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Fame!

Non é più un problema attuale, o almeno, non per il mondo occidentale. Soffrire o addirittura morire di fame da queste latitudini é impossibile, il problema é invece il contrario; cercare di non ingrassare troppo.

Così mentre oggi ci permettiamo di non mangiare il cornicione della pizza o le verdurine che accompagnano la bistecca, fino a pochi anni fa la situazione era ben diversa. Una testimonianza indiretta giunge sempre dalla mia nonna: ogni volta che tronavo a casa dopo esser stato via per una settimana, vuoi per il servizio militare o perché studiavo al nord delle alpi, la prima domanda martellata a ripetizione era sempre la stessa: "Hai mangiato? Devo farti la qualcosa? Ma hai mangiato?"

Questa sua domanda ripetuta in maniera quasi ossessiva mi da ad intendere che ai suoi tempi forse non era così scontato mangiare in maniera soddisfacente ogni giorno. 

Morir di inedia. L’istinto di sopravvivenza ci porta a compiere atti bestiali, come la donna in secondo piano intenta a brucare. Fino dove può spingerci questo istinto?

Se poi andiamo indietro di altri 150 anni, bypassando allegramente le due guerre mondiali, troviamo già i casi limite. Bastavano le bizze del tempo a segnare le sorti di un intera generazione. 
Altro caso classico sono le condizioni di guerra. In questo caso le invasioni di Russia con il relativo inverno sono terre fertili per chi voglia morire di fame (scusate l'orribile gioco di parole).

Ecco dunque una breve tournée nei meandri della fame più crudele incontrata tra le varie letture e musei da me affrontati fino ad oggi.

Medioevo: restare senza pane

Uno dei terrori più diffusi riguardava eventi contingenti quali carestie, inondazioni e terremoti. Calamità naturali che l'uomo sapeva di non poter né prevedere né controllare. Si trattava di eventi nemmeno troppo rari, vista anche la fragilità del sistema produttivo e la quasi totale assenza - almeno nei primi secoli del Medioevo - di pianificazione ambientale. Alle pagine di Gregorio di Tours è consegnata la memoria della grande magra che flagellò le Gallie alla fine del VI secolo. La popolazione, inerme di fronte alla mancanza di viveri, si ingegnò allora ricavando il pane - l'alimento per eccellenza - da quel poco che riusciva a trovare: semi di uva, nocciole, persino le radici delle felci, che polverizzate servivano a rimpolpare la scarsissima farina rimasta nei granai. Addirittura - la testimonianza è degli Annali di Saint Bertin - si finiva per mischiarvi la terra.

Il terzo dei quattro cavalieri dell'Apocalisse , 
associato alla carestia. Apocalisse di Bamberg , intorno all'anno 1000.

La carestia, quando si verificava, toccava tutti - o quasi - allo stesso modo. E non c'era maniera di scamparvi. Un esempio eloquente è ciò che accadde tra il 1315 e il 1317, quando complici le piogge incessanti e le temperature insolitamente rigide i raccolti non maturarono o marcirono nei campi gettando nel panico intere regioni d'Europa.

I prezzi lievitarono a dismisura, fino al 300%, e tutti, salvo i più ricchi, dovettero arrangiarsi ricavando cibo dalle radici e dai pochi frutti spontanei dei boschi. Ma alla lunga anche i più facoltosi si trovarono in difficoltà. Persino i sovrani - il re d'Inghilterra Edoardo i in primis - si videro costretti a fare i conti con la penuria di risorse. La disperazione era tale che non si esitava a ricorrere a gesti estremi: dopo che tutti gli animali da lavoro e da tiro furono macellati, ci si gettò sulle carogne. Non mancarono nemmeno i casi di cannibalismo. Nessuno si sentiva più sicuro e si scrutava il cielo con terrore, come in attesa di una maledizione definitiva.


Per tentare di comprendere lo stato d'animo dei tempi, il testimone migliore è Rodolfo il Glabro, che scrisse pagine terribili sulla già citata carestia del 1033 provocata da tre anni di piogge torrenziali. Sentiamo ancora la sua voce: «Dopo aver mangiato - scrive - le bestie selvatiche e gli uccelli, gli uomini si misero, sotto la sferza di una fame divorante, a raccogliere, per mangiarle, ogni sorta di carogne e di cose orribili a dirsi. Certi, per sfuggire alla morte, ricorsero alle radici delle foreste e alle erbe. 

Una fame rabbiosa spinse gli uomini a cibarsi di carne umana. I viaggiatori dovevano stare attenti alle imboscate.

Molte persone che si trasferivano da un luogo all'altro per fuggire la carestia e lungo il cammino avevano trovato ospitalità, furono sgozzate durante la notte e servirono di cibo a coloro che le avevano accolte. Molti, mostrando un frutto o un uovo a qualche bambino, lo attiravano in luoghi appartati per massacrarlo e divorarlo. In molti posti i corpi dei defunti furono strappati alla terra e anche essi servirono a placare la fame.

Questa rabbia delirante arrivò a tali eccessi che le bestie rimaste sole erano più sicure degli uomini di poter sfuggire alle mani dei rapitori.

E ancora:

Nella regione di Mâcon molti traevano dal suolo una terra bianca simile ad argilla e la mescolavano con quel tanto di farina o di crusca che avevano e con questo miscuglio facevano pani grazie ai quali contavano di non morir di fame

pratica che peraltro dava soltanto una speranza di salvezza e un sollievo illusorio. Non si vedevano che visi pallidi ed emaciati; molti avevano la pelle tesa da gonfiori; le voci stesse erano diventate esili, simili al fioco grido di uccelli morenti...

Il regno di Münster

Vi furono alcuni profeti giunti dall'Olanda che con il pretesto di portare avanti l'anabattismi si insediano nella città di Münster. Qui installano vero e proprio regno degno della peggiori trame dispotiche. Assediate dell'esrcito vescovile nel giro di pochi mesi furono costretti a far fame. Il re dispotico (Giovanni di Leida o Bockelson) non molla di un centimetro, forte anche delle provviste requisite agli abitanti, mentre questi ultimi passano le pende dell'inferno e oltre. 

Il nuovo regno di Dio degli anabattisti e il loro re Giovanni di Leida (o Bockelson) a Münster nel 1534

« Mangiavano qualsiasi animale si trovasse sulla terra e nell'acqua, tutto ciò che aveva vita» (Gresbeck).

Ora in Münster non è il caso di parlare né di salsicce né di lardo, e dalla fine dell'inverno si soffre non di penuria ma di fame nuda e cruda, Nell'inverno una donna era stata decapitata per illegittima incetta di razioni di carne di cavallo, e un ragazzo di dieci anni era stato appeso a una quercia sulla piazza della cattedrale per un semplice furto di verdura; essendosi rotta la corda, era stato freddamente riappeso.

Fatti tanto macabri si erano già verificati durante l'inverno. Ora però, con la primavera, è sopraggiunta sulla Città Santa la fame, quella reale, rabbiosa: è scomparso lo stillante lardo affumicato del banchetto apostolico, mancano i miseri resti del pane raffermo, è svanita la stessa carne di cavallo, si è giunti al punto in cui « le donne e i bambini cominciarono a gridare chiedendo pane». Ricompaiono i diaconi e sequestrano i miseri resti nascosti nelle cassepanche ai piedi dei letti e addirittura in luoghi meno decenti: « Ciò che riescono a trovare prende il via, sia grasso od olio o sale o strutto. Nulla è così insignificante da non dover essere sottratto alla gente ».

Ormai non c'è più nulla da distribuire. Un'ordinanza del re ha stabilito che vi siano i « preposti al frumento», i « preposti al grasso», i « preposti alla carne salata», ma essi non dispongono né di frumento né di grasso né di carne salata; a primavera la razione di farina prevista per tre settimane è ridotta a un secchio! Non si tratta più di una carestia di cui un popolo nobile può essere vittima; è il nulla assoluto e la fine della vita. Almeno tutti condividessero ugualmente il medesimo destino, almeno tutti, grandi e piccoli, patissero la tame, almeno, come in quella lontana notte di ottobre, il re sedesse alla medesima tavola con il suo popolo...

Ma non è così. Il re fa requisire allegramente tutto per la propria tavola, stipa i suoi depositi con provviste sufficienti per un anno intero, deruba i poveri e con i suoi cortigiani e con il suo harem siede davanti a prosciutti e salsicce, mentre nelle cadenti case addossate ai bastioni si registrano i primi morti per fame. Qui egli si rivela, il mascalzone; qui è inutile parlare, con il senno del poi, della sua giovinezza
e della sua eloquenza travolgente.

Mentre il re si concede buon tempo, in città la fame alimenta l'opposizione. Almeno esistesse ancora la buona carne di cavallo che nell'inverno era distribuita come bassa macelleria e su cui si trovò tanto da ridire! Ora invece, da Pasqua, si mangia «qualsiasi cosa»: topi, ratti, gatti, ricci, marmotte, bisce dell'Aa; tutto si ingerisce, ossa e pelle, pur di calmare lo stomaco in rivolta, e si è infinitamente felici di potersi procurare tali cibi che una volta erano disdegnati con ribrezzo.

Quanto più si allunga l'arco del sole nel cielo, e quanto più si alza nel suo viaggio stagionale, tanto più il nutrimento dei cittadini si fa turpe, ripugnante e animalesco. 

A maggio essi giungono al punto di ingoiare i dorsi di cuoio delle legature dei libri che la furia battista non è riuscita a bruciare e, pur di mettere qualcosa negli intestini, violentano l'esofago con il cuoio degli stivali e preparano brodaglie con pezzi di corregge, che condiscono con il grasso delle candele di sego fuse. Anzi, poco prima della fine di Sion, faranno cose inaudite: essiccheranno lo sterco di vacca e arrostiranno sui loro focolari lo sterco umano raccolto nelle latrine sulle rive dell'Aa. Finché il loro povero corpo finalmente si ribella, ed essi si contorcono nei crampi del vomito


urlano per la fame, si rendono conto di essere diventati misere bestie, mentre l'idea di dignità umana si riduce a un piccolo lontano barlume che occhieggia da quelle regioni, per essi ormai favolose, che si trovano al di là dei bastioni.

Ma la raccolta dei rifiuti lungo l'Aa non segna ancora il fondo della loro degradazione: fuori tra gli assedianti, e anche nella città, corre di bocca in bocca una voce orribile che si rifiuta di tacere e compare sui giornali e sui fogli che informano l'impero sul folle regno di Dio.
La voce, cioè, che i cittadini di Münster mangino carne umana;

la voce che essi sulla piazza della cattedrale dissotterrino i corpi dei giustiziati spolpandone con i denti le ossa rotte. Ma la voce più orribile è quella secondo cui i genitori uccidono e mettono in salamoia i loro bambini; un sopralluogo avrebbe fornito la prova di pentole piene dell'orrendo contenuto...


Il fatto è sulla bocca della città, dei mercenari che sono là fuori é di tutta l'Europa.

Kerssenbroch cita un caso determinato, quello cioè della moglie del senatore Menken, la quale mise sotto sale e mangiò i suoi tre gemelli.

I bambini mangiano la calce che nella rabbia della fame hanno raschiato dai muri.

Bockelson aveva detto che le pietre sarebbero diventate pane: ed ecco, coloro che erano stati sobri e intraprendenti commercianti e artigiani si gettano a terra raspando affannosamente sul selciato, ma poiché le pietre rimangono tali, scoppiano in singhiozzi.

Chi può ancora reggersi si trascina sulle grucce, ma aumentano i casi di adulti che crollano morti sulla strada. Il carro patibolare percorre i vicoli raccogliendo i cadaveri che poi vengono gettati nelle fosse comuni, le quali rimangono aperte fino al riempimento, come nei tempi di peste. In quegli ultimi mesi di regime bockelsoniano il numero degli abitanti diminuisce in modo impressionante.

Bockelson ha rimandato un parlamentare inviato da Wirich von Dhaun con la risposta di « voler tenere la città anche se fossero costretti a mangiare lo sterco». Ma la gente già lo fa.

Ritirata Napoleonica dalla Russia

Che la Russia sia imprendibile l'ha dimostrato la storia, più che il valore dei generali russi fu il general inverno a proclamarne l'invincibilità; alle rigidissime condizioni climatiche va aggiuntai l'immensità del territorio, Mosca é estremamente lontana e le linee di rifornimento portano a problemi logistici insuperabili

Dipinto di Vasilij Vereshchagin intitolato "Il bivacco notturno dell'esercito napoleonico durante la ritirata dalla Russia nel 1812”

Giorno dopo giorno ci si rende conto che ormai le poche vivande che si hanno riusciti a portare da Mosca sono ormai completate, completamente finite. Bisogna cercare di mangiare quello che si trova e la fonte di cibo principale che si può trovare sono i cavalli, i cavalli morti, ma bisogna mangiarli appena cadono al suolo, quindi magari finirli, dargli il colpo di grazia e poi mangiarli, bere il sangue ancora caldo che ghiaccia rapidamente le stesse parti del corpo del cavallo, diventano rapidamente dei blocchi di ghiaccio, quindi bisogna staccarli. 
Non tutti i soldati hanno ancora la scure, devono cercare di tagliarli con le baionette o come possono strappando brandelli di carne a mani nude e mangiandole così perché non hanno neanche il tempo di cuocerle, tenuto conto che spesso arrivano i cosacchi e che interrompono anche questi brevi momenti di pausa. 
Molti non riuscendo a fare altro staccano delle carni ghiacciate, ma si rendono conto che sono sangue, sangue ghiacciato e si portano dietro blocchi di sangue ghiacciato che vengono messi dentro i calderoni che i soldati si portano indietro, buttati lì, liquefatti al momento e poiché spesso arrivano i russi e questi devono mettere la mano dentro il calderone durante la ritirata e hanno tutti la faccia sporca di sangue, quindi sembra un enorme esercito di vampiri. 

Dal diario del sergente Bourgogne

Abbiamo continuato il nostro viaggio calpestando morti e morenti. Ci fermammo vicino a un bosco, dove un soldato della compagnia vede un cavallo abbandonato. Molti di noi si sono radunati per ucciderlo, ciascuno ne pretende un pezzo, ma nessuno aveva un'ascia o la forza per tagliarlo. Così lo dissanguammo e il sangue lo raccogliamo in una pentola presa da una mensa tedesca. Come sempre abbiamo trovato fuochi abbandonati, l'abbiamo cucinata mettendovi dentro la polvere da sparo per condire, ma a malapena metà abbiamo visto una legione di cosacchi. Abbiamo avuto però il tempo di mangiarlo così com'era e con entrambe le mani, così che i nostri volti e i nostri vestiti fossero imbrattati di sangue. 
Eravamo spaventosi da vedere ed eravamo pietosi.

Il generale Eblé disegnato da Pils il 28 novembre mentre esorta gli sbandati ad attraversare il frume prima cbe egli incendi i ponti. Si noti il soldato in primo piano che apre lo stomaco di un cavallo con la sciabola per prelevarne cuore e fegato, nutrimento molto apprezzato.

La minestra degli spartani

«Facevamo il nostro pastone con ogni genere di farina mescolata con la neve sciolta» spiegava il capitano François. «Quindi buttavamo dentro la polvere di una cartuccia, che aveva la virtù di salare o perlomeno di esaltare il sapore blando del cibo preparato in tal modo.» Duverger, l'ufficiale pagatore della divisione di Compans, mise per iscritto la ricetta di quella che battezzò «la minestra degli spartani»: 

«Sciogliete un po' di neve, di cui vi occorrerà una grossa quantità per ottenere un po' d'acqua; mescolatevi la farina; poi, mancando il grasso, versate un po' di grasso degli assali e in mancanza di sale un po' di polvere da sparo. Servitela calda e mangiatela quando sarete realmente affamati».

Walter, p. 53; François, II, p. 827; Duverger, p. 14.

I cavalli, che erano riusciti ad andare avanti mangiando corteccia d'alberi e gli arbusti o le erbacce che spuntavano dalla neve e succhiando la neve se non c'era acqua, non potevano strappare via la corteccia congelata né sgranocchiare il ghiaccio e quindi morivano a migliaia. Ma un cavallo morto diventava duro come un sasso nel giro di pochi minuti ed era impossibile tagliarne via la carne. Quindi era essenziale trovarne uno ancora vivo per potergli prendere la carne.
C'era solo un breve passo da questo al tagliare una bistecca dal posteriore di un cavallo quando il suo proprietario non guardava. Gli animali non provavano dolore a causa del freddo e il sangue congelava all'istante. Potevano andare avanti giorni con quei tagli al posteriore, ma alla fine la ferita si infettava e cominciava a trasudare pus, che congelava anch'esso.



Questo particolare da un acquerello di un soldato francese anonimo mostra i soldati che fanno a pers un cavallo per prenderne la carne.

Un'altra pratica consisteva nel tagliare una vena del cavallo per succhiarne il sangue oppure raccoglierlo in un recipiente e bollirlo con un po di neve per rendere più nutriente qualche magra minestra. 

Alcuni tagliavano e mangiavano la lingua di un cavallo ancora vivo. Ma il nutrimento migliore si otteneva aprendone completamente il ventre per strappargli il cuore e il fegato mentre erano ancora caldi, ed era ciò che succedeva sempre più spesso agli animali che, non riuscendo più a procedere, venivano abbandonati dai loro padroni."

Cannibalismo

La pratica si fece più comune quando, sotto la pressione delle condizioni nell'ultimo tratto della ritirata, cedettero le barriere psicologiche. «Ho visto - e non lo confesso senza una certa vergogna - ho visto alcuni prigionieri russi spinti all'estremo limite dalla fame devastante che li possedeva, non essendoci razioni sufficienti per i nostri soldati, gettarsi sul corpo di un bavarese appena morto, farlo a pezzi con i coltelli e divorare i brandelli sanguinanti della sua carne» scrive Amedée de Pastoret. «Vedo ancora la foresta, l'albero stesso ai cui piedi si svolse quella scena orribile, e vorrei poterne cancellare il ricordo con la stessa rapidità con cui fuggii da quella vista.»"

Il 1 dicembre il tenente Uxkull annotava sul diario di aver visto uomini che «rosicchiavano la carne dei loro compagni» come «bestie selvagge». Il capitano Amoldi dell'artiglieria russa vide «un gruppetto di (soldati francesi) intorno a un fuoco che tagliavano via le parti più tenere di un loro compagno moribondo per mangiarle» mentre quello faceva fuoco contro una colonna francese che si ritirava. Il generale Langeron, che seguì la ritirata tra la Beresina e Vilnius, non assistette a episodi di cannibalismo, ma vide morti dalle cui cosce erano state tagliate strisce di came per quel motivo."


Un moribondo spogliato dai suoi compagni, acquerello di un partecipante non identifcato.

Francesco Pisani che è un tenente dell'artiglieria piedi italiana racconta questo episodio. Presso una casa semidistrutta erano più di 20 infelici nudi e accatastati, molti erano morti e quelli che erano in vita quasi come forsennati, si cibavano delle carni dei propri compagni rodendo nelle braccia e le cosce. Anche qua in maniera molto difficile perché immaginate voi lo stato d'animo di queste persone, persone che evidentemente si rendono conto che sono ridotti a poco più delle bestie, ci sono degli altri brani nei quali i propri soldati si rendono conto di essere ridotti a poco più degli animali, degli spettri e chiaramente ne parlano coloro che sono rimasti vivi, perché possiamo solo immaginare le sofferenze passate da queste migliaia e migliaia di disgraziati che sono morti, dei quali non sappiamo più nulla.

No limits

Vi è chi, come Daru e Marbot, nega che si sia mai verificato alcun atto di cannibalismo, e Gourgaud è decisamente scettico, ma l'evidenza è contro di loro, così come le probabilità. «Bisogna aver provato i morsi della fame per poter valutare la nostra posizione» scriveva il sergente Bourgogne, il quale ammette che avrebbe potuto ricorrere a quella pratica. «E se non ci fosse stata carne umana avremmo mangiato il diavolo stesso, se qualcuno ce l'avesse cucinato.» 

La fame atroce spingeva le persone a fare qualunque cosa. 

«Non era impossibile neppure che un uomo rosicchiasse il proprio corpo affamato»

scrive Vossler, mentre Raymond Pontier, un chirurgo assegnato al quartier generale, rilevò parimenti il fenomeno."

Ségur, V. p. 448; Marbot, III, p. 215. Gourgaud, p. 480. Per una conferma da parte francese vedi Ségur, V, p. 382; Kurz, p. 199 ecc. Per le citazioni: Bourgogne, p. 78; Vossler, p. 92; Pontier, p. 16.

Prima guerra mondiale

La maggior parte dei prigionieri viene portata a Mauthausen e a Theresienstadt, in quelle che saranno chiamate «le città dei morenti». La Germania non ha cibo per i propri soldati, figuriamoci se può nutrire bene i prigionieri, che ricevono perlopiù una brodaglia a base di patate e cavolo e pane fatto con farina di ghiande e paglia. 

Per lenire la fame, i reclusi inghiottono acqua, terra, erba, carta, sassi. 

Nelle foto dei prigionieri italiani non è possibile distinguerli dai reclusi nei campi di concentramento di trent'anni dopo. Nelle lettere ai famigliari chiedono ossessivamente cibo. Il governo italiano accetta, dopo le pressioni della Croce Rossa, che i famigliari mandino pacchi alimentari (al massimo 5 chili) con cibo, vestiti e oggetti. Ma a causa della disorganizzazione, una grande quantità di pacchi si blocca alla frontiera, si smarrisce oppure arriva in grande ritardo, così da rendere immangiabili alimenti deperibili.

La decisione del governo italiano, profondamente criticata dalla Croce Rossa, è letale: dei 600.000 prigionieri italiani, 100.000 moriranno di fame e freddo - particolarmente rigido per i prigionieri che non hanno di che vestirsi perché hanno ormai barattato i vestiti per un po' di cibo. Di notte, nelle baracche prive di riscaldamento, la temperatura scende sotto zero.
La mattina si raccolgono i cadaveri dei militari morti assiderati.

Vita di un poveruomo del Toggenburgo (XVIII secolo)

Nella Svizzera orientale ho trovato tracce di profonda carestia già durante la mia visita al museo della casa del serpente a Werdenberg. La corteccia esposta é uno di quegli oggetti che difficilmente si possono dimenticare

Il cartellino esplicativo mi conferma che questo pezzo di corteccia non é stato messo li da qualche burlone. La linfa e la corteccia di betulla erano medicinali. "Si pensava che aiutassero a risolvere i problemi renali, a purificare l'urina o a combattere le macchie della pelle. Si diceva che la gente mangiasse la corteccia di betulla durante i periodi di carestia." 


La povertà si aggravò a tal punto, in quel periodo, che furono non pochi coloro che, ridotti alla miseria più nera, attendevano con impazienza la primavera per andare in cerca di radici e di erbe con cui nutrirsi. lo stesso, d'altro canto, ne misi in pentola una gran quantità. In fondo, avrei preferito nutrire i miei poveri figli di foglie fresche piuttosto che imitare quel miserevole compaesano che vidi coi miei occhi mentre, insieme ai suoi figli, staccava a colpi di scure la carne di un cavallo morto per infilarla poi in un sacco. Di quella carne, per giorni e giorni, si erano già cibati cani e uccelli.
Ancora oggi, quando torno col pensiero a quella scena, avverto un brivido di orrore in tutte le membra.

Dai racconti di Plinio Martini “il fondo del sacco”

Se invece vogliamo affrontare il tema in tempi ancora più recenti e dalla nostre latitudini l’ avvincente “il fondo del sacco” di Plinio Martini giunge in, così per dire, soccorso.

La slitta

A quel tempo, nelle annate peggiori si macinava la scorza dei faggi per allungare la farina.
(Qui lo scrivente racconta la carestia che aveva colpito la valle tra il 1816 e il 1817)

“…e uno di quegli anni i Tonella, tu lo sai come diventa il frassino cribrato dai tarli, ebbene i Tonella fecero macinare una slitta tarlata. Una slitta sotto la mola a far farina.”

Mamma ti vedo

(...) Oggi i Tuni se la cavano bene, ma allora erano una casa di miseria; di Giovanni, che aveva la mia età, ci raccontavano che quando da bambino sua madre gli dava la fetta di pane, lui se la metteva davanti agli occhi e diceva: «Mamma, vi vedo»

A causa della sottigliezza della fetta di pane, il ragazzo riesce a vedere attraverso la mollica. Nell'espressione resiste l'ant. pronome personale di cortesia (voi).

Acqua bollita

«brodo preparato con farina, sale, cipolle arrostite nel burro, il tutto allungato con acqua»

E di certe sorelle raccontava, che in primavera, quando l'acqua bollita diventava sempre piú lunga," si lamentavano con la madre, e le dicevano: «Per tirarci su con le viole, quando siamo nate potevi ben darci una pedulata in testa».

Lo scarto degli Alpi 

La madre era morta a furia di andare a dormire digiuna per non toglierne a quei piccoli: comprava per pochi soldi lo scarto degli alpi, ricotta e formaggio an. dati a male, rifiuti che gli altri davano alle bestie d'ingrasso, e metteva quella roba salata e pepata nei mastelli, e i figli la dovevano mangiare magari con dentro i vermi, oppure la trovavano come condimento nella minestra che in quel mo. do era diventata un beverone da maiali. Ma la fame è fame, i ragazzi mangiavano e i mastelli d'estate erano sempre vuoti e pronti per un'altra salatura. Il padre dei Cavergni, quando poteva si ubriacava; e io pensavo fra me che doveva averli risparmiati cosí i danari per le sue sbornie; allora non avevo ancora la pazienza di capire che anche quel vizio è una disgrazia che uno si tira dietro come un'altra malattia.

In cantina

Questo è il caso piú triste che conosca di Cavergno, insieme all'altro, del ragazzo che il maestro manda a casa a prendere il quaderno, e a casa non trova nessuno; sente però qualcosa in cantina e vi scende tenendo il fiato: erano i suoi vecchi che di nascosto mangiavano bene, pane e salame e vino, roba che in casa non si era mai veduta. Il ragazzo, uno di quelli che avevano le budella lunghe a furia di acqua bollita, non ebbe neanche il coraggio di fiatare, e corse via.

La mamma dorme

Mi raccontava per esempio la storia di una donna di Roseto che trovarono morta nel letto. Era una Solaro e ne aveva sposato uno senza l'accordo dei genitori di lui, a quel tempo non si scherzava col permesso dei vecchi, e l'uomo per mantenere la moglie e il figlio era emigrato in Francia.

Era d'estate e la povera donna basiva sola col suo bambino a Roseto di dentro, e quel piccolo tutti i giorni veniva alla terra di fuori dai nonni paterni a chiedere un pezzo di focaccia: la donna non osava farsi vedere per via dei contrasti che c'erano stati. A casa dei nonni al piccolo domandavano: 

«Cosa fa la mamma?» e lui non sapeva dire altro che: dorme, dormi oggi e domani, un bel giorno pensano che è meglio andar dentro a vedere. Cosi si accorsero che da almeno due notti il bambino riscaldava col suo calore d'innocente vivo il corpo della madre morta d'inedia.

Radici commestibili 

Il giudice si fermava, puntava il dito a segnare un grand'arco in giro, e diceva:  "Lo sai come furono costruiti i chilometri di sostene della nostra valle?"
Naturalmente io non lo sapevo, e lui a spiegarmi che erano i piú miserabili che accettavano di scavare il terreno dei pendii e di tirare in piedi quei muri col solo compenso delle radici trovate durante lo sterro: una giornata di lavoro per un cavagno di radici dolci, cosi le chiamavano, penso fossero radici di felci e di raperonzoli, buone per non morire di fame durante l'interminabile primavera.


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Ci vogliono pochi minuti dalla chiesa di San Giulio alle famigerate tre colonne nella campagna di Roveredo. La mia prossima tappa é semplice, spartana dal lato concreto ma carica di significati. Le tre colonne Ci sono tre colonne nella campagna di Roveredo, un collega originario di li mi ha riferito che quando hanno costruito l'autostrada hanno previsto una curva per preservare il sito. Tutto per tre piccole colonne, anzi, avanzi di colonne.... Le tre colonne di Roveredo Incrocio due signore a qualche centinaia di metri dal posto, scambio due parole, sono tentato di chier loro cosa sanno in proposito ma non lo faccio. Avrò modo di scoprire più tardi che le persone del luogo sono tutti a conoscenza della loro presenza e spannometricamente della loro funzione. Nessuno però sa indicare con precisione cosa si svolgeva. Sulla sinistra si intravedono i resti delle tre colonne Dopo pochi minuti giungo in vista del luogo. È a qualche metro dalla strada che costeggia il fiume e che una volt...

Belli i capelli

La lunghezza massima dei miei capelli l’ho raggiunta nel 1994 quando mi arrivarono quasi alle spalle. Durò poco. Ora a 20 anni di distanza il mio pensiero inerente i capelli é "meglio grigi che assenti".  Non fanno sicuramente parte della mia quotidianità ma tornano saltuariamente nei miei pensieri quando lo scarico della doccia si ottura.  Al castello di Valangin ho modo di approfondire il tema e rendermi conto che anche loro fanno parte in qualche modo della storia Volantino dell mostra temporanea NON C'È NESSUN PELO IN CIÒ CHE PORTA FORTUNA: IL PIEDE, IL TALLONE E LA LINGUA Detto di Trinidad e Tobago Peli e capelli come barriera contro le aggressioni esterne  Proprio come la pelle, anche i peli hanno diverse funzioni. Prima di tutto, fanno da barriera fisica e aiutano a regolare la temperatura, soprattutto grazie al sudore.  I capelli proteggono dal sole, una funzione che i peli hanno perso perché ormai sono troppo sparsi per essere davvero efficaci. I peli pubici...

Glorenza

Approfitto della mia tre giorni in "estremo oriente" (con le dovute proporzioni), per penetrare in Italia, o meglio ancora nel ambiguo territorio della Val Venosta. Dopo aver visitato Curon mi sposto a sud per visitare Glorenza. Glorenza é affascinante per una sua caratteristica che difficilmente si riscontra nei villaggi nelle Alpi: le sue mura. Quando si entra da una delle sue tre porte si ha la voglia di scoprirne ogni angolo, di non lasciarsi sfuggire l’occasione di sentirsi catapultati in un altra epoca ad ogni passo che si fa. Per dare un’immagine dell’urbanistica della cittadina la miglio soluzione é dall’alto.  Foto scattata all’esterno del museo storico di Glorenza Ma non bisogna fantasticare troppo, avere la testa tra le nuvole potrebbe diventare estremamente pericoloso, meglio guardare chi arriva, soprattutto dai due assi principali che tagliano la cittadina; se una volta era cavalli oggi i tempi di reazione devono essere più scattanti, perché chi sopraggiunge po...

Scioperi svizzeri

Mia nonna diceva sempre di non parlare né politica né di religione durante gli incontri conviviali. A casa però le discussioni più accese ruotavano proprio attorno al tema politico. Con il susseguirsi delle epoche le ideologie hanno mutato assai l’impatto sulla società. Ho però sempre pensato che se fossi vissuto ai tempi della nonna sarei stato con ogni probabilità della sua stessa fazione. Basta vedere cosa proponeva il comitato di Olten nel 1918: il diritto di voto e di eleggibilità per le donne, l'introduzione della settimana di 48 ore e l'assicurazione per la vecchiaia e l'invalidità. Come non essere d'accordo? Oggi questi punti sono delle ovvietà, ma non fu sempre così...anzi come vedremo sorprendentemente durante le ondate di peste, nella perenne guerra padrone - operaio ,  il coltello dalla parte del manico passò decisamente in mano a questi ultimi....e se così non era bastava a ricorrere all’arma dell’ultima spiaggia, arma potentissima: lo sciopero. Alexandre ...

Motivazioni per festeggiare il proprio compleanno - parte 2 - Il Dio di lamiera

Il tragitto in postale tra Mesocco e Roveredo dura pochi minuti, non c'é nemmeno il tempo di sentiere le emozioni della prima tappa scendere che già si giunge nella ridente capitale della Moesa.  Roveredo Roveredo ha preso il suo nome dai folti boschi di rovere che lo circondano. Negli antichi documenti troviamo spesso le impronte del sigillo di Roveredo. Il più antico porta la data del 1615 e non rappresenta altro che un rovere con sei rami, tre per lato, armonizzati in uno stemma. Attorno sta la dicitura “Sigilium Roveredi Comunitatis”. Roveredo (GR): casa Zuccalli con i suoi graffiti risalenti alla metà del sedicesimo secolo. Nella foto il graffito presente sulla facciata della casa risalente alla metà del sedicesimo secolo riscoperto e restaurato. Al primo piano, dopo un restauro parziale eseguito dal restauratore Marco Somaini nel 2004, possiamo ammirare  il dio greco Hermes dai piedi alati, messaggero degli dei e protettore dei mercanti (il dio Mercurio romano) e i...

Dürer tatuato - prima parte

Ho un debole per Albrecht Dürer, molto marcato. Molto meno per i tatuaggi. Diciamo che se proprio fossi obbligato a tatuarmi qualcosa, la scelta potrebbe facilmente cadere su un opera dell’incisore tedesco. Pensieri ben distanti da me nella giornata del 8 febbraio 2025. L’obiettivo odierno era il moulage di Zurigo appena finito di visitare. La strada di rientro verso la città vecchia passa davanti all' ETH di Zurigo (politecnico). Edificio principale rispettivamente Graphische Sammlung, Politecnico federale svizzero (ETH Zürich) in Svizzera Ero passato di lì ore prima in direzione del moulage e sulle sue fiancate, tra tanti personaggi non mi é scappato, con grande sorpresa, quello di Albrecht Dürer. E li ero già contento, la giornata era già guadagnata, un accenno ad uno dei miei artisti preferiti, che volere di più? Lo spicchio della facciata del Politecnico di Zurigo dedicato a Dürer Il resto poi l’ha fatto la mia curiosità: notare che l'edificio era aperto al pubblico, entr...

Patto di Locarno

Sono divorziato. Da molti anni ormai.  Il divorzio non deve essere letto come qualcosa di negativo, spesso é un miglioramento delle condizioni di vita. Spesso? Diciamo sempre. Quando quel giorno nella sala del pretorio di Locarno ero intento a battagliare con l'avvocato della mia ex non sapevo che circa 90 anni prima nella stessa aula si tenevano discorsi ben più importanti per l'umanità intera. Presenti tutti i pezzi grossi dell'Europa In breve Dal 5 al 16 ottobre 1925 si svolse a Locarno una conferenza diplomatica tra le delegazioni di sette stati europei: il Belgio, la Francia, la Germania, il Regno Unito, l’Italia, la Polonia e la Cecoslovacchia.  Dopo dieci giorni di trattative, furono parafati sette trattati e convenzioni, di cui il principale fu un trattato di garanzia reciproca – chiamato anche Patto Renano – tra il Belgio, la Francia, la Germania, il Regno Unito e l’Italia, con il quale la Germania accettava la frontiera lungo il Reno scaturita dal trattato di Vers...