San Vittore é uno di quei paesini, apparentemente anonimi, che si adagiano nella quiete di una valle di transito verso un passo piuttosto trafficato come il San Bernardino.
Per chi non ha gli occhi incollati sul cellulare e alza appena lo sguardo entrando in paese sarà impossibile non notare la torre sopra il paese. Ed é proprio qui che inizia la mia visita
La torre Pala
La torre è posta un masso roccioso, sopra il quartiere di Pala. Fu eretta probabilmente verso la fine del Tredicesimo secolo e ampliata nel secolo successivo. Si tratta di una costruzione rettangolare a sei piani e sommità merlata, parte di un complesso abitativo fortificato di cui rimangono poche rovine su un altro masso roccioso adiacente.
Già residenza di un ramo dei Sacco, signori della Valle, o di loro funzionari, fu poi abbandonata nel corso del Quindicesimo secolo. La torre fu edificata in origine su quattro piani: un quinto piano voltato a botte e un sesto adibito a piattaforma difensiva furono aggiunti in seguito.

Chiesa
Il museo
Il Museo contiene testimonianze di carattere etnografico, segnatamente la ricostituzione di una cucina e di una camera da letto tradizionali.
Un intero piano è dedicato alla mostra permanente sui Magistri moesani, architetti, costruttori e artisti attivi dal xvi al xviIi secolo, soprattutto all'estero.
Una sezione del Museo presenta in modo accattivante l'eccezionale patrimonio archeologico del Moesano, attraverso importanti reperti e fedeli ricostruzioni di ritrovamenti, accompagnati da tavole e video esplicativi.
Il Museo dispone inoltre di alcune antenne esterne: in particolare una gra ripristinata (edificio per l'essiccazione delle castagne) e una vecchia diligenza postale restaurata.
La sezione etnografica
Il resto dei reperti etnografici, che hanno costituito il nucleo originario del Museo, si trova ora nel deposito delle collezioni e alcuni di essi vengono esposti in occasione di mostre tematiche temporanee. Le collezioni si compongono soprattutto di utensili della civiltà contadina, mobili d'artigianato, attrezzi relativi a vari mestieri tradizionali, capi d'abbigliamento femminili e oggetti di arte sacra.
I magistri
Il giovane apprendista diventava un'artista nell'esercizio del mestiere, imparava a usare e lavorare la pietra da costruzione, a impiegare la calcina e il gesso nella decorazione. L'emigra-zione artistica nella seconda metà del XVII secolo assorbi i tre quarti della popolazione maschile proveniente, in gran parte, da Roveredo e San Vittore, che a quel tempo costituivano un solo comune di poco più di un migliaio di anime.
L'emigrazione moesana
Dalla Mesolcina e dalla Calanca emigravano, con ritmi stagionali o pluriannuali, e raramente in modo definitivo, anche numerosi spazzacamini, negozianti, vetrai, imbianchini, soldati e ufficiali mercenari, raccoglitori di resina. Oltre alla Baviera e all'Austria, i principali Paesi di destinazione erano Francia, Paesi Bassi, Boemia e Italia. Il movimento migratorio concerneva quasi esclusivamente la popolazione maschile e vi era una forte specializzazione professionale dei villaggi: architetti, costruttori e muratori provenivano quasi esclusivamente da Roveredo e da San Vittore.
La storia di San Vittore
San Vittore, come gli altri villaggi della Mesolcina ha tratto vantaggio dal fatto di trovarsi su un importante asse di transito transalpino. L'aggregazione alla diocesi di Coira e la signoria dei de Sacco hanno favorito l'orientamento istituzionale della Valle verso nord e le Leghe retiche. Il paese ha ricevuto un decisivo impulso nel 1219: creando il Capitolo dei canonici di San Vittore, Enrico de Sacco ne fece il centro religioso della Valle.
Il nome del villaggio riprende quello di Vittore Mauro, soldato romano e martire cristiano della fine del Ill secolo, che è anche il santo patrono del paese, accanto a S. Giovanni Battista. I due santi si ritrovano nello stemma della comunità; l'araldica moderna li propone in forma stilizzata: la spada del soldato e la croce con il cartiglio del battezzatore, incrociate.
La complessità medievale (1500-500 anni fa)
«Sciagurato monte degli uccelli»... il San Bernardino nelle lotte per la corona d'Italia (X secolo)
Il vescovo di Cremona Liutprando nel 942 compone un'imprecazione in latino contro il passo del San Bernardino, il quale d'inverno permette alla moglie di un suo acerrimo nemico di rifugiarsi in Germania presso l'imperatore Ottone I. Si tratta della prima citazione del passo del San Bernardino finora conosciuta, chiamato mons avium, ossia Monte degli Uccelli.
Sciagurato Monte degli Uccelli,neppur degno di tal nome,
Di solito sei inaccessibile,
Perfido,
ora nel tempo eccezionale della rigida bruma,
sei transitabile:
volesse il cielo che i miei voti potessero contare ora,
profondassi nel baratro!
Liutprando di Cremona, ca, 942 d.C.,
(poesia tradotta da ENZA COLONNA, Le poesie di Liutprando di Cremona.
