In diverse occasioni ho sfiorato la sua visita, per i più disparati motivi ho dovuto rinunciarvi più volte.
Poi ho deciso di dedicargli l'intera giornata, completamente inconsapevole delle ricchezze che si racchiudevano al suo interno. Sto parlando del monastero di San Giorgi a Stein am Rhein.
In particolare penso a una delle ultime stanze visitate, la sala dei banchettdove mi ritrovo circondato da splendidi affreschi risalenti alle date 1515-1516. È dalla visita alla
danza della morte di Coira che non mi sento più così avvolto
Il monastero
Il monastero benedettino di Sankt Georgen è uno dei complessi monastici più affascinanti e meglio conservati della regione del Lago di Costanza. Nell'ala dei monaci e nella residenza dell'abate si conservano magnifici dipinti murali e arredi del XV e dell'inizio del XVI secolo. L'insieme è un'impressionante testimonianza dello stile di vita monastico del tardo Medioevo.
Bellissimo scorcio sulla sala dei banchetti
La sala dei banchetti
La Sala dei Banchetti è la sala più grande dell'Abbazia di San Giorgio e un esempio eccezionale di arte e idee del Primo Rinascimento a nord delle Alpi. La sala fu decorata e arredata sotto l'abate David von Winkelsheim nel 1515-16. Presumibilmente serviva come sala da pranzo o studio in cui l'abate riceveva gli ospiti importanti.
La qualità e l'iconografia dei dipinti identificano David von Winkelsheim, le cui armi sono blasonate sopra le porte, come un uomo dal solido giudizio morale con un'educazione universale e umanista, come si addice a un uomo con la duplice funzione di abate e signore secolare.
Certamente fu in grado di utilizzare la sua profonda preparazione in teologia e nei classici per sostenere la sua pretesa di potere.
Era la stanza più preziosa dell'intero convento
Semplicemente impossibile trasmettere le emozioni che si provano avvolti dalle grisaglie e l'azzurro delle pareti della sala
Questa sala, risalente al 1515-1516, è eccezionalmente ben conservata, a parte gli arredi, che sono completamente scomparsi. Grazie al suo contenuto quasi esclusivamente laico, che suscitò persino la benevolenza di Hulrich Zwingli durante la sua visita a San Giorgio, il ciclo di affreschi fu risparmiato dalle dispute iconoclaste del 1525. L'assenza di una stufa, vantaggiosa per la conservazione del sito, fece sì che la stanza fosse utilizzata dai balivi di Zurigo esclusivamente come magazzino. Nel XVIII secolo, Jean Hug (balivo dal 1771 al 1780) sostituì il pavimento in piastrelle originale danneggiato con un pavimento in legno, a seguito di una rivalutazione dei materiali. Durante gli anni bui del convento nel XIX secolo, la sala del villaggio fu utilizzata per l'allevamento dei bachi da seta. Fu salvata da Ferdinand Vetter, che ricostruì le porte in legno mancanti e fece posare nuovamente un pavimento in piastrelle.
Il soffitto in legno intagliato e i murales fanno parte dell'interno originale; il pavimento in piastrelle di ceramica verde e marrone è stato ricostruito nel 1932 utilizzando i resti del pavimento originale scoperti sotto le assi del pavimento aggiunte in un secondo momento.
Gli affreschi
Queste opere furono probabilmente eseguite dagli stessi artisti. Tuttavia, i nuovi soggetti e stili del Rinascimento sono inaspettati nell'angusto ambiente gotico di questo piccolo e modesto convento. Ecco dove sta la sorpresa.
Il primo dipinto della sala era senza dubbio una rappresentazione della fiera di Zurzach, in una doppia immagine, il cui soggetto non rientra nel programma dei soggetti storici.
I soggetti storici occupano un totale di sei pannelli. Tre sono dedicati alla storia di Roma, tre a quella di Cartagine, con le scene poste in relazione antitetica tra loro. Ogni immagine è seguita dal suo opposto. Queste otto scene dedicate agli eventi contemporanei e storici occupano le pareti nord, est e ovest della stanza.
La parete sud e le nicchie delle finestre sui lati sud e ovest sono decorate con figure isolate. Il bovindo è riservato a soggetti religiosi, ma contiene anche rappresentazioni della storia del convento.
Gli artisti e gli artigiani che lavorarono alla Sala dei Banchetti non sono nominati negli archivi, anche se gli elementi stilistici e le firme nascoste nei dipinti stessi permettono di fare una serie di attribuzioni. Il soffitto in legno è un capolavoro di intaglio tardogotico che è stato identificato come opera di Peter Vischer, un ebanista di Stein am Rhein.
Anche la maggior parte delle pitture murali è ritenuta opera di artisti regionali: Thomas Schmid di Sciaffusa, Matthäus Gutrecht e Conrad Appodeker di Costanza, Christoph Bockstorffer e Andreas Haider della regione del Lago di Costanza. Anche Ambrosius Holbein, un rampollo della famosa famiglia di pittori che nel 1516 si trasferì da Augusta a Basilea, ha contribuito alla pittura della Sala dei Banchetti.
Tre fotogrammi tratti dal film "Zwingli" girati nella sala
I dipinti si basano molto sulle pubblicazioni contemporanee sia per il contenuto che per la composizione. Le scene di battaglia tra Roma e Cartagine, ad esempio, si basano sulla Römische Historie di Bernhard Schöfferlin del 1505, la prima traduzione in tedesco degli scritti dello storico romano Tito Livio.
La seconda fonte principale per l'iconografia della Sala dei Banchetti è il De Mulieribus Claris di Giovanni Boccaccio, un'antologia molto letta delle vite di 107 grandi donne dell'Antichità, pubblicata in tedesco nel 1474.¨
La conquista di Saguntum
L'alleata di Roma, Saguntum, in Spagna, fu conquistata nel 218.C. da un giovane comandante cartaginese chiamato Annibale, nell'ambito di una campagna contro Roma.
Il dipinto trasporta l'assedio all'epoca delle Guerre Milanesi del 1515. I guerrieri sono quindi raffigurati mentre combattono tra loro con picche, armi da fuoco, balestre e pietre. Gli assalitori sono interpretati come franchi tedeschi con braghe al ginocchio, berretti di pelle piumati e spade corte note come Katzbalger.
A metà del III secolo a.C. Sagunto si era venuta a trovare nel punto di demarcazione fra la costa mediterranea settentrionale sotto l'influsso romano e il resto della penisola sul Mediterraneo sotto l'egemonia cartaginese, mantenendo un rapporto preferenziale con Roma. Per questo, quando Annibale svolse una politica di interferenza nei confronti degli affari interni della città spagnola, da Roma giunse al condottiero cartaginese un'ingiunzione affinché l'ingerenza cartaginese cessasse.
A colpire la scena in alto; gli abitanti assiedati preferiscono apparentemente gettarsi nella fiamme con i loro averi piuttosto che farsi catturare vivi della forza di Annibale
La reazione di Annibale fu l'assedio e la presa di Sagunto nel 219,
a cui rispose, pur con un certo ritardo, la Repubblica romana (*). Erano trascorsi vent'anni dalla Prima guerra punica, e l'assedio di Annibale fu la scintilla che diede l'inizio al secondo conflitto fra Roma e Cartagine
(*) dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur
(lat. «mentre a Roma si delibera, Sagunto viene espugnata»).
Frase che si suole citare (anche in forma abbreviata: dum Romae consulitur) a proposito di chi, invece di agire, perde tempo in inutili discussioni; probabilmente deriva da una frase delle Storie di Tito Livio (XXI, 7).
Dell'elmo di Scipio...
Siamo soliti vedere i nostri vicini italici gridare a gran voce l'inno di Mameli con tanto di vene che sembrano dover scoppiare da un momento da tanta é la passione e il sentimento che ci mettono.
Già ma poi chi cazzo é questo "Scipio" e che problemi ha con l'almo?
Una buona occasione per svelare questo grande mistero si presenta nella prima raffigurazione che tratto nella sala dei banchetti
Fondazione di Roma
I gemelli Romolo e Remo decisero di fondare una nuova città nell'anno 753 a.C. Ma presto iniziarono a litigare sulla questione di chi avrebbe dovuto dare il nome alla città e diventarne il primo sovrano. Quando nemmeno gli auspici riuscirono a decretare un chiaro vincitore, Remo si prese gioco del fratello saltando sulle sue basse mura. Questo fece infuriare Romolo a tal punto che uccise il fratello e gridò: “Che questo possa accadere a tutti coloro che saltano oltre le mie mura!
“I fratelli Romolo e Remo, figli della vergine vestale, costruirono Roma, il vostro potente impero.
E le mura imbrattate di sangue fraterno profetizzarono fiumi di sangue che dovevano ancora essere versati “
Giuramento di Scipione
La Battaglia di Cannae del 216 a.C. fu una sconfitta così schiacciante per i Romani e un tale trionfo per Annibale e il suo esercito, che i Romani iniziarono a farsi prendere dal panico. Quando alcuni senatori iniziarono a prepararsi a fuggire dall'Italia, il giovane comandante dell'esercito Publio Cornelio Scipione irruppe nella loro assemblea e fece loro giurare con la spada che avrebbero difeso Roma fino all'ultimo.
Queste due scene che mostrano il giuramento solenne guardano ai giorni di una Confederazione svizzera in espansione e al problema di come bilanciare il potere secolare e sacro sollevato dalle Guerre Milanesi e dai conflitti confessionali di quell'epoca.

“Fu Publio Cornelio Scipione, la cui famiglia si vantava di numerosi titoli onorifici, che - dopo la sconfitta di Cannae, quando la città di Roma sembrava destinata a cadere come bottino al vittorioso Annibale, cosicché il resto dell'esercito sconfitto meditava di seguire il consiglio di Quinzio Metello e di lasciare del tutto l'Italia - nonostante la sua giovane età estrasse la spada e costrinse tutti i nobili presenti a giurare, pena la morte, che non avrebbero mai abbandonato la patria.
Fondazione di Cartagine
L' immagine che mostra la fondazione di Cartagine dall'Eneide di Virgilio. Didone, accompagnata dal suo seguito, mostra Cartagine ad Enea.
Sullo sfondo, possiamo vedere un castello fortificato già completato, sopra la porta d'ingresso del quale appare la testa di cavallo scoperta dai Cartaginesi e citata nell'Eneide. Questa testa di cavallo riappare nell'ultima immagine di questa serie. Nell'angolo in alto a sinistra, viene raffigurato in anticipo un evento che si verificherà in un secondo momento, come era consuetudine nella pittura tardogotica. Infatti, Didone si uccide sul rogo con la spada di Enea.
Come in ognuna delle sei rappresentazioni, l'artista non si preoccupa in alcun modo dei dati storici reali. Qui, Cartagine diventa una piccola città della Germania meridionale, con case a graticcio e pietra grezza. Gli attori sono vestiti secondo la moda dell'epoca: le signore in abiti lunghi, gli uomini in gonne ondulate, i guerrieri in abiti lanzichenecchi.
La conquista di Cartagine
Le interminabili guerre tra Roma e Cartagine si conclusero con la caduta di quest'ultima nel 146.c. Qui, i Romani che portano il loro vessillo 'SPQR', ma sono armati come i tipici mercenari svizzeri con un pugnale e una spada svizzera, sono mostrati mentre assaltano la città da terra e dal mare.
I Cartaginesi che si ritirano frettolosamente sotto il loro stendardo a testa di cavallo, invece, sono vestiti e armati come i lanzichenecchi
La brutalità della battaglia crea un netto contrasto con i costumi molto appariscenti dei guerrieri, completi di berretti con piume, camicie con maniche a sbuffo, braghe tagliate, codini e scarpe a bocca di vacca. La vanità e l'ostentazione di questi mercenari del 1500 circa forse li aiutava a dimenticare i pericoli del loro mestiere.
Delenda Carthago
Delenda Carthago («Cartagine deve essere distrutta») è una famosa frase latina pronunciata da Marco Porcio Catone, passato alla storia come Catone il Censore, al termine di ogni suo discorso al Senato dopo il suo ritorno dalla missione diplomatica di arbitrato tra i Cartaginesi e Massinissa (re di Numidia) avvenuta nel 157 a.C., praticamente fino alla sua morte nel 149 a.C.
Vignetta da Asterix e gli allori di Cesare,
René Goscinny (sceneggiatura) e Albert Uderzo (disegni). 1972
Catone, convinto che non fosse possibile né conveniente per i Romani venire a patti con il secolare nemico, aveva fatto di questo argomento il motivo conduttore di tutta la propria azione politica, tanto che ogni suo sermone, di qualsiasi argomento trattasse, finiva sempre con questa esortazione: «Ceterum censeo Carthaginem esse delendam» («Per altro sono del parere che Cartagine debba essere distrutta»).
Questa frase è divenuta proverbiale e viene spesso citata per significare una profonda convinzione strategica che sta dietro e a cui sono finalizzate tutta una serie di azioni di natura tattica.
Si narra che nel momento in cui Catone pronunciò questa frase per la prima volta egli tirò fuori da sotto la toga un cesto di fichi proveniente da Cartagine, volendo così dimostrare che, se il fico – frutto assai delicato – poteva resistere al viaggio da Cartagine, quest'ultima era troppo vicina a Roma e quindi andava distrutta.
La fiera di Zurzach
La scena copre due sezioni delle pareti ovest e nord, dalla finestra ovest alla porta al centro della parete nord. L'inquadratura archi-tettonica dipinta è altrettanto incompleta. Zurzach, la città del padre di David de Winkelsheim, è famosa al di là dei suoi confini fin dall'Alto Medioevo. Già nel X secolo, era la meta di molti pellegrini che venivano a venerare le ossa di Santa Verena. In seguito, Zurzach divenne un importante centro fieristico.
Questa veduta di Zurzach non è fedele al vero, ma piuttosto un composito di tutte le parti più importanti della città viste da nord. Ai piedi del quadro il Reno, a sinistra il castello con la sua cappella e l'ospedale e l'ospizio annessi, e il mercato dei cavalli sulla Innere Breite; a destra la cittadina di Zurzach con la chiesa di Santa Verena e accanto la Wyssmatte (il verde).
Nel XV secolo, era il centro fieristico più importante insieme a Francoforte e Nördlingen. Le principali vie di comunicazione tra est e ovest e tra sud e nord si incrociavano qui. Zurzach era principalmente un centro commerciale di tessuti di lana, tela, pelle e pellicce. Anche il suo mercato dei cavalli era famoso. Queste fiere commerciali erano anche luoghi di intrattenimento. C'erano giochi d'azzardo e gare sportive, oltre a un mercato femminile sul prato conosciuto come “Wiesmatt”.
Questo dipinto, suddiviso in numerose scene isolate, trasmette un'impressione molto dettagliata e vivida di questa fiera, senza sprazzi di eroismo. La prima cosa che colpisce è che l'artista non è riuscito a raffigurare la città di Zurzach dal Reno in una prospettiva continua. Si tratta invece di una sorta di collage di scene molto diverse, ognuna con la sua prospettiva più o meno riuscita.
Parete Ovest
Sulla parete ovest, all'estrema sinistra del dipinto, si trova il piccolo castello di Mandach, demolito nel 1906, in cui viveva il padre dell'abate. Accanto a questo edificio, siamo immediatamente immersi nel trambusto della fiera, che viviamo per così dire dalla prospettiva dei partecipanti. Non c'è un evento principale a cui le altre scene sono subordinate.
Passiamo da un evento all'altro. È una narrazione di immagini giustapposte. Due prostitute vengono portate al piccolo castello di Mandach. Più avanti, un barcaiolo aspetta i suoi clienti. In alto c'è una cappella, affiancata da un piccolo ospizio da cui un uomo e una donna tendono le mani implorando pietà. E sul prato si trova il mercato dei cavalli.
Fuori dalla cittadina c'era il castello con la sua cappella, l'ospedale e un ospizio per mendicanti ed emarginati. Seduti all'interno di quest'ultima ci sono una donna e un uomo, il cui sonaglio era un modo per avvertire gli altri della sua afflizione con la lebbra. Notare la ciotola delle elemosine sul davanzale della finestra.
Il mercato dei cavalli, nel frattempo, è occupato da potenziali acquirenti che ispezionano attentamente i denti e gli zoccoli delle bestie alla ricerca di una cavalcatura forte e sana. Solo coloro che sono sicuri di ciò che stanno acquistando stringono la mano per concludere l'affare
Parete nord
Murale raffigurante “La Fiera di Zurzach” sulla parete nord della sala del villaggio.
A sinistra, la città di Zurzach; a destra, il mercato delle donne
e altri intrattenimenti sul prato accanto al Reno.
Se si continua a leggere il dipinto sulla metà sinistra della parete nord, si può scorgere la città di Zurzach sulla sinistra. I problemi di prospettiva sono più evidenti nell'esecuzione delle case e del coro gotico della chiesa collegiata.
Qui, vediamo dei negozianti che scaricano le loro merci, seguiti da un mendicante. Tuttavia, l'occhio dello spettatore è attratto dalle attività che si svolgono nei prati che si estendono fino alle rive del Reno. Scopriamo l'ufficiale giudiziario della contea di Baden, con il suo seguito, i tamburi e i pifferi, che si è recato alla fiera come un signore autorizzato a esercitare la giustizia. È impossibile immaginare che il pittore volesse nascondere qualcosa ai visitatori dell'Abate. Accanto all'inequivocabile intrattenimento del mercato delle donne, o Wiesmatt, assistiamo a vari giochi.
Si forma un girotondo, alcune persone giocano a birilli, alcuni uomini si sfidano nel lancio di pietre e altri si divertono con il gioco dei dadi, noto come “Wurfzabelspiel”. Un imbuto, in cui è stato appena lanciato un dado, è steso su un grande tavolo con scacchiera.
L'esito di questo gioco dipende dalla casella in cui il dado atterra e dal numero che mostra.
“Wurfzabelspiel”. Un imbuto, in cui è stato appena lanciato un dado, è steso su una grande scacchiera.
L'esito di questo gioco dipende dalla casella in cui si trova il dado e dal numero che mostra.
Il Wiesmatt
Il ballo delle prostitute, noto anche come Dirnentanz o Metzentanz, era uno spettacolo di danza che si svolgeva due volte all'anno dal XIV secolo fino al secondo terzo del XVII secolo, ai margini della fiera di Zurzach, sull'Alto Reno.
La fiera iniziava con un ballo sulla Wyssmatte (il verde), al quale partecipavano delle prostitute come partner di ballo per i mercanti e i loro ragazzi.
La dama più bella presente riceveva un gulden d'argento dal Landvogt.
Le coppie erano poi libere di divertirsi, sia sul prato che nell'isolamento dei boschi.
Zurzach ha mantenuto viva questa usanza fino al XVII secolo.
Nell'ambito della fiera di Zurzach, che di solito durava una settimana ed era frequentata a livello nazionale, dal XIV secolo il ballo delle prostitute si svolgeva sul vicino Wiesmatt a Pentecoste e a settembre.
Fino a 200 prostitute della regione si recavano a questo evento. La 'regina delle prostitute' scelta da loro veniva incoronata con una corona di fiori. La regina delle prostitute apriva il successivo Hurendanz con la sua esibizione. Il balivo di Baden le consegnò un fiorino d'oro del monastero di Königsfelden, oltre a cibo e bevande.
Eventi simili per le prostitute sono documentati anche in altri luoghi del tardo Medioevo. L'evento di Zurzach è di particolare importanza per la storia regionale grazie alla leggenda della sua origine e al fatto che è stato documentato per oltre 400 anni
Origine
Egidio Tschudi, che in qualità di balivo della contea di Baden aveva presentato lui stesso il fiorino d'oro tra il 1533 e il 1535 e tra il 1549 e il 1551, fu il primo a riportare la leggenda sottostante nel 1570.
Il re Albrecht I fu ucciso da suo nipote Giovanni di Svevia e dai suoi aiutanti nel 1308, dopo aver attraversato la Reuss a Königsfelden. Si dice che gli assassini siano fuggiti subito dopo l'attacco.
Si dice che una prostituta che stava arrivando lungo la strada abbia afferrato il re mentre cadeva da cavallo e lo abbia portato all'ombra di un boschetto vicino. Si dice che il re sia morto con la testa in grembo alla prostituta. Gli Asburgo fondarono l'Abbazia di Königsfelden in memoria del re e della sua azione nefasta. La figlia di Albrecht, Agnese d'Ungheria, che guidò la fase di fondazione del monastero, abbia donato il Premio Zurzach in memoria dell'aiuto. Le prostitute in viaggio hanno ricevuto un pasto e un soldo al cancello del monastero. Tutte le menzioni successive della leggenda da parte di Johannes Haller, Michael Stettler, Johann Heinrich Rahn o nelle cronache di Basilea si basano sul racconto di Tschudi:
”... e ciò che accadde verso il momento in cui fu compiuto l'atto fu una povera fanciulla comune che accolse il re tra le sue braccia quando questi cadde da cavallo e morì nel suo grembo: Poi il monastero, che è stato costruito lì e si chiama Künigsfelden, è dedicato al fatto che si è obbligati a condividere l'elemosina con tutte le donne che ne hanno il diritto, e alle danze che si fanno lì ogni anno in occasione di entrambi i matrimoni, un fiorino è stato anche donato a una fanciulla che ha la prima danza, ogni marcia, come avviene ancora oggi. "
Il re Albrecht morente viene raccolto da una prostituta vagabonda, dopo un disegno di Carl Peter Geissler (circa 1845).
Tradizione
Il ballo delle prostitute fu menzionato per la prima volta in una commedia carnevalesca di Niklaus Manuel all'inizio del XVI secolo: L'inviato Sigismund von Herberstein riferì di un banchetto con le prostitute durante un viaggio a Zurigo nel 1516. La Dieta Federale si occupò per la prima volta del ballo delle prostitute nel 1535 e cercò di porvi fine. Il divieto non durò a lungo, poiché l'evento fu discusso nelle fonti svizzere fino all'inizio del XVII secolo. Nella cronaca di Johannes Stumpf, pubblicata da Froschauer nel 1549, il ballo delle prostitute è raffigurato come una danza di ragazzi in una xilografia sullo sfondo di Zurzach, in concomitanza con il mercato dei cavalli che si svolgeva nel giorno principale del mercato.
Danza delle prostitute e mercato dei cavalli nel giorno di mercato
principale della Fiera di Zurzach 1549
Nel 1646, il geografo fiorentino Giovanni Battista Nicolosi, che viaggiava per Zurzach, riferì ancora una volta del ballo delle prostitute e delle sue origini. Nicolosi lodò il governatore di Klingnau Straubhaar e la sua famiglia per essersi opposti a questa usanza. Tuttavia, l'usanza del ballo delle prostitute non sembra essere stata temporaneamente interrotta fino al passaggio all'ultimo terzo del XVII secolo.
