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La chiesa di San Maurizio a Milano

Giungo in questa perla infossata tra le viuzze del centro di Milano quasi per caso. Non avevo infatti in programma di visitarla, anzi non ne sapevo nemmeno della sua esistenza. É stato infatti durante la visita del museo di Antropologia del capoluogo lombardo che un funzionario mi consiglia di visitare questa chiesetta sul viale Magenta.

Entrare dentro la Chiesa di San Maurizio è come aprire un piccolo scrigno, rimasto chiuso per tanto, tanto tempo. Non si sa esattamente come si presentasse l’edificio al termine della prima decorazione, ma si pensa che il messaggio religioso fosse fuso con l’esibizione mondana.
 

La storia

La leggenda indica come sua fondatrice addirittura l’imperatrice Teodolinda. Il monastero risale comunque di sicuro tra l’VIII ed il IX secolo (periodo longobardo/carolingio). 

L’importanza del monastero e della chiesa annessa - che precedette quella attuale – è attestata dal fatto che Federico Barbarossa risparmiò entrambi dopo la conquista della città (1162). Così, mentre le altre chiese di Milano furono riedificate o restaurate, per San Maurizio solamente alla fine del XV secolo si rese necessaria la costruzione di una nuova chiesa, edificata sopra quella antica, per la sopraggiunta necessità di segregare parte del tempio ad uso delle monache, che dal 1447 si erano votate a perpetua clausura. 

Il monastero, dopo alterne vicende che lo videro fiorire e primeggiare nella regione, ma che sfociarono anche in importanti contrasti con i cardinali Carlo e Federigo Borromeo circa la sottomissione delle monache benedettine all’autorità vescovile, venne infine abolito da Napoleone nel 1798. 

Le monache all’epoca restanti (ormai poche unità) furono relegate nel sotterraneo sotto la chiesa, che divenne poi un ospedale di guerra, nel 1859 per gli Zuavi di Napoleone III e nel 1856 per i Garibaldini, così come anche durante la prima Guerra Mondiale. Il vasto complesso monastico fu poi parzialmente demolito tra il 1864 e il 1872 per l’apertura delle vie Luini e Ansperto. 

Dopo le ulteriori distruzioni per i bombardamenti del 1943, oggi rimangono in piedi solo la chiesa di S. Maurizio ed il chiostro d’ingresso (ora parte del Civico Museo Archeologico) ad archi su colonne tuscaniche, a cui si accede passando sotto un fastoso portale marmoreo.

Una curiosità: prima di allora solo una volta all’anno, il giorno della festa di S. Maurizio, il 22 settembre, la Badessa poteva uscire dal Monastero, scortando il celebrante per portarsi nella chiesa anteriore e qui assistere alla celebrazione della solenne messa cantata. In tale occasione la Badessa, a conferma del suo prestigio, compariva in pubblico con un prezioso diadema sul capo ed e col pastorale nella mano sinistra. 

La struttura dell’edificio 

L’edificio é a tre piani. Sotto la chiesa si apriva una cripta (quattro sesti del settore delle suore), ora inglobata nel percorso di visita al Civico Museo Archeologico. A pianta rettangolare ed a navata unica, l’edificio é suddiviso in dieci campate, su cui si aprono delle cappelle. Quattro campate sono occupate dalla "chiesa pubblica", le restanti sei sono nella "chiesa delle monache"

La chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore è il testimone unitario più organico della pittura milanese del Cinquecento. È stata edificata al centro di uno dei più antichi e prestigiosi monasteri di Milano affidato alla congregazione benedettina femminile.

Disegno ricostruttivo del Monastero Maggiore in età medievale

Inserito tra i resti di alcuni antichi edifici romani e documentato a partire dall'età carolingia, è stato reinserito dentro la cinta muraria dalla ristrutturazione di questa fatta da Ansperto a fine del IX secolo. La posa della prima pietra della chiesa odierna risale al 1503. Il rifacimento ha modificato sostanzialmente la collocazione urbanistica del complesso monastico.

area del Monastero Maggiore e i chiostri nel 1700

Milano, comune e poi capitale del ducato, era cresciuta oltre l'area del convento sul cui confine passava l'arteria che conduceva alla porta Vercellina; la nuova chiesa, nella parte riservata ai fedeli, è stata inclinata leggermente verso ovest per permettere il coordinamento tra il blocco degli edifici preesistenti e la direzione della strada.


Il complesso ai giorni nostri


Grazie ai documenti di archivio è oggi possibile ricostruire, almeno in parte, l'antico complesso, riconoscendo anche la distribuzione e la destinazione di buona parte degli ambienti.

Sulla planimetria del 1851 sono evidenziate con colori le strutture pertinenti alle varie epoche. I numeri rimandano alla destinazione degli ambienti del piano terreno, come indicato in descrizioni ottocentesche.


Planimetria del piano terreno dell'ex Monastero Maggiore (1851). Milano, Archivio di Stato

Buona parte del complesso fa oggi parte del museo archeologico di Milano (che ovviamente ho visitato).

Alcune arcate di quello che era il chiostro grande, ora parte del museo

L’interno

L'edificio è composto di tre parti, una cripta (ora inglobata nel percorso di visita del Museo Archeologico, collocato in una porzione dell'antico monastero), una grande aula inclusa nello spazio di clausura delle monache e una più piccola destinata ai fedeli. 

L'organismo, a pianta rettangolare, è compartito in dieci campate: la cripta occupa lo spazio di sette campate su dieci, l'aula delle monache ne occupa sei e quella dei fedeli quattro.

Sua Signoria mangia in oro

Alla sua prima inaugurazione, a metà del secondo decennio del Cinquecento, la chiesa doveva presentare l'aspetto di un sontuoso padiglione addobbato a festa.

Vista sul presbiterio vista dalla chiesa pubblica (C)
La piccola grata al centro permetteva alle monache di assistere alle funzioni religiose celebrate  dal sacerdote

Ogni parete interna (e alcune parti esterne) era coperta da colori sgargianti e luminosi, secondo una propensione ossessiva al fasto che lo storico dell'arte Roberto Longhi ha individuato come tratto distintivo del gusto dell'aristocrazia lombarda già dal Trecento, per cui veniva raccomandato agli artisti che "si vegga che la sua Signoria mangia in oro".

Passando a sinistra dell'altare, attraverso le Cappelle di San Giovanni Battista e della Deposizione, ed entrando nell'Aula delle Monache, si rimarrà abbagliati dai bellissimi affreschi del Presbiterio. Sulla volta, sullo sfondo di un cielo stellato, le immagini di Dio con gli Evangelisti e gruppi di Angeli. 

L'aula delle monache (E)

Lettura dei Salmi


Questo oggetto non é altro che un leggio. Su di esso venivano posati enormi libri in modo che le monache riuscissero a leggere il contenuto direttamente stando sedute
Certo che dovevano avere una buona vista e/o i caratteri dei libri dovevano essere enormi

Monaci benedettini mentre cantano, miniatura da un manoscritto del XV secolo 
British Library Board 

Per dare un idea della scaletta in programma riporto qui direttamente dalla regola di San Benedetto dal capitolo 9 “I salmi dell’Ufficio notturno”

Nel suddetto periodo invernale, in primo luogo si dica tre volte il versetto:
«Signore, apri le mie labbra e la mia bocca annunzierà la tua lode», a cui si aggiunga il salmo 3 col Gloria; dopo questo, il salmo 94 con l'antifona oppure cantato lentamente. Quindi segua l'inno e poi sei salmi con le antifone. Finiti questi e detto il versetto, l'abate dia la benedizione e, mentre tutti stanno seduti sui sedili, i fratelli leggano a turno dal codice, sul leggio, tre lezioni, intercalate da tre responsori cantati. Due responsori si cantino senza il Gloria, ma dopo la terza lezione il cantore dica il Gloria; e quando egli lo intona, tutti subito si alzino dai loro sedili per onore e rispetto alla Santissima Trinità.

I codici poi da leggere nell'Ufficio notturno siano di autorità divina sia del vecchio che del nuovo Testamento, nonché i relativi commenti fatti da padri ortodossi cattolici e di sicura fama.

Dopo queste tre lezioni con i propri responsori seguano gli altri sei salmi da cantare con l'Alleluia; dopo questi segua la lezione dell'apostolo da recitarsi a memoria, il versetto, la supplicazione litanica, cioè il Kyrie, eleison; "e così si ponga termine all'Ufficio notturno.

"Amen" aggiungerei io.

Salterio abbazia Diesentis (GR)

L'organo

Nel 1554 le monache commissionarono un organo a Giovan Giacomo Antegnati, artigiano bresciano allora residente in città (é suo anche l’organo del Duomo di Milano). Per contratto lo strumento doveva superare per dimensioni e registri quello di chiese più grandi e importanti. L’opera fu portata a termine nel 1557, anno in cui fu collocato in S. Maurizio.

