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Il suicidio nell'antichità e nel medioevo

Diversi i suicidi famosi nel passato: da Giuda pentito di aver tradito Gesù, alla combo Antonio-Cleopatra (con quest'ultima con un originale metodica morso del serpente) passando per Lucrezia.

Proprio di quest'ultima un opera che trovo nel Kunstmuseum di Basilea

Suicidio per la perdita dell'onore

Colei che detiene il primato della pudicizia romana, Lucrezia, al cui animo virile toccò, per maligno errore della sorte, corpo muliebre, costretta con la violenza a subire lo stupro di Sesto Tarquinio, figlio del Re Superbo, dopo aver deplorato con parole di alto sdegno, nel consiglio di famiglia, l'offesa fattale, si uccise con un'arma che aveva portato seco nascosta sotto la veste e con la sua coraggiosa fine offrì al popolo romano motivo a sostituire alla monarchia la repubblica consolare.

Lucrezia - 1517 - Niklaus Manuel - Kunstmuseum Basel
Quando il marito si precipitò a casa, la donna fece il nome dello stupratore. «Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui», disse prima di piantarsi un coltello nel cuore.

Tre buoni motivi per non suicidarsi

Non mancavano i tabù, che erano numerosi. Tra questi, c'era il suicidio. 
Su di esso pesava il giudizio morale su Giuda, che si era tolto la vita dopo aver tradito Cristo. 
Già sant'Agostino, nel De civitate Dei ("La città di Dio"), sosteneva che uccidersi violasse il quinto comandamento («Non uccidere»), il quale era rivolto non solo agli altri ma anche a se stessi. 

Per Tommaso d'Aquino (1224-1274) non solo era incompatibile con la legge dell'autoconservazione, ma violava la pace sociale perché «ciascun uomo appartiene essenzialmente alla comunità» come la parte al tutto.

Inoltre, poiché la vita è un dono di Dio l'uomo non può disporne a piacimento. Il momento del trapasso dipende solo dall'Onnipotente: chi si suicida dunque si ribella alla natura e all'ordine del creato e, in ultima analisi, al Creatore stesso.

Posizioni a favore del suicidio

Nella cultura classica porre fine a una vita divenuta intollerabile, opporsi a un destino ritenuto troppo duro, è in genere considerato un gesto eroico e non meritevole di disapprovazione.

Plinio il Vecchio giunge ad affermare che:

Fra tutti i doni elargiti all'uomo dalla natura nessuno è più grande di una morte che giunge al momento opportuno, e in essa l'aspetto più positivo e confortante è la possibilità che ha ciascuno di darsela.

Cause di suicidio: l'amore

Fra queste non poteva mancare l'amore, con tutto il suo (non infrequente, ahimè) corredo di speranze deluse, abbandoni, decesso del partner ecc.

Una tragica figura che la penna di Virgilio ha elevato alle vette più alte della poesia è senz'altro quella della regina cartaginese Didone.
Una bella miniatura realizzata a Brugge verso la fine del XV secolo coglie in tutta la sua drammaticità il momento della partenza di Enea, di cui si vede la nave allontanarsi attraverso una finestra affacciata sul mare. Da questa finestra entra un soffio di vento che fa svolazzare il velo della regina, colta mentre si lascia cadere su una lunga spada con la punta conficcata nel suo petto.
Sul lato destro, quello che sembra un trono desolatamente vuoto si contrappone alla nave che veleggia verso spietate lontananze.


Disperata per la partenza improvvisa di Enea, costretto dal Fato, Didone si trafisse con la spada donatale dal troiano, chiedendo al suo popolo di vendicarla e profetizzando i futuri scontri tra Cartagine e i discendenti di Enea, ovvero i Romani.

