestazioni e anche un guanto nuovo, perché, come abbiamo visto, la mano usata per fare giustizia deve essere sempre pulita.

Il capro espiatorio

Oltre all'umanizzazione dell'animale, che lo rende così simile all'uomo da subirne le stesse conseguenze, i processi alle bestie rimandano al concetto di «capro espiatorio» presente fin dall'antichità: un uomo o un animale, generalmente un caprone, che col suo sacrificio assume su di sé le colpe della comunità, purificandola.

Come scrive Gennaro Francione nel suo Processo agli animali:
"la colpevolizzazione della bestia, che ci credessero o no i giudici alla responsabilità morale dell'animale, svolgeva un ruolo pratico di compattezza sociale, non dissimile dal sacrificio umano in alcune civiltà come quella azteca."

Tutti: maiali, cani, somari, cavalli e buoi.
Come il bue giustiziato a Gisors, in Normandia, nel 1405, impiccato su un patibolo costruito apposta, o il cavallo condannato a morte a Digione, nel 1389, per aver ucciso un uomo con un calcio.

Fantino infortunato - Edgar Degas - 1896 - 1898
Kunstmuseum Basilea

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