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L’arte di conoscere se stessi

Le prime avvisaglie di una propensione per starmene per i fatti miei ho cominciata ad averla durante i miei frequenti viaggi in treno. Osservando gli altri viaggiatori sovente il pensiero che si faceva largo era quello di gioia di non dover condividere nemmeno un minuto con nessuno di loro. Il tempo sottrattomi per conversazioni poco arricchenti sfocianti nella noia più assoluta hanno col tempo rafforzato questa mio desiderio di solitudine.
Cosa c’è di meglio della solitudine per conoscere se stessi? E poi perché solitudine? Non siamo forse sempre con noi stessi?

Sorprendentemente il pessimistico Schopenhauer é dello stesso avviso e la lettura dei suoi pensieri raccolti nel libricino "L'arte di conoscere se stessi" rafforzano questo mio pensiero di base

Specchio, Argovia, ca. 1670, vetro a specchio parzialmente dipinto Museo nazionale Zurigo

La conoscenza di sé è l'inizio della saggezza.

 «Conosci te stesso!»  è l'insegnamento di vita attribuito a uno dei Sette Sapienti, forse addirittura un precetto di origine divina per l'autorealizzazione.

Al tempo stesso è la massima su cui è imperniata la lezione di vita che la filosofia da sempre ha inteso impartire: «Tutti gli uomini hanno la possibilità di conoscere se stessi » afferma già Eraclito

Non a caso nella tradizione iconografica la saggezza sarà spesso rappresentata come una figura femminile che tiene in mano il prezioso strumento in cui è possibile guardarsi e conoscersi: lo specchio.

Nel manualetto di filosofia pratica che Schopenhauer si era approntato nel corso degli anni. Vi si possono individuare le regole fondamentali della saggezza di vita da lui seguita: autarchia, autostima, amor proprio, vita solitaria, aristocrazia dell'intelligenza, sana misantropia, prudenza nei rapporti con l'altro sesso, e così via. Al fondo di tutto ciò l'incrollabile convinzione che nei dubbi e nelle incertezze di cui la vita è disseminata sia sempre meglio ragionare ex summo malo, ovvero pensare sempre al peggio, piuttosto che lasciarsi ingannare dal miraggio del bene o dall'improbabile evento della bontà altrui.

Le massime

Volere il meno possibile e conoscere il più possibile è la massima che ha guidato la mia vita. 
La Volontà è infatti l'elemento assolutamente infimo e spregevole in noi: bisogna nasconderlo come si nascondono i genitali, benché siano entrambi le radici del nostro essere.

Già nella mia prima giovinezza, osservando me stesso ho notato che mentre tutti gli altri aspiravano a beni esteriori io non dovevo mirare a questo. Serbo infatti in me un tesoro che ha un valore infinitamente superiore a ogni bene esteriore, e si tratta soltanto di portarlo alla luce: ma le prime condizioni per farlo sono l'educazione spirituale e il tempo libero a completa disposizione, quindi l'indipendenza.

La consapevolezza di ciò, oscura e vaga agli inizi, mi si fece di anno in anno più chiara, ed è sempre bastata a rendermi prudente e oculato, cioè a preoccuparmi di salvaguardare me stesso e la mia libertà, e non un bene esteriore, quale che fosse.

***

Gli uomini con i quali vivo possono essere nulla per me. Perciò il mio massimo godimento nella vita sono i monumenti, i pensieri tramandati di esseri simili a me, che un tempo si sono affannati, come me, tra quelli. La loro lettera morta mi parla in un tono più familiare che non la viva esistenza dei bipedi. 
Per l'emigrato, infatti, una lettera da casa vale più di una conversazione con gli stranieri che gli stanno intorno. E così pure per il viaggiatore su isole deserte le tracce di esseri umani che un tempo sono passati di lì sono più familiari di tutte le scimmie e i cacatua sugli alberi.

***

In un mondo in cui almeno cinque sesti degli uomini sono furfanti, folli o babbei, per ogni individuo del rimanente sesto, quanto più si distingue dagli altri, la base del suo sistema di vita deve essere l'esistenza appartata, e quanto più è tale, tanto meglio. La convinzione che il mondo sia un eremo in cui non bisogna tenere conto della società deve diventare una sensazione e un'abitudine.

Come le pareti limitano lo sguardo, che poi torna a dilatarsi quando davanti a sé ha soltanto campi e campagna, così la società limita la mia mente e la solitudine torna a dilatarla.

In un mondo così spregevole tutto ciò che non lo è inevitabilmente si isolerà, ed è proprio quanto è accaduto. Più ci si può affrancare dalla società degli uomini, meglio si sta. Come un affamato non tocca un'erba incommestibile o addirittura velenosa, così chi senta il bisogno di società deve fare lo stesso con gli uomini, per come sono. 

È perciò una grande e rara fortuna possedere in proprio tutto il necessario per non essere spinti dalla noia e dal tedio di sé a cercare la società degli uomini


***

Ciò che uno può essere per l'altro ha limiti assai ristretti: in fondo ciascuno è e rimane solo. Si tratta allora di capire chi sia solo. Fossi un re, per quel che mi riguarda non darei con tanta frequenza e insistenza altro comando che questo: lasciatemi solo!

Ci si deve abituare ad ascoltare qualunque cosa, anche la più folle, in tutta pacatezza, considerando l'insignificanza di chi parla e della sua opinione, ed evitando qualsiasi conflitto.

***

«Quanto più guardo gli uomini, tanto meno mi piacciono. Se soltanto potessi dire la stessa cosa delle donne, tutto sarebbe a posto »

(Thomas Moore, Letters and Journals of Lord Byron, with Notices of His Life, Bruxelles [, A. et W. Galignani, Paris,] 1830, I, 499)

***

Alla fine, a favore del matrimonio rimane soltanto la considerazione che si sarà curati nella vecchiaia e nella malattia, e che si avrà un proprio focolare. Ma anche questi mi sembrano vantaggi illusori: mia madre ha forse curato mio padre quand'era malato? II benvenuto più cordiale non ci viene forse dato in albergo?
La perdita della libera disponibilità della mia propria persona è un male ben maggiore del vantaggio che mi può venire dall'acquisto di un'altra.
Al fine di assicurarmi questo possesso libero e illimitato di me stesso rinuncio al possesso di un'altra persona.

Se uno ha raggiunto i quarant'anni senza essersi caricato sulle spalle il peso di moglie e figli, deve avere imparato davvero poco se lo vuol fare dopo. Mi sembra come chi, avendo già fatto a piedi tre quarti del percorso della corriera, voglia acquistare il biglietto per l'intero tragitto.

« Chi ha moglie e figli ha messo ostaggi in mano alla Fortuna poiché essi sono impedimenti per le grandi imprese, sia virtuose che infauste. Certamente le opere migliori e più meritevoli per il pubblico sono venute da uomini celibi o senza figli, che si sono interamente dedicati, con passione e mezzi, al pubblico ».
Bacon, Essay of marriage and single life

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La maggior parte degli uomini si lascia sedurre da un bel volto; infatti la natura li induce ad ammogliarsi facendo in modo che le donne mostrino, tutto in una volta, il loro pieno splendore ovvero... facciano un «colpo a effetto»; e nasconde invece i molti guai che avranno in seguito: spese a non finire, preoccupazioni per i figli, un carattere bisbetico, cocciutaggini, invecchiamento e inacidimento nel giro di pochi anni, inganni, corna, capricci, attacchi isterici, amanti, diavoli e inferno. 
Definisco perciò il matrimonio un debito che si contrae in gioventù e si paga nella vecchiaia, e mi rifaccio a Baltasar Gracián che chiama «cammello» un quarantenne solo perché ha moglie e figli. Infatti, la meta abituale della cosiddetta carriera dei giovani di sesso maschile è solo quella di diventare bestie da soma di una donna.

I mariti sono il più delle volte dei Papageno a rovescio: come a Papageno* accade che una vecchia gli si trasformi con miracolosa rapidità in una giovane, così agli uomini ammogliati accade, con altrettanta rapidità, che una giovane gli si trasformi in una vecchia.

*L'effetto Papageno è l'effetto che i mass media possono suscitare presentando alternative non suicide alle crisi. Prende il nome da un personaggio innamorato, Papageno, dell'opera del XVIII secolo Il flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart. Il personaggio stava contemplando il suicidio fino a quando altri personaggi non gli mostrarono un modo diverso di risolvere i suoi problemi.

Scena del Flauto magico in cui i tre genietti fanno desistere Papageno dal suicidio incitandolo a suonare dei campanelli magici, per effetto dei quali riappare la sua amata.

***

La maggior parte degli uomini sono come i frutti dell'ippocastano: hanno l'aspetto delle castagne vere ma non sono commestibili.


***

È meglio non parlare affatto piuttosto che intrattenere un colloquio così gramo e stucchevole come quello che si ha di solito con i bipedes: in esso tre quarti di ciò che a uno viene in mente di dire non andrebbe detto per motivi tanto futili quanto necessari, e la conversazione in effetti non è altro che un penoso funambolismo sulla sottile linea di ciò che è concesso di dire senza pericolo. 


Di regola ogni dialogo - a eccezione di quello con l'amico e con l'amata - lascia uno sgradevole retrogusto, un lieve turbamento della pace interiore. Invece ogni occupazione della mente con se medesima ha come effetto una risonanza benefica. Se mi intrattengo con la gente, recepisco opinioni che sono per lo più sbagliate, piatte o menzognere, ed espresse nel misero linguaggio del loro spirito. Se mi intrattengo con la Natura, essa porge - vera e schietta - l'intera essenza di tutte le cose di cui parla, ben visibile e inesauribile, e mi parla nel linguaggio del mio spirito. I miei pensieri e il modo in cui comunicarli sono una questione che mi sta molto a cuore.

***

Ho sempre sperato di morire bene. Chi infatti ha vissuto per tutta la vita in solitudine, saprà affrontare meglio di altri questa faccenda solitaria. Invece delle buffonate proporzionate alla misera capacità dei bipedes, io terminerò i miei giorni nella lieta consapevolezza di fare ritorno là da dove sono venuto con tanti talenti in dote, e di avere compiuto la mia missione


***

Nemo potest non beatissimus esse qui est totus apus ex sese quique in se uno ponit omnia.

È impossibile che non sia felicissimo chi dipende totalmente da se stesso e chi punta tutto soltanto su di sé. 

Cicerone [Paradoxa Stoicorum, II, 17]'

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