Non é più un problema attuale, o almeno, non per il mondo occidentale. Soffrire o addirittura morire di fame da queste latitudini é impossibile, il problema é invece il contrario; cercare di non ingrassare troppo.
Così mentre oggi ci permettiamo di non mangiare il cornicione della pizza o le verdurine che accompagnano la bistecca, fino a pochi anni fa la situazione era ben diversa. Una testimonianza indiretta giunge sempre dalla mia nonna: ogni volta che tronavo a casa dopo esser stato via per una settimana, vuoi per il servizio militare o perché studiavo al nord delle alpi, la prima domanda martellata a ripetizione era sempre la stessa: "Hai mangiato? Devo farti la qualcosa? Ma hai mangiato?"
Questa sua domanda ripetuta in maniera quasi ossessiva mi da ad intendere che ai suoi tempi forse non era così scontato mangiare in maniera soddisfacente ogni giorno.
Ecco dunque una breve tournée nei meandri della fame più crudele incontrata tra le varie letture e musei da me affrontati fino ad oggi.
Medioevo: restare senza pane
Uno dei terrori più diffusi riguardava eventi contingenti quali carestie, inondazioni e terremoti. Calamità naturali che l'uomo sapeva di non poter né prevedere né controllare. Si trattava di eventi nemmeno troppo rari, vista anche la fragilità del sistema produttivo e la quasi totale assenza - almeno nei primi secoli del Medioevo - di pianificazione ambientale. Alle pagine di Gregorio di Tours è consegnata la memoria della grande magra che flagellò le Gallie alla fine del VI secolo. La popolazione, inerme di fronte alla mancanza di viveri, si ingegnò allora ricavando il pane - l'alimento per eccellenza - da quel poco che riusciva a trovare: semi di uva, nocciole, persino le radici delle felci, che polverizzate servivano a rimpolpare la scarsissima farina rimasta nei granai. Addirittura - la testimonianza è degli Annali di Saint Bertin - si finiva per mischiarvi la terra.La carestia, quando si verificava, toccava tutti - o quasi - allo stesso modo. E non c'era maniera di scamparvi. Un esempio eloquente è ciò che accadde tra il 1315 e il 1317, quando complici le piogge incessanti e le temperature insolitamente rigide i raccolti non maturarono o marcirono nei campi gettando nel panico intere regioni d'Europa.
I prezzi lievitarono a dismisura, fino al 300%, e tutti, salvo i più ricchi, dovettero arrangiarsi ricavando cibo dalle radici e dai pochi frutti spontanei dei boschi. Ma alla lunga anche i più facoltosi si trovarono in difficoltà. Persino i sovrani - il re d'Inghilterra Edoardo i in primis - si videro costretti a fare i conti con la penuria di risorse. La disperazione era tale che non si esitava a ricorrere a gesti estremi: dopo che tutti gli animali da lavoro e da tiro furono macellati, ci si gettò sulle carogne. Non mancarono nemmeno i casi di cannibalismo. Nessuno si sentiva più sicuro e si scrutava il cielo con terrore, come in attesa di una maledizione definitiva.
Una fame rabbiosa spinse gli uomini a cibarsi di carne umana. I viaggiatori dovevano stare attenti alle imboscate.
Questa rabbia delirante arrivò a tali eccessi che le bestie rimaste sole erano più sicure degli uomini di poter sfuggire alle mani dei rapitori.
E ancora:
Nella regione di Mâcon molti traevano dal suolo una terra bianca simile ad argilla e la mescolavano con quel tanto di farina o di crusca che avevano e con questo miscuglio facevano pani grazie ai quali contavano di non morir di fame
Il regno di Münster
Fatti tanto macabri si erano già verificati durante l'inverno. Ora però, con la primavera, è sopraggiunta sulla Città Santa la fame, quella reale, rabbiosa: è scomparso lo stillante lardo affumicato del banchetto apostolico, mancano i miseri resti del pane raffermo, è svanita la stessa carne di cavallo, si è giunti al punto in cui « le donne e i bambini cominciarono a gridare chiedendo pane». Ricompaiono i diaconi e sequestrano i miseri resti nascosti nelle cassepanche ai piedi dei letti e addirittura in luoghi meno decenti: « Ciò che riescono a trovare prende il via, sia grasso od olio o sale o strutto. Nulla è così insignificante da non dover essere sottratto alla gente ».
