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L’arte di invecchiare

Finché lo scorrere del tempo non diventi uno dei principali pensieri o addirittura sfoci in un ossessione stiamo sicuramente navigando nelle tumultuose acque della gioventù. Inesorabile é purtroppo il passare del tempo, ma questo lo si avverte con lo "scollinamento" (vedi capitolo sotto). All'improvviso sembra tutto fragile, insicuro, ci si rende conto che al contrario dei videogiochi la vita é una sola, appesa ad un filo che potrebbe rompersi da un momento all'altro. Da qui si impone profonda riflessione e una ricerca di filosofie capaci di accompagnarci con grande serenità al più democratico dei giorni. 

Negli appunti lasciati di Schopenhauer, e nuovamente racchiusi in un vademecum tascabile trovo alcune risposte a questi pensieri tipicamente serali giusto "prima di spegnere la lampada sul comodino”. 

Maestro della sponda superiore del Reno - Dittico: Hieronymous Tschckenbürlin e la morte, 1487

Definizione della vita secondo Schopenhauer

Quanto alla vita, madre di tutti i problemi, fin da giovane Schopenhauer ebbe le idee chiare: solo gli stupidi aspettano di essere vecchi e malati per rendersi conto della tristezza della condizione umana. A Wieland, il « Voltaire tedesco», che nel 1811, in occasione del loro primo incontro, gli sconsigliava di intraprendere l'incerto cammino della filosofia, aveva dichiarato: «Das Leben ist eine mißliche Sache: ich habe mir vorgesetzt, es damit hinzubringen, über dasselbe nachzudenken». Ovvero: «La vita è una miseria e io mi sono proposto di passare la mia a rifletterci sopra»!

La vita è privazione, indigenza, bisogno. Dunque preoccupazione e cura, tensione e aspirazione, affanno e dolore. E se momentaneamente sembra appagarsi con il conseguimento di un fine o la soddisfazione di un appetito, ecco che subito, non appena ciò accada, sopraggiungono il senso di sazietà e la noia. Quest'ultima è il sentimento rivelatore che emerge quando uno meno se lo aspetta per avvertire che la vita è vacua e insignificante nullità.

La conclusione di Schopenhauer è radicale: 

La vita non è bella, ma oscilla perennemente tra il dolore e la noia. A rendere ancora più crudele e torturante questo destino, incombe su ciascuna esistenza individuale la certezza della disfatta finale. Quando poi aumenta la consapevolezza, cresce anche il dolore.

Vero che cominciamo a invecchiare già dalla nascita, anzi, che l'uomo, appena nato, è già abbastanza vecchio per morire, allora invecchiare bene è il compito di ogni istante della vita.

Nulla dies sine linea

Leggere non basta. Secondo un'antica tradizione, alla lettura deve accompagnarsi la scrittura. Come l'ape che durante il giorno raccoglie il polline volando di fiore in fiore, e giunta la sera non lascia che vada disperso ma lo condensa in miele, allo stesso modo i frutti delle disparate letture che facciamo nel corso della giornata rischiano di andare perduti se non li raccogliamo e compendiamo in forma scritta. Per questo Plinio il Vecchio raccomanda: Nulla dies sine linea (Storia naturale, XXXV, 84).

Da qui la necessità dell'allestimento di un prontuario di principi di comportamento e massime di prudenza da assimilare e memorizzare in modo da averle sempre a disposizione per l'uso - prócheiron échein, secondo l'espressione greca, ovvero in promptu habere, secondo quella latina - e che Marco Aurelio paragona alla borsa dei ferri che il chirurgo porta con sé.

Consummare vitam ante mortem

Si raccomanda di vivere la vita come se fosse breve quanto una giornata, e ogni giornata come se in essa fosse compresa l'intera vita. Ciò vuol dire anche: vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo. È così che possiamo sperare di riuscire in quell'impresa che Seneca, in termini quasi paradossali, definisce un consummare vitam ante mortem (Lettere a Lucilio, 32):  per essere felici nel trascorrere distruttivo del tempo dobbiamo cercare di dare alla nostra vita una forma compiuta e bella prima che la morte ci sorprenda

Come ammonisce Epiteto, la morte sorprende il calzolaio mentre cuce le sue scarpe, la morte sorprende l'artigiano mentre dà forma alla sua opera, la morte sorprende il marinaio durante la navigazione; e tu, in quale attività vuoi che la morte ti sorprenda? Cercala, e se la trovi avrai il criterio della tua felicità.

La morte sorprende il calzolaio nella danza macabra di Emmetten (NW)

La grande maggioranza degli uomini è fatta in modo tale che, per natura, non sa prendere sul serio nessun'altra cosa se non mangiare, bere e accoppiarsi. 

Se si rimproverasse allo spirito del mondo di annientare gli individui dopo una effimera esistenza, esso direbbe: « Ma guardali un po', questi individui, guarda i loro difetti, le loro ridicolezze, le loro malvagità e le loro nefandezze! Perché mai dovrei lasciarli esistere in eterno?! ».

La durata della vita

In due passi dell'Antico Testamento (Septuaginta) la durata della vita umana viene fissata a settanta, o al massimo a ottant'anni, e, ancora più importante, anche Erodoto (I, 32 e III, 22) dice la stessa cosa. Ma non è vero, questa convinzione non è che il risultato di una concezione rozza e superficiale dell'esperienza quotidiana.

