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Filosofia in 5 minuti

Certo non sarà un libricino come "Filosofia in 5 minuti" a cambiarmi la vita. Va però riconosciuto che contiene piccole chicche, e proprio come i consigli della nonna presente sui calendari, potrebbe venir buone in determinati frangenti

Tutti gli uomini hanno una filosofia perché, in un modo o nell'altro, assumono un atteggiamento nei confronti della vita e della morte.

Karl Raimund Popper



Le donne filosofe

Pitagora di Samo accoglieva anche le donne nella sua scuola. Si tramandano i nomi delle sue diciassette discepole più dotate, tra le quali Timica (di carattere così ferreo che, pur di non divulgare i segreti della setta pitagorica, giunse al punto di mordersi la lingua e di sputarla) e Teano, eccelsa matematica e medica.

Nel Novecento molto interessante è la posizione della francese Simone de Beauvoir, la quale afferma che, in tale subordinazione, vi è anche la responsabilità delle donne stesse, che hanno rinunciato a esercitare la propria autodeterminazione accettandosi come "inferiori".

Francis Bacon

Si dedicò anche personalmente a esperimenti, in particolare studiò gli effetti del freddo nella conservazione degli alimenti (un grave problema per l'epoca). Si racconta che, in un ancor gelido aprile, durante un giro in carrozza, il filosofo inglese, al passaggio delle ruote sotto la neve scorgesse un'erba verde e lucente come se fosse appena nata. Di qui ebbe l'intuizione del potere delle basse temperature per contrastare il deterioramento della materia organica.

Il cane di Schopenhauer

Il suo cane prediletto era un barboncino bianco che si chiamava Atman (termine sanscrito che significa «anima del mondo»), con il quale faceva lunghe passeggiate. La tradizione afferma che, allorché si arrabbiava con Atman, Schopenhauer lo insultasse chiamandolo Mensch, «uomo»!

Illuminismo

Immanuel Kant ne dà la più famosa definizione: «L'llluminismo è l'uscita dell'uomo dalla sua colpevole minorità, all'insegna del motto "abbi il coraggio di sapere"».

Tra gli obiettivi degli illuministi c'erano difatti il pensare da sé, ovvero il ragionare con la propria testa senza affidarsi ciecamente alle autorità, la formazione di un'opinione pubblica e la diffusione delle conoscenze per favorire il progresso. Uno dei maggiori e duraturi contributi dell'Illuminismo fu la grandiosa opera collettiva Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, in ventotto volumi, pubblicata tra il 1751 e il 1772 (non senza difficoltà e censure), che segnò quasi una rifondazione del sapere umano.

Aristotele e l’amicizia

Aristotele asserisce innanzitutto che l'amicizia è necessaria alla vita sia perché induce alla collaborazione sia perché ci rende felici. L'uomo è del resto per natura un essere socievole: «Chi non ha bisogno di amici o è una bestia, o è un dio».

L’asino di Buridano

Il filosofo francese medievale Giovanni Buridano (Jean Buridan) sostenne che la volontà umana dipende da una determinazione mentale, ovvero nessuna scelta avviene senza che l'intelletto abbia concesso il suo assenso. Perciò, nel caso il nostro intelletto valutasse due beni, che ci si presentano dinanzi come esattamente equivalenti, la nostra volontà resterebbe come bloccata.

Da qui discende il famoso paradosso dell'asino di Buridano: un asino, che ha fame e sete, ha davanti a sé due secchi d'acqua e due mucchi di fieno perfettamente uguali. Poiché la sua ragione non trova alcuna differenza che lo spinga a una scelta, l'asino non riesce a decidersi, e alla fine muore.

Il paradosso, nelle intenzioni degli autori (forse studenti di Buridano, forse suoi oppositori) vuol mostrare quanto l'indecisione, in taluni casi, possa essere pericolosa. L'espressione "fare come l'asino di Buridano" è diventata proverbiale per indicare chi non riesce a prendere una netta posizione.

Il quadrifarmaco di Epicuro

Il quadrifarmaco di Epicuro di Samo, o quadruplice medicina per l'anima, si articolava nei seguenti punti, mediante i quali il grande maestro ellenistico cercava di combattere le principali paure umane.

La paura degli dei non ha senso perché gli dei non si interessano minimamente all'uomo, vivono una loro vita distaccata e sono assolutamente ininfluenti, perciò perché mai preoccuparcene?

Anche la paura della morte è ingiustificata: finché saremo vivi non incontreremo la morte, quando invece la incontreremo non saremo più vivi, perciò non ce ne accorgeremo neppure.

La felicità è agevolmente raggiungibile se comprenderemo che i nostri desideri smodati non sono il modo giusto di ricercarla. Dovremmo godere delle piccole gioie, della vicinanza dei nostri amici senza preoccuparci eccessivamente del futuro e vivendo attimo per attimo.

Se un dolore fisico è abbastanza lieve si può sopportare; se è troppo forte non dura molto a lungo.

La filosofia di Epicuro, dunque, ci si presenta come una vera e propria terapia per raggiungere l'imperturbabilità e la serenità, di cui diede prova lui stesso mantenendo la serenità e l'affabilità fino al suo ultimo istante.

La favola delle api

L'inglese (ma di origini franco-olandesi) Bernard de Mandeville descrive nel suo apologo satirico Favola delle api, ossia vizi privati e pubbliche virtù un alveare ricco e prospero in cui si produce una gran quantità di miele, malgrado le grandi differenze sociali al suo interno. 

Difatti nell'alveare vivono sfruttatori di ogni tipo (nobili, avvocati, preti, capitani d'industria) che amministrano la giustizia a modo loro, tanto che la comunità rigurgita di storture e di vizi pur nella prosperità generale. Ma un bel giorno scoppia la rivoluzione, e cominciano a regnare la virtu e l'onestà. Nessuno può più arricchirsi, ma nessuno ha più voglia di far nulla, si pensa alla pura e semplice sopravvivenza, manca il lavoro, le api più sagge abbandonano l'alveare, che giunge presto alla sua fine.

La morale?
La virtù, da sola, non rende affatto gloriosa una nazione, e il vizio in uno Stato è necessario «quanto la fame per obbligarci a mangiare»: una virtù troppo rigorosa segnerebbe la fine della società!

Il filosofo boscaiolo

Il filosofo statunitense Henry D. Thoreau considerò la natura l'origine e il centro del proprio pensiero. Anticonformista (fu anche il teorico della disobbedienza civile e rifiutò di pagare le tasse per protesta), anticonsumista, contrario alla schiavitù e desideroso di solitudine per meglio riflettere, alla ricerca di un'esistenza essenziale e semplice (il suo motto era: "semplificare!"), si costruì una capanna presso il lago di Walden, nel Massachusetts. Li visse per due anni, a un miglio di distanza dal vicino più prossimo, mantenendosi con il lavoro delle sue mani, trasportando a braccia perfino le pietre che gli servivano e mangiando all'aperto finché il tempo lo permetteva. Ne tenne un resoconto preciso nel suo libro Walden, ovvero vita nei boschi, con l'intenzione di mostrare ai contemporanei quanto poco, in realtà, fosse sufficiente per vivere. Scrive, nel suo capolavoro:

«Essere filosofi non vuol dire soltanto avere pensieri acuti o fondare una scuola, ma amare la saggezza e vivere secondo i suoi insegnamenti, ovvero condurre una vita semplice, indipendente e fiduciosa».

Le tre ferite narcisistiche

Sigmund Freud si definì sempre medico e scienziato, senonché, inevitabilmente, la scoperta dell'inconscio e la fondazione della psicoanalisi ebbero ripercussioni in ogni campo, a iniziare dalla filosofia, in quanto fornivano un'immagine dell'umanità ben diversa da quella precedente, improntata sulla ragione come tratto distintivo e dominante. 

Freud si rese ben conto di aver inflitto una "terza ferita narcisistica" all'umanità (ovvero un duro colpo all'autostima e all'orgoglio della nostra specie) dopo quello che aveva fatto Copernico spostando il centro dell'universo dalla Terra al Sole (prima ferita narcisistica) e l'opera di Charles Darwin (con la teoria dell'evoluzione, che ci faceva derivare dai primati). 