Ormai non c'è più nulla da distribuire. Un'ordinanza del re ha stabilito che vi siano i « preposti al frumento», i « preposti al grasso», i « preposti alla carne salata», ma essi non dispongono né di frumento né di grasso né di carne salata; a primavera la razione di farina prevista per tre settimane è ridotta a un secchio! Non si tratta più di una carestia di cui un popolo nobile può essere vittima; è il nulla assoluto e la fine della vita. Almeno tutti condividessero ugualmente il medesimo destino, almeno tutti, grandi e piccoli, patissero la tame, almeno, come in quella lontana notte di ottobre, il re sedesse alla medesima tavola con il suo popolo...
Ma non è così. Il re fa requisire allegramente tutto per la propria tavola, stipa i suoi depositi con provviste sufficienti per un anno intero, deruba i poveri e con i suoi cortigiani e con il suo harem siede davanti a prosciutti e salsicce, mentre nelle cadenti case addossate ai bastioni si registrano i primi morti per fame. Qui egli si rivela, il mascalzone; qui è inutile parlare, con il senno del poi, della sua giovinezza
e della sua eloquenza travolgente.
Mentre il re si concede buon tempo, in città la fame alimenta l'opposizione. Almeno esistesse ancora la buona carne di cavallo che nell'inverno era distribuita come bassa macelleria e su cui si trovò tanto da ridire! Ora invece, da Pasqua, si mangia «qualsiasi cosa»: topi, ratti, gatti, ricci, marmotte, bisce dell'Aa; tutto si ingerisce, ossa e pelle, pur di calmare lo stomaco in rivolta, e si è infinitamente felici di potersi procurare tali cibi che una volta erano disdegnati con ribrezzo.
Quanto più si allunga l'arco del sole nel cielo, e quanto più si alza nel suo viaggio stagionale, tanto più il nutrimento dei cittadini si fa turpe, ripugnante e animalesco.
A maggio essi giungono al punto di ingoiare i dorsi di cuoio delle legature dei libri che la furia battista non è riuscita a bruciare e, pur di mettere qualcosa negli intestini, violentano l'esofago con il cuoio degli stivali e preparano brodaglie con pezzi di corregge, che condiscono con il grasso delle candele di sego fuse. Anzi, poco prima della fine di Sion, faranno cose inaudite: essiccheranno lo sterco di vacca e arrostiranno sui loro focolari lo sterco umano raccolto nelle latrine sulle rive dell'Aa. Finché il loro povero corpo finalmente si ribella, ed essi si contorcono nei crampi del vomito
Ma la raccolta dei rifiuti lungo l'Aa non segna ancora il fondo della loro degradazione: fuori tra gli assedianti, e anche nella città, corre di bocca in bocca una voce orribile che si rifiuta di tacere e compare sui giornali e sui fogli che informano l'impero sul folle regno di Dio.
La voce, cioè, che i cittadini di Münster mangino carne umana;
la voce che essi sulla piazza della cattedrale dissotterrino i corpi dei giustiziati spolpandone con i denti le ossa rotte. Ma la voce più orribile è quella secondo cui i genitori uccidono e mettono in salamoia i loro bambini; un sopralluogo avrebbe fornito la prova di pentole piene dell'orrendo contenuto...
Il fatto è sulla bocca della città, dei mercenari che sono là fuori é di tutta l'Europa.
Kerssenbroch cita un caso determinato, quello cioè della moglie del senatore Menken, la quale mise sotto sale e mangiò i suoi tre gemelli.
I bambini mangiano la calce che nella rabbia della fame hanno raschiato dai muri.