Se infatti la durata naturale della vita fosse di settanta-ottant'anni, gli individui fra i settanta e gli ottanta dovrebbero morire di vecchiaia, mentre così non accade, giacché essi, come i più giovani, muoiono di malattia. La malattia, però, è essenzialmente un'anomalia, e dunque non può essere la fine naturale. Solo tra i novanta e i cento anni gli individui muoiono, generalmente, di vecchiaia, senza malattia, agonia, rantoli, convulsioni, talora senza sbiancare: è ciò che si chiama eutanasia. Anche qui perciò hanno ragione le Upanisad, che fissano la durata naturale della vita a cento anni.

Ciò che impedisce agli uomini di diventare più saggi e intelligenti è, fra le altre cose, la brevità della vita: ogni trent'anni compare una nuova generazione, che non sa nulla, e deve ricominciare da capo.

Per quanto vecchi si diventi, dentro di sé ci si sente comunque in tutto e per tutto gli stessi di un tempo, quando si era giovani, anzi bambini. Ciò che rimane immutato e sempre identico, e non invecchia col passare degli anni, è appunto il nucleo della nostra essenza, che non sta nel tempo, e proprio per questo è indistruttibile.

Gioventù e vecchiaia

La vita è come « un tessuto ricamato, di cui ognuno può vedere il lato esterno nella prima metà della sua esistenza, e il rovescio nella seconda: quest'ultimo non è così bello, ma più istruttivo, poiché lascia riconoscere la connessione dei fili»

I primi quarant'anni della nostra vita forniscono il testo, i trenta seguenti il commento, che solo ci insegna a comprendere rettamente il vero significato e la coerenza del testo, oltre che la morale e ogni finezza del medesimo ».

Non è dunque vero che la gioventù sia «l'epoca felice della vita, e la vecchiaia l'epoca triste» Né che «la sorte della vecchiaia si riduca a malattia e noia»

Al contrario: «La gioventù è trascinata dalle passioni in ogni direzione, con poca gioia e molto dolore. Esse lasciano invece riposare la fredda vecchiaia, la quale acquista ben presto un colorito e un atteggiamento contemplativo: la conoscenza infatti ci libera e ottiene la supremazia». Possiamo perciò dire che «la gioventù è l'epoca dell'agitazione, e la vecchiaia della calma». E che « la vecchiaia ha la serenità di chi si è liberato da una catena portata per lungo tempo, e si muove ora liberamente». 

Il vecchio possiede quella particolare tranquillità d'animo che gli consente di guardare con distacco alle lusinghe, alle stravaganze e ai dolori del mondo.
Tale calma è un'importante parte costitutiva della felicità, e propriamente anzi la sua condizione e il suo elemento essenziale .

***

Due cose su cui prestare attenzione

1. La ricchezza è come l'acqua del mare: più se ne beve, più si ha sete. Lo stesso vale per la fama.

2. Sposarsi significa fare il possibile per venirsi reciprocamente a nausea.

Lo scollinamento

Naturalmente, c'è l'inesorabile orologio del tempo, la durezza dello sfacelo biologico, l'ora che non ha più sorelle nell'unus dies par omni: la morte, il giorno uguale per tutti, l'unico veramente democratico

In gioventù, quando per cosi dire scaliamo la montagna della vita, non vediamo la morte, che sta ai piedi del monte, dall'altra parte. Quando invece abbiamo superato la vetta, vediamo allora sul serio la morte, che sin qui avevamo conosciuto soltanto per sentito dire. Ci accorgiamo che si avvicina per l'affievolirsi di tutte le forze dell'organismo. 
Per quel processo assai triste che è il «marasma», e che tuttavia è necessario, anzi provvidenziale e benefico: altrimenti la morte sarebbe troppo dura. Il più grande vantaggio ottenuto con il giungere a una vecchiaia assai avanzata è quindi costituito dall'eutanasia, da una morte lievissima, non determinata da alcuna malattia, non accompagnata da alcuna convulsione, e addirittura inavvertita.

Peraltro, data la vanità del tutto, è da vedere se «la vita non sia qualcosa che è meglio avere dietro di sé piuttosto che non dinanzi», e se, come insegna l'Ecclesiaste (7, 1), « il giorno della morte è migliore del giorno della nascita»!

Dopo la morte

Può succedere che anche dopo molto tempo piangiamo la morte dei nostri nemici e avversari quasi quanto quella dei nostri amici. È che ne sentiamo la mancanza poiché non sono qui a testimoniare i nostri splendidi successi.

Il desiderio di essere ricordati dopo la morte, che tutti hanno e che negli ambiziosi si accresce fino a diventare desiderio di fama postuma, mi sembra scaturire dall'attaccamento alla vita che, vedendosi escluso da ogni possibilità di esistenza reale, cerca allora di afferrare l'unica esistenza ancora disponibile, benché solo ideale, inseguendo quindi un'ombra.

Commenti

  1. Ce l’ho. Quel libricino giallo è stato il mio compagno di viaggio negli scorsi mesi. E mi servirà ancora, all’occorrenza. Da usare con cautela, a piccole dosi.

    L.G.

    PS: qualcosa di schopenaueriano si ritrova anche nel brano d’apertura dell’album Animals… “We would zigzag our way, through the boredom and pain…” - Pigs on the wing (Part 1), Pink Floyd

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