Mettiamolo subito in chiaro: per Schopenhauer la felicità non esiste nemmeno.
Se andiamo sul più piccolo mia nonna diceva che la felicità sono solo degli attimi.
Abbraccio questa ultima tesi: Personalmente sono dei picchi che durano alcuni secondi, magari minuti, sono delle botte di vita, stile il popper per chi l'abbia mai provato.

A ben guardare, dunque, proprio dalla pessimistica convinzione che la vita, cioè la finitudine umana, oscilli tra la noia e il dolore e che questo mondo altro non sia che una valle di lacrime, Schopenhauer trae l'esortazione a cavarsela in tale situazione con l'aiuto del prezioso strumento di cui Madre Natura ci ha dotati: l'ingegno.
Si tratta dunque di trovare regole di comportamento e di vita per alleviare le nostre pene e sperare di ottenere, se non la felicità compiuta, impossibile da realizzare, almeno quella felicità relativa che consiste nell'assenza di dolore.
Tutti veniamo al mondo pieni di pretese di felicità e di piaceri, e nutriamo la folle speranza di farle valere, fino a quando il destino ci afferra bruscamente e ci mostra che nulla è nostro, mentre tutto è suo, poiché esso vanta un diritto incontestabile non solo su tutti i nostri possedimenti e i nostri guadagni, ma anche sulle nostre braccia e le nostre gambe, sui nostri occhi e sulle nostre orecchie, e perfino sul nostro naso al centro del volto. Poi viene l'esperienza e ci insegna che la felicità e i piaceri sono soltanto chimere che un'illusione ci mostra in lontananza, mentre la sofferenza e il dolore sono reali e si annunciano direttamente da sé, senza bisogno dell'illusione e dell'attesa. Se il suo insegnamento viene messo a frutto, smettiamo di cercare la felicità e i piaceri e ci preoccupiamo solo di sfuggire per quanto possibile alla sofferenza e al dolore.
Ci rendiamo conto che il meglio che il mondo ci può offrire è un presente sopportabile, quieto e privo di dolore; se esso ci è dato sappiamo apprezzarlo, e ci guardiamo bene dal guastarlo aspirando senza posa a gioie immaginarie o preoccupandoci con timore di un futuro sempre incerto. che, per quanto lottiamo, rimane pur sempre completamente nelle mani del destino.
Sulla fiducia
‹«Non c'è cosa che giovi tanto quanto lo starsene quieti, parlando il meno possibile con gli altri, moltissimo con se stessi. C'è nel parlare qualcosa di insinuante e di blando che, come l'ebbrezza e l'amore, cava fuori i segreti. Nessuno terrà per sé quello che ha udito; nessuno rivelerà solo quello che ha udito. Chi non sa tacere un fatto, non sa tacere neppure il nome di chi glielo ha riferito. Ognuno ha un amico a cui confidare quanto è stato confidato a lui. Così, anche se egli raffrena la sua loquacità e si contenta di parlare a una sola persona, il segreto, dopo un po', diventerà di dominio pubblico: sarà sulla bocca di tutti ».
Si potrebbe dire che gran parte della saggezza di vita si basa sulla giusta proporzione in cui dedichiamo la nostra attenzione in parte al presente in parte al futuro, in modo che l'uno non ci rovini l'altro. Molti vivono troppo nel presente (gli sconsiderati), altri troppo nel futuro (i timorosi e gli apprensivi), e raramente uno manterrà la giusta misura.
La quiete del presente può venire disturbata al massimo da mali in sé certi e di cui è altrettanto certo il momento. Ma questo genere di mali è assai raro, poiché i mali o sono di per sé meramente possibili, o semmai probabili, oppure sono certi ma il loro momento è completamente indeterminato, come nel caso della morte. Se vogliamo fissarci su questi due generi, non avremo più un solo istante tranquillo. Per non perdere la quiete di tutta la nostra vita badando a mali incerti e indeterminati, dobbiamo abituarci a considerare i primi come se non giungessero mai e i secondi come se non giungessero certo adesso.