Chi può ancora reggersi si trascina sulle grucce, ma aumentano i casi di adulti che crollano morti sulla strada. Il carro patibolare percorre i vicoli raccogliendo i cadaveri che poi vengono gettati nelle fosse comuni, le quali rimangono aperte fino al riempimento, come nei tempi di peste. In quegli ultimi mesi di regime bockelsoniano il numero degli abitanti diminuisce in modo impressionante.
Ritirata Napoleonica dalla Russia
Dal diario del sergente Bourgogne
La minestra degli spartani
«Facevamo il nostro pastone con ogni genere di farina mescolata con la neve sciolta» spiegava il capitano François. «Quindi buttavamo dentro la polvere di una cartuccia, che aveva la virtù di salare o perlomeno di esaltare il sapore blando del cibo preparato in tal modo.» Duverger, l'ufficiale pagatore della divisione di Compans, mise per iscritto la ricetta di quella che battezzò «la minestra degli spartani»:«Sciogliete un po' di neve, di cui vi occorrerà una grossa quantità per ottenere un po' d'acqua; mescolatevi la farina; poi, mancando il grasso, versate un po' di grasso degli assali e in mancanza di sale un po' di polvere da sparo. Servitela calda e mangiatela quando sarete realmente affamati».
I cavalli, che erano riusciti ad andare avanti mangiando corteccia d'alberi e gli arbusti o le erbacce che spuntavano dalla neve e succhiando la neve se non c'era acqua, non potevano strappare via la corteccia congelata né sgranocchiare il ghiaccio e quindi morivano a migliaia. Ma un cavallo morto diventava duro come un sasso nel giro di pochi minuti ed era impossibile tagliarne via la carne. Quindi era essenziale trovarne uno ancora vivo per potergli prendere la carne.
C'era solo un breve passo da questo al tagliare una bistecca dal posteriore di un cavallo quando il suo proprietario non guardava. Gli animali non provavano dolore a causa del freddo e il sangue congelava all'istante. Potevano andare avanti giorni con quei tagli al posteriore, ma alla fine la ferita si infettava e cominciava a trasudare pus, che congelava anch'esso.
Alcuni tagliavano e mangiavano la lingua di un cavallo ancora vivo. Ma il nutrimento migliore si otteneva aprendone completamente il ventre per strappargli il cuore e il fegato mentre erano ancora caldi, ed era ciò che succedeva sempre più spesso agli animali che, non riuscendo più a procedere, venivano abbandonati dai loro padroni."
Cannibalismo
La pratica si fece più comune quando, sotto la pressione delle condizioni nell'ultimo tratto della ritirata, cedettero le barriere psicologiche. «Ho visto - e non lo confesso senza una certa vergogna - ho visto alcuni prigionieri russi spinti all'estremo limite dalla fame devastante che li possedeva, non essendoci razioni sufficienti per i nostri soldati, gettarsi sul corpo di un bavarese appena morto, farlo a pezzi con i coltelli e divorare i brandelli sanguinanti della sua carne» scrive Amedée de Pastoret. «Vedo ancora la foresta, l'albero stesso ai cui piedi si svolse quella scena orribile, e vorrei poterne cancellare il ricordo con la stessa rapidità con cui fuggii da quella vista.»"Il 1 dicembre il tenente Uxkull annotava sul diario di aver visto uomini che «rosicchiavano la carne dei loro compagni» come «bestie selvagge». Il capitano Amoldi dell'artiglieria russa vide «un gruppetto di (soldati francesi) intorno a un fuoco che tagliavano via le parti più tenere di un loro compagno moribondo per mangiarle» mentre quello faceva fuoco contro una colonna francese che si ritirava. Il generale Langeron, che seguì la ritirata tra la Beresina e Vilnius, non assistette a episodi di cannibalismo, ma vide morti dalle cui cosce erano state tagliate strisce di came per quel motivo."
