Per un airolese scrivere di una valanga che non sia quella del ‘51 é cosa tutt’altro che scontata.
Va riconosciuto che la valanga del 19.1.1667 che colpì Anzonico fu senz’altri molto più cruenta, non solo per il numero delle vittime, nettamente superiore alla tragedia di Airolo, ma anche per la percentuale di popolazione colpita. Come leggeremo nelle cronache dell’epoca intere famiglie furono cancellate
Due le testimonianze, la prima é quella del Rigolo, già incontrato tempo fa sempre come testimone della storia delle nostre vallate
L'anno 1667 fu un verno così dolce fino agli 16 del mese di genaro che non solo la povera plebe viaggiava a piedi nudi ma non si vedeva neve di sorta alcuna neanche nella sommità dei più alti monti di quel distretto.
A di sedici di notte poi fino per tutto il diecisette calavano dal cielo sei braccia di neve così gravida d'acqua che per il peso grave rotollando dalla cima dei monti montagne di neve fino al fiume Ticino, tutto ciò che trovava sopra la terra atterrando lo conduceva seco al più basso della valle cioè milioni d'alberi, sassi, case, chiese e qualsivoglia altro forte edificio causando infiniti danni a queste povere genti, non solo restando sotto quelle orrende rupi innumerabili gregi d'armenti ma anche moltissime persone trucidate e sepolte tra quelle ruine spaventose.
La terra più danneggiata fu Ansonico a cui spiantò la chiesa parocchiale la casa del paroco e delle tre parti le due delle case di quei abitatori, molini ed altri edifici restarono demoliti con la morte di 88 persone oltre altri moltissimi edifici campestri e tarmenti di quel territorio.
In questo caso compassionevole alcuni furono cavati da quelle nevi e sorvivi otto giorni dopo tal rovina d'altri le loro ossa trovati dopo molti mesi ed alcuni altri sepolti tra quelle grandi rupi non si trovarono né vivi né morti; onde molte famiglie restarono del tutto estinte ed altre abbandonando la patria andarono altrove ad abitare per l'orrore di simile spaventoso caso non più veduto né sentito per molti secoli scorsi
Giovanni Rigolo
Una seconda testimonianza giunge da un altro parroco
Erano per molti giorni cadute dal cielo dopo lungo sereno in grande abbondanza le nevi fino all'altezza ordinaria di un uomo nel più basso della valle e nella sommità dei monti fino alla misura di undici anzi quindici e più palmi come da persone degne di fede mi fu referto.
Quando finalmente il giorno diecinove di cenaro in giorno di mercoledì l'anno 1667 si spiccò dalla sommità della montagna fra Tarco ed il piano del Gualdo nel luogo detto Le Pianche un gran cumulo di neve chiamato dai paesani con il nome di Luina quale cadendo con gran impeto seco traendo e svellendo boschi intieri di larice e pecchie.
Giunta nei primi monti dove rovinando tetti per ogni parte cade finalmente nel far del giorno sopra la villa di Cumiasca
Quivi fece i maggiori e più deprecabili scempi poiché atterrò non solo arbori tetti e case ma uccise ancora molte persone.
Nel medesimo tempo che d'alto precipitò la Luina si erano partiti molti per andare nei monti di Castreda a rigulire le loro bestie quali tutti essendo poco lontano dalla terra restarono affogati e morti.
Furono innumerabili pianti e le grida che per tutta la terra sudirno piangendo altri il figlio, altri il marito e altri il parente o d'amico.
Ne vi fu chi con occhi asciutti mirasse la già descritta rovina la quale fu anche da molti segni o indizi molto tempo prima pronosticata, molti furono i miserabili tra piccoli e grandi uomini e donne che nella Luina restarono estinti
Don Carlo Antonio Fontana
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