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Il Duomo di Monza, Teodolinda e la corona ferrea

Ai più Monza risveglierà memorie automobilistiche data la presenza del circuito di formula 1.

Altro personaggio legato alla città alle porte di Milano é la famosa "monaca di Monza" personaggio presente nel promessi sposi del Manzoni

Ad essere onesto fino a stamattina questi due singoli elementi erano gli unici punti di collegamento alla città anche per me. Ma sapevo che bastava fare una capatina, partire all'avventura con la sete si scoprire e senza ombra di dubbio avrei trovato altri elementi di interesse con radici più solide.

Non mi piace guardare troppo le cose in anticipo, proprio per non rovinarmi la sorpresa, ma un minimo di coordinate devo pur potermele dare: noto quindi due tappe "obbligatorie": duomo con relativo tesoro e Villa Reale

Dalla stazione al Duomo sono pochissimi minuti a piedi, quindi é solo per una questione geografica che inizio con la sua esplorazione.

Come riportato nel mio manuale museale uno dei grandi vantaggi ad alzarsi presto il mattino di esplorazione é quello di trovare pochissima gente in giro nelle prime ore, sonno tuo, vita mia. 

Riesco a scattare diverse foto al Duomo senza aver passanti inquadrati

Il duomo

Il Duomo di Monza è una costruzione antichissima. Fu la regina Teodolinda a volere questo tempio: oggi rimangono alcuni resti di fondazione risalenti al VI secolo, che appartenevano ad un oraculum (cappella della regina). Nulla si conosce delle successive fasi edilizie del tempio, fino all'anno 1300, quando Matteo Visconti ne promosse l'ampliamento.

Oggi il Duomo si presenta imponente, con una facciata di stile gotico pisano, a strisce orizzontali di marmo bianco e verdastro.

Incredibilmente, malgrado la magnificenza della costruzione l'occhio mi cade su due colonnine presenti nella piazza. Penso subito ad un collegamento ai romani che da queste parti dovrebbero bazzicare già anche secoli prima della venuta di Cristo. Mi sbaglio, vedi sotto

Il duomo nelle Memorie storiche di Monza e sua corte (1794)

La facciata, attribuita a Matteo da Campione, risale alla fine del Trecento. Si ritiene che il progetto primitivo fosse limitato alle tre campate centrali, più basse rispetto a quelle che si vedono ora.

Il duomo da una stampa del 1856

Di facciata un modo di dire spiegabile osservando quella del duomo di Monza

La crocetta

Prima di tutto le due colonne si chiamano la crocetta, a testimoniare la croce montata su di essa. 

Nel 1576 si verifica un'epidemia di peste, la famosa peste di San Carlo, che ha termine nel 1577 dopo aver provocato la morte di numerose persone: viene eretta la Crocetta nella piazza del Duomo per celebrarvi la messa all'aperto ed evitare il contagio.

Colonnina eretta in piazza Duomo nel 1578 alla fine della Pestilenza.

Durante la signoria dei De Leyva si diffuse la famosa peste detta di san Carlo. Si dice che il morbo fosse stato portato, nell'anno 1576, nel borgo di san Biagio da una «mercantessa girovaga» proveniente da Mantova. Il borgo fu isolato, ma il provvedimento non valse a nulla: la peste entrò nella città, varcando le mura.

Durante la pestilenza è degna di nota l'opera svolta dal barnabita Antonio Marchesi da Bergamo a favore degli appestati: egli stesso fu vittima del morbo. Mentre altri fuggivano, per l'opera del canonico Giovanni Pietro Brianza e del senatore milanese Tomaso Odescalco, si pose finalmente «argine al male». La pestilenza finì nel 1577 con la «morte di due mille persone» e forse più.

Gli alabardieri

Il Duomo di Monza è l'unica chiesa al mondo (oltre a San Pietro in Vaticano con il corpo delle Guardie Svizzere vaticane) che può disporre di proprie guardie armate durante le funzioni più importanti: in tutto dodici Alabardieri più un Comandante.

Interno del duomo

L'istituzione del Corpo degli Alabardieri del Duomo non ha una data che sia testimoniata con certezza da documenti, ma si ritiene che possa risalire già alla fine del VI secolo, in epoca longobarda, derivando dal corpo delle guardie d'onore della regina Teodolinda.

