Passa ai contenuti principali

Fame!

Non é più un problema attuale, o almeno, non per il mondo occidentale. Soffrire o addirittura morire di fame da queste latitudini é impossibile, il problema é invece il contrario; cercare di non ingrassare troppo.

Così mentre oggi ci permettiamo di non mangiare il cornicione della pizza o le verdurine che accompagnano la bistecca, fino a pochi anni fa la situazione era ben diversa. Una testimonianza indiretta giunge sempre dalla mia nonna: ogni volta che tronavo a casa dopo esser stato via per una settimana, vuoi per il servizio militare o perché studiavo al nord delle alpi, la prima domanda martellata a ripetizione era sempre la stessa: "Hai mangiato? Devo farti la qualcosa? Ma hai mangiato?"

Questa sua domanda ripetuta in maniera quasi ossessiva mi da ad intendere che ai suoi tempi forse non era così scontato mangiare in maniera soddisfacente ogni giorno. 

Morir di inedia. L’istinto di sopravvivenza ci porta a compiere atti bestiali, come la donna in secondo piano intenta a brucare. Fino dove può spingerci questo istinto?

Se poi andiamo indietro di altri 150 anni, bypassando allegramente le due guerre mondiali, troviamo già i casi limite. Bastavano le bizze del tempo a segnare le sorti di un intera generazione. 
Altro caso classico sono le condizioni di guerra. In questo caso le invasioni di Russia con il relativo inverno sono terre fertili per chi voglia morire di fame (scusate l'orribile gioco di parole).

Ecco dunque una breve tournée nei meandri della fame più crudele incontrata tra le varie letture e musei da me affrontati fino ad oggi.

Medioevo: restare senza pane

Uno dei terrori più diffusi riguardava eventi contingenti quali carestie, inondazioni e terremoti. Calamità naturali che l'uomo sapeva di non poter né prevedere né controllare. Si trattava di eventi nemmeno troppo rari, vista anche la fragilità del sistema produttivo e la quasi totale assenza - almeno nei primi secoli del Medioevo - di pianificazione ambientale. Alle pagine di Gregorio di Tours è consegnata la memoria della grande magra che flagellò le Gallie alla fine del VI secolo. La popolazione, inerme di fronte alla mancanza di viveri, si ingegnò allora ricavando il pane - l'alimento per eccellenza - da quel poco che riusciva a trovare: semi di uva, nocciole, persino le radici delle felci, che polverizzate servivano a rimpolpare la scarsissima farina rimasta nei granai. Addirittura - la testimonianza è degli Annali di Saint Bertin - si finiva per mischiarvi la terra.

Il terzo dei quattro cavalieri dell'Apocalisse , 
associato alla carestia. Apocalisse di Bamberg , intorno all'anno 1000.

La carestia, quando si verificava, toccava tutti - o quasi - allo stesso modo. E non c'era maniera di scamparvi. Un esempio eloquente è ciò che accadde tra il 1315 e il 1317, quando complici le piogge incessanti e le temperature insolitamente rigide i raccolti non maturarono o marcirono nei campi gettando nel panico intere regioni d'Europa.

I prezzi lievitarono a dismisura, fino al 300%, e tutti, salvo i più ricchi, dovettero arrangiarsi ricavando cibo dalle radici e dai pochi frutti spontanei dei boschi. Ma alla lunga anche i più facoltosi si trovarono in difficoltà. Persino i sovrani - il re d'Inghilterra Edoardo i in primis - si videro costretti a fare i conti con la penuria di risorse. La disperazione era tale che non si esitava a ricorrere a gesti estremi: dopo che tutti gli animali da lavoro e da tiro furono macellati, ci si gettò sulle carogne. Non mancarono nemmeno i casi di cannibalismo. Nessuno si sentiva più sicuro e si scrutava il cielo con terrore, come in attesa di una maledizione definitiva.


Per tentare di comprendere lo stato d'animo dei tempi, il testimone migliore è Rodolfo il Glabro, che scrisse pagine terribili sulla già citata carestia del 1033 provocata da tre anni di piogge torrenziali. Sentiamo ancora la sua voce: «Dopo aver mangiato - scrive - le bestie selvatiche e gli uccelli, gli uomini si misero, sotto la sferza di una fame divorante, a raccogliere, per mangiarle, ogni sorta di carogne e di cose orribili a dirsi. Certi, per sfuggire alla morte, ricorsero alle radici delle foreste e alle erbe. 

Una fame rabbiosa spinse gli uomini a cibarsi di carne umana. I viaggiatori dovevano stare attenti alle imboscate.

Molte persone che si trasferivano da un luogo all'altro per fuggire la carestia e lungo il cammino avevano trovato ospitalità, furono sgozzate durante la notte e servirono di cibo a coloro che le avevano accolte. Molti, mostrando un frutto o un uovo a qualche bambino, lo attiravano in luoghi appartati per massacrarlo e divorarlo. In molti posti i corpi dei defunti furono strappati alla terra e anche essi servirono a placare la fame.

Questa rabbia delirante arrivò a tali eccessi che le bestie rimaste sole erano più sicure degli uomini di poter sfuggire alle mani dei rapitori.

E ancora:

Nella regione di Mâcon molti traevano dal suolo una terra bianca simile ad argilla e la mescolavano con quel tanto di farina o di crusca che avevano e con questo miscuglio facevano pani grazie ai quali contavano di non morir di fame

pratica che peraltro dava soltanto una speranza di salvezza e un sollievo illusorio. Non si vedevano che visi pallidi ed emaciati; molti avevano la pelle tesa da gonfiori; le voci stesse erano diventate esili, simili al fioco grido di uccelli morenti...

Ritirata Napoleonica dalla Russia

Che la Russia sia imprendibile l'ha dimostrato la storia, più che il valore dei generali russi fu il general inverno a proclamarne l'invincibilità; alle rigidissime condizioni climatiche va aggiuntai l'immensità del territorio, Mosca é estremamente lontana e le linee di rifornimento portano a problemi logistici insuperabili

Dipinto di Vasilij Vereshchagin intitolato "Il bivacco notturno dell'esercito napoleonico durante la ritirata dalla Russia nel 1812”

Giorno dopo giorno ci si rende conto che ormai le poche vivande che si hanno riusciti a portare da Mosca sono ormai completate, completamente finite. Bisogna cercare di mangiare quello che si trova e la fonte di cibo principale che si può trovare sono i cavalli, i cavalli morti, ma bisogna mangiarli appena cadono al suolo, quindi magari finirli, dargli il colpo di grazia e poi mangiarli, bere il sangue ancora caldo che ghiaccia rapidamente le stesse parti del corpo del cavallo, diventano rapidamente dei blocchi di ghiaccio, quindi bisogna staccarli. 
Non tutti i soldati hanno ancora la scure, devono cercare di tagliarli con le baionette o come possono strappando brandelli di carne a mani nude e mangiandole così perché non hanno neanche il tempo di cuocerle, tenuto conto che spesso arrivano i cosacchi e che interrompono anche questi brevi momenti di pausa. 
Molti non riuscendo a fare altro staccano delle carni ghiacciate, ma si rendono conto che sono sangue, sangue ghiacciato e si portano dietro blocchi di sangue ghiacciato che vengono messi dentro i calderoni che i soldati si portano indietro, buttati lì, liquefatti al momento e poiché spesso arrivano i russi e questi devono mettere la mano dentro il calderone durante la ritirata e hanno tutti la faccia sporca di sangue, quindi sembra un enorme esercito di vampiri. 

Dal diario del sergente Bourgogne

Abbiamo continuato il nostro viaggio calpestando morti e morenti. Ci fermammo vicino a un bosco, dove un soldato della compagnia vede un cavallo abbandonato. Molti di noi si sono radunati per ucciderlo, ciascuno ne pretende un pezzo, ma nessuno aveva un'ascia o la forza per tagliarlo. Così lo dissanguammo e il sangue lo raccogliamo in una pentola presa da una mensa tedesca. Come sempre abbiamo trovato fuochi abbandonati, l'abbiamo cucinata mettendovi dentro la polvere da sparo per condire, ma a malapena metà abbiamo visto una legione di cosacchi. Abbiamo avuto però il tempo di mangiarlo così com'era e con entrambe le mani, così che i nostri volti e i nostri vestiti fossero imbrattati di sangue. 
Eravamo spaventosi da vedere ed eravamo pietosi.

Il generale Eblé disegnato da Pils il 28 novembre mentre esorta gli sbandati ad attraversare il frume prima cbe egli incendi i ponti. Si noti il soldato in primo piano che apre lo stomaco di un cavallo con la sciabola per prelevarne cuore e fegato, nutrimento molto apprezzato.

La minestra degli spartani

«Facevamo il nostro pastone con ogni genere di farina mescolata con la neve sciolta» spiegava il capitano François. «Quindi buttavamo dentro la polvere di una cartuccia, che aveva la virtù di salare o perlomeno di esaltare il sapore blando del cibo preparato in tal modo.» Duverger, l'ufficiale pagatore della divisione di Compans, mise per iscritto la ricetta di quella che battezzò «la minestra degli spartani»: 

«Sciogliete un po' di neve, di cui vi occorrerà una grossa quantità per ottenere un po' d'acqua; mescolatevi la farina; poi, mancando il grasso, versate un po' di grasso degli assali e in mancanza di sale un po' di polvere da sparo. Servitela calda e mangiatela quando sarete realmente affamati».

Walter, p. 53; François, II, p. 827; Duverger, p. 14.

I cavalli, che erano riusciti ad andare avanti mangiando corteccia d'alberi e gli arbusti o le erbacce che spuntavano dalla neve e succhiando la neve se non c'era acqua, non potevano strappare via la corteccia congelata né sgranocchiare il ghiaccio e quindi morivano a migliaia. Ma un cavallo morto diventava duro come un sasso nel giro di pochi minuti ed era impossibile tagliarne via la carne. Quindi era essenziale trovarne uno ancora vivo per potergli prendere la carne.
C'era solo un breve passo da questo al tagliare una bistecca dal posteriore di un cavallo quando il suo proprietario non guardava. Gli animali non provavano dolore a causa del freddo e il sangue congelava all'istante. Potevano andare avanti giorni con quei tagli al posteriore, ma alla fine la ferita si infettava e cominciava a trasudare pus, che congelava anch'esso.



Questo particolare da un acquerello di un soldato francese anonimo mostra i soldati che fanno a pers un cavallo per prenderne la carne.

Un'altra pratica consisteva nel tagliare una vena del cavallo per succhiarne il sangue oppure raccoglierlo in un recipiente e bollirlo con un po di neve per rendere più nutriente qualche magra minestra. 

Alcuni tagliavano e mangiavano la lingua di un cavallo ancora vivo. Ma il nutrimento migliore si otteneva aprendone completamente il ventre per strappargli il cuore e il fegato mentre erano ancora caldi, ed era ciò che succedeva sempre più spesso agli animali che, non riuscendo più a procedere, venivano abbandonati dai loro padroni."

Cannibalismo

La pratica si fece più comune quando, sotto la pressione delle condizioni nell'ultimo tratto della ritirata, cedettero le barriere psicologiche. «Ho visto - e non lo confesso senza una certa vergogna - ho visto alcuni prigionieri russi spinti all'estremo limite dalla fame devastante che li possedeva, non essendoci razioni sufficienti per i nostri soldati, gettarsi sul corpo di un bavarese appena morto, farlo a pezzi con i coltelli e divorare i brandelli sanguinanti della sua carne» scrive Amedée de Pastoret. «Vedo ancora la foresta, l'albero stesso ai cui piedi si svolse quella scena orribile, e vorrei poterne cancellare il ricordo con la stessa rapidità con cui fuggii da quella vista.»"

Il 1 dicembre il tenente Uxkull annotava sul diario di aver visto uomini che «rosicchiavano la carne dei loro compagni» come «bestie selvagge». Il capitano Amoldi dell'artiglieria russa vide «un gruppetto di (soldati francesi) intorno a un fuoco che tagliavano via le parti più tenere di un loro compagno moribondo per mangiarle» mentre quello faceva fuoco contro una colonna francese che si ritirava. Il generale Langeron, che seguì la ritirata tra la Beresina e Vilnius, non assistette a episodi di cannibalismo, ma vide morti dalle cui cosce erano state tagliate strisce di came per quel motivo."


Un moribondo spogliato dai suoi compagni, acquerello di un partecipante non identifcato.

Francesco Pisani che è un tenente dell'artiglieria piedi italiana racconta questo episodio. Presso una casa semidistrutta erano più di 20 infelici nudi e accatastati, molti erano morti e quelli che erano in vita quasi come forsennati, si cibavano delle carni dei propri compagni rodendo nelle braccia e le cosce. Anche qua in maniera molto difficile perché immaginate voi lo stato d'animo di queste persone, persone che evidentemente si rendono conto che sono ridotti a poco più delle bestie, ci sono degli altri brani nei quali i propri soldati si rendono conto di essere ridotti a poco più degli animali, degli spettri e chiaramente ne parlano coloro che sono rimasti vivi, perché possiamo solo immaginare le sofferenze passate da queste migliaia e migliaia di disgraziati che sono morti, dei quali non sappiamo più nulla.

No limits

Vi è chi, come Daru e Marbot, nega che si sia mai verificato alcun atto di cannibalismo, e Gourgaud è decisamente scettico, ma l'evidenza è contro di loro, così come le probabilità. «Bisogna aver provato i morsi della fame per poter valutare la nostra posizione» scriveva il sergente Bourgogne, il quale ammette che avrebbe potuto ricorrere a quella pratica. «E se non ci fosse stata carne umana avremmo mangiato il diavolo stesso, se qualcuno ce l'avesse cucinato.» 

La fame atroce spingeva le persone a fare qualunque cosa. 

«Non era impossibile neppure che un uomo rosicchiasse il proprio corpo affamato»

scrive Vossler, mentre Raymond Pontier, un chirurgo assegnato al quartier generale, rilevò parimenti il fenomeno."

Ségur, V. p. 448; Marbot, III, p. 215. Gourgaud, p. 480. Per una conferma da parte francese vedi Ségur, V, p. 382; Kurz, p. 199 ecc. Per le citazioni: Bourgogne, p. 78; Vossler, p. 92; Pontier, p. 16.

Prima guerra mondiale

La maggior parte dei prigionieri viene portata a Mauthausen e a Theresienstadt, in quelle che saranno chiamate «le città dei morenti». La Germania non ha cibo per i propri soldati, figuriamoci se può nutrire bene i prigionieri, che ricevono perlopiù una brodaglia a base di patate e cavolo e pane fatto con farina di ghiande e paglia. 

Per lenire la fame, i reclusi inghiottono acqua, terra, erba, carta, sassi. 

Nelle foto dei prigionieri italiani non è possibile distinguerli dai reclusi nei campi di concentramento di trent'anni dopo. Nelle lettere ai famigliari chiedono ossessivamente cibo. Il governo italiano accetta, dopo le pressioni della Croce Rossa, che i famigliari mandino pacchi alimentari (al massimo 5 chili) con cibo, vestiti e oggetti. Ma a causa della disorganizzazione, una grande quantità di pacchi si blocca alla frontiera, si smarrisce oppure arriva in grande ritardo, così da rendere immangiabili alimenti deperibili.

La decisione del governo italiano, profondamente criticata dalla Croce Rossa, è letale: dei 600.000 prigionieri italiani, 100.000 moriranno di fame e freddo - particolarmente rigido per i prigionieri che non hanno di che vestirsi perché hanno ormai barattato i vestiti per un po' di cibo. Di notte, nelle baracche prive di riscaldamento, la temperatura scende sotto zero.
La mattina si raccolgono i cadaveri dei militari morti assiderati.

Vita di un poveruomo del Toggenburgo (XVIII secolo)

Nella Svizzera orientale ho trovato tracce di profonda carestia già durante la mia visita al museo della casa del serpente a Werdenberg. La corteccia esposta é uno di quegli oggetti che difficilmente si possono dimenticare

Il cartellino esplicativo mi conferma che questo pezzo di corteccia non é stato messo li da qualche burlone. La linfa e la corteccia di betulla erano medicinali. "Si pensava che aiutassero a risolvere i problemi renali, a purificare l'urina o a combattere le macchie della pelle. Si diceva che la gente mangiasse la corteccia di betulla durante i periodi di carestia." 


La povertà si aggravò a tal punto, in quel periodo, che furono non pochi coloro che, ridotti alla miseria più nera, attendevano con impazienza la primavera per andare in cerca di radici e di erbe con cui nutrirsi. lo stesso, d'altro canto, ne misi in pentola una gran quantità. In fondo, avrei preferito nutrire i miei poveri figli di foglie fresche piuttosto che imitare quel miserevole compaesano che vidi coi miei occhi mentre, insieme ai suoi figli, staccava a colpi di scure la carne di un cavallo morto per infilarla poi in un sacco. Di quella carne, per giorni e giorni, si erano già cibati cani e uccelli.
Ancora oggi, quando torno col pensiero a quella scena, avverto un brivido di orrore in tutte le membra.

Dai racconti di Plinio Martini “il fondo del sacco”

Se invece vogliamo affrontare il tema in tempi ancora più recenti e dalla nostre latitudini l’ avvincente “il fondo del sacco” di Plinio Martini giunge in, così per dire, soccorso.

La slitta

A quel tempo, nelle annate peggiori si macinava la scorza dei faggi per allungare la farina.
(Qui lo scrivente racconta la carestia che aveva colpito la valle tra il 1816 e il 1817)

“…e uno di quegli anni i Tonella, tu lo sai come diventa il frassino cribrato dai tarli, ebbene i Tonella fecero macinare una slitta tarlata. Una slitta sotto la mola a far farina.”

Mamma ti vedo

(...) Oggi i Tuni se la cavano bene, ma allora erano una casa di miseria; di Giovanni, che aveva la mia età, ci raccontavano che quando da bambino sua madre gli dava la fetta di pane, lui se la metteva davanti agli occhi e diceva: «Mamma, vi vedo»

A causa della sottigliezza della fetta di pane, il ragazzo riesce a vedere attraverso la mollica. Nell'espressione resiste l'ant. pronome personale di cortesia (voi).

Acqua bollita

«brodo preparato con farina, sale, cipolle arrostite nel burro, il tutto allungato con acqua»

E di certe sorelle raccontava, che in primavera, quando l'acqua bollita diventava sempre piú lunga," si lamentavano con la madre, e le dicevano: «Per tirarci su con le viole, quando siamo nate potevi ben darci una pedulata in testa».

Lo scarto degli Alpi 

La madre era morta a furia di andare a dormire digiuna per non toglierne a quei piccoli: comprava per pochi soldi lo scarto degli alpi, ricotta e formaggio an. dati a male, rifiuti che gli altri davano alle bestie d'ingrasso, e metteva quella roba salata e pepata nei mastelli, e i figli la dovevano mangiare magari con dentro i vermi, oppure la trovavano come condimento nella minestra che in quel mo. do era diventata un beverone da maiali. Ma la fame è fame, i ragazzi mangiavano e i mastelli d'estate erano sempre vuoti e pronti per un'altra salatura. Il padre dei Cavergni, quando poteva si ubriacava; e io pensavo fra me che doveva averli risparmiati cosí i danari per le sue sbornie; allora non avevo ancora la pazienza di capire che anche quel vizio è una disgrazia che uno si tira dietro come un'altra malattia.

In cantina

Questo è il caso piú triste che conosca di Cavergno, insieme all'altro, del ragazzo che il maestro manda a casa a prendere il quaderno, e a casa non trova nessuno; sente però qualcosa in cantina e vi scende tenendo il fiato: erano i suoi vecchi che di nascosto mangiavano bene, pane e salame e vino, roba che in casa non si era mai veduta. Il ragazzo, uno di quelli che avevano le budella lunghe a furia di acqua bollita, non ebbe neanche il coraggio di fiatare, e corse via.

La mamma dorme

Mi raccontava per esempio la storia di una donna di Roseto che trovarono morta nel letto. Era una Solaro e ne aveva sposato uno senza l'accordo dei genitori di lui, a quel tempo non si scherzava col permesso dei vecchi, e l'uomo per mantenere la moglie e il figlio era emigrato in Francia.

Era d'estate e la povera donna basiva sola col suo bambino a Roseto di dentro, e quel piccolo tutti i giorni veniva alla terra di fuori dai nonni paterni a chiedere un pezzo di focaccia: la donna non osava farsi vedere per via dei contrasti che c'erano stati. A casa dei nonni al piccolo domandavano: 

«Cosa fa la mamma?» e lui non sapeva dire altro che: dorme, dormi oggi e domani, un bel giorno pensano che è meglio andar dentro a vedere. Cosi si accorsero che da almeno due notti il bambino riscaldava col suo calore d'innocente vivo il corpo della madre morta d'inedia.

Radici commestibili 

Il giudice si fermava, puntava il dito a segnare un grand'arco in giro, e diceva:  "Lo sai come furono costruiti i chilometri di sostene della nostra valle?"
Naturalmente io non lo sapevo, e lui a spiegarmi che erano i piú miserabili che accettavano di scavare il terreno dei pendii e di tirare in piedi quei muri col solo compenso delle radici trovate durante lo sterro: una giornata di lavoro per un cavagno di radici dolci, cosi le chiamavano, penso fossero radici di felci e di raperonzoli, buone per non morire di fame durante l'interminabile primavera.


Commenti

Post popolari in questo blog

Suvorov55 - L’epopea di un esercito in Svizzera - Parte2: Risalendo il Ticino

Prosegue il viaggio fianco a fianco del generale Suvorov e la sua armata. Certo non capita tutti i giorni di veder sfilare un armata sotto casa. Quali le reazioni e le ripercussioni e le conseguenze nelle povere terre ticinese? In questa tappa seguiamo l'esercito percorrere un sottoceneri ancora poco stabile sulle sue gambe dopo la scacciata dei Lanfogti Piccolo padre Così la spedizione di Suwaroff in Isvizzera fu decisa: dal suo campo di Asti egli lanciava il 5 settembre 1799 un ordine del giorno pieno di entusiasmo alle sue truppe agguerrite e ben riposate e senz’indugio mettevasi in marcia verso il Cantone Ticino per Gallarate, Varese, Ponte Tresa. Souwaroff era pieno d’umore bellicoso: vecchio d’oltre 70 anni ma arzillo e noncurante dei disagi, ora caracollava frammezzo ai cosacchi ridendo e cantando con essi, ora con parole incoraggianti spronava alla marcia i suoi granatieri , ed i moschettieri mitrati, che in lunghe colonne per sei divoravano le larghe strade lombarde. Fisi...

Museo della riforma di Ginevra 3 - Icone e iconoclastia

In un secolo dove l'analfabetismo si aggira al 90% il potere delle immagini la fa da padrone. Come visto in passato la bibbia veniva disegnata sulle pareti delle chiese, le icone prendevano ancor più piede. E come qualcuno impone delle icone qualcun'altro vuole eliminarle perché non attinenti al suo pensiero. Ecco con parole mia l'iconoclastia: una parola probabilmente udita almeno una volta, ma proprio per quello difficile da ricordare, ma anche se si ricordasse sarebbe assai difficile al giorno d'oggi trovare un iconoclasta praticante....ok, ho capito..... Iconoclastia protestante La Riforma diffidava della superstizione. Combatteva l'infatuazione dei devoti per le immagini e le statue, nel rispetto letterale del secondo dei dieci comandamenti dell'Antico Testamento, che proibisce la rappresentazione materiale di Dio. Nella prima parte del XVI secolo, i riformatori radicali distrussero immagini, dipinti e sculture in campagne iconoclaste, che Lutero, Zwingli ...

L’occhio di vetro

Giungendo un collega in ufficio con un occhio guasto sono iniziate alcune discussioni sull'argomento. In breve tempo, degenerando, ci si é spostati sul curioso tema degli occhi di vetro. In particolare, non ne ricordo l'origine, quella paura di svegliarsi durante la notte e bere quel bicchiere d'acqua appoggiato sul comodino, magari quello contenente l'occhio di vetro. Fantascienza? La storia dell'occhio ingurgitato sa molto di leggenda metropolitana. Molto meno invece l'occhio di vetro. Esso, come molti altri, é uno di quegli argomenti pronti a saltar fuori alla prima occasione valida, occasione che mi si para davanti durante la visita del Moulage Museum dell'università di Zurigo. Esso consiste in u ampio locale in cui sono presenti diverse vetrine contenenti ricostruzioni di tutte quelle orribile malattie che possono accorrere all'uomo. Dalla lebbra alla necrosi passando per le "classiche emorroidi". Di tutto e di più. Nella vetrina dedicata ...

Il Lazzaretto di Milano

Per completare le letture sulla pestilenza che colpì Milano, origine di diversi spunti ( qui , qui e qui ), decido di recarmi direttamente sul posto per cercarne i resti. Si perché se “se non si va direttamente sul posto si gode solo a metà”  Storia del Lazzaretto In un'epoca nella quale le condizioni igieniche erano davvero precarie, nasceva la necessità di adibire alcune strutture alla degenza e all'isolamento degli appestati durante le epidemie. Per questo motivo venne costruito il Lazzaretto, struttura che ogni città avrebbe dovuto avere per garantire un minimo di assistenza ai malati e per difendersi dall'espansione del contagio. Ciò che però non si sapeva era come trattare con la peste. Nei lazzaretti i malati erano di fatto isolati in attesa della morte. Esterno del Lazzaretto e porta di accesso Il primo Lazzaretto di Milano sorse molto distante dalla città, a Cusago tra il 1447 e il 1450, ma si rivelò troppo lontano durante la peste del 1451. Era necessaria una str...

Giordano Bruno

Giordano Bruno. Scagli la prima pietra che non ha mai udito tale nome. Probabilmente se si conosce il nome si saprà anche come ha finito i suoi giorni; bruciato vivo. Stop. Ma non basta. Così come non basta passare a velocità supersonica in piazza campo dei fiori a Roma per una rapida occhiata al monumento a lui dedicato. Ci sarà pur un motivo se tra migliaia di messi al rogo a lui hanno fatto la statua. Che diamine. Questi i pensieri mentre riguardo gli scatti strappati a Campo dei fiori in una soleggiata giornata primaverile. A distanza di due anni approfondisco il personaggio e il percorso che lo ha portato ad essere ridotto in cenere a Roma, a poche centinaia di metri della capitale di Gesù Cristo Nostro Signore P.S. É un puro caso che il post esca esattamente lo stesso giorno della sua esecuzione. Il monumento  Nel centro di piazza Campo de' Fiori, in mezzo alle bancarelle del mercato e al vagabondare di romani e turisti, si leva il monumento a Giordano Bruno. Il filosofo è tu...

Hotel Dakota

A volte i musei sono nei posti più insoliti. Un evento particolare può infatti essere preso come filo rosso per l'arredamento di un albergo. Questo é quello che hanno deciso i gestori dell'albergo Dakota a Meiringen Hall dell'hotel Dakota di Meiringen L'incidente Il 18 novembre 1946, un Dakota C-53 americano decollò da Vienna con dodici passeggeri per un volo diretto a Pisa. Dopo lo scalo a Monaco, il pilota Ralph Tate decise di sorvolare le Alpi svizzere e sbagliò le condizioni di altitudine. Volando troppo basso, l'aereo sfiorò il ghiacciaio Gauli a 3350 metri di altitudine a una velocità di 280 km/h. L'aereo sbanda nella neve alta, supera dei crepacci e alla fine si  ferma, senza che i 12 occupanti riportassero ferite pericolose per la vita. A bordo c'erano quattro membri dell'equipaggio e otto passeggeri, tra cui quattro donne, alti ufficiali dell'esercito americano e una bambina di 11 anni. La nebbia e i forti venti costrinsero il Dakota ad att...

Marignano 1515: la battaglia dei giganti secondo il Traxino

Trovo miracolosamente un altro testo inerente la battaglia di Marignano. Vero crocevia della storia svizzera. Questa pubblicazione risulta particolarmente interessante perché arricchita (quasi la metà del testo) da numerosissime note  L'Europa è in fermento, la prospettiva che un'area geografica di importanza fondamentale come il ducato di Milano sia caduta in mano agli svizzeri e al loro comandante, cardinal Schiner, è ritenuta inaccettabile, seppur con la poco credibile assunzione al trono di un figlio del Moro, Massimiliano Sforza, manovrato dallo Schiner e senza nessun margine d'azione autonoma. Nonostante l'indubbio impegno e coraggio da essi profuso, unitamente alle elevate perdite, durante il secondo giorno è ormai evidente a tutti che il vincitore della battaglia è l'esercito francese. Gli svizzeri cominciano a ritirarsi dal Ducato, protetti da alcune robuste retroguardie, rientrando nei propri territori, ma a testa alta: hanno infatti ben combattuto ed il l...

L’arte di invecchiare

Finché lo scorrere del tempo non diventi uno dei principali pensieri o addirittura sfoci in un ossessione stiamo sicuramente navigando nelle tumultuose acque della gioventù. Inesorabile é purtroppo il passare del tempo, ma questo lo si avverte con lo "scollinamento" (vedi capitolo sotto). All'improvviso sembra tutto fragile, insicuro, ci si rende conto che al contrario dei videogiochi la vita é una sola, appesa ad un filo che potrebbe rompersi da un momento all'altro. Da qui si impone profonda riflessione e una ricerca di filosofie capaci di accompagnarci con grande serenità al più democratico dei giorni.  Negli appunti lasciati di Schopenhauer, e nuovamente racchiusi in un vademecum tascabile trovo alcune risposte a questi pensieri tipicamente serali giusto "prima di spegnere la lampada sul comodino”.  Maestro della sponda superiore del Reno - Dittico: Hieronymous Tschckenbürlin e la morte, 1487 Museo d'Arte Basilea Definizione della vita secondo Schopenhaue...

Una nuova partenza

Ho gestito un blog dal 2004 al 2016 Dal 2016 ho preso una pausa, nel frattempo il mio stile di vita e i miei interessi sono mutati, si potrebbe sostenre che sono passato dall'epoca "tardo bimbominkia" al "consapevole di un esistenza da sfruttare bene", o ancora, come amo dire, aver cambiato la mia stagione umana, che sia da "primavera a estate" o da "estate a autunno" non l'ho ancora capito. Nel frattempo i miei interessi si sono spostati fondamentalmente su due temi: montagna e storia. Perché Suvorov55? Suvorov55 é un nome che riesce a racchiudere entrambe le mie passioni, cosa abbastanza difficile in una parola; si tratta di un percorso proposto da una delle innumerevoli app di escursionismo che propone di ripercorrere il percorso fatto dal generalissimo Suvorov nelle alpi svizzere nel contesto delle guerre napoleoniche, il percorso si chiama appunto Suvorov55 ed é una dei miei innumerevoli obiettivi che mi sono proposto di raggiungere....

VERSO

Quello che ci si para dinnanzi é sempre solo una facciata, un lato della medaglia, solitamente il più bello. Ma per conoscere bene qualcuno occorre mangiarci un sacco di sale assieme. L'operazione di scoprire il lato oscuro dei quadri é decisamente più semplice ma raramente non viene trattato perché il lato bello prende per se tutto l'interesse in quanto decisamente la più degno di ammirazione. Si potrebbe dire la stessa cosa dei singoli delle canzoni che uscivano con una seconda traccia, le famose B Sides, sempre un po' bistrattate, a torto, in quanto anche loro erano delle perle destinate a rimanere a vivere all'ombra della parte bella. Ma ritorniamo ai quadri, la Kunsthaus di Basilea decide di farci scoprire cosa sta dietro ai quadri. A oggi non mi sono mai posto grandi aspettative al riguardo, l'unico punto a riguardo erano le ali delle pale d'altare, che vengono solitamente esposte aperte nei musei, ma che nella realtà erano in questa posizione in corrispon...