L'organo in San Maurizio

La cassa dell’organo è stata decorata da Francesco de’Medici da Seregno con l’aiuto del figlio Girolamo. Lo strumento ha subito importanti modifiche nel XIX secolo, per essere adeguato al cambiamento del gusto musicale, ma a seguito di un lavoro di restauro terminato nel 1982 è stato riportato alle sonorità originarie ed è tuttora utilizzato per importanti cicli di concerti.

Genesi

Va riconosciuta nella storia della genesi una certa fantasia

Non é la classica foglia di fico a coprire le grazie dei due protagonisti del peccato originale

In particolare nella cappella di San Giovanni Battista é dedicato un trittico sul diluvio universale. Un prima, un durante ed un dopo

Aurelio Luini (ca 1556) Salita nell'Arca
Momento dell'imbarco, non possiamo fare a meno di notare tra gli altri una coppia di unicorni sulla rampa per l'arca, sforzo vano in quanto poi incredibilmente andranno persi per strada lungo i secoli. Per gli amanti dei gatti un momento cruciale: una coppia si può osservare in basso. L'umanità é salva

Aurelio Luini (ca 1556) Diluvio universale
Durante il diluvio se ne vedono di ogni. Chi non sa nuotare, chi chiede di salire a bordo. Un neonato é stato abbandonato in una cesta a galleggia tra le furie degli elementi. Anche alcuni animali si dibattono, tra di loro un mostro marino sulla sinistra

Nella Bibbia si racconta che, al termine del diluvio universale, apparve nel cielo l'arcobaleno (Genesi 9-14). Questo spiega il perché per molti secoli questo fenomeno ottico, che compare dopo il temporale, è stato considerato come « un segno divino dell'inizio o della fine di un evento eccezionale».

Aurelio Luini (ca 1556) FIne del diluvio - Ebbrezza di Noé
Quello che resta dopo il passaggio del diluvio é piuttosto desolante e il pittore non ci va giù piano

In un secondo tempo i colori dell'arcobaleno vennero messi in relazione con la qualità e la quantità dei raccolti. Convinzione che tuttora permane in alcune località, dove la cultura contadina del passato è rimasta radicata. Se predomina il violetto vuol dire che il raccolto dell'uva sarà abbondante e la qualità del vino sarà ottima. Se prevale il colore giallo il raccolto del grano sarò soddisfacente; quando poi è il verde preminente, si può contare sull'abbondanza del fieno. Va aggiunto che la fascia rossa ha avuto nel tempo due diverse interpretazioni. In un primo tempo è stata messa in relazione con il granoturco, poi c'è stato un orientamento verso i prodotti dell'orto.


Veniva data anche una grande importanza alla nitidezza dell'arcobaleno.
Se le fasce dei colori erano estese e ben delineate significava che l'annata sarebbe andata per il meglio mentre un arcobaleno con i colori confusi lasciava intendere una annata con molte difficoltà. E, come è facile immaginare, intorno all'arcobaleno si intrecciarono nei tempi diverse leggende.

Una di queste racconta che « l'arcobaleno è un messaggio dell'arcangelo Gabriele, per invitare gli uomini a modificare il loro comportamento, ricordando che sono figli della terra e fratelli di ogni essere vivente». Pertanto all'apparire dell'arcobaleno bisognava fermarsi per riflettere e pregare, per poi riprendere il cammino ma con passo diverso.

In alcune chiese, poco dopo la comparsa dell'arcobaleno, venivano celebrate cerimonie religiose, invitando i fedeli alla preghiera e al digiuno.

Quando Gesù si incazzò

Per la serie "quando ce vuole ce vuole" o anche più semplicemente per renderlo più umano anche Gesù buttò il coperchio. 
Ma quale fu la causa scatenante dell'uomo che tutto perdona?

Secondo i racconti evangelici, Gesù visitò il Tempio di Gerusalemme. Qui vi erano mercanti di animali (buoi, pecore, colombe) e cambiavalute seduti al banco; Gesù cacciò tutti fuori dal tempio e rovesciò i tavoli dei cambiavalute

Gesù scaccia i mercanti dal tempio 
Simone Peterzano (1572-1573)

Gesù si presenta come il legittimo e ultimo re d'Israele, padrone della casa di Dio. Gesù si autoproclama figlio di Dio: "Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato".