Cause di suicidio: il declino

Una figura che ha saputo darsi una morte così fuori del comune da assicurargli una fama duratura è quella dell'empio tiranno assiro Sardanapalo (Assurbanipal), vissuto nel VII secolo a.C. e noto per le sue spropositate ricchezze e per la vita dissoluta. Costui, secondo una ricostruzione avvolta nella leggenda, quando stava per essere spodestato dai rivoltosi che volevano rovesciare il suo regno, fece preparare un enorme pira alimentata anche da oggetti preziosi e, una volta acceso il fuoco, vi si gettò sopra insieme alle sue concubine e al suo cavallo prediletto.


La miniatura che lo riguarda è tratta dalla celebre opera di Giovanni Boccaccio De casibus virorum illustrium ed è stata miniata nel 1410 dal Maître de Luçon. Lo vediamo proprio nell'atto di buttarsi tra le fiamme dove bruciano i suoi tesori, mentre scherani e concubine osservano la scena.

Cause di suicidio: la fedeltà

Un'altra forma di suicidio che non suscita disapprovazione è quella di chi si toglie la vita per non essere forzato a tradire i propri sodali. Siamo durante il regno di Nerone (54-68 d.C.), in cui il popolo vedeva dilagare le sue insolenze e lascivie. Alcuni senatori e cittadini, sotto la guida di Lucio Pisone, cospirarono contro di lui e i loro nomi vennero a conoscenza di Epicari. Costei prese parte alla congiura e cercò di coinvolgere il comandante della flotta imperiale Volusio Proculo. Questi però, nella speranza di ottenere il favore dell'imperatore, gli riferì quanto aveva appreso. Essa allora fu sottoposta a durissime torture per costringerla a denunciare i nomi dei cospiratori, senza tuttavia che ottenessero l'effetto spera-to. Appena le fu possibile poi, si slacciò una fascia che le sosteneva il seno, e con essa si impiccò. La vediamo pendere da una trave del soffitto in una miniatura del 1493 che illustra proprio il testo di Boccaccio.

Epicari

Dante che dice?

Sono i violenti contro se stessi, rispettivamente nella persona e nel patrimonio; compaiono nel Canto XIII dell'Inferno, nella selva che occupa il secondo girone del VII Cerchio. Le anime dei suicidi sono imprigionate entro gli alberi della selva, poiché essi si sono separati violentemente dal proprio corpo; le Arpie, che popolano il girone, si nutrono delle foglie degli alberi e provocano sofferenza ai dannati. Quando i rami delle piante si spezzano esce sangue, insieme a un soffio d'aria che fa fuoriuscire parole e lamenti. 


Tra i suicidi Dante pone Pier della Vigna e un fiorentino non meglio precisato, di cui si dice solo che si impiccò in casa propria (forse fu il giudice Lotto degli Agli, che aveva ingiustamente condannato un innocente per denaro; secondo altri potrebbe essere Rocco dei Mozzi, suicida dopo avere sperperato tutto il patrimonio).

Punizioni contro i suicidi

Non potendo punire il suicida, ci si accaniva sul suo cadavere con tutta una serie di gesti che spesso avevano soprattutto un significato apotropaico, in quanto il suicida, come tutti i morti di morte violenta, era considerato un pericoloso fantasma: a volte lo si bruciava; a volte lo si chiudeva in una botte e lo si gettava in un fiume, per "sciacquar" via il pericolo da lui rappresentato; a volte si cercava di renderlo inoffensivo impalandolo o decapitandolo. 

I cadaveri dei suicidi non venivano fatti uscire dalla porta principale di casa, bensì da un buco nel muro, dalla finestra, dal tetto. Li si conduceva al cimitero per strade secondarie. Non si poteva farli entrare dalla porta principale del cimitero: dovevano essere fatti passare capovolti sopra il muro di cinta. Nella bara venivano sepolti col volto all'ingiù.

Dato che la chiesa proibiva di seppellirli in terra consacrata, essi venivano sotterrati anche ai crocicchi (con un palo conficcato nel corpo) o ai confini della città, o si sceglieva un luogo deserto e discosto. Se li si accettava nei cimiteri, li si metteva in un angolo vicino al muro o sotto la grondaia. La tomba del suicida non doveva essere curata.

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