No limits
Vi è chi, come Daru e Marbot, nega che si sia mai verificato alcun atto di cannibalismo, e Gourgaud è decisamente scettico, ma l'evidenza è contro di loro, così come le probabilità. «Bisogna aver provato i morsi della fame per poter valutare la nostra posizione» scriveva il sergente Bourgogne, il quale ammette che avrebbe potuto ricorrere a quella pratica. «E se non ci fosse stata carne umana avremmo mangiato il diavolo stesso, se qualcuno ce l'avesse cucinato.»La fame atroce spingeva le persone a fare qualunque cosa.
«Non era impossibile neppure che un uomo rosicchiasse il proprio corpo affamato»
Ségur, V. p. 448; Marbot, III, p. 215. Gourgaud, p. 480. Per una conferma da parte francese vedi Ségur, V, p. 382; Kurz, p. 199 ecc. Per le citazioni: Bourgogne, p. 78; Vossler, p. 92; Pontier, p. 16.
Prima guerra mondiale
Per lenire la fame, i reclusi inghiottono acqua, terra, erba, carta, sassi.
La decisione del governo italiano, profondamente criticata dalla Croce Rossa, è letale: dei 600.000 prigionieri italiani, 100.000 moriranno di fame e freddo - particolarmente rigido per i prigionieri che non hanno di che vestirsi perché hanno ormai barattato i vestiti per un po' di cibo. Di notte, nelle baracche prive di riscaldamento, la temperatura scende sotto zero.
La mattina si raccolgono i cadaveri dei militari morti assiderati.
Vita di un poveruomo del Toggenburgo (XVIII secolo)
Ancora oggi, quando torno col pensiero a quella scena, avverto un brivido di orrore in tutte le membra.
Dai racconti di Plinio Martini “il fondo del sacco”
La slitta
“…e uno di quegli anni i Tonella, tu lo sai come diventa il frassino cribrato dai tarli, ebbene i Tonella fecero macinare una slitta tarlata. Una slitta sotto la mola a far farina.”
Mamma ti vedo
(...) Oggi i Tuni se la cavano bene, ma allora erano una casa di miseria; di Giovanni, che aveva la mia età, ci raccontavano che quando da bambino sua madre gli dava la fetta di pane, lui se la metteva davanti agli occhi e diceva: «Mamma, vi vedo»Acqua bollita
«brodo preparato con farina, sale, cipolle arrostite nel burro, il tutto allungato con acqua»Lo scarto degli Alpi
In cantina
Questo è il caso piú triste che conosca di Cavergno, insieme all'altro, del ragazzo che il maestro manda a casa a prendere il quaderno, e a casa non trova nessuno; sente però qualcosa in cantina e vi scende tenendo il fiato: erano i suoi vecchi che di nascosto mangiavano bene, pane e salame e vino, roba che in casa non si era mai veduta. Il ragazzo, uno di quelli che avevano le budella lunghe a furia di acqua bollita, non ebbe neanche il coraggio di fiatare, e corse via.La mamma dorme
Era d'estate e la povera donna basiva sola col suo bambino a Roseto di dentro, e quel piccolo tutti i giorni veniva alla terra di fuori dai nonni paterni a chiedere un pezzo di focaccia: la donna non osava farsi vedere per via dei contrasti che c'erano stati. A casa dei nonni al piccolo domandavano:
«Cosa fa la mamma?» e lui non sapeva dire altro che: dorme, dormi oggi e domani, un bel giorno pensano che è meglio andar dentro a vedere. Cosi si accorsero che da almeno due notti il bambino riscaldava col suo calore d'innocente vivo il corpo della madre morta d'inedia.
Radici commestibili
Il giudice si fermava, puntava il dito a segnare un grand'arco in giro, e diceva: "Lo sai come furono costruiti i chilometri di sostene della nostra valle?"Naturalmente io non lo sapevo, e lui a spiegarmi che erano i piú miserabili che accettavano di scavare il terreno dei pendii e di tirare in piedi quei muri col solo compenso delle radici trovate durante lo sterro: una giornata di lavoro per un cavagno di radici dolci, cosi le chiamavano, penso fossero radici di felci e di raperonzoli, buone per non morire di fame durante l'interminabile primavera.
Commenti
Posta un commento