E qui si giunge al motivo clou: Teodolinda e la sua corona. Arrivando da profano in breve tempo ci si rende conto che la vera highlight del duomo é questo oggetto, di cui vedrò solo la copia, che é contenuta nel museo del tesoro

La cappella di Teodolinda

A sinistra dell'altare Maggiore, si trova la cappella della regina Teodelinda affrescata dagli Zavattari, una famiglia di pittori attivi in Lombardia nel Quattrocento, Chiusa da una cancellata, la cappella è costruita a forma poligonale, coperta da una volta a spicchi sostenuta da costoloni. Gli affreschi raceontano, su cinque fasce so-vrapposte, le Storie della regina dei Longobardi, desunte dalle opere di Paolo Diacono e di Bonincontro Morigia.


La storia è raccontata come una fiaba, che si svolge con scene accostate l'una all'altra come su un rotolo miniato, partendo dall'alto a sinistra, fino in basso a destra. In tale narrazione figurano le scene della richiesta di matrimonio e degli incontri tra re Autari e Teodelinda, le loro nozze, la morte di Autari in battaglia, il successivo matrimonio della regina con Agilulfo e la conversione di quest' ultimo al Cristianesimo. 


Seguono il sogno della regina in cui le appare una colomba che proferisce la parola «Modo» alla quale ella risponde «Etiam», la fondazione della basilica di Monza, la regina nella bottega orafa commissiona gli oggetti del tesoro, Teodolinda dona il tesoro all'arciprete di Monza, la morte di Teodolinda e l'episodio finale dell'imperatore Costante Il che desiste dal dare battaglia ai Longobardi e ritorna in oriente.

Narra una leggenda che Teodelinda avesse promesso di erigere un tempio a san
Giovanni Battista e che aspettasse che un'ispirazione divina le indicasse per quest'opera il luogo più adatto. Mentre cavalcava un giorno col suo seguito attraverso una piana ricca di olmi e bagnata dal Lambro, la regina si fermò a riposare lungo le rive del fiume, all'ombra di un albero.
In sogno ella vide una colomba che si fermò poco lontano da lei e le disse: Modo (=qui). Prontamente la regina rispose: Etiam (=sì). La basilica sorse nel luogo che la colomba aveva indicato.
Dalle due parole pronunciate dalla colomba e dalla regina, venne il nome di Mo-
doetia.

La singolarità di questi affreschi è quella di avere reso la storia longobarda con i costumi sfarzosi dell'epoca dei Visconti, e di aver inserito scene di vita profana in un luogo sacro come quello di una cappella.

Cappella di Teodolinda, scene 33 e 34, Apparizione dello Spirito Santo in forma di colomba a Teodolinda e Posa della prima pietra del Duomo di Monza.

Cappella di Teodolinda, scene 42, 43 e 44a, L'imperatore Costante parte da Costantinopoli per cacciare i Longobardi dall'Italia, Costante arriva in Italia e interroga l'eremita.

La Cappella custodisce la Corona Ferrea, da secoli considerata simbolo e leggenda e l'opera di oreficeria tra le più importanti e significative di tutta la storia della cristianità. 

Un'antica tradizione vuole infatti che l'anello presente all'interno della Corona sia stato ricavato da uno dei chiodi della Croce di Cristo. Con la Corona Ferrea furono incoronati re ed imperatori,
tra i quali Carlo Magno e Napoleone.

Teodolinda

C'è però un caso che merita di essere citato perché abbastanza fuori dal comune: quello che vide protagonista Teodolinda, futura regina dei longobardi
Di origine bavarese, fu scelta dal sovrano longobardo Autari come sposa per stipulare un'alleanza con il padre di lei, Garibaldo, in funzione antifranca. Narra Paolo Diacono che Autari, desideroso di vedere la promessa sposa, si recò travestito da ambasciatore in Baviera e chiese di poterla ammirare per riferire le virtù al suo re. 

