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Tra Corno e Gries

"spargete le mie ceneri qui" era uno slogan che utilizzavo quando parlavo di posti particolarmente suggestivi, ma non solo. La bellezza infatti non basta per un rapporto profondo, necessita di un legame più intimo, che parta proprio dal cuore.

La valle del Corno e il ghiacciaio del Gries sono confinanti e passando da uno é quasi inevitabile visitare anche quell'altro. L'ubicazione é in fondo alla val Bedretto, giusto dietro il passo della Novena, sul confine con l'Italia 

Foto panoramica scattata dalla sommità del passo Gries. A sinistra il lago Gries, la bocchetta sopra di essa é il passo Corno che da accesso all'ononima valle. Le praterie a destra sono il Bättelmatt e in fondo si scorge il lago di Morasco. Entrambe questa località si trovano su suolo italiano.
Clicca sull'immagine, ne vale la pena

In rosso la cappella rifugio sulla sommità del passo Gries, in giallo la capanna del corno

Corno

A partire preso il mattino si fa sempre un ottimo affare; si gode ancora di frescura che aiuta gli sforzi delle prime salite (in montagna si inizia sempre salendo) e soprattutto c'é ancora pochissima gente in circolazione

Primo mattino sulla capanna Corno vista giungendo dall'omonimo passo. Nessuna persona in vista

Gli escursionisti più concentrati, troppo concentrati, potrebbero dimenticarsi di guardarsi attorno.
Sarebbe un gran peccato perdersi la scaglia di Corno appena sopra la capanna. Volendo ci si può anche addentrare da un sentiero che parte dal versante del passo della Novena, a oggi non mi sono ancora avventurato...

Scaglia di Corno

Un altro nome che si può dare a questa zona é lunare, é diversa da tutte le altre, la si riconosce subito

Verso il lago e il passo del Corno

Vista sul passo del Corno, in secondo piano il ghiacciaio del Gries

Gries

A differenza del passo del Corono quello del Gries si trova in una posizione più strategica e di conseguenza ha una storia molto più ricca

Il toponimo non deriva direttamente da una forma locale «Greis», che significherebbe «ghiaccio» viene da «Kries», che nel linguaggio vallesano e walser indica quell'arena calcare depositata dal ghiacciaio, arena presente in prossimità del valico, cui conferisce un caratteristico aspetto. 

Nel suo magistrale saggio sui Passages de cols de glacier (in Josias Simler, 1904), Coolidge lo definisce il meno elevato e forse il più frequentato fra i 20 passi dell'arco alpino aperti attraverso i ghiacciai, la cui frequentazione risulti attestata prima del XVII secolo. È presumibile che la scoperta di questo alto valico tra il Vallese e l'Ossola, e quindi l'origine del toponimo «Gries» risalgano a tempi nei quali le condizioni climatiche consentivano di valicarlo «a pied sec» e il cammino solcava la terra grigia - Kries

Il versante svizzero di "Über Gries" (scritta appena sotto lo stemma in alto a sinistra) visto dalla valle del Rodano (Münster) in direzione sud-est.
"VALESIAE CHARTA PRIOR ET VI NOVA TABULA" dalla Cronaca di Sebastian Münster, 1545

LA VIA DEL GRIES: UN'ARTERIA SECOLARE

Via dei Walser - il passo del Gries (2468 m), che collega l'Alto Vallese alla Formazza (Pommatthal), tratto superiore della valle della Toce (Ossola). Il Passo del Gries costituisce la continuazione meridionale rettilinea del Passo del Grimsel ed era quindi una delle poche vie facilmente accessibili e dirette dal versante settentrionale delle Alpi all'Italia.

Poiché il Passo del Gries non presenta difficoltà topografiche su entrambi i lati, era già noto nell'Età del Bronzo e fu ampiamente utilizzato anche in epoca romana. 

Nel XIII secolo, i Walser migrarono dall'Alto Vallese attraverso il passo verso il Pomatt e vi fondarono dei villaggi, dove ancora oggi si parla il tedesco walser. 

Non sappiamo per quale via i coloni passarono dal Vallese alla Formazza, ma è molto probabile che abbiano attraversato il passo del Gries. Questo valico è molto agevole ed è battuto anche oggi da cavalli e bestiame. Il ghiacciaio su cui corre la strada è pianeggiante e il tragitto segnato con ripari di legno. Nella traduzione italiana di un trattato del 1267 tra i vescovi di Sion e di Novara si dice: «oltre la via del Sempione stavano aperti i passi di Formazza (il Gries) di Devero ('Albrun), etc.».

Non disponendo tuttavia del testo originale, non si sa con certezza se il passo sia veramente citato, o se la sua menzione sia dovuta piuttosto al commento di chi eseguì la traduzione dal latino. 

Nel 1354 un uomo di Ulrichen (villaggio vallesano ai piedi del passo) vende a un suo vicino «unum alpagium situm in alpe de Egina» (nella conca sottostante il valico), senza tuttavia menzionare il Gries. 

Il 12 agosto 1397 la città di Berna stipula a Münster (capoluogo del'Alto Vallese) un trattato tra l'Alto Vallese e gli abitanti della val d'Ossola, per assicurare il commercio attraverso il passo del Grimsel. Il nome del Gries non compare, ma i rappresentanti di Pommat e della val d'Ossola, presenti alla conferenza di Münster, si impegnarono a difendere e a mantenere la strada sul loro versante.
La mulattiera fu sviluppata come via commerciale transalpina. Tuttavia, gli antichi possedimenti federali nella valle Eschental furono persi a favore del Ducato di Milano già nel 1422, con il risultato che il commercio declinò rapidamente e assunse un'importanza regionale solo nei secoli successivi.

Altrettanto dovevano fare gli abitanti di Münster per il tratto compreso fra il Grimsel e il «confine di Pommat». Si trattava soprattutto di facilitare i viaggi dei mercanti lombardi diretti a Berna. Non vi è dubbio che questo trattato indicasse il Gries e non quello più facile e più meridionale dell'Albrun, che oltretutto non conduce direttamente in valle Formazza.

In rosa il percorso delle merci attraverso il passo

Agli inizi del quindicesimo secolo le armate svizzere che tentarono ripetutamente la conquista dell'Ossola utilizzarono il passo dell'Albrun, più che quello del Gries, anche se probabilmente si servirono anche di quest'ultimo.

Tschudi non indica il passo sulla sua carta e non lo cita nella Ractia, apparsa 
nel 1538, bensì nella Gallia Comata (1572), dove scrive testualmente: «In fondo alla valle Antigorio (parte mediana della val d'Ossola), due vie puntano verso l'Alto Vallese, e conducono alla parte superiore della regione denominata del Goms o di Ernen, a monte di una località chiamata Deisch (limite inferiore della valle del Goms). La strada inferiore passa per il monte Albrun e la valle di Binn e raggiunge Ernen. Quella più alta passa per il monte Gries o Greis nella valletta di Eginen». 

Nel 1544 Münster scrive: «per il Gries e il Nyfi (il passo del Nufenen, che conduce dall'alta valle di Eginen ad Airolo e a Bellinzona) patet iter ad Eschenthal (la val d'Ossola), quae vallis est de ditione Mediolanensi», e sulla sua carta del Vallese segna «über Gries». Nel 1548 Stumpf indica «über Gries» sulla sua carta del Vallese e ne parla anche nel testo, elencando i passi che si aprono dal Vallese verso il sud. Infine Simler cita due volte il Gries. Nel 1574 la Descrip-tro Vallesiae colloca il «Griessum» tra i grandi passi che collegano il Vallese all'I-talia21. Ricordiamo, per concludere, che la carta del Milanese nell'Atlante di Ortelus del 1603 attribuisce al nostro passo il nome di «M. Glacero» • «М.Formaza».

 Richard Wagner attraversò il Passo del Gries con la sua guida alpina il 18 luglio 1852 durante il suo viaggio in Italia.
Con l'apertura della ferrovia del Gottardo nel 1882, il commercio si arrestò completamente. Negli anni Venti e nei primi anni Trenta, sul versante svizzero del Passo del Gries furono costruite diverse installazioni militari per scongiurare il temuto attacco dell'Italia fascista e irredentista di Mussolini

Via del Commercio - Le prime testimonianze documentarie dei commerci di transito attraverso il Gries risalgono al 300 e sono relative al trasporto verso i paesi tedeschi dei fustagni e panni lombardi.

Via imperiale - Nei secoli XV e XVI la via del Gries non adempi solo alla funzione di arteria commerciale, al servizio dei mercanti lombardi diretti a Berna o alle fiere del Nord Europa. Ma assunse anche una funzione politica, di «porta» tra l'Ossola e i Cantoni della Svizzera Centrale, sempre più desiderosi di conquistare l'Ossola.

Ghiacciao e relativo lago del Gries. A sinistra lo scollinamento del passo.

Via del vino - Il commercio più intensamente praticato attraverso il Gries fu, da sud verso nord, quello de vino. Pressoché l'intera produzione del vino ossolano veniva venduto nell'Alto Vallese e nell'Oberland Bernese.
Nel 1546 una Cronaca della parrocchia di Münster ricorda una carovana di formazzini giunti fortunosamente ne
Vallese nonostante una tempesta di neve, il 26 dicembre, con 9 muli carichi di vino, oltre a miele e castagne, con 6 slitte trainate da buoi.

Via dello Sbrinz - Insieme al vino, ai panni e alle sete lombarde, le merci trasportate verso nord erano: sale biade (frumento, segale, miglio, avena), riso, zucchero, spezie (pepe, canella, garofano, zafferano, ginepra). Verso sud i principali prodotti importati attraverso il Gries erano bestiame e formaggio. Tra il '500 e il 600 acquistò grande importanza il commercio del tipico formaggio del lago di Brienz (noto come «Sbrinz»), trasportato in Italia attraverso il Grimsel e il Gries. Qui le vecchie cronache manoscritte riferiscono dati preziosi sul traffico commerciale di un tempo: come i 200 conduttori al giorno di formaggio prodotto nell'Oberland, che nell'autunno del 1764 era possibile incontrare lungo la mulattiera che univa l'Hasli a Formazza.

Vista sul Bättelmatt dal passo Gries

Via della transumanza - Oltre al formaggio e alle grassine, alle pelli e alla lana, scendeva dal Gries il pregiato bestiame che gli allevatori del versante meridionale acquistavano nei mercati del Vallese o dell'Oberland. E per cinque-sei secoli, ininterrottamente, scesero ogni estate le mandrie vallesane che inalpavano sotto il Gries, a Bettelmatt e al Siedel.

Via dell'arte - L'esile sentiero che risaliva il ghiacciaio non fu solo arteria di traffici mercantili, ma anche intensa via di contatti culturali, artistici e religiosi. All'inizio del '500, attraverso il Gries giunsero le vetrate. disperse nell'epoca napoleonica, della chiesa dei Francescani di Domodossola, che risalgono al 1511 e provengono dalla bottega bernese dei vetratisti Lucas. Nel 1526, sempre da Berna, dove fioriva in quegli anni l'arte vetraria, venne il ciclo di vetrate della chiesa di Crevola, opera della bottega di Hans Punk. Alla stessa epoca risalgono l'ancona e la predella lignea della chiesa di San Gaudenzio a Baceno: il paliotto con l'Ultima cena in legno scalpito e dorato della parrocchiale di San Bernardo di Formazza; il trittico nell'oratorio della Cascata, che la tradizione vuole trasportato nel Quattrocento attraverso il Gries.

Dal Gries scesero le antichissime reliquie della chiesa di Formazza, salvate all'inizio del 500 alla furia iconoclasta della Riforma: una preziosa cassa con quasi settecento reliquie di pressoché tutti i Santi della Cristianità. Secondo una tradizione raccolta alla fine del 1500, era stata portata da una città del nord da un mercante che, in punto di morte, ne fece dono alla chiesa di Formazza.

Bättelmatt

Con il nome bettelmatt si identifica fin dal XIII secolo, un formaggio di eccellenza che veniva utilizzato come merce di scambio.

Il nome Bettelmatt deriva da battel che significa questua, quindi era senz'altro utilizzato per forme di beneficenza, l'unione a matt, che in tedesco significa pascolo, rende chiaro il significato del nome in: pascolo della questua.

Questua: Raccolta di oblazioni, organizzata e predisposta da parte di religiosi per scopi di carità o di culto.

Il suo nome deriva dall'omonima Alpe Bettelmatt anticamente dei signori de Rodis. Deve la sua fama alla ricchissima fioritura del pascolo.

Bättelmatt

L'attuale tecnica di preparazione risale al Quattrocento. Il latte intero, prima utilizzato solo per produrre formaggio semi-grasso e burro, da allora viene portato a temperatura direttamente all'alpeggio. Il formaggio prodotto viene pressato con grosse pietre, lasciato riposare un giorno, salato e conservato in piccole baite chiamate "Speicher".

Nel 1710 si parla già di un formaggio Bettelmatto in documenti dell'Archivio Borromeo. Vasti pascoli di produzione sono stati distrutti, negli anni 30, dalla costruzione di diversi bacini idroelettrici.

La disgrazia del Gries

Sono passato più volte dal passo del Gries, e avevo sempre notato quella piccola e particolare costruzione sulla sommità. Incredibilmente non ho mai avuto la curiosità di visitarla, dando per scontato fosse una piccola stazione metereologica, e invece nasconde una storia, una storia drammatica

La cappella che funge anche di bivacco sulla sommità del passo in territorio italiano

L'interno del rifugio

Il 28 dicembre 1953 gli scout del gruppo ASCI Milano IV Petite Ourse partirono da Riale alla volta del passo del Gries per un'escursione di due giorni. Avevano in programma di passare la notte alla capanna del  Corno e di tornare via Col San Giacomo. 

Una facile salita di soli 700m, una notte al caldo del rifugio una piacevole discesa di rientro
Il 27 dicembre Piero, Umberto e Adolfo salgono al rifugio Maria Luisa, ricevendo dal custode piena rassicurazione sul meteo del 28, sul tracciato e sulla capanna Corno.

Dopo essersi trovati in condizioni meteorologiche ideali, all'inizio della mattinata al passo del Gries sono stati accecati da nebbia e tormenta improvvisa con bassissime temperature

Costretti a pernottare nella neve sul passo il 29 cercano una pericolosa via di salvezza su un itinerario ripido verso il Vallese.  Dovettero risalire al colle del Gries e non tornarono a Riale fino a notte avendo perso per notte bianca tre compagni a cui la Cappella é dedicata.

L'evento ha un forte impatto sull'opinione pubblica, in particolare milanese, e suscita una grande attenzione della stampa. I due scout più anziani (Carlo e Adolfo) vengono accompagnati a Milano la notte stessa del 29 dicembre. Agli scout superstiti si suggerisce una linea di riservatezza. Non avendo vissuto l'evento in forma diretta, l'Orsa Maggiore non può fornire notizie quando viene accolta dai giornalisti alla Stazione Centrale. Gran parte della stampa adotta un atteggiamento comprensivo, ma non manca chi sfrutta questa riservatezza per attivare polemiche e sollevare interrogativi.

La Notte 9-10 gennaio 1954 - La calma dopo la terribile tempesta, una calma amareggiata ovviamente dalla perdita di tre cari compagni, ha reso possibile una chiara e particolareggiata esposizione dei fatti.
Lo studente liceale Adolfo Zavelani Rossi, che frequenta il Parini, ha escluso tra l'altro il famoso panico menzionato da alcuni giornali. "Se fossimo stati presi" dal terrore, nessuno di noi sarebbe tornato" assicura lo Zavelani.

La cappella fu ricostruita dai nove sopravvissuti nel 1964 per offrire rifugio anche a chi si fosse trovato nella stessa situazione. Nel tempo, la cappella è diventata parte del patrimonio della comunità di Formazza, una base molto apprezzata dal Club Alpino Italiano e un punto di riferimento per lo scoutismo locale. Nel 2013, in collaborazione con il Comune e il CAI di Formazza, questi sopravvissuti si sono fatti carico del completo recupero e si impegnano a garantirne la manutenzione permanente.
Coloro che si sono presi cura di questa cappella nel corso degli anni hanno affidato alle cure dei passanti la conservazione di un rifugio sicuro per la sicurezza in montagna.

LA VOCE DEI PROTAGONISTI
Adolfo, Gigi, Luigi, Piero, Umberto

La preparazione

U - Nella mia qualità di Vice Capo Reparto, posso precisare che Piero Bertolini aveva visitato la zona del Gries la scorsa estate allo scopo di organizzare il Campo Invernale dell'Orsa Minore.
Insieme studiammo e predisponemmo alcuni percorsi possibili per l'hike, riservandoci di scegliere sul luogo quello più adatto dopo aver consultato i valligiani. Il giorno precedente alla partenza Piero Bertolini insieme a me e Adolfo Zavelani percorse a ritroso parte di quella che doveva essere la tappa del secondo giorno: ci fermammo al Rifugio Maria Luisa ove chiedemmo informazioni al custode: la Capanna Corno era aperta e vi era la possibilità di riscaldamento con legna che si sarebbe trovata sul posto. La neve era scarsa ma sufficiente per sciare.

Bertolini conosceva il percorso fino al Passo Gries e dal Passo S. Giacomo a Riale. La distanza, tra Passo Gries e Capanna Corno era minima; ed era descritta in due opuscoli turistici come percorribile comodamente in sci. Minimo il dislivello. Le guide Backer e Luigi Anderlini ci dissero che si trattava di un percorso a mezza costa che uno sciatore senza carico percorre in circa quindici minuti. A loro giudizio la comitiva avrebbe potuto arrivarci in una mezz'ora.

Le condizioni meteorologiche alla partenza erano ottime: la sera precedente Radio
Monteceneri prevedeva tempo bello e stabile a sud delle Alpi. Del resto anche il custode della diga di Morasco, ultima persona incontrata nel cammino (quota 1800), ci salutò senza accennare a possibili mutamenti meteorologici. Ancora al Passo Gries il tempo era buono. I capi ed i ragazzi erano addestrati ad escursioni anche invernali. Tutti hanno partecipato alle escursioni al Lago della Vacca in Val Giudicaria con pernottamento in baita, nell'inverno 1951, e nella zona di Pizzo Quadro sopra Campodolcino, nel 1952. Vannotti, Ascoli ed altri avevano partecipato, nel febbraio 1953, all'ascensione al Breithorn a quota 4175.

Riale di Formazza, domenica 27 dicembre 1953

A - Siamo arrivati ieri qui a Riale di Formazza, insieme con l'Orsa Maggiore, per il campo invernale. I piccoli dell'Orsa Maggiore sono sistemati nell'alberghetto-rifugio Blindenhorn. Noi anziani dell'Orsa Minore, abbiamo solo una baita decorosamente riscaldata.

P - Mi pare ancora di vederlo, Franco, la sera del 27 dicembre, seduto con noi al tavolo della stanza di soggiorno della baita di Riale. Lo ricordate? Sosteneva col suo solito ingenuo entusiasmo che tutti i mandarini hanno undici spicchi.. o lo ricordo, ancora seduto a quel tavolo, quando tutti eravamo, come lui, impegnatissimi nel giochetto della monetina nel palmo della mano.

A - Domani 28 partiremo da Riale (1728m) e faremo un hike, un'escursione sci-alpinistica di due giorni, salendo al lago di Morasco, alla piana del Bettelmat, al passo Gries (2463m), al passo Corno (2499m), e pernottando alla Capanna Corno (2492m). In tutto 700-800 metri di dislivello. L'indomani, 29 dicembre, sarà una tappa anche più tranquilla, dovendo traversare al passo San Giacomo (2313m), per poi ridiscendere a Riale. Oggi Piero, Umberto ed io siamo saliti con sci e pelli di foca al Rifugio Maria Luisa, verso il passo San Giacomo, per avere conferma dal custode di tutte le indicazioni a conforto del nostro programma, Ci ha confermato quanto necessario per affrontare con tranquillità la gita, e ci ha garantito le buone condizioni della Capanna Corno, che è dotata di una sezione invernale con legna e coperte.

Lunedì 28 dicembre 1953

A - Di buon mattino siamo pronti a partire. Il nostro equipaggiamento potrebbe far sorridere considerando il progresso tecnologico dei decenni successivi, ma è del tutto all'altezza dei tempi.
Abbiamo sci con attacchi da sci-alpinismo e pelli di foca. Abbiamo i sacchi-piuma militari USA in piuma d'oca, che pesano da 3 a 4 chili, ma sono caldi e resistenti. Abbiamo tutto l'equipaggiamento individuale invernale e viveri per due giorni. Non mancano, anzi abbondano, i generi di conforto.. I nostri zaini sono completi, ma più leggeri degli zaini da campo abituali, che sono appesantiti dalle
massicce tende "Mottarone"

L - Partiamo da Riale lunedì, 28 dicembre 1953, alle ore 8.30 circa. Tempo bellissimo.
Superiamo il lago di Morasco e iniziamo la salita verso il Passo del Gries. Piccolo incidente da segnalare: Riccardo, nel togliere dallo sci una pelle di foca, si provoca un taglio a un dito.

A - Passiamo sotto la casa del custode della diga di Morasco, che ci saluta. Il tempo è freddo, ma splendido, e non si trova una nuvola in cielo. L'innevamento è modesto e nella salita verso la piana di Bettelmat rinunciamo all'uso degli sci: abbiamo il loro peso sulle spalle, ma possiamo procedere con scioltezza.

L- Si procede per un brave tratto, ma prima di iniziare l'ultima rampa, che porta al Passo, ci fermiamo per uno spuntino.

A - Traversata la piana di Bettelmat ci fermiamo per rifocillarci e Gigi scatta l'unica foto che rimarrà a documentazione dell'escursione. L'abbigliamento che esibiamo nella foto conferma una temperatura severa. In cielo si intravede qualche bava di nuvole, davanti a un cielo ancora azzurro.
La salita estiva da Bettelmat al Gries segue un sentiero ben tracciato a est, su un pendio regolare, ma alquanto ripido. La via invernale segue naturalmente il centro del vallone, meno ripido e meno regolare. Quando arriviamo al valico, al confine di Stato con la Svizzera, troviamo uno strano paesaggio, vasto e gibboso, tutto bianco e privo di qualsiasi caratteristica morfologica che si presti all'orientamento.

L - Arriviamo al Passo del Gries verso le 14.30-15 circa (non sono sicuro dell'ora). Tempo bello
con forte vento.

A - Incappiamo quasi accidentalmente nei ruderi di una piccolissima baita semi-scoperchiata (il "baitello") che offre un breve riparo dal vento che ormai si fa sentire. Il cielo si è imbiancato di nuvole, ma le condizioni climatiche non appaiono allarmanti. Sappiamo che il passo del Corno è li davanti a noi, a breve distanza, anche se nel biancore diffuso non possiamo individuarlo. Subito dopo, la Capanna Corno. Proseguiamo con una certa sicurezza verso il passo del Corno, avendo ormai messo gli sci ai piedi. Procediamo lungo una mezza costa non particolarmente ripida, ma ancora una volta scarsamente identificabile.

L - Proseguiamo verso il passo del Corno. Il tempo volge rapidamente al brutto. Ci sorprende la tormenta. Visibilità scarsissima.

A - Nel giro di pochi minuti siamo immersi nelle nuvole e perdiamo ogni possibilità di orientamento nel biancore diffuso. Comincia a nevicare in modo serio. Saranno le tre e mezza del pomeriggio quando ci si rende conto dell'impossibilità di avanzare alla cieca. Dietro di noi ci sono, parzialmente cancellate dalla neve fresca, le tracce che ci riporterebbero al Gries e, in qualche modo, al versante amico dell'Italia. Torniamo.

L - Dopo vani tentativi per raggiungere il passo del Corno, Piero B. decide di ritornare al Passo del Gries. Non ritroviamo più le tracce degli sci perché cancellate dalla tormenta.

G - E in questo tratto che veniamo assaliti da una bufera improvvisa e violenta. La temperatura si abbassa ulteriormente, un vento terribile ci assale, togliendoci il respiro. La neve ghiacciata, trasportata dalle raffiche, mi procurerà, visto che respiro prevalentemente dalla bocca, abrasioni alle prime vie respiratorie. Nelle vicinanze, una stazione meteorologica automatica, registrerà temperature di -40° e venti con raffiche di 120/130 Km/ora. Scende la notte ed è sempre più difficile seguire quello che ti precede, un'ombra che appare e scompare tra le folate. Le orme lasciate dagli sci vengono immediatamente livellate dalla neve. Gli occhiali si appannano continuamente. Il liquido anticongelante delle bussole Recta si è solidificato, l'altimetro ha cessato di funzionare e nella tormenta è difficile decifrare le carte e nella selva di vallette che si dipartono dal passo, smarriamo la direzione. Sapremo poi che diverse Guide alpine locali, nelle medesime condizioni, hanno avuto delle difficoltà.

A - Nel percorso a ritroso ci teniamo, forse prudenzialmente, piuttosto a monte che a valle.
Così facendo recuperiamo il confine "amico", ma lo recuperiamo trovandoci troppo a est, ovvero in corrispondenza del sentiero estivo, Quando ci affacciamo al versante del Bettelmat, che è sicuramente li sotto di noi, scopriamo una configurazione morfologica ostile, una discesa ripidissima e ghiacciata. Se fosse adeguatamente innevata non ci sarebbero problemi, ma così è troppo pericolosa. Nel frattempo sono calate le prime ombre della sera, e diventa difficile la ricerca del percorso, anche se le nostre pile sono ancora fresche e potenti. Misteriosamente, diventa plausibile ciò a cui nessuno avrebbe pensato seriamente: pernottare all'addiaccio a 2500 metri, in piena tormenta,

L - Dopo inutili ricerche del baitello, situato al Passo del Gries, Piero B, decide di passare la notte all'addiaccio.

G - Raggiunta una valletta meno battuta dal vento, calpestiamo la neve per formare delle buche, rinforzandole con gli sci e con le racchette e ci infiliamo nei sacchi piuma. La neve ci sommerge rapidamente. Riesco a sfamarmi con del pane e delle prugne secche che avevo avuto il compito di trasportare, innaffiando il tutto con del Cognac (la bottiglietta da tasca la ritroverò anni dopo, durante una salita commemorativa). Abbiamo il terrore di addormentarci e di soffocare.

L - Scaviamo profonde buche nella neve, poniamo sul fondo gli sci e ci stendiamo dentro il sacco-piuma. (dormo nella buca assieme a Franco, Umberto e Piero). Tutto si svolge regolarmente: nessun segno di malumore. Notte tranquilla. Umberto chiede continuamente ad ognuno come è lo stato di salute e come va il morale.

A - Scavo una buca con Carlo, dimensionata sull'ingombro di due persone. Estraiamo dagli zaini i sacchi-piuma, insieme con frutta secca e grappa. Richiusi e sistemati sotto la testa gli zaini, ci infiliamo nei sacchi-piuma a "mummia" con scarponi e tanta neve. Risulta provvidenziale il cappuccio della "mummia", dove infilare il capo. Al momento di distenderci risulta che Riccardo è rimasto spaiato. Ci stringiamo e gli facciamo posto. Mangiamo e beviamo qualcosa, ma poi per molti anni non berrò grappa.
Scopriamo il senso della buca quando, ricoperti di neve, siamo al riparo dal vento e forse beneficiamo di uno strato moderatamente isolante dalle intemperie. Abbiamo conferma che la neve fresca è permeabile all'aria e permette di respirare, ma alla psicosi dell'oppressione e del soffocamento non ci si sottrae col ragionamento. Nel pieno della notte Riccardo lamenta l'impressione di soffocare, anche perché la neve ha inzeppato la buca, paralizzandoci. Non vedo altra soluzione che liberare la buca e cercare posto altrove. Ma dove? Passo alla buca di Ermanno e Vittorio, buttandomi sopra di loro, senza poter entrare. Non riesco più a chiudere la cerniera congelata del sacco-piuma, che terrò ben stretta con le mani nel resto della notte, e devo accontentarmi di lasciarmi coprire dalla neve per ottenere l'effetto buca.

29 dicembre 1953

L - Al mattino ci alziamo alle 7,40 circa. Visibilità scarsissima, come la sera precedente.
Morale alto. Continuiamo le ricerche dal baitello. Non trovandolo, decidiamo di scendere verso la valle che si scorge appena sotto di noi. Purtroppo scendiamo invece verso il ghiacciaio del Gries.

G - Dopo ore interminabili, angosciose, intervallate da fugaci appisolamenti e bruschi risvegli, decidiamo di ripartire per tornare in Val Formazza. Ripieghiamo alla meno peggio i sacchi piuma, irrigiditi dal gelo, legandoli all'esterno degli zaini. Continua a nevicare, tutto attorno è grigiore e silenzio, rotto solamente dalle urla del vento che s'infila dappertutto. Imbocchiamo una valle fortemente scoscesa, in fila indiana, le pelli di foca ci aiutano a frenare la velocità.

A - Quello che è successo nelle ultime dodici ore merita una riflessione. Non siamo ancora alla tragedia, ma abbiamo affrontato una serie di eventi che trascende non solo le nostre esperienze, ma la stessa previsione della nostra capacità di adattamento. Ci muoviamo con grande difficoltà, ma ci comportiamo con calma e razionalità, come se gli eventi rispondessero a un disegno previsto e collaudato. Arrotolare e riporre i sacchipiuma irrigiditi dal ghiaccio, recuperare gran parte dell'equipaggiamento disperso nel buio, perfino provvedere ai bisogni fisiologici, diventano operazioni impegnative, che si fanno perché vanno fatte. Abbiamo ancora sul capo i passamontagna, ma non più gli occhiali, che si appannano istantaneamente, mentre il ghiaccio salda le ciglia superiori con quelle inferiori, obbligandoci a una continua rimozione.
Qualche tentativo cieco di individuare nuovi tracciati verso l'Italia risulta infruttuoso. Siamo ancora sul luogo del bivacco, che presenta una discesa impossibile verso il Bettelmat. Il "baitello" che certamente si colloca a segnale della via di discesa, non si vede. E tuttavia lì non si può restare. 
Verso la Svizzera sembrano presentarsi condizioni climatiche meno severe. Non è chiaro dove si possa puntare, ma almeno di li si scende, Scendiamo a mezza costa verso la Svizzera, tenendoci più in basso del giorno prima, ma non troppo, per non venire a trovarci sul ghiacciaio (ora scomparso o comunque sommerso dal lago), Procediamo con diversa speditezza, secondo le risorse di ciascuno, ma sempre senza perderci vista
 
L- Giampaolo e Franco si trovano in difficoltà. Riccardo è stanco e piange. Vittorio, nel frattempo, cade nel crepaccio: Piero accorre ad aiutarlo. Franco tenta di proseguire solo, ma cade. Giampaolo si sente male. Riccardo non vuol più proseguire. Con Piero A. ritorniamo sui nostri passi. Cerco di aiutare Franco ad alzarsi, ma invano. Piero B. mi invita a procedere.

G - Sul fondovalle, Vittorio scivola in un piccolo crepaccio, il primo di una lunga serie, riusciamo a ricuperarlo. Ci accorgiamo pertanto, di essere nuovamente fuori strada.

A - Saranno ormai le due. Ci voltiamo ancora verso il Gries. In qualche momento di maggiore visibilità, o di minore mancanza di visibilità, ci rendiamo conto della amplissima vastità del passo, che si estende ad ovest ben oltre l'area che abbiamo esplorato ieri sera e stamattina.

G - Tre di noi spossati, sono nel frattempo rimasti indietro, accasciati nella neve, con loro sono rimasti i capi. A Dodo esce del sangue dal naso e dalle orecchie e continua a ripetere di voler dormire. A fatica ritorniamo, sui nostri passi, ripassando dinanzi ai nostri amici in crisi. Arrivato vicino a Gianpaolo (Dodo), Umberto che lo assisteva mi dicé: "Dodo è morto". "Come morto?" "Si è morto!'" Ma morto da funerale?" insisto io, incredulo. Umberto mi fa cenno di risalire.

A - Come nei precedenti tentativi Piero Ascoli punta, nuovamente a est. Carlo ed io puntiamo decisamente a ovest, avendo intuito finalmente la scelta giusta: mentre arranco in salita perdo una pelle di foca. Maledizione, ci voleva anche questa! Ê da un paio d'ore sono sopraggiunti ben altri problemi, già mentre scendevamo verso la Svizzera.

G - Riprendo a salire a scaletta con rabbia e determinazione, non voglio rimanere qui, penso ai miei, alla vita trascorsa ed al futuro che mi aspetta. Risalire questo tratto a mezza costa con una pendenza del 50/60% e con un metro di neve fresca, richiede uno sforzo tremendo. Luigi, che mi precede, cade, scivola e sta partendo a testa in giù, verso il fondovalle. Riesco ad afferrarlo per lo zaino ed a trattenerlo. Mi sembra una cosa sciocca che si metta a gridare: "Gigi, non lasciarmi andare, tienimi, non lasciarmi!" Pian piano, riusciamo a rimetterci in piedi e riprendiamo a salire.
Guardandomi indietro, durante una sosta per riprendere fiato, scorgo nella foschia i miei compagni che arrancano lentamenté. Più lontano, tre punti neri che la neve sta ricoprendo.

A - Ho sedici anni e ho dato prova, come tutti, di saper affrontare con la forza e l'equilibrio di un adulto difficoltà inimmaginabili. Ho sedici anni, ma una cosa come questa non l'ho mai neppure immaginata: morire per esaurimento delle risorse fisiche, mentre i miei compagni e coetanei hanno ancora energie da spendere alla ricerca della comune salvezza. Morire di morte naturale nel corso di un'attività sana e formativa. Ho visto Franco, Giampaolo e Riccardo seminati sulla via di discesa, come spesso capita a chi sconta un momento di maggior spossatezza, ma non mi ha sfiorato l'idea della morte, e neppure di un grave cedimento fisico. Apprendo la ferale notizia verso le tre, quando Carlo e io, che abbiamo preceduto tutti al passo, veniamo man mano raggiunti. Apprendo la notizia a cose avvenute, ma sono abbastanza stordito da rimanere semplicemente inebetito. Di una tragedia che mi segnerà per tutta la vita mi sono stati risparmiati i momenti più strazianti e mi sento in debito verso coloro che si sono impegnati in prima persona in un doloroso ruolo di assistenza.

Mi domanderò spesso come siano state vissute da Piero le diverse tappe della vicenda. A lui non lo chiederò mai, perché un'amicizia troppo forte me lo impedisce. Immagino che sin dall'imbrunire del primo giorno Piero abbia cominciato a dubitare della salvezza. Mentre noi, forse incoscienti, affrontavamo la notte all'addiaccio come un'esercitazione straordinaria, Piero non poteva escludere esiti anche più tragici di quelli registrati. Mentre con altri samaritani assisteva Franco, Giampaolo, Riccardo, mentre dirigeva il recupero di Vittorio, poteva contare unicamente sull'impegno di noi "esploratori" alla ricerca della salvezza. Poteva contarci, perché sin dal 1951 aveva curato la nostra formazione e sapeva su quali risorse fosse legittimo fare assegnamento.
Poteva contarci, ma non poteva sottrarsi alla responsabilità di contemperare l'assistenza agli infermi con l'impegno a guidare i potenziali superstiti verso la salvezza. Come condursi in circostanze così drammatiche? Franco, Giampaolo e Riccardo gli hanno dato la risposta. Hanno concluso il loro calvario in modo relativamente rapido e sereno, consentendo agli altri i tempi della salvezza.

G - In cima alla salita, fortunatamente, troviamo quasi inciampandoci contro, il baitello delle
Guardie di Finanza. Quattro tavole appoggiate a dei muretti, dove le guardie si fermano a ristorarsi ed a riposare. Oramai è fatta, per noi è la salvezza, è la stella cometa. Quando ci 
ritroviamo tutti riuniti facciamo il punto della situazione, anche se lo shock e la stanchezza, ci impediscono di renderci conto della gravità della tragedia. Piero ed Umberto ci assicurano che per Dodo, Franco e Riccardo, non c'era più nulla da fare. I medici ci diranno poi che i nostri sfortunati compagni sono deceduti per collasso cardio-circolatorio, dovuto all'immane sforzo ed al freddo. Decidiamo di ripartire lasciando gli sci nel piccolo ricovero. E' impensabile uscire indenni da un'altra notte di bivacco.

L - Ripeto faticosamente la strada percorsa. Arrivo al culmine della salita. Qui trovo Piero A., Ermanno, Carlo Enrico, Adolfo, Carlo, Gigi. Mentre siamo in attesa di Piero B., Umberto e gli altri, Adolfo e Carlo partono alla ricerca del baitello, Ritornano poco dopo e ci annunciano di averlo trovato. Nel frattempo giungono Piero B., Umberto e Vittorio: con loro proseguiamo verso il baitello. Qui giunto mi accorgo della mancanza di Franco, Giampaolo e Riccardo. Sto chiedendo a Piero B. loro notizie quando Vittorio mi dice la verità: sono morti. Non ho neppure il tempo per riflettere perché decidiamo immediatamente di ripartire:

A - Sono le tre del pomeriggio, siamo finalmente al "baitello" tanto invocato come il segnale della via di discesa. Forse mangiamo qualcosa, visto che siamo digiuni da ore, ma non c'è tempo da perdere. Lasciamo gli sci nel baitello, perché la tormenta non ha aumentato lo strato di neve sul versante italiano, e scendiamo à piedi. Dal baitello ci incamminiamo in discesa, tagliando a mezza costa, ancora una volta troppo a est. Quando ci troviamo ad attraversare un piccolo canalone innevato, la massa nevosa prende a scorrere sul pendio ghiacciato sottostante. Piero ordina di non muoversi, così ci lasciamo trasportare per qualche metro senza danni. E ormai buio, ma ci riprendiamo e proseguiamo come se nulla fosse.

L - Su consiglio di Piero B. abbandoniamo gli sci nel baitello e proseguiamo il cammino.
Scendiamo faticosamente verso valle. Ad un tratto, mentre attraversiamo un canalone, ci sorprende una slavina ci trascina di 20 metri più in basso. Proseguiamo.

G - Si sta facendo notte. Scendiamo rapidamente, anche a ruzzoloni: ad un tratto, il paesaggio tutto attorno comincia a muoversi. Un vasto fazzoletto di neve si è staccato sotto i nostri piedi e ci trascina a valle. Riusciamo a rimanere in superficie nella neve soffice e tutto si conclude con un ulteriore spavento.

L- La furia del vento si placa gradatamente. Nel medesimo luogo di ieri ci rifocilliamo con
zollette di zucchero.

A - Arriviamo al Bättelmatt piuttosto stremati e ci fermiamo. Io avverto le morse dei crampi alle gambe, che mi rendono difficile camminare. Un sommario massaggio da parte di qualcuno. forse Piero, mi induce a riprendere.

G - Il mio alito, congelandosi sul passamontagna che si è spostato un poco, bloccandolo, mi toglie la visibilità da un lato. All'arrivo, per levarlo, me lo dovranno tagliare. Nel grigiore della neve, senza la prospettiva, tutto mi appare appiattito e non riuscendo a valutare bene le distanze. inciampo e cado frequentemente. Vittorio mi guida per mano. Finalmente raggiungiamo il fondovalle. Stiamo camminando o sciando, tranne qualche ora di sosta notturna, da due giomi ed una notte, praticamente a digiuno. Transitiamo davanti all'abitazione dei guardiani della diga, mu anche se sentiamo delle voci, nessuno risponde al nostro bussare. Diranno poi di averci visti passare in silenzio.

A - Abbiamo ancora tanta strada da fare per arrivare a Riale. Il custode della diga di Morasco, come tutti coloro che sono rimasti sul versante italiano, non ha percepito la gravità della situazione al confine.

L - Giungiamo alfine al lago di Morasco, Assieme a Piero A., Carlo e Ermanno precedo il gruppo.
Arriviamo, con notevole anticipo su di esso, alla diga. Non troviamo più la strada. Ci raggiunge il resto del gruppo e con esso proseguiamo, camminando alla cieca, sino alla baita, indi all'Albergo.

G - Diamo fondo alle poche energie rimaste per raggiungere Riale e l'albergo. Fra lo sconforto e lo sgomento generale mettiamo tutti al corrente dell'accaduto. Vengono avvisate le forze dell'ordine ed il Soccorso Alpino. Ai capi rimasti a Milano ed al nostro assistente spirituale il triste compito di avvisare i famigliari. Veniamo successivamente rifocillati e visitati. Stiamo tutti discretamente bene. Io ho delle profonde abrasioni ai polsi dovute ai laccioli dei bastoncini, che 
irrigiditi dal ghiaccio, hanno prima lacerato i polsini di lana dei guanti e poi la mia pelle. Andiamo a dormire. Nella cameretta sono con Ermanno. Malgrado la stanchezza, per la grande tensione accumulata, non riusciamo a prendere sonno, Ermanno mi racconta quasi per intero, l'ultimo film visto: "Vite vendute".

A - Ci muoviamo nell'alberghetto di Riale come in un incubo. A Riale non si è avvertita la perturbazione che ha provocato la tormenta al Gries. I capi dell'Orsa Maggiore conoscevano il nostro programma di rientro al secondo giorno, cioè oggi, e non hanno avuto motivo di preoccuparsi, almeno fino a quando non sono scese le ombre della sera. Ma a questo punto un allarme sarebbe caduto nel vuoto.
Mi ficcano nel sacco-piuma sul pavimento dell'albergo, dopo qualche intervento per lenire i crampi. La stanchezza è tale che mi addormento. A metà della notte Carlo e io veniamo svegliati improvvisamente da Pierdavide Lucchelli, il capo-gruppo. Ci portano a Milano, dove saremo ricoverati in casa Scotti, per lenire un inizio di congelamento ai piedi, rimanendo isolati. In realtà l'indomani stiamo benino, e tutto si risolverà con la caduta delle unghie.

Nei giorni successivi la tormenta al Gries non si placa, mettendo a dura prova i tentativi delle guide e dei valligiani di recuperare le salme, che verranno riportate a valle solo due giorni dopo.
In quei giorni gli scout, grandi e piccoli, sono ancora a Riale, insieme con altri membri del gruppo che li hanno raggiunti. Su Riale, sui superstiti e sui ragazzi ignari dell'Orsa Maggiore, si concentra l'attenzione spasmodica della stampa e dell'opinione pubblica. In questo contesto si intrecciano versioni e interpretazioni improvvisate, basate su testimonianze indirette o incomplete. Isolati a Milano, Carlo ed io rimaniamo indenni dal condizionamento ambientale del posto, ed essendo per età i più maturi fra i ragazzi che hanno subito la tragedia, ne saremo testimoni attendibili.

L'inchiesta giudiziaria

Gli eventi

Il 26 dicembre 1953 giungevano a Riale di Formazza, accampandosi in una baita privata, tredici giovani di età dai 14 ai 23 anni, appartenenti all'Orsa Minore del IV Gruppo dell'Associazione Scoutistica Cattolica Italiana con sede in Milano: essi erano guidati dall'istruttore Bertolini Pierluigi di anni 23, professore di filosofia all'Istituto Manzi di Pavia.

La mattina del 28 dicembre verso le ore 8,30 il gruppo partiva sotto la guida del Bertolini per una gita in alta montagna sul seguente itinerario: Riale-Passo Gries-Passo Corno-Passo S.Giacomo-Riale.

Verso le ore 14 la comitiva giunse al Passo Gries (m. 2.463) ove poco dopo si scatenò un forte vento improvviso e poiché in quel luogo non era possibile un sufficiente riparo per tutti, il capo-comitiva ritenne necessario raggiungere il Corno-pass che distava ormai meno di un'ora di marcia.
Ma non essendo a ciò riusciti per il sopraggiungere della bufera e per la sopravveniente oscurità, i giovani pernottarono allo scoperto, infilandosi nei sacchi a pelo e ponendosi a due a due in buche
scavate  nella neve.

Tutta la notte nevicò e la mattina dopo verso le 7.30 gli escursionisti ripresero la via per tornare a Riale. Ma poiché continuava la bufera, smarrirono la strada e girarono alla cieca per diverse ore, sotto la furia degli elementi, finché uno dopo l'altro dalle ore 13 alle 13.45 i giovani Colombo Franco, Colombi Gianpaolo e Vannotti Riccardo cadevano stremati di forze e assiderati, impossibilitati a proseguire nonostante il pronto soccorso e l'incitamento del Bertolini e degli altri.

Soccorsi di rientro, alle loro spalle la diga di Morasco
Per due giorni le guide tentano invano il recupero delle salme. Al terzo giorno si prevede la rinuncia in caso di persistente maltempo, con rinvio a primavera. La sospirata pausa consente il faticoso recupero il terzo giorno, annullando l'angoscia di un abbandono di mesi.
L'impresa lascia tracce di congelamento anche sui rudi montanari.
Le salme vengono raccolte nella chiesetta di Ponte di Formazza.

La preparazione

Erano state, curate, perfino con meticolosità superiore alle esigenze del programma, tutte le premesse di ordine organizzativo: benestare dai genitori, adesione entusiastica dei giovanetti, razionalità del vettovagliamento, sufficiente per circa tre giorni: perfezione dell'equipaggiamento.

Il carico individuale era completo pur non essendo eccessivo (non superava i Kg. 4) e comprendeva, oltre sci, pelli di foca, occhiali da neve, un sacco a piuma, maglie e mutande di lana, giacca a vento, passamontagna, due paia di guanti e di calze di lana, circa kg. 1 di zucchero 
zollette, cioccolato, frutta secca e fresca, formaggio, carne in scatola, cognac e grappa. La collettività inoltre disponeva di tre bussole, di un altimetro, carte quotate, corda, quattro pile elettriche e una lanterna e infine della cassetta pronto soccorso.

La preparazione della gita era stata meticolosamente curata dal capogita sia in senso remoto che in senso prossimo. Già nell'estate precedente il Bertolini aveva visitato la Val Formazza per studiare la base del campo invernale e i migliori itinerari da scegliere: alla vigilia dell' escursione, insieme al Rossi e all'Ascoli, si era preoccupato d'interpellare gente pratica del luogo ottenendone risposte rassicuranti, sia in merito alla facilità di esso che alle condizioni atmosferiche. Nell'attento studio sul, tempo era inoltre stato confortato dal comunicato meteorologico di Monteceneri: "Bello costante a sud delle Alpi".

La gita prescelta era divisa in due tratti, essendo previsto un pernottamento intermedio per la notte dal 28 al 29 dicembre 1953 nella Capanna Corno. Così hanno deposto tutti gli stessi partecipanti all'escursione, la guida alpina Baker Achille, formazzina, e anche il rag. Mario Bello, Presidente della Sezione milanese del C.A.I., esaminato quale esperto ed estraneo ai fatti, che ha parlato di gita facile, nemmeno classificata, da ritenersi poco più che una passeggiata.

I giovani erano appieno atti alla bisogna, anche in rapporto alle minime difficoltà dell'escursione, perché essi erano tutti abituati e allenati alle fatiche dell'alpinismo sciistico invernale.
Tutti, tranne l'Ascoli, il quale d'altronde era assai pratico per suo conto, appartenevano al Gruppo Milano IV dell'A.S.C.I. In tale Gruppo e in tale Associazione avevano pluri-annuale anzianità e tra le attività scoutistiche avevano particolarmente praticato quella alpinistica, sia. estiva che invernale. Lo scoutismo, mirante in linea programmatica a raggiungere la formazione di un carattere, di uno stile e di una mentalità sana e serena, essi l'avevano prevalentemente inteso secondo le individuali attitudini verso le bellezze e le forze della montagna.

Nessuno era alla sua prima prova in campeggio e in gite invernali: tutti erano sani e ben attrezzati all'uopo, sia moralmente che fisicamente. La personale perizia del capo-comitiva prof.
Bertolini è poi risultata fuori discussione, riconosciutagli da tutti i congitanti e ben documentata in atti. Egli possiede doti di sciatore e di alpinista provetto. Da circa otto anni, cioè dal 1945, era nel Gruppo Scoutistico, vi aveva percorso brillante carriera fino a diventarne un capo, sempre praticando attività alpino-sciistica (anche sotto l'aspetto prettamente agonistico) e sempre dedicandosi all'organizzazione e alla direzione di campeggi in montagna, sia estivi che invernali.

Nemmeno era sproporzionato il numero dei giovani affidati alla sua direzione, poiché nelle cure della vigilanza sui 10 giovani egli era aiutato con solerzia da un sottocapo, il diciannovenne Rossi Umberto e dall'amico ventiduenne Ascoli Piero che, pur essendo estraneo ai vincoli scoutistici, tuttavia non si dimostrò meno esperto e all'occorrenza meno prodigo di soccorsi. Per tutto questo la ricerca e l'intervento di una guida o di un portatore alpino sarebbe stato in partenza sovrabbondante. Tanto più che, come abbiamo visto, le condizioni del tempo era veramente eccellenti e già perduravano da qualche giorno, così da far ritenere, come aveva confermato Monteceneri e come avevano informato i pratici del luogo all'uopo preventivamente interpellati, che si fosse e si stesse per rimanere nel bello costante.

Il comportamento

Anche il comportamento durante l'esecuzione della tragica gita appare ineccepibile. Nel primo tratto (mattina del 28-12-53) la marcia fu piuttosto lenta, ma nessuna colpa in ciò si può ravvisare ove si tengano presenti la brevità e la facilità progressiva dell'itinerario della giornata (Riale-Passo Gries-Capanna Corno, dislivello tot. m. 700), Si manifesta insomma come condotta normale che la comitiva abbia indugiato nell'ascesa mattutina dalla Val Morasco sino al Passo Gries e preferito da affrontare nel pomeriggio, cielo promettente, il tratto residuo.

Quando la comitiva giunse verso le ore 14 al Passo Gries, le condizioni del tempo non erano sensibilmente mutate. Era sopraggiunto notevole freddo per il vento, ma l'atmosfera era ancora limpida. Né è detto che dal Gries si vedessero quelle tali nubi a pesce foriere di maltempo che l'alpinista Leonardo De Minerbi afferma di aver visto quel giorno mentre tentava di raggiungere il Basodino (cfr. il giornale "Lo Scarpone" di Milano in data 16-2-1954), Invero il gruppo di Bocca di Castello e del Basodino (m. 3373) offre il punto di osservazione più alto della vallata e domina particolarmente la zona a nord del Passo Gries.

Ad ogni modo fin qui non appare irragionevole che il capo-scout, giunto col vento sul Gries, a differenza del citato De Minerbi su percorso diverso e assai più impegnativo, decise di proseguire tra le raffiche fino al rifugio mèta del Corno-pass distante un tiro di schioppo (non più di tre quarti d'ora di cammino). Fu a metà strada circa e cioè dopo 20 minuti di marcia che sopravvenne la bufera. Allora la comitiva si trovò di fronte all'alternativa di continuare il cammino in direzione della Capanna Corno per 25 minuti, oppure di ritornare al passo Gries con un percorso di lunghezza uguale, ma più facilmente riconoscibile per le tracce lasciate e per i punti di riferimento notati durante l'andata.

Costretto a prendere una decisione immediata, il Bertolini, in pieno accordo coi più anziani decise la via del ritorno appena percorsa. Senonché l'ulteriore aggradarsi della tormenta, con notevole precipitazione che cancellò le tracce lasciate e ridusse quasi completamente la visibilità, la caduta di un gitante, il Baragiola, il vento impetuoso e il cadere di un freddo intenso fecero podere tempo e orientamento.
E seguirono le decisioni ormai imposte e giustificate dalle necessità; il pernottamento nelle buche, migliore rispetto all'alternativa dei pericoli nell'oscurità, e la ripresa della ricerca del Passo Gries il mattino dopo. Putroppo neppure il giorno dopo l'infernale bufera scemò di violenza e così la comitiva continuò a trovarsi nella necessità di perdere tempo in una stremante ricerca del Passo Gries, punto di riferimento il baitelld, tra vento e neve, travolgenti ed accecanti; non fu abbandonato il giovane Galliena che era caduto in un crepaccio e con manovre faticose fu tratto a salvamento e non furono abbandonati, se non dopo prolungati tentativi di soccorso da parte del Bertolini, del Rossi, dell'Ascoli, del Zavelani e del Galliena e se non dopo l'accertamento dell' inutilità di ogni possibile aiuti, i tre poveri giovanetti Colombo, Vannotti e Colombi, caduti uno dopo l'altro nel breve giro di tre quarti d'ora nelle gelide morse mortali.

Le salme dei tre ragazze deceduti nella tormenta

In particolare, per concorde e confortante dichiarazione di tutti i testimoni oculari, il Bertolini si prodigò nell'aiutare e assistere tutti, fermandosi presso ad ognuno, somministrando cordiali e rincuorando moralmente e materialmente fino all'esaurimento; e decidendosi a lasciarli spinto dalla gravissima necessità incombente di portare a salvamento gli altri pericolanti, soltanto dopo aver accertato che i cari corpi erano ormai inanimati e non suscettibili di alcun ricupero vitale. In questo senso hanno deposto pure tutte le parti lese, cioè i genitori dei defunti che nulla intendono richiedere alla giustizia penale, ispirandosi a motivi di piena solidarietà verso la persona del capo comitiva, che vanno tenuti in conto doveroso.

Le conclusioni

Da quanto si è rivelato risulta dimostrato che per l'organizzazione l'esecuzione della gita non solo è stato fatto lo strettamente necessario e sufficiente, ma altresì quanto occorreva in più per un largo margine di sicurezza, appunto perché l'impresa costituiva una vera e propria
esercitazione a carattere sportivo e pedagogico.
Per contro è riuscito ben provato che l'infernale bufera che avvolse e travolse in parte la comitiva degli escursionisti fu di carattere veramente eccezionale. Durò circa 48 ore ininterrotta, dal primo pomeriggio del 28 dicembre al pomeriggio del 30 dicembre (cfr. guida alpina Baker Achille) tanto è vero che le squadre di salvataggio partite il 30 dicembre per ricuperare i corpi rimasti sotto la candida coltre stentavano a stare in piedi per la violenza del vento che soffiava come nei precedenti giorni con una velocità intorno ai 100 km. orari, e dovettero ritornare alla base senza poter raggiungere il preteso obiettivo. Neve continua, visibilità ridotta a pochi metri, temperatura discesa ai 20-25 gradi sotto zero.
Insomma, disse la guida cinquantatreenne Baker Achille, "per quel che mi ricordo non si era mai verificata una tempesta così forte e terribile come quella del 28 dicembre 53"


Costruzione della cappella rifugio

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