Nel 1673, la Tagsatzung chiese nuovamente che le prostitute fossero bandite da Zurzach. Nel 1695, i balivi di Baden furono accusati di promuovere la prostituzione organizzando l'evento, da un lato, e dall'altro, di raccogliere denaro dai punter che venivano catturati. Il premio in denaro di 2 sterline e 10 scellini è documentato nei conti federali fino al 1798. La fiera di Zurzach stessa durò fino al 1856. La Schluttengasse di Zurzach commemora ancora oggi l'evento storico.
Esempi di virtù
Le figure occupano le superfici strette delle sezioni murarie meridionali e le porte delle campate meridionali e occidentali. Solo una ha un'iscrizione, ma le altre sono riconoscibili per i loro attributi. Anch'esse sono disposte a coppie.
Artemisia
Artemisia di Alicarnasso era sia un comandante militare di successo che una vedova fedele. Per assicurare al suo defunto marito Mausolos il migliore dei luoghi di riposo, sciolse le sue ceneri in un calice d'acqua e poi lo bevve. La tomba eretta in suo onore, il Mausoleo di Alicarnasso, fu annoverata tra le Sette Meraviglie del Mondo Antico.
Il pittore Ambrosius Holbein di Augusta, figlio di Hans Holbein il Vecchio, si immortalò qui con la firma “NAMBRO' nel collier della signora.

Circe
Chi è questa elegante signora con un uccello? Si pensa che sia Circe, una maga che trasformava in bestia chiunque avesse la sfortuna di arenarsi sulla sua isola. Circe era sposata con il re Picus, un antenato dei Romani. Ma nemmeno lui era in grado di contrastare i suoi poteri. Quando un giorno si innamorò di una ninfa, Circe lo punì trasformandolo in un picchio, che in latino si chiama picus.
Lucrezia
La bella e virtuosa dama romana Lucrezia era tutta sola una notte quando fu violentata da Sesto Tarquinio, figlio del re romano. Quando raccontò alla sua famiglia della sua violazione, tutti erano convinti della sua innocenza. Tuttavia, la mortificata Lucrezia si pugnalò a morte.
Ovidio, Dante, Boccaccio e Shakespeare sono tra i molti grandi autori che hanno rielaborato questa storia come letteratura.
Tomyrs
Tomyris era la regina dei Massageti, un popolo originario dell'est del Mare d'Aral. Quando il re persiano Ciro invase il suo Paese e usò l'astuzia e l'inganno per sconfiggere suo figlio, Tomyris attirò l'esercito persiano in una trappola tutta sua. Per vendicare suo figlio, fece decapitare il re persiano e fece immergere la sua testa mozzata in un otre pieno di sangue, affinché potesse placare la sua sete una volta per tutte.
Ercole
Ercole, l'eroe più famoso della mitologia greca, era considerato un esempio di virtù e valore sul campo di battaglia nel Medioevo.
Qui fa da controparte all'eroe romano Marco Curzio.
Qui non è raffigurato con la tradizionale pelle di leone, ma con un'armatura cerimoniale contemporanea con pauldron a testa di leone. Così la storia antica viene trasportata nel XVI secolo.
Marcus Curtius
Quando nel 36г D.D. si aprì nel centro di Roma un'enorme voragine da cui fuoriuscivano esalazioni nocive, si annunciò che la fine della Repubblica era vicina - a meno che Roma non avesse sacrificato il suo bene più prezioso.
Il giovane nobile Marco Curzio comprese che questo era un riferimento obliquo alle armi e al coraggio dei soldati romani. Dopo aver indossato l'armatura completa, quindi, montò a cavallo e galoppò a tutta velocità verso il buco nel terreno, che poi si richiuse. Il suo sacrificio personale è considerato uno dei più grandi atti di eroismo di tutta la storia romana.
Ragazza con la morte e buffone
Le ragazze con la morte e le ragazze con il folle ci sono familiari grazie a numerose danze della morte e stampe dell'epoca. Il motivo contiene un avvertimento morale: le giovani donne, vanitose e suscettibili di piaceri frivoli, sono troppo facilmente sedotte da sciocchi lussuriosi nella loro imprudenza. Ma la morte ballerà l'ultima danza con loro.
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