Colui che mantiene la calma in tutte le avversità della vita mostra semplicemente di sapere quanto immensi e molteplici siano i possibili mali della vita, sicché egli considera il male presente come una parte minima di ciò che potrebbe capitargli. Chi è consapevole di questo fatto e ci riflette non perderà mai la calma.
Dobbiamo tenere a freno la fantasia in tutte le cose che riguardano il nostro benessere e il nostro malessere, le nostre speranze e i nostri timori. Fantasticando su possibili casi fortunati e sulle loro conseguenze ci rendiamo ancora più indigesta la realtà: costruiamo castelli in aria che in seguito il disinganno ci fa pagare cari.
Non manifestare grande giubilo o grande afflizione riguardo ad alcun avvenimento, poiché la mutevolezza di tutte le cose può in ogni istante trasformarlo completamente; assaporare piuttosto in ogni momento il presente nel modo più sereno possibile: questa è saggezza di vita.
Il mezzo più sicuro per sfuggire a una grande sventura consiste nel ridurre il più possibile le proprie pretese, in rapporto ai propri mezzi di ogni tipo.
Pertanto, sia nel bene sia nel male è infinitamente meno importante ciò che a uno capita nella vita che il modo in cui egli lo recepisce, nonché il modo e il grado della sua ricettività in genere.
Una delle follie più grandi e frequenti è che si facciano per la vita progetti di ampio respiro, quali che ne siano le modalità. Essi presuppongono anzitutto una vita umana intera e compiuta, che però pochissimi raggiungono e che comunque, anche se essi vivono così a lungo, è pur sempre troppo corta per tali progetti, poiché la loro realizzazione richiede sempre molto più tempo di quanto si è supposto.
La definizione di esistenza felice potrebbe essre questa: un'esistenza tale che, considerata in
termini puramente oggettivi - ovvero (poiché qui è in gioco un giudizio soggettivo) con una riflessione fredda e matura -, sarebbe decisamente da preferirsi alla non-esistenza.
Se andiamo sul più piccolo mia nonna diceva che la felicità sono solo degli attimi.
Abbraccio questa ultima tesi: Personalmente sono dei picchi che durano alcuni secondi, magari minuti, sono delle botte di vita, stile il popper per chi l'abbia mai provato.

Luca della Robbia, Cantoria per il Duomo di Firenze, 1432-38.
Schopenhauer e la felicità
A prima vista, come si è detto, il suo radicale e disincantato pessimismo rende difficile perfino associare la sua filosofia all'idea della felicità: essa gli appare una meta irraggiungibile per l'uomo e il termine stesso «felicità», dal suo punto di vista, è un eufemismo. Schopenhauer non fa alcun mistero di questo, e a conclusione dell'Arte di essere felici, nella penultima massima, dichiara: «Com'è noto, alla domanda se la vita umana corrisponda, o possa corrispondere, a questo concetto di esistenza [cioè all'esistenza felice], la mia filosofia dà una risposta negativa».
A ben guardare, dunque, proprio dalla pessimistica convinzione che la vita, cioè la finitudine umana, oscilli tra la noia e il dolore e che questo mondo altro non sia che una valle di lacrime, Schopenhauer trae l'esortazione a cavarsela in tale situazione con l'aiuto del prezioso strumento di cui Madre Natura ci ha dotati: l'ingegno.
Si tratta dunque di trovare regole di comportamento e di vita per alleviare le nostre pene e sperare di ottenere, se non la felicità compiuta, impossibile da realizzare, almeno quella felicità relativa che consiste nell'assenza di dolore.
