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Ferrovia

Difficile riassumere l'impatto che la ferrovia ha portato alla società e alle nostre vite. Io stesso ne sono stato "travolto", lavoro per le FFS del dicembre 2014 ed ho avuto modo di immergermi nel magico mondo dei binari. Diverse le conseguenze, una su tutte quel "e rotaia" riportato nel sottotitolo del blog. Lavorando per le ferrovie ogni impiegato riceve un abbonamento generale valido per tutta la Svizzera. Questo incita molto il viaggio e mi ha permesso di poter dedicarmi in maniera molto più concreta alle mie passioni. Senza questa possibilità avrei viaggiato con meno frequenza e mi sarei arricchito in maniera minore

Ferrovie Federali Svizzere

Le Strade Ferrate Federali - che con la legge del 23 giugno 1944 mutarono il nome in Ferrovie Federali Svizzere

Stazione come luogo di riferimento e punto di incontro

Ancora oggi nei dintorni delle stazioni troviamo un determinato tipologie di persone con un fattore che le accomuna. In diverse città troviamo come presenza fissa soprattutto agli ultimi scalini della scala sociale quali emigranti, mendicanti e disadattati. In stazioni come Berna, Basilea e Yverdon la loro presenza é facilmente individuabile. La stazione per loro rappresenta il luogo fisso dove incontrarsi, a qualsiasi orario ci si recherà si troverà qualcuno "della stessa cerchia".
Questo fenomeno non é del tutto nuovo; già una volta gli emigranti hanno instaurato con le stazioni ferroviarie, là dov'era possibile, uno stretto rapporto. Soprattutto per coloro che erano andati oltre San Gottardo, la stazione era infatti diventata il luogo privilegiato in cui recarsi la domenica a mandá vía i tréni, a far partire i treni, per vincere la tristezza o la nostalgia di casa. Lì si ritrovavano i compaesani, c'era l'opportunità di incontrare persone che arrivavano e che partivano e in tal modo ricevere notizie dalla patria o affidare messaggi per i parenti rimasti al paese.

Dipinto di Hans Bachmann del 1911 che raffigura l'emigrazione.
Museo Nazionale Svizzero

Una svolta sociale

La ferrovia ha segnato una svolta anche nella concezione del tempo, rendendolo più prezioso con il diminuire della durata dei percorsi e cadenzandolo con il passaggio dei convogli a orari regolari: quando da giovani facevamo lavori in montagna [sui monti di Prepiantò, negli anni Quaranta del Novecento] il treno ci scandiva l'orario, nessuno aveva l'orologio; anche in località relativamente discoste dalla ferrovia si poteva dire che le ore erano segnaa dal campanin, dan tram, da n trén, segnate dal campanile, da un tram, da un treno. 

Gli orologi delle stazioni, che i capistazione regolavano giornalmente alle otto secondo il messaggio telegrafico cifrato inviato da oltre San Gottardo, ebbero spesso il sopravvento su quelli meno precisi dei campanili. Del resto l'introduzione degli orari dei treni condizionò in maniera significativa la vita tanto degli impiegati quanto degli utenti delle ferrovie, e gradualmente dell'intera società, imponendo di regolare i propri spostamenti con tempi precisi - al minuto - e favorendo la diffusione degli orologi.

Lentamente la ferrovia, rendendo più accessibili le città, concorse anche al livellamento dei costumi, dei gusti alimentari e delle peculiarità locali, come pure delle aspettative e delle ambizioni della popolazione rurale nei confronti di abitudini e usi urbani. Grazie al treno anche da un paesino della Val Pontirone una donna che voleva recarsi per la prima volta a Bellinzona poteva permettersi il viaggio in una giornata:  era scesa a piedi fino alla stazione per prendere il cavallo nero fumante. Sul treno le sembrava di volare, abituata com'era a camminare sui sentieri. Un amen: era arrivata a passeggiare lungo il viale della stazione pieno di meraviglie.

Nel caso delle linee regionali realizzate agli inizi del Novecento, l'arrivo della ferrovia coincise spesso con l'introduzione dei primi telefoni e delle prime ampolle per la luce elettrica nei villaggi delle valli.

Cavallo - carbone - elettricità

La trazione dei veicoli che viaggiavano su rotaia era affidata in un primo tempo prevalentemente alla forza animale. Giova qui riportare quanto i ticinesi poterono leggere sulla stampa nel 1838, là dove si riferiva di un rapporto presentato in Francia alla Camera dei Deputati per convincerli dell'efficacia del nuovo sistema di trasporto che cominciava allora a diffondersi. Vi si confrontava il peso che un medesimo cavallo avrebbe potuto trasportare in diverse situazioni: caricando la merce sul dorso avrebbe portato 100 kg, mentre «senza maggior fatica, quando venga attaccato a una vettura, porterà, o a meglio dire, trascinerà ad un'eguale distanza, sopra una buona strada ben costrutta 1'000 kg, sopra una strada di ferro 20'000 kg» (peso che addirittura si triplicava ulteriormente se trainato su un canale). 

La trazione animale dovette cedere presto il passo alla forza meccanica del vapore, ma continuò a essere applicata per le linee tramviarie urbane e per i piccoli impianti legati a strutture turistiche periferiche.
Sul Monte Generoso fu ad esempio in funzione dal 1891 al 1913 un tram trainato da un mulo che dalla stazione Bellavista conduceva gli ospiti, lungo un percorso di 540 m, fino alla soglia dell'Hotel Bellavista.


Il vagone ippotrainato Hôtel Bellavista 1900 circa


Si dovette ricorrere anche ad altri combustibili. Così viene ad esempio rievocato un viaggio nel 1919 sulle rampe del San Gottardo: due locomotive a vapore davanti [a tirare] e una dietro a spingere fino ad Airolo, tutto a carbone, ma carbone non ce n'era più in tempo di guerra, adoperavano legna; un fumo, che usciva! 


Vanno qui ricordate le locomotive note col nome di Cucudrill, Coccodrillo  - da quelle per le Strade Ferrate Federali della serie Ce 6/8 II e Be 6/8 II, in esercizio dal 1920 al 1982, a motrici simili costruite per altre linee montane - che ebbero un successo tale da divenire anche un vettore per l'identificazione nazionale e un simbolo dell'eccellenza svizzera nell'industria elettrica e delle macchine.


Naturalmente il passaggio dal vapore all'elettricità non avvenne contemporaneamente per tutte le linee ferroviarie. Quella del San Gottardo venne elettrificata entro il 1920, mentre per la Bellinzona-Locarno si dovette attendere sino al 1936. Con il passaggio al nuovo sistema venne meno anche la necessità di raddoppiare le locomotive che trainavano i convogli lungo le salite delle tratte alpine. Tale cambiamento comportò la perdita di molti posti di lavoro, in particolare a Biasca, dove il numero dei ferrovieri, che con i loro familiari nel 1919 formavano un gruppo di millecinquecento persone, nel giro di tre anni da circa trecentoventi scese a meno di cento.

Prima della ferrovia

Le trasferte a piedi duravano a lungo e per raggiungere la meta in tempo utile talvolta bisognava partire ben prima dell'alba. Dall'alta Val Colla, prima della costruzione della Ferrovia Lugano-Dino (1911), per vendere funghi, uova e anche galline al mercato di Lugano "andavamo a piedi, non c'era ancora il tram. Partivamo alla una dopo mezzanotte e arrivavamo giù magari bagnate, non avevamo scarpe.
Andavamo tutte assieme, magari in quattro o cinque."

Il traforo del Gottardo

L'impresa del traforo ferroviario del San Gottardo non mancò di accentuare il timore dei contrari e degli scettici. Rispetto agli sviluppi sperimentati in precedenza nell'ambito dei trasporti, la ferrovia rappresentò infatti un elemento di rottura. Il suo avvento incrementò - almeno in un primo tempo - la disoccupazione e l'emigrazione in quelle regioni dove l'economia era basata per lo più sull'allevamento del bestiame e sul traffico di transito. Non desta meraviglia dunque che nel maggio del 1882 le stazioni nel Canton Uri, al passaggio del treno inaugurale, furono ornate a lutto.

In Ticino quei primi treni vennero invece salutati per lo più da gente in festa e visti come la fine dell'isolamento dal resto della Confederazione e l'inizio di una fase di prosperità.

Ma è innegabile che in alta Leventina c'era un clima di avversione alla ferrovia e c'erano persone che non vedevano di buon occhio quella novità, che sottraeva loro lavoro e terreni fra i più comodi da coltivare. Questo difficile rapporto è testimoniato anche dalla risoluzione del municipio di Airolo, che il 21 maggio 1882, proprio alla vigilia dell'inaugurazione della galleria, a causa «delle continue ingiustizie che la Gotthardbahn commette a danno del nostro paese e stante che non ha trovato degna la nostra piazza di una fermata neppur pari a quella stabilita per Göschenen», decise di limitare le manifestazioni all'ornamento del campanile con bandiere e alle note della filarmonica airolese al passaggio dei treni inaugurali.