Avances altomedievali

Era così bella che chiese a Garibaldo il permesso di ricevere dalla sua mano una tazza di vino, ma nel ridargliela le sfiorò di nascosto col dito la mano e fissandola si passò la destra sul naso e sul volto. Arrossendo violentemente, Teodolinda corse dalla nutrice: lei le spiegò che se egli non fosse stato il suo futuro sposo, non avrebbe mai osato toccarla a quel modo. Di certo, giovane e bello com'era, era degno del trono e di una moglie come lei. Il 5 maggio 589, a Verona, nel campo di Sardi, il matrimonio fu celebrato con sfarzo. Ma dopo solo un anno, Autari morì avvelenato e a Teodolinda fu concesso, caso raro per l'epoca, di scegliere da sé il secondo consorte. 

Via questo qua un altro ancor più fresco

Ancora Diacono sostiene che ciò le fu permesso perché «piaceva molto» al suo popolo. Comunque sia, riuniti i suoi consiglieri, optò per Agilulfo, duca di Torino, potente guerriero turingio della stirpe di Anavas. «Era questi», narra Paolo Diacono, "un uomo forte e valoroso e sia di corpo che di animo adatto a governare il regno". Subito la regina gli mandò a dire di presentarsi a lei, ed ella stessa gli andò incontro nella cittadella di Lomello. Quando egli fu giunto, la regina, scambiata qualche parola, si fece servire del vino e, dopo aver bevuto per prima, offrì il resto da bere ad Agilulfo. Presa la coppa, egli baciò rispettosamente la mano alla regina ma lei, sorridendo mentre arrossiva, disse che non doveva baciarle la mano chi doveva baciarla sulla bocca. E così, innalzandolo al proprio bacio, gli annunciò le nozze e la dignità regia». 

Incontro di Teodolinda e Agiulfo, duca di Torino

La scelta fu molto felice. Al di là dei particolari romanzeschi risulta evidente che a salvare il regno dalle discordie interne e dai nemici, fornendo una rapida successione, fu il prestigio indiscusso della regina. Il suo comunque fu un caso piuttosto isolato e percepito come straordinario già allora.

La corona ferrea

Fra i molti oggetti che compongono il tesoro del Duomo di Monza, il più prezioso è certamente la Corona Ferrea, che un'antica tradizione vuole contenga una lamina di ferro formata con uno dei chiodi che servirono alla crocifissione di Gesù. Infatti sant'Ambrogio, vescovo di Milano, nell'orazione funebre recitata in onore di Teodosio il Grande disse:

 «Cercò sant' Elena i chiodi coi quali fu crocifisso il Signore e li trovò. D'uno di essi comandò fosse fatto un freno, d'un altro intessé un diadema... Mandò pertanto al figlio suo Costantino il diadema ornato di gemme, la più preziosa però delle quali era l'interno ferro, strumento già della divina redenzione.
Mandogli anche il freno: dell'uno e dell'altro fece uso Costantino, e ne trasmise la fede ai suoi successori».

Corona Ferrea - Copia del 1987 - Bruno Freddi

Il prezioso cimelio, custodito da secoli nella  basilica, è d'oro purissimo, ed è composto di sei pezzi legati fra loro da cerniere verticali: ha il diametro di cm 15 e l'altezza di cm 5,5. La Corona è adorna di ventisei rose d'oro, ventidue gemme di vari colori, ventiquattro gioielli a smalto.

La stessa tradizione vuole che, dopo la morte di Costantino, la Corona Ferrea fosse depositata nel tempio di santa Sofia a Costantinopoli e là custodita fino al tempo di 
Tiberio Augusto, quando questi la donò a san Gregorio Magno, allora legato apostolico presso di lui. Divenuto pontefice, Gregorio ne fece dono a Teodolinda, la regina che tanto validamente operò per la diffusione della fede cattolica.

La Corona Ferrea soprattutto nei secoli medioevali fu considerata simbolo del Regno Italico e per questo motivo Monza fu detta città regia. Si è certi che Carlo IV, Carlo V, Napoleone I e Ferdinando I furono incoronati con la Corona di Ferro.