Commento tra testo e contesto, collana Scrinia, Edipuglia, Bari 1996)
Il giuramento della Centena di Lostallo
La Centena annuale di Lostallo, che ha radici antichissime, è il contropotere dei comuni mesolcinesi nei confronti dei loro dominatori nel corso dei secoli. Centene straordinarie potevano venir convocate in caso di emergenza.
«Giuriamo a Dio [...] di conservar et mantener fra Noi una vera, sincera, et real unione, fedeltà, amicitia, vicinanza et confraternità, nel modo et forma, che da nostri chari antepassati fu conclusa et stabbilita [...] sino in perpetuo.
Et di non mai per qualsivoglia causa [...] disgioncerci, ne separ [ar]ci; et che niuno de Noi Magistrati, Vicariati, Squadre, Communita, Degagne, Terre, et Vicinanze, ne particolar Persone di questa nostra Valle s'intrometterà, tratterà o negocierà cosa veruna aspettante alla commune Libertà, ne per pace, ne per tregua, ne per guerra [..] senza [.] consenso della general Centena».
(Statuti e capitoli della legge municipale civile e criminale dell'Univenal Valle Mesolcina.
Anno 1645, manoscrito di proprieta provata)
[Jorio attraverso Frascoscella]».
Si vuole ora costruire un nuovo tracciato «in mezzo tra le due sopra dette [strade] e si farà sopra il Monte di Sant Jorio confine desse Tre Pievi verso il paese di Mesolcina [strada dell'Albionasca]».
Le Tre Pievi ne trarrebbero vantaggi «per i vini loro» e nel contempo potrebbero ricevere «più facilmente [...] cose loro necessarie dal detto paese de Grisone», dal momento che per «detta via si fara passo di mercanzie».
(Archivio di Stato di Milano, MMD piane 2a)
Il sistema viario medievale
Nel corso del millennio medievale la rete stradale subisce un continuo adattamento alle esigenze degli uomini e deve far fronte a fenomeni distruttivi quali erosione, frane, alluvioni, calpestio degli animali. Particolarmente a rischio sono le zone di guado e i ponti, confrontati con le ricorrenti alluvioni, e questi ultimi anche con gli urti delle grosse borre flottanti. Fino al tardo medioevo i ponti sono di legno, ad eccezione di due ponti di pietra sospesi su gole: il Ponte Chiuso di Roveredo e il Porlinghenidi Mesocco.
Al pari dell'attuale autostrada, recintata per impedire l'entrata di animali, la strada medievale è pure generalmente recintata e dotata di strutture di entrata-uscita, ma per il motivo opposto, ossia per impedire agli animali in transito e alle mandrie locali di consumare erba preziosa.
Poteri e contropoteri
Ogni nuova versione degli stessi costituisce il risultato di una contrattazione fra poteri dall'alto e poteri dal basso.
Questo modello istituzionale è complesso e stratificato perché sviluppato in periodi diversi e per rispondere a sollecitazioni diverse, a volte interne (divergenze fra alta e bassa valle, fra comunità, fra fazioni, fra antagonisti economici), a volte esterne (confronto con autorità superiori, valli vicine o invasori). Radicato nel territorio e condiviso dalla popolazione, costituisce generalmente un fattore di stabilità.
Il potere dall'alto, vincolato all'andamento delle varie dominazioni (romana, gota, bizantina, longobarda, franca), alle vicissitudini del Sacro Romano impero e alle vicende famigliari dei signori di valle (de Sacco e Trivulzio) si rivela spesso fattore di instabilità.
Il perno del sistema è l'assemblea di valle. Essa costituisce la piattaforma d'incontro e concertazione fra i due poteri. Così, per esempio, non sempre e non necessariamente torri e castelli sono pensati esclusivamente come strumenti e simboli di potere, spesso essi hanno, almeno inizialmente, la funzione di conservare i beni, le provviste e la vita degli abitanti del villaggio in tempo di guerra.
Caratteristico dell'ultimo periodo medievale è la crescente quantità di notizie scritte che testimoniano una tipica complessità politico-sociale. Gli insediamenti attuali del Moesano conservano parzialmente intatti i loro archivi medievali, contenenti documenti vecchi anche
di ottocento anni.
Emerge anzitutto la grande importanza dell'allevamento: la valle sfrutta in proprio gli alpeggi o ne affitta le superfici in esubero ei possessori di bestiame delle pianure.
L'allevamento innesta poi una dinamica circolare di scambi fra quanto viene prodotto in valle (bovini, ovini, caprini, latticini, cuoio, lana, ecc.) e quanto è necessario importare per queste attività (sale, falci de fieno e coti).
Dai documenti tardomedievali sappiamo anche che il Moesano dipende dell'importazione di cereali e che in cambio esporta:
- prodotti secondari dell'allevamento come salumi e lana
- pescagione (trote della Moese) e cacciagione (came e pellicce)
- prodotti forestali: legname de opera e de ardere, corteccia di rovere ricca di tannini usata nelle concia delle pelli, resina di conifere calanchine usata soprattutto come sigillente
- prodotti artigianali quali berili, doghe sciolte e laveggi
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