La rampa del Gottardo versante nord con le relative gallerie elicoidali

La demonizzazione della ferrovia è presente pure nel gergo dei magnani della Val Colla, i quali la designano scherzosamente betarchia de madé o anche baráina de madé, letteralmente diavolo di strada'.

Ad Airolo i proventi delle espropriazioni alimentarono una febbre edilizia speculativa, denunciata già nel giugno 1873 da un giornale liberale sopracenerino: «Gli speculatori fecero a gara ad affittare capanne e stalle per piantarvi osterie ed alloggi. Chi l'avrebbe detto pochi anni fa, che d'una misera capanna, abitabile appena per 2 a 3 mesi d'estate, si sarebbero ricavati 200 a 300 franchi di fitto! In vista di ciò molti Airolesi posero mano a costruire nuove case». Le autorità locali non furono in grado di rispondere a questo fermento con la messa in opera di adeguate infrastrutture e nemmeno di effettuare controlli sufficienti. Il risultato fu che gli oltre 2000 operai impiegati nel cantiere meridionale del traforo vivevano in condizioni miserabili, immersi nella sporcizia

Altre linee

Alcuni progetti ebbero un percorso travagliato, altri vennero invece abbandonati, come fu il caso della «ferrovia a scartamento normale con tronchi a dentiera» che l'ingegnere Abt si proponeva di costruire per collegare Airolo con Briga

Il progetto della linea Airolo - Briga. Clicca sull'immagine per ingrandire


In rosso (spannometricamente) la galleria principale nel tracciato della linea Airolo - Briga, ib blu quella esistente della linea del Furka che collega Realp a Oberwald 

Con tutt el noss di, con tutt el noss fá, ala fin finala la nossa cara ferovia i ne l'a tolta véa, con tutto il nostro dire, con tutto il nostro fare, alla fin fine la nostra cara ferrovia ce l'hanno eliminata 

La dismissione delle linee regionali, avvenuta fra la metà degli anni Sessanta e i primi anni Settanta del Novecento, è stata il risultato della razionalizzazione e modernizzazione dei trasporti pubblici, sostenuta dalle autorità cantonali e federali che puntavano a quel tempo prevalentemente sulla strada. 
Fra le motivazioni addotte v'erano anche i costi eccessivi per il risanamento degli impianti e la maggiore capillarità del servizio. La popolazione in alcune regioni protestò energicamente contro questa privazione, in altre invece assecondò di buon grado la transizione agli autobus


Pupazzi esposti lungo la linea Locarno-Bignasco per il primo agosto 1959, raffiguranti un balivo che tiene un valmaggese alla catena

Passaggi a livello

Le linee ferroviarie si inserirono in modo preminente nel tessuto viario preesistente. Una novità con cui tante persone acquisirono dimestichezza solo col tempo e a fatica. Sin dagli inizi molti, ad esempio, attraversavano continuamente «il corpo ferroviario» noncuranti del pericolo, come denunciò l'ingegnere della Ferrovia del Gottardo responsabile del lotto fra Biasca e Giornico nel 1881, pochi mesi prima della messa in esercizio della tratta alpina, percorsa allora da numerosi convogli che trasportavano materiale per ultimare i lavori. Altri si permettevano invece di alzare autonomamente le barriere ai passaggi a livello, senza rispettare quanto disposto da casellanti e capistazione.

A queste intersezioni si creavano talvolta situazioni pericolose o difficili da gestire, sia nel compiere operazioni quotidiane, sia in occasioni più sporadiche quali le lunghe trasferte con le mandrie nel carico degli alpeggi. Era questo il caso ad esempio per i contadini della bassa Leventina che si recavano a piedi fino in Valle Bedretto: quando arrivavamo ai passaggi a livello della ferrovia, trovavamo magari le barriere chiuse per un dieci minuti. Allora li era un problema perché tutte queste vacche... - ne avevamo magari trenta, quaranta insieme - tenerle li ferme, erano eccitate queste vacche, tenerle li quando stava per arrivare il treno, si aveva sempre una gran paura.

Casellante responsabili del passaggio a livello al ponte di mezzo sulla strada delle gole del Piottino, 1914-1918

La linea del Gottardo

Nelle previsioni dei tecnici ferroviari la linea che scendendo dal San Gottardo proseguiva via Lugano verso Milano avrebbe avuto un'importanza commerciale decisamente inferiore rispetto a quella che andava a collegarsi al porto di Genova, via Bellinzona, Luino e Novara.

Ad Airolo nel 1873 si assistette a un notevole incremento di negozi e osterie. Nei soli primi quattro mesi dell'anno ben 17 immigrati italiani vi si stabilirono per svolgere la loro attività: «4 negozianti, 4 bettolieri, 3 locandieri, 3 calzolai, 1 bottegaio, 1 pizzicagnolo e 1 salsamentario»; e anche gli airolesi, attirati dalla prospettiva di un decennio di affari, ingrandirono i propri negozi e taverne o ne costruirono di nuovi.

La ferovía a Airó l'é chèla te l'a tiró fo la fam dai cẽ: l'éva n'América, la ferrovia ad Airolo è quella che ha tirato fuori la fame dalle case: era un'America.


La presenza della Gotarbán, la Gotthardbahn, società costituita nel 1871 con sede a Lucerna e che in italiano era chiamata «Ferrovia del Gottardo» o «Compagnia del Gottardo», rappresentò infatti una grande opportunità per l'economia del villaggio leventinese, come pure per la valle e l'intero cantone, Già durante gli anni dei primi cantieri furono numerose infatti le persone e le attività che poterono trarne profitto, anche indirettamente. E così pure durante l'esercizio della linea principale e di quelle regionali. Ma tale valutazione va temperata con alcune considerazioni. Innanzitutto le ditte appaltatrici dei lavori per le tratte ticinesi furono quasi tutte italiane e le maestranze che impiegavano - circa 10'000 operai fra il 1872 e il 1882 - provenivano per lo più dalla Lombardia e dal Piemonte. 

I leventinesi e i ticinesi non si lasciarono attrarre da questi lavori e in molti, proprio in quegli stessi anni, preferirono emigrare come stagionali o partire oltre oceano, non di rado a esercitare le stesse mansioni offerte dai cantieri ferroviari. Inoltre la Ferrovia del Gottardo per la gestione della linea assunse personale prevalentemente della Svizzera interna, lasciando ai ticinesi solo gli impieghi meno qualificati - soprattutto, come vedremo più avanti, quelli di frenatore sui treni merci e operaio nelle squadre di manutenzione - o la gestione di poche stazioni secondarie. 

Va pure considerato che i ferrovieri, soprattutto quelli insediatisi nei villaggi montani, fino alla metà del Novecento erano fra i pochi a disporre di un po' di denaro e in grado di acquistare terreni. Una situazione che riduceva le possibilità, a chi esercitava unicamente il mestiere di contadino, di consolidare o ingrandire la propria piccola azienda e che pertanto ha indotto alcuni a seguire le orme di paesani già partiti oltre oceano: non potevo stare qui ad Airolo a fare il contadino, perché se veniva messo in vendita un appezzamento di prato, erano subito quelli che lavoravano in ferrovia, che facevano [anche] il contadino; ormai chi faceva il ferroviere aveva i soldi, andava all'asta un terreno, o l'acquistava il Milo, oppure erano quelli impiegati in ferrovia. Allora tutti i prati andavano a loro e noi più che due vacche non potevamo tenere: non puoi pretendere che uno stia qui a tirar la coda a due o tre vacche!

Na téta che süga mai

A questo periodo di relativo benessere, protrattosi fino ai primi anni Novanta, si possono ricollegare alcune frasi che raffigurano la ferrovia come una maméta, perchè l'è na téta che süga mai, una nutrice, perché è una mammella che non si asciuga mai, una ghiotta e facile opportunità offerta a tutti: anni fa era un privilegio l'impiego in ferrovia, ora invece possono entrarci tutti gli scalzacani: è alla portata di tutti, o pò blagala ch'o móng ra vaca nègra, può vantarsi di essere impiegato della ferrovia .

In tempi più recenti si è assistito a un cambiamento nel rapporto con l'azienda, determinato da vari motivi fra cui la tendenza generalizzata all'ottimizzazione dei processi produttivi e il sempre maggior ricorso a personale interinale in alcuni settori lavorativi: «una volta eri orgoglioso di avere la divisa delle Officine, oggi non è più così.... I lavoratori interinali sono anche bravi sul lavoro, ma sono pochi a interessarsi della ditta, non sono legati alle Ferrovie o alle Officine».

Ottenere un impiego in un'azienda ferroviaria, principalmente nelle Ferrovie Federali Svizzere ma anche in quelle regionali come nel caso appena citato, era un'ambizione molto diffusa. I motivi erano vari. Innanzitutto i ferrovieri, soprattutto quelli che erano a contatto con il pubblico, avevano un ruolo di indubbio prestigio: contraddistinti dall'uniforme e tenuti a un contegno impeccabile e a una disciplina militaresca, svolgevano con orgoglio il loro lavoro al servizio della clientela e, come i soldati della patria. Le condizioni di lavoro e la retribuzione erano generalmente buone, e si poteva contare su una relativa garanzia del posto a lungo termine.

La situa zione socio-economica del ferroviere lo rendeva inoltre un buon partito agli occhi delle ragazze che lo conoscevano.

Scavo delle gallerie

"...era un lavoro molto gramo, in quel tempo che lavoravamo tutti solo con su le mutande per il calore e per il fumo delle esplosioni. E lavoravamo con la lucerna a olio, tutti lavori di mazza e mazzetta. Compressore non ce n'era, elettricità non ce n'era in quel tempo, c'era l'acqua con l'aria compressa che mandavano dentro in galleria per far respirare gli uomini." Così descrive il suo lavoro un minatore di Caslano, attivo nel traforo del San Gottardo dal 1879 al luglio 1880.

Lo scavo delle gallerie è un'operazione particolarmente ardua e pericolosa. Lo è tuttora, ma lo era ancor di più alla fine dell'Ottocento, quando si lavorava con attrezzature rudimentali e scarsamente efficaci; fra le poche innovazioni troviamo le perforatrici ad aria compressa, già sperimentate in Piemonte al Fréjus dal 1861, e la dinamite, impiegata per la prima volta nel traforo del San Gottardo al posto della polvere da sparo

Le condizioni di lavoro quasi proibitive che dovevano affrontare gli operai emergono con uno spietato realismo nei resoconti coevi del medico Caglioni di Airolo, che scriveva di «tristi figure gialle [che] si aggiravano per le strade di Airolo» (a causa dell'oligoemia perniciosa epidemica) e di un ingegnere dell'Ispettorato delle miniere italiano, che denunciava la pietosa presenza di «frotte di operai dall'aspetto accasciato, macilento, cadaverico che si incontrano ad Airolo e a Göschenen mentre vanno o tornano dal lavoro». Molti di questi reduci del San Gottardo, soprattutto piemontesi (soprannominati i bogianén), morirono una volta tornati in patria, stroncati da quella che venne chiamata «anemia del minatore» o anche «anemia del Gottardo».

Un dramma che si è cristallizzato in breve tempo nei versi di un canto narrativo diffusosi in tutta l'Italia settentrionale: «maledét sia l Gotardo, gl'ingegneri che l'an progetà, pér quei poveri minatóri sóto i colpi sóno restà», maledetto sia il Gottardo, gli ingegneri che l'hanno progettato, per quei poveri minatori, [che] sono periti sotto i colpi [della dinamite].

Frenatore

Per diventare frenatore occorreva soltanto effettuare un breve periodo di istruzione specifica. I frenatori erano impiegati sui treni merci nelle discese in forte pendenza, prima dell'introduzione dei freni ad aria compressa, e il loro numero era proporzionale al peso del convoglio: per 1000 tonnellate ne venivano impiegati da diciotto a venti. Alloggiati in garitte situate in coda ai vagoni, dovevano regolare la pressione dei ceppi dei freni sulle ruote, manipolando un volantino o una leva, seguendo i comandi impartiti dal macchinista attraverso una sequenza di fischi. 

Negli anni Venti ad Airolo ce n'erano una cinquantina, quasi tutti del posto, soprattutto di Valle: facevano i frenatori perché a casa avevano ancora le vacche da accudire, e il frenatore [rispetto all'operaio della squadra di manutenzione] guadagnava di più e lavorava meno ore, e non era un lavoro pesante 

Vagone merci con garitta per frenatore, in riparazione a Bellinzona, 1944

Certi tréni, u i vaséva sú adiritüra vinc frenór....Giá, d'invern: sü par na gabina... us saréva gnè bén l'uss, magari con quindas gradi sóta zéro, a fê n viècc d'Airố a Biesca, im péi parché u i éva gnè l post da satass sgiú!, su certi treni, c'erano addirittura venti frenatori. Già, d'inverno: su per una cabina con la porta che non si chiudeva neanche bene, magari con 15 gradi sotto zero, a fare un viaggio da Airolo a Biasca, in piedi perché non c'era neanche il posto di sedersi!

Doppio lavoro

È significativa la testimonianza di una donna di Cerentino che agli inizi degli anni Trenta venne assunta dalle Ferrovie Regionali Ticinesi per la linea valmaggese: «Avevo diciotto anni quando sono andata a Coglio diventando vice capostazione.... In realtà per ventotto anni ho fatto da capostazione poiché ero alle dipendenze del titolare che aveva la bottega, l'osteria e la campagna. Così lavoravo di qua e di là, ma al passaggio dei treni toccava sempre a me essere presente in stazione perché lui seguiva le sue faccende»

Diverse tipologie di lavori

Beneficiando di condizioni economiche relativamente agiate rispetto agli altri ferrovieri e a buona parte della popolazione, i capistazione erano talvolta visti con invidia, oppure li si scherniva per atteggiamenti percepiti come inappropriati, altezzosi o vanitosi. Negli anni Cinquanta a Claro i figli del capostazione venivano chiamati cul lechéte dala stazión, quei damerini della stazione, poiché erano gli unici a frequentare le scuole elementari vestiti in modo elegante e con il colletto di pizzo.

Un altro lavoro presente solo alla stazione di Chiasso, non molto redditizio e da tempo scomparso, era quello del recuperatore di piombini. Le visite doganali comportavano infatti l'apertura di casse e vagoni destinati al transito e stazionati sui differenti binari e i piombini dei sigilli cadevano così fra le rotaie. Il piombo raccolto veniva rifuso per trarne piccoli lingotti di materia prima.

"...a vasévan süla ferovia a strapè fo l'érba. ... Im mézz al gerón vegniva sú l'érba e, finid al fégn, vasévan sgiú par ciapé vutanta ghẻi al di a strapè l'érba in ginöce sgiú pala ferovía", andavano lungo la ferrovia a strappare fuori l'erba. In mezzo alla ghiaia cresceva l'erba e, finita la fienagione, andavano giù per prendere 80 centesimi al giorno a strappare l'erba in ginocchio giù lungo la ferrovia. In pratica queste donne affiancavano il guardalinee nel mantenere pulita la massicciata, prima che venisse introdotto l'impiego sistematico di prodotti chimici erbicidi: l'unico treno speciale che c'era era quello che faceva il diserbante, che passava ad aspergere il diserbante sui binari per mantenerli sgombri.

Squadre di manutenzione

Sin dall'apertura delle linee cominciò il duro lavoro degli addetti alla loro manutenzione, anche all'interno della galleria del San Gottardo, Come racconta un'informatrice di Airolo, fra questi operai c'era anche suo padre che, giunto dall'Italia nel 1888-1884, venne subito assunto nella squadra per la manutenzione:  a quei tempi erano gli unici quei poveri italiani che erano qui, ma ce n'era una gran quantità, e per fortuna che venivano su qui a fare quei brutti lavori: gli airolesi, specialmente quelli di Valle , erano tutti frenatori. Quelli della squadra lavoravano [in condizioni tali] che c'erano le locomotive a vapore con il carbone. che questi poveri uomini  [finito il lavoro] uscivano con la sonnolenza.
In effetti nella galleria, priva di un efficace sistema di ventilazione, era sempre presente il denso fumo delle vaporiere che poteva causare malessere negli operai che lo respiravano: c'erano perfino delle persone che erano dentro a lavorare, che prendevano la sonnolenza, che cadevano giù proprio perché non potevano più respirare e toccava portarli fuori o fargli massaggi o così; non lo sopportavano.

Questo stesso informatore ci fornisce ulteriori dettagli sullo svolgimento del lavoro. nel 1939 io sono andato [a lavorare] in galleria con la squadra. Quando sono arrivato dentro io, si faceva tutto a mano: spalare, col forcone e con la pala, scavare, e buttare dentro ghiaia e buttarla su e buttarla giù, era sempre un traffico così. E un suo collega aggiunge: io nel 1943, a 15 anni, ero già in galleria a effettuare sostituzioni [dell'intero binario]. Noi andavamo più o meno verso inizio novembre fino alla fine d'aprile, stavamo in galleria sempre. Venivamo fuori solo quando nevicava, per spalare la neve dalle stazioni e dagli scambi e così, se no sempre in galleria.

Nel secondo dopoguerra, quando giunse in Svizzera la terza ondata migratoria dall'Italia, si ripresentò una situazione analoga a quanto descritto sopra: quando io ero caposquadra, nel 1949, è cominciato a venire il personale straniero ad Airolo a lavorare per la ferrovia. Erano trentanove napoletani, c'erano dentro delle gran brave persone. E svizzeri, eravamo giù in due.

Gli interventi delle squadre della manutenzione potevano durare anche più giorni, con il bello e il brutto tempo, e dovevano essere svolti il più rapidamente possibile. Per questo i pasti venivano preparati e consumati sul posto: nominavano un cuoco nella squadra, avevamo una tenda, un grande pentolone, un tremendo fornellone, ma non a gas! Dovevamo andar giù alla mattina con la legna, tre marmitte così; avevamo il nostro programma tutti i giorni: risotto, ma sempre con carne poi!, minestrone, riso condito; mangiavamo sulla linea, ognuno aveva la propria gamella.

Sicurezza sul lavoro

I guardalinee dovevano segnalare situazioni pericolose: se c'era qualche... un difetto, avevamo dei petardi da appoggiare sul binario, che scoppiava e il treno si fermava. In caso di pericolo si mettevano alcune capsule di lamiera contenenti una sostanza detonante a poca distanza l'una dall'altra; al passaggio di una ruota queste esplodevano intimando al macchinista di fermare prontamente il convoglio.

Fra i componenti della squadra di manutenzione c'era infatti chi fungeva da guardia e, sistematosi un po' distante dal gruppo, avvisava i colleghi dell'arrivo di un convoglio suonando una trombetta d'ottone. Questa trombetta venne a sua volta sostituita da sirene via via più performanti.

Pausa pranzo

Il capolinea, situato poco distante dallo stabilimento, consentiva a molti, anche di Roveredo, di tornare a casa a mezzogiorno: arrivavo a casa con il treno alle 12:30 a mangiare a casa di corsa e con me c'erano tutti gli uomini, perché ce n'erano molti del villaggio che lavoravano all'Officina delle Ferrovie Federali, e allora gli uomini si posizionavano già sul predellino per saltar giù al volo e correre a casa a pranzare e poi ripartire anche loro con il treno delle 13:00.

Ufficiali ferrovieri

Dopo l'assolvimento della scuola reclute i ferrovieri, come gli insegnanti, erano esonerati dall'obbligo militare, in quanto incorporati in quella che si chiamava un tempo la milizia ferroviaria; i uficiál di ferá (Mergoscia), i uficiali feroviér (Caviano), gli ufficiali ferrovieri dovevano però partecipare regolarmente ai tiri di ripetizione e tenersi pronti a usare il fucile militare, sempre a portata di mano sul posto di lavoro, nei confronti di chi ponesse minaccia alla sicurezza dell'esercizio ferroviario. I guardalinee in particolare avevano il compito di prevenire sabotaggi e custodire le numerose opere minate presenti sul percorso, soprattutto lungo la linea del San Gottardo, e pertanto disponevano anch'essi dell'arma d'ordinanza. Per la sorveglianza della linea e dei manufatti all'inizio della seconda guerra mondiale la Confederazione distribuì ai ferrovieri circa 8000 fucili.


Nel 2003 il servizio militare delle ferrovie venne definitivamente sciolto.

Tetminologia

Così lo stumpa (dal ted. Stumpengleis) è il binario morto di sicurezza presente nelle stazioni, che si dirama da un binario principale e termina con un muro sostenuto da un terrapieno o con un fermacarro, il bòcch, dispositivo d'arresto munito di respingenti (dal ted. Prellbock; quest'ultimo è anche detto bütt, per probabile derivazione dal fr. butte, collinetta, piccolo terrapieno).

Lo snupi (dal ted. Schnupperlehre, breve tirocinio) è il giovane che lavora per circa cinque giorni presso una stazione delle FFS prima di decidere se intraprendere una carriera ferroviaria.

La locomotrice più potente del mondo

Fra le elettromotrici - caratterizzate dalla presenza dei pantografi sul tetto, i corni, corna, o architt, archetti- ricordiamo, oltre alla già citata Coccodrillo, la locomotiva Ae 8/14 nr. 11852 inaugurata ufficialmente nel 1939 all'Esposizione nazionale a Zurigo, e che per questo venne appunto anch'essa chiamata la Landi o la Landi-Lok. A suo tempo fu presentata come il locomotore più potente del mondo e rimase in esercizio sino al 26 luglio 1971, quando un incendio a uno dei trasformatori mise definitivamente fine alla sua corsa ad Airolo; da allora è esposta al Museo svizzero dei trasporti a Lucerna.

La freccia rossa

Alcune automotrici, vetture ferroviarie adibite al trasporto passeggeri e dotate di motore proprio, sono diventate leggendarie. La più famosa è probabilmente la RBe 2/4, nota come Frécia róssa, 
Freccia rossa, entrata in esercizio nel 1935. Dopo alcuni anni le venne affiancato il modello costituito da due vetture, la doppia Freccia rossa, sul quale nel 1946 viaggiò anche lo statista britannico Winston Churchill, motivo per cui venne denominata «la Churchill»

Si trattava di convogli lussuosi e prestigiosi, ma ben diversa era la percezione che ne avevano al loro passaggio gli operai che lavoravano sui binari: mi ricordo che una volta eravamo dentro in una galleria del Piottino. Ed è arrivata qua la Freccia rossa. E quella era pericolosissima, eh, perché faceva poco rumore, era... era corta, era solo quasi come un vagone. E una volta eravamo dentro a lavorare, ci è arrivata qua. Porco cane, ci siamo proprio tirati su, perché, insomma, tra il binario e l... e la roccia della galleria non c'è poi mica tanto spazio: tirarsi su proprio contro senza muoversi, è passata via, si sentiva proprio l'aria passare via davanti al naso.


La Freccia rossa a Bellinzona,1956-1959


Molto frequenti e popolari sono le denominazioni generiche trén dal bütér (Bellinzona, Locarno) e trén dal lacc, utilizzate per indicare i treni locali, lenti perché fermano in tutte le stazioni; da qui la locuzione rivá cul trén dal lacc, arrivare in ritardo, capire le cose solo in un secondo momento.

La frecciarossa beccata dal sottoscritto la sera del 7.11.2024 alla stazione centrale dí Zurigo 

Natale 2024

Luoghi comuni

Alcune categorie di ferrovieri svolgevano o svolgono mansioni in condizioni difficili oppure dovevano effettuare pause relativamente lunghe fra un treno e l'altro, in attesa di riprendere il lavoro. Era ad esempio il caso dei frenatori: in inverno pativano spesso il freddo nelle loro postazioni sui convogli e, giunti a fine tratta, erano soliti attendere il turno successivo riscaldandosi con qualche bicchiere nelle cantine delle stazioni oppure, a Bellinzona, nelle cheghelbann, le piste di birilli (dal ted. Kegelbahnen). Questa consuetudine ha fatto acquisir loro la nomea di bevitori, che viene declinata in situazioni scherzose che richiamano il presunto potere magico di un elemento della loro divisa.

Ad Airolo è stata infatti raccolta la storiella di un contadino al quale, siccome il vitello che aveva fatto nascere non voleva imparare a poppare dal secchio, venne suggerito con malizia: prova um bott a méti sứ un capin da frenốr, ce t'ó bè vidéi cu bév! prova un po' a mettergli su un berretto da frenatore, che vuoi ben vedere che beve!

Puntualità

Per lungo tempo i treni delle ferrovie svizzere hanno goduto di una proverbiale fama di puntualità, tanto da divenirne il simbolo per antonomasia, usato anche al di fuori del contesto ferroviario: cume sa l'éss maiú n urari dal trénu, al riváa par esémpi ali 13.32 ..., come se avesse mangiato un orario dei treni, arrivava per esempio alle 13.32.

Manifesto realizzato da Atelier Zeugin, Lucerna 1963, 
ma lo slogan risale alla fine degli anni Cinquanta

Due incidenti

Altre volte i mezzi a disposizione degli operai erano insufficienti a garantir loro una certa sicurezza. Un grave incidente capitò agli addetti alla manutenzione della linea del San Gottardo al Piottino nel 1924, mentre scendevano verso Faido:  "per venire in giù avevano un vagoncino e adoperavano un'asta di ferro per frenare. Erano su in quattro o cinque su per questo vagoncino. Sono arrivati giù lì proprio sopra a Polmengo, dove c'è una scarpata lunga che finisce giù nei prati. Cosa c'è poi stato, si vede che aveva poi forse troppa velocità il vagoncino, non sono più riusciti a fermarlo. È deviato. Sono andati giù ruzzoloni per la scarpata, due sono morti".

Un ferroviere mesolcinese racconta che ormai i treni sono talmente programmati che è quasi impossibile che si scontrino; malgrado ciò in qualsiasi momento una disattenzione poteva volgere la situazione al peggio. E aggiunge, riferendosi a un evento del 1969: è successo quella volta a San Vittore fra Ticino e Grigioni, quando laggiù era giorno festivo e qui no, un treno circolava secondo l'orario festivo mentre l'altro secondo quello feriale, perciò c'è stato quell'incidente

Un aneddoto

Alcuni episodi aneddotici rappresentano in modo icastico situazioni - dall'esilarante al grottesco - riguardanti l'approccio con la ferrovia e l'uso del treno, che nella realtà si saranno verificate frequentemente. Il biaschese Spartaco Rossi accenna alla riservatezza montanara e alla conseguente diffidenza verso gli addetti agli sportelli delle stazioni: dopo aver chiesto om bigliett per ra farovia, a gh'ò d biségn, mi occorre un biglietto per la ferrovia, il pontironese protagonista di una sua poesia si rifiuta infatti di svelare la destinazione al bigliettaio, sostenendo che la cosa non lo riguardi.

Antroponimi

A Mendrisio Feruvia, soprannome di individuo spesso alticcio che quando aveva bevuto troppo procedeva a tappe, fissando un punto d'arrivo dopo l'altro, verso i quali si dirigeva più o meno speditamente per poi fermarsi qualche istante prima di riprendere il cammino.


Tre ferrovieri alla stazione di Lugano, 1910 circa


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