I 4 parametri
Al primo posto andrebbe il principio secondo il quale una felicità compiuta e positiva è impossibile, mentre ciò che ci si deve aspettare è soltanto uno stato relativamente poco doloroso.- In primo luogo la serenità d'animo, l'euxoria, il temperamento felice, che determina la capacità di soffrire e di gioire
- In secondo luogo la salute del corpo, che è strettamente legata al temperamento e ne è quasi la condizione imprescindibile.
- In terzo luogo la quiete dello spirito.«La vita più dolce sta nel non avere alcun pensiero», Sofocle
- In quarto luogo i beni esteriori, in misura assai limitata. Epicuro suddivide i beni in: 1) naturali e necessari; 2) naturali, ma non necessari; 3) né naturali né necessari.'
Le massime
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«L'uomo saggio non persegue ciò che è piacevole, ma l'assenza di dolore»
cfr. Aristotele, Etica Nicomachea
Ci rendiamo conto che il meglio che il mondo ci può offrire è un presente sopportabile, quieto e privo di dolore; se esso ci è dato sappiamo apprezzarlo, e ci guardiamo bene dal guastarlo aspirando senza posa a gioie immaginarie o preoccupandoci con timore di un futuro sempre incerto. che, per quanto lottiamo, rimane pur sempre completamente nelle mani del destino.
Inoltre: perché mai dovrebbe essere folle preoccuparsi sempre di godere il più possibile dell'unico, sicuro presente, se la vita intera altro non è che un frammento più grande di presente, e come tale assolutamente transeunte?
Evitando invece assolutamente, col vincere noi stessi, le aspirazioni a cui abbiamo per natura scarsa attitudine; ci guarderemo dal tentare ciò in cui non riusciamo. Solo chi è giunto a ciò sarà sempre interamente se stesso con piena consapevolezza, né sarà mai abbandonato da se stesso, perché saprà sempre quel che potrà pretendere da se stesso.
Un male che ci ha colpiti non ci tormenta tanto quanto il pensiero dei modi in cui lo si sarebbe potuto allontanare
Un uomo non si sente affatto privato dei beni ai quali non si è mai sognato di aspirare, ma è pienamente contento anche senza di essi, mentre un altro che possegga cento volte più del primo si sente infelice quando gli manca una sola cosa da lui voluta.
I grandi dolori rendono affatto inavvertibili tutti i minori, e inversamente, in assenza di grandi dolori, anche i più piccoli fastidi ci tormentano e contristano; ma anche l'esperienza insegna che, se una grande sventura, il cui solo pensiero ci faceva rabbrividire, è poi effettivamente sopravvenuta, il nostro stato d'animo, tostocché abbiamo superato il primo dolore, rimane in complesso piuttosto immutato; e anche, inversamente, che al sopravvenire di una felicità a lungo agognata, noi non ci sentiamo in complesso e alla lunga molto meglio e più contenti di prima.
Quando una grande preoccupazione che ci angoscia ci viene alla fine levata dal petto da un esito felice, subito al suo posto ne sopraggiunge un'altra, la cui materia esisteva tutta già prima, senza però poter penetrare come preoccupazione nella coscienza, poiché quest'ultima non aveva più spazio per essa, e per tale ragione questa materia di preoccupazione si era fermata solamente come oscura e inosservata forma nebbiosa all'estremo limite del suo orizzonte. Ma ora, fattosi posto, subito questa materia pronta si fa avanti, insediandosi sul trono di preoccupazione predominante del giorno: e sebbene poi essa sia, quanto alla sostanza, più leggera della materia dell'ansia sparita, sa gonfiarsi in modo da eguagliarla in grandezza apparente e da riempire così perfettamente il trono come ansia principale. Fare di buon grado ciò che si può, e sopportare altrettanto di buon grado ciò che si deve.
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Evitando invece assolutamente, col vincere noi stessi, le aspirazioni a cui abbiamo per natura scarsa attitudine; ci guarderemo dal tentare ciò in cui non riusciamo. Solo chi è giunto a ciò sarà sempre interamente se stesso con piena consapevolezza, né sarà mai abbandonato da se stesso, perché saprà sempre quel che potrà pretendere da se stesso.