La Corona è custodita nell'altare, eretto nell'Ottocento, della cappella degli Zavattari. Gli studiosi fanno risalire questo eccezionale cimelio al sec. IX: potrebbe essere un'opera barbarica per la ricchezza preponderante delle pietre preziose e degli ornati; la composizione di essi invece richiamerebbe il periodo bizantino o costantiniano: infatti nelle piastre le protuberanze delle rosette sono ordinate in simmetria a croce su spazi rientranti, ornate con altri motivi a fiori, in alternanza coi ritmi verticali delle pietre preziose e di altre rosette, come d'uso in quel tempo; gli smalti invece porterebbero ad attribuire la Corona al IX secolo. Risulta difficile pertanto stabilire una precisa datazione.

Corona ferrea originale

Napoleone

Il Bonaparte si interessò particolarmente dei tesori della basilica monzese e non certo per proteggerli: infatti per sua delega il generale Alessandro Berthier spogliò il Duomo del tesoro e della Biblioteca Capitolare (200 codici e incunabuli); abolì il capitolo dei canonici e ne incamerò i beni, imponendo all'arciprete di deporre mitria e pastorale e riducendolo in tal modo a semplice parroco.
Tutti i beni furono portati, per opera dei cittadini Voiront e Répéçaud, alla Biblioteca Nazionale di Parigi. 

La Corona Ferrea, invece, per il suo carattere sacro, fu lasciata "provvisoriamente" a Monza

L'autoincoronazione

Tre secoli erano trascorsi dall'ultima incoronazione col prezioso diadema di Monza.
Era il maggio 1805, quando il ministro dell'Interno diede ordine alla municipalità monzese di provvedere al trasporto della Corona Ferrea a Milano per l'incoronazione di Napoleone Bonaparte.

Nel Duomo di Monza alla presenza di una grande folla, la Corona fu deposta in un'apposita custodia e così si fece anche per la Croce del Regno, che veniva posta al collo dei re nel momento dell'incoronazione. Suonarono le campane, la banda diede fiato alle sue trombe e il corteo, aperto e chiuso dalle truppe, parti per Milano. A lato della terza carrozza nella quale erano state poste le sacre insegne, cavalcava la Guardia monzese in tenuta di gala.

Lungo tutto il tragitto vi fu festa e movimento e, all'ingresso in Milano, furono sparati tre colpi di cannone, seguiti dai colpi a salve delle artiglierie del Castello.

Accolte in Duomo dal suono dell'organo e dal canto degli inni sacri, la Corona e la Croce furono esposte sull'altare maggiore. Il giorno 26 nella basilica milanese, ornata per l'occasione con gli stupendi arazzi del Duomo di Monza, ebbe luogo l'incoronazione. Il cerimoniale si svolse come previsto, ad eccezione del fatto che Napoleone volle incoronarsi da solo e «nel porsi in capo la Sacra Corona, prima la riguardò alquanto... e riverentemente pronunciando queste parole: 

«Dio me l'ha data, guai a chi la toccherà» 

Napoleone con la corona ferrea
IN realtà non la poggiò mai sul suo capo in quanto troppo piccola
 ma si limito di tenerla sollevata 

Il giorno seguente la Corona e la Croce furono riportate a Monza e riposte in Duomo al canto di inni religiosi.

I cavalieri

Dopo la sua incoronazione in Milano, Napoleone istituì un ordine cavalleresco detto della Corona del Ferro. Si conferiva questa onorificenza ai dotti, agli scienziati e a quanti si distinguevano nelle operazioni militari.
La decorazione consisteva in una medaglia con la raffigurazione di una corona e la scritta: «Dio me l'ha data, guai a chi la toccherà».
I cavalieri potevano fregiarsi della medaglia d'argento, i commendatori di quella d'oro, e i dignitari portavano, oltre la decorazione un gran cordone.

Costume del Corpo degli Alabardieri contenuti nel museo del Tesoro

Caduto Napoleone, l'Austria mantenne l'ordine cavalleresco. Il costume dei cavalieri era fastoso: un mantello di velluto turchino foderato di raso bianco, completato da un cappello anch'esso di velluto turchino, ornato da un piumaggio bianco. L'Austria mantenne l'ordine della Corona anche dopo la perdita della Lombardia.

Il culto della corona

Il culto di questa sacra reliquia è antichissimo, basti ricordare questo episodio avvenuto nell'anno 1575:
«Era entrato (s. Carlo Borromeo) nella Basilica col prelato mons: Regazzoni (vescovo di Bergamo) e, portatosi al luogo detto il Deposito, ove si custodivano le Sacre Reliquie, comandò che si accendessero torchie e presa fuori colle sue proprie mani da un reliquiario la Sacra Corona, genuflessi entrambi la adorarono: indi con grande riverenza baciatola, vicendevolmente se la posero sul capo...»


Ma nella seconda metà del XVII secolo sorsero dubbi circa l'autenticità del s. Chiodo tanto che un Vicario capitolare della Curia Milanese, De Mattheis, nel 1651 emanò un decreto con il quale vietava al clero monzese di portare in processione la Corona del Ferro. L'anno dopo però, il nuovo Arcivescovo di Milano, cardinal Litta, accolse il ricorso dei Monzesi che, ristabilito il culto della Corona, la posero in una Croce che gia conteneva altre reliquie della Passione e, pochi anni dopo, in un'apposita cappella.

Ma nel 1687, un visitatore apostolico, mons. Tranchedini, sospese ancora il culto liturgico della Corona. L'arcivescovo di Milano, che avrebbe dovuto decidere intorno a questo caso, mandò invece i documenti a Roma e questa causa iniziata del 1688 fu chiusa nel 1717. Gli increduli, infatti, dicevano che nessuno garantiva che il «diadema», nominato nel discorso di s. Ambrogio, fosse poi la Corona di Monza.
Di rimando i Monzesi rispondevano che «S. Ambrogio parla di diadema... ma dice ornato di gemme».

«E infatti il cerchio contenuto nella corona reca visibilissimi ed equidistanti undici forellini, che nulla hanno a che vedere con la Corona e che assolutamente non potevano servire né servono ad unire il Ferro alla Corona. Potevano invece sostenere le gemme».
Pare inoltre che in un documento dell'anno 601 papa Gregorio ordinasse che ogni re, risultato eletto dall'arcivescovo milanese, «fosse incoronato a Monza della Corona del Ferro». A Roma prevalse questa tesi e nell'anno 1717 fu ripristinato il culto della Corona Ferrea; culto che dura tuttora.

In alto a sinistra: Cofanetto contenitore per la Corona Ferrea 1805 - legno dipinto e seta
A destra: Cofanetto contenitore per la Corona Ferrea 1838 - velluto, fili e galloni, seta, vetri
Cuscino per la Corona Ferrea seconda metà del XIX secolo - velluto, ricamo in filo dorato, perle, seta

Vicende storiche

  • Parecchie volte la Corona Ferrea corse il pericolo di andare perduta; nel 1273 fu impegnata, per necessità di denaro, dai Torriani, signori di Milano, e poi riscattata dai Visconti nel 1319.
  • Cinque anni dopo fu mandata ad Avignone da dove ritornò nel 1345. Nel 1797, durante la campagna napoleonica, corse il rischio di finire nei crogiuoli della zecca di Milano. Nel 1848 il Feld Maresciallo Radetzky la fece trasportare nel palazzo del comando militare della fortezza di Mantova. Ritornò per breve tempo nella basilica di Monza per essere successivamente trasportata a Vienna nel 1859
  •  Alla fine del 1866, dopo alterne vicende, la Corona Ferrea ritornò a Monza. Fu in seguito trasportata per pochi giorni a Roma e posta sul feretro del re Vittorio Emanuele II. Dopo l'uccisione, avvenuta nella nostra città, del re Umberto I, la Corona ne seguì le spoglie fino alla tumulazione nel Pantheon.
  • Durante il secondo conflitto mondiale la Corona Ferrea fu custodita a Roma, in vati-cano. Tornò a Monza ai primi di giugno del 1946: due sacerdoti del Duomo la riportarono in una valigia di fibra, viaggiando in corriera da Roma a Milano sulle strade segnate dalle rovine della guerra.
  • Nel 1991 sono state realizzate due copie a cura di Bruno Freddi.
  • Attualmente la sacra Corona viene portata in solenne processione per le vie del centro cittadino ogni terza domenica di settembre.

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