A pranzo con Epicuro

La filosofia di Epicuro di Samo, improntata alla ricerca del piacere (edonismo) è stata, per millenni, travisata e interpretata come un'esortazione a procurarsi il piacere in ogni modo, anche sfrenatamente e senza limiti. In realtà Epicuro si guarda bene dal consigliare baldorie e stravizi, ma vuol richiamarci a un tipo di esistenza naturale, come quella dei bambini che istintivamente rifuggono il dolore e inseguono il piacere, ma un tipo di piacere equilibrato, ragionevole e stabile. 

Epicuro e i suoi seguaci abitavano nel Giardino, una comunità di persone che vivevano semplicemente e la pensavano allo stesso modo.
A tavola erano molto misurati (Epicuro sosteneva che l'appetito fosse il miglior condimento): si cibavano di latte, pane, fichi, olive, formaggio, legumi. Quel che più contava era, per il filosofo di Samo, la compagnia: un pasto consumato da soli equivaleva, per lui, a un pasto tipico delle fiere e indegno per gli uomini.

Perché Socrate non scrisse niente

Tutto quello che sappiamo di Socrate lo dobbiamo ad altri: ai suoi alunni (il più celebre e affezionato dei quali fu Platone), agli oppositori e anche ai detrattori, per il semplice motivo che il filosofo condannato a bere la cicuta decise di non scrivere assolutamente niente di suo pugno. Prese questa decisione, che rispettò fino in fondo, per una serie di motivi che ci sono stati tramandati.

La verità non è mai una sola e univoca, né fissa e immutabile, perciò scrivere la propria verità oggi significa poterla ritrovare domani già vecchia.

So di non sapere

Socrate non lasciava indifferenti i suoi contemporanei, schierati più o meno a metà tra chi lo amava (e quasi lo idolatrava, come il suo alunno Platone) e chi lo odiava fino al punto da trascinarlo in tribunale con accuse pretestuose e perfino condannarlo a morte. 
I suoi atteggiamenti assai poco conformisti iniziano già dalla sua famosa professione di ignoranza. Platone racconta che l'oracolo di Delfi, interrogato su chi fosse l'uomo più sapiente di Atene, rispose che si trattava proprio di Socrate, che lo interpretò così: «Mentre tutti ritengono di essere sapienti, io non lo credo affatto, anzi penso che il vero sapiente sia colui che è persuaso della propria ignoranza»
In effetti per Socrate il riconoscimento della propria ignoranza è l'unica molla che può spingerci alla ricerca della verità, senza la quale nessuna vita è degna di essere vissuta.

L’anello di Gige

Nella Repubblica di Platone si trova uno dei primi esperimenti mentali della storia della filosofia, il mito dell'anello di Gige (il filosofo amava inserire miti nel proprio insegnamento, in modo da poter parlare, oltre che alla ragione, anche alla fantasia).

Gige è un pastore al servizio del re di Lidia. Casualmente cade in una voragine e scorge un cadavere che porta al dito un meraviglioso anello d'oro. Gige glielo sfila e se ne impadronisce senza dir niente a nessuno. Più tardi scopre, meravigliato, che l'anello ha lo straordinario potere di rendere invisibile chi lo porta (basta girarne il castone). Niente, per lui, sarà più come nel passato: Gige diventa letteralmente un'altra persona, approfitta del dono dell'invisibilità per ingannare, uccidere e comportarsi in modo malvagio. 
L'esperimento mentale di Platone contiene in sé una domanda alla quale non è semplice fornire risposta: cerchiamo di comportarci bene perché siamo sottoposti al giudizio altrui? Come ci comporteremmo se, invece, nessuno ci vedesse e ci scoprisse?

Sulle spalle dei giganti

Bernardo affermò che noi moderni siamo dei nani sulle spalle dei giganti: un modo elegante e ingegnoso per rispettare l'autorità dei secoli, ma anche per mettere in rilievo che, pur essendo dei nani, i moderni hanno uno sguardo che va più lontano di quello degli antichi e possono dunque dibattere su temi che in precedenza non esistevano oppure non erano presi in considerazione.


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