I cambiavalute operavano nel cosiddetto cortile dei gentili, l'area del tempio riservata ai pagani che essi non potevano oltrepassare appena della morte; il resto del tempio era riservato al culto degli Israeliti. Scacciando i cambiavalute, Gesù afferma che anche il cortile dei gentili era parte integrante e sostanziale del tempio e zona sacra, che la barriera che lo separava dagli Israeliti era illegittima e che quindi il tempio della salvezza era aperto a tutte le genti

Un paio di martiri

Le vicende che fanno da sfondo a queste pitture dedicate ai santi hanno due lati: il primo una totale monotonia sulla trama che porta all'evento, quasi sempre punizioni per mancata abiura della fede cristiana da parte del protagonista. Questa mancanza di fantasia viene poi ricompensata con un estrema fantasia per il metodo di condanna. Non c'é nulla di più variegato e fonte di spunti per un aspirante boia masochista che i racconti legati al martirio dei santi per il quale ho dedicato un post a parte

Santa Caterina e il miracolo della ruota

C'é un particolare piuttosto curioso nella cappella di Santa Caterina. La santa non può fare a meno di farsi distrarre, mentre ovviamente era dedita alla preghiera, da quello che avviene alle sue spalle.
Una serie di enormi ruote collegate tra loro sono andati in pezzi, ai suoi piedi giacciono dei cadaveri, a destra altre persone sembrano passare un momento particolarmente agitato mentre su tutti veglia un angelo munito di coltellaccio e ad uno primo sguardo l'artefice di tale scempio.
Chi non sarebbe curioso di capire che diamine significa tutto questo? 

Cappella Besozzi - Santa Caterina e il miracolo della ruota
Bernardo Luini (1530)

Santa Caterina e il miracolo della ruota si riferiscono alla storia di Santa Caterina d'Alessandria, martirizzata per essersi rifiutata di rinnegare la sua fede cristiana. Il miracolo è accaduto quando l'imperatore Massimino le inflisse il supplizio della "ruota dentata", ma lo strumento si spezzò al suo tocco, risparmiandole la vita. La santa venne poi decapitata,
Secondo la tradizione, dal collo della santa non sgorgò sangue, ma latte, a simboleggiare la sua purezza.

Il dipinto mostra una incongruenza: il supplizio consisteva nel legare la santa a quattro ruote chiodate che giravano in direzioni diverse, affinché potesse essere fatta a pezzi.
Un angelo incendiò le ruote che esplosero e i frammenti volarono tutt’intorno uccidendo i carnefici e molti spettatori.
La scena rappresentata mostra i giustizieri morti a terra, ma le ruote della tortura sono quasi intatte!
 
Oratorio di San Giorgio - Padova

Se sei brutto ti tirano le pietre 

In realtà dall'affresco nella cappella di Santo Stefano (3) si evince che contrariamente a quanto sostiene la canzone anche ad avere un aspetto accettabile non si é immuni dal lancio di sassi.

Cappella Carreto - Martirio di Santo Stefano
Evangelista Luini (ca. 1550)

Qualche curiosità

Vero oggetto di interesse nelle mie visite sono le curiosità, quelle che riescono ancora a sorprenderti, che aumentano il bagaglio di conoscenze, quelle da raccontare alla macchinetta del caffé per cambiare argomento. Anche nella chiesa di San Maurizio riesco a scovarne un paio

Il cane di Aurelio Luini

Nella sala chiamata "coro delle monache" cerca fra gli affreschi il cane del pittore.
Aurelio Luini, figlio di Bernardino l'ha raffigurato in ben tre opere, ma solo due sono nel chiosco.
Un cane è nella scena dell'Arca di Noè (in basso a sinistra), l'altro è in un dipinto poco lontano.

L'angolo nero

Ci sono voluti oltre 30 anni per ripulire e restaurare gli oltre 4.000 metri quadrati di affreschi.
Il lavoro più difficile è stata la rimozione e pulitura dello strato di sporco e fumo depositato sulle fragile pitture: una crosta nera che copriva i colori brillanti delle tante opere.
Per mostrare com'era la situazione prima degli interventi è stato lasciato un quadrato di soffitto sporco e nero sopra il "coro delle monache".
La differenza fra prima e dopo i lavori mostra chiaramente cosa ci saremmo persi!

Il panisellus

Mentre gli ecclesiastici con dignità episcopale portavano il pastorale nudo, gli abati lo usavano munito di un piccolo drappo di seta, il panisellus, che pendeva dal nodo della verga impedendo alla mano di entrare a diretto contatto con il metallo, rischiando di rovinarlo. Poichè i vescovi indossavano i guanti e non ne avevano quindi la necessità, il sudarium divenne ben presto caratteristica peculiare del titolo abbaziale.

Il vescovo Piotr Tomicki di Stanisław Samostrzelnik (1485-1541), chiesa francescana di Cracovia

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