Un male che ci ha colpiti non ci tormenta tanto quanto il pensiero dei modi in cui lo si sarebbe potuto allontanare
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Un uomo non si sente affatto privato dei beni ai quali non si è mai sognato di aspirare, ma è pienamente contento anche senza di essi, mentre un altro che possegga cento volte più del primo si sente infelice quando gli manca una sola cosa da lui voluta.
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I grandi dolori rendono affatto inavvertibili tutti i minori, e inversamente, in assenza di grandi dolori, anche i più piccoli fastidi ci tormentano e contristano; ma anche l'esperienza insegna che, se una grande sventura, il cui solo pensiero ci faceva rabbrividire, è poi effettivamente sopravvenuta, il nostro stato d'animo, tostocché abbiamo superato il primo dolore, rimane in complesso piuttosto immutato; e anche, inversamente, che al sopravvenire di una felicità a lungo agognata, noi non ci sentiamo in complesso e alla lunga molto meglio e più contenti di prima.
Quando una grande preoccupazione che ci angoscia ci viene alla fine levata dal petto da un esito felice, subito al suo posto ne sopraggiunge un'altra, la cui materia esisteva tutta già prima, senza però poter penetrare come preoccupazione nella coscienza, poiché quest'ultima non aveva più spazio per essa, e per tale ragione questa materia di preoccupazione si era fermata solamente come oscura e inosservata forma nebbiosa all'estremo limite del suo orizzonte. Ma ora, fattosi posto, subito questa materia pronta si fa avanti, insediandosi sul trono di preoccupazione predominante del giorno: e sebbene poi essa sia, quanto alla sostanza, più leggera della materia dell'ansia sparita, sa gonfiarsi in modo da eguagliarla in grandezza apparente e da riempire così perfettamente il trono come ansia principale. Fare di buon grado ciò che si può, e sopportare altrettanto di buon grado ciò che si deve.
«Nei momenti difficili ricordati di conservare l'imperturbabilità, e in quelli favorevoli un cuore assennato che domini la gioia eccessiva»
Orazio, Odi
« Ma, finché è lontano, ciò che desideriamo ci sembra superare ogni altra cosa; poi, quando quello ci è dato, aneliamo ad altro ancora, e un'eguale sete di vita perennemente ci affanna»
Lucrezio, De rerum natura
«Non viviamo infatti come vogliamo, ma come possiamo»
Gnomici poetae Graeci, Fleischer, Lipsiae, 1817
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Sulla fiducia
‹«Non c'è cosa che giovi tanto quanto lo starsene quieti, parlando il meno possibile con gli altri, moltissimo con se stessi. C'è nel parlare qualcosa di insinuante e di blando che, come l'ebbrezza e l'amore, cava fuori i segreti. Nessuno terrà per sé quello che ha udito; nessuno rivelerà solo quello che ha udito. Chi non sa tacere un fatto, non sa tacere neppure il nome di chi glielo ha riferito. Ognuno ha un amico a cui confidare quanto è stato confidato a lui. Così, anche se egli raffrena la sua loquacità e si contenta di parlare a una sola persona, il segreto, dopo un po', diventerà di dominio pubblico: sarà sulla bocca di tutti ».
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Si potrebbe dire che gran parte della saggezza di vita si basa sulla giusta proporzione in cui dedichiamo la nostra attenzione in parte al presente in parte al futuro, in modo che l'uno non ci rovini l'altro. Molti vivono troppo nel presente (gli sconsiderati), altri troppo nel futuro (i timorosi e gli apprensivi), e raramente uno manterrà la giusta misura.
La quiete del presente può venire disturbata al massimo da mali in sé certi e di cui è altrettanto certo il momento. Ma questo genere di mali è assai raro, poiché i mali o sono di per sé meramente possibili, o semmai probabili, oppure sono certi ma il loro momento è completamente indeterminato, come nel caso della morte. Se vogliamo fissarci su questi due generi, non avremo più un solo istante tranquillo. Per non perdere la quiete di tutta la nostra vita badando a mali incerti e indeterminati, dobbiamo abituarci a considerare i primi come se non giungessero mai e i secondi come se non giungessero certo adesso.
Colui che mantiene la calma in tutte le avversità della vita mostra semplicemente di sapere quanto immensi e molteplici siano i possibili mali della vita, sicché egli considera il male presente come una parte minima di ciò che potrebbe capitargli. Chi è consapevole di questo fatto e ci riflette non perderà mai la calma.
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Dobbiamo tenere a freno la fantasia in tutte le cose che riguardano il nostro benessere e il nostro malessere, le nostre speranze e i nostri timori. Fantasticando su possibili casi fortunati e sulle loro conseguenze ci rendiamo ancora più indigesta la realtà: costruiamo castelli in aria che in seguito il disinganno ci fa pagare cari.
Ma conseguenze ancora peggiori può avere l'immaginare possibili disgrazie: come dice Gracián, può trasformare la fantasia nel nostro carnefice domestico. Se si prendesse il tema delle fantasie funeste da grande distanza, scegliendolo da frammenti sparsi, non potrebbe nuocere, poiché svegliandoci dal sogno sapremmo immediatamente che tutto e puramente inventato e quindi conterrebbe una messa in guardia da disgrazie pur sempre possibili, ma lontane.
Tuttavia per quanto utile ciò possa essere, la nostra fantasia non è solita occuparsi di questi casi, e si limita in modo del tutto ozioso a costruire bei castelli in aria; viceversa, quando una qualche disgrazia già ci minaccia realmente, essa è spesso occupata a immaginarla, nel qual caso la ingrandisce sempre, la avvicina e la rende ancora più terribile di quanto non sia.
Ora, un simile sogno non possiamo scuotercelo di dosso quando ci svegliamo, come facciamo con quello sereno, che viene subito confutato dalla realtà e ciò che in esso sarebbe ancora possibile lo lasciamo al destino. Questo non accade quando ci si sveglia dalle fantasie funeste, poiché qui ci manca il criterio per giudicare il grado di possibilità della cosa; ce la siamo avvicinata, essa sta davanti a noi, la sua possibilità in generale è certa e si trasforma in probabilità, sicché ci prende una gran paura.
Le cose che riguardano il nostro benessere e il nostro malessere dobbiamo affrontarle solo con la capacità di giudizio, che opera con concetti e in abstracto, in una riflessione fredda e asciutta; la fantasia non vi si deve avvicinare, poiché non sa giudicare; essa ci pone di fronte un'immagine che muove il sentimento in modo inutile e spesso assai penoso.
Dunque: tenere a freno la fantasia!
Dunque: tenere a freno la fantasia!
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Non manifestare grande giubilo o grande afflizione riguardo ad alcun avvenimento, poiché la mutevolezza di tutte le cose può in ogni istante trasformarlo completamente; assaporare piuttosto in ogni momento il presente nel modo più sereno possibile: questa è saggezza di vita.
Ma per lo più noi facciamo il contrario: progetti e preoccupazioni per il futuro o anche la nostalgia del passato ci tengono occupati in modo talmente continuo e duraturo che il presente perde quasi sempre qualsiasi importanza e viene trascurato; eppure soltanto esso è sicuro, mentre il futuro, e perfino il passato, sono quasi sempre diversi da come li pensiamo. Così ci inganniamo per tutta la vita. Ora, per l'eudemonica tutto ciò è invero alquanto positivo, ma una filosofia più seria fa sì che proprio la ricerca del passato sia sempre inutile, e la preoccupazione del futuro lo sia spesso, cosicché solo il presente è lo scenario della nostra felicità,
Mentre la prima metà della vita è contrassegnata dall'aspirazione sempre incompiuta alla felicità, la seconda lo è dalla preoccupazione fin troppo spesso compiuta per l'infelicità: sono dunque infelici entrambe.
Dobbiamo cercare di arrivare a guardare ciò che possediamo esattamente con gli stessi occhi con cui lo guarderemmo se ci fosse sottratto. Di qualunque cosa si tratti, beni, salute, amici, amata, moglie, figli, per lo più ne percepiamo il valore solo dopo averla perduta.
Mentre la prima metà della vita è contrassegnata dall'aspirazione sempre incompiuta alla felicità, la seconda lo è dalla preoccupazione fin troppo spesso compiuta per l'infelicità: sono dunque infelici entrambe.
Da giovane, ogni volta che udivo suonare o battere alla porta ero felice, poiché pensavo: « Chissà, forse ci siamo!». Adesso quando battono alla porta mi spavento, poiché penso: «Stavolta ci siamo!».
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Dobbiamo cercare di arrivare a guardare ciò che possediamo esattamente con gli stessi occhi con cui lo guarderemmo se ci fosse sottratto. Di qualunque cosa si tratti, beni, salute, amici, amata, moglie, figli, per lo più ne percepiamo il valore solo dopo averla perduta.
Se arriviamo a ciò, anzitutto il possesso ci renderà subito più felici; in secondo luogo cercheremo nondimeno di prevenirne in tutti i modi la perdita, non esporremo le nostre proprietà ad alcun pericolo, non faremo adirare gli amici, non metteremo alla prova la fedeltà delle donne, sorveglieremo la salute dei figli, eccetera. Guardando tutto ciò che non abbiamo, siamo soliti pensare: «E se fosse mio?», e così facendo avvertiamo la privazione. Viceversa, nel caso di ciò che possediamo dovremmo pensare spesso: «E se lo perdessi? »!
Porre una meta ai nostri desideri, tenere a freno le nostre brame, dominare la nostra collera, essere sempre memori del fatto che l'uomo può raggiungere solo una parte infinitamente piccola di tutto ciò che è desiderabile, e che moltissimi mali sono inevitabili
Platone (Repubblica, I) reputa felice la vecchiaia perché finalmente si placa la brama di femmine. I bisogni principali della vecchiaia sono la comodità e la sicurezza: per questo in tarda età si ama soprattutto il denaro, come sostituto delle energie mancanti. Inoltre i piaceri della tavola sostituiscono quelli dell'amore. Al bisogno di vedere, di viaggiare e di imparare si sostituisce quello di insegnare e di parlare.
Ma è una fortuna se al vecchio è rimasto l'amore per lo studio
Almeno i nove decimi della nostra felicità sono dovuti esclusivamente alla salute. Da essa dipende anzitutto la serenità d'animo: dove questa è presente, le condizioni esterne più ostili e sfavorevoli appaiono più sopportabili di quanto non siano quelle più felici quando la salute malferma rende insofferenti e timorosi.
Senza la salute non si può assaporare alcuna felicità esterna, che dunque per chi la possiede ma è malato non c'è; quando invece c'è la salute ogni cosa è una fonte di piacere, ed è per questo che un mendicante sano è più felice di un re malato. Non è quindi senza ragione che ci si informa sempre reciprocamente su come va la salute, non su altre cose, e ci si augura di star bene: sono questi infatti i nove decimi di ogni felicità. Ne consegue che la follia più grande è sacrificare la propria salute, quale che ne sia il motivo: il guadagno, l'erudizione, la fama, la promozione, e perfino la lussuria e i piaceri fugaci. Piuttosto, ogni altra cosa dev'essere sempre posposta alla salute.
Ciò che nei nostri progetti di vita trascuriamo più spesso, quasi di necessità, sono le trasformazioni che il tempo produce in noi stessi; ne deriva che molto spesso miriamo a cose che, quando alla fine le raggiungiamo, non ci si adattano più, oppure passiamo gli anni con i lavori preparatori a un'opera, i quali, senza che ce ne accorgiamo, ci sottraggono nel contempo le forze per l'opera in quanto tale.
***
Platone (Repubblica, I) reputa felice la vecchiaia perché finalmente si placa la brama di femmine. I bisogni principali della vecchiaia sono la comodità e la sicurezza: per questo in tarda età si ama soprattutto il denaro, come sostituto delle energie mancanti. Inoltre i piaceri della tavola sostituiscono quelli dell'amore. Al bisogno di vedere, di viaggiare e di imparare si sostituisce quello di insegnare e di parlare.
Ma è una fortuna se al vecchio è rimasto l'amore per lo studio
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Almeno i nove decimi della nostra felicità sono dovuti esclusivamente alla salute. Da essa dipende anzitutto la serenità d'animo: dove questa è presente, le condizioni esterne più ostili e sfavorevoli appaiono più sopportabili di quanto non siano quelle più felici quando la salute malferma rende insofferenti e timorosi.
Senza la salute non si può assaporare alcuna felicità esterna, che dunque per chi la possiede ma è malato non c'è; quando invece c'è la salute ogni cosa è una fonte di piacere, ed è per questo che un mendicante sano è più felice di un re malato. Non è quindi senza ragione che ci si informa sempre reciprocamente su come va la salute, non su altre cose, e ci si augura di star bene: sono questi infatti i nove decimi di ogni felicità. Ne consegue che la follia più grande è sacrificare la propria salute, quale che ne sia il motivo: il guadagno, l'erudizione, la fama, la promozione, e perfino la lussuria e i piaceri fugaci. Piuttosto, ogni altra cosa dev'essere sempre posposta alla salute.
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Ciò che nei nostri progetti di vita trascuriamo più spesso, quasi di necessità, sono le trasformazioni che il tempo produce in noi stessi; ne deriva che molto spesso miriamo a cose che, quando alla fine le raggiungiamo, non ci si adattano più, oppure passiamo gli anni con i lavori preparatori a un'opera, i quali, senza che ce ne accorgiamo, ci sottraggono nel contempo le forze per l'opera in quanto tale.
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Il mezzo più sicuro per non diventare molto infelici consiste nel non chiedere di diventare molto felici
dunque nel ridurre le proprie pretese a una misura assai moderata in fatto di piacere, possesso, rango, onore, eccetera: infatti proprio l'aspirazione alla felicità e la lotta per conquistarla attirano grandi sventure. Ma la moderazione è saggia e opportuna già per il fatto che è davvero facile essere molto infelici, mentre è non solo difficile, ma assolutamente impossibile essere molto felici.
Il mezzo più sicuro per sfuggire a una grande sventura consiste nel ridurre il più possibile le proprie pretese, in rapporto ai propri mezzi di ogni tipo.
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Pertanto, sia nel bene sia nel male è infinitamente meno importante ciò che a uno capita nella vita che il modo in cui egli lo recepisce, nonché il modo e il grado della sua ricettività in genere.
Spesso uno invidia ingiustamente l'altro per via di qualche avvenimento interessante della sua vita, mentre dovrebbe invidiarlo per la ricettività in virtù della quale tali avvenimenti appaiono così interessanti nella sua descrizione. Il medesimo avvenimento che, capitando a un genio, risulta sommamente interessante, in una testa vuota sarebbe diventato una scena insignificante tratta dal mondo quotidiano. Allo stesso modo per il melanconico è già una scena tragica ciò che per il flemmatico e il sanguigno lo è molto meno.
Dovremmo quindi mirare meno al possesso di beni esteriori che al mantenimento di un temperamento sereno e felice e di un sano buonsenso
Dovremmo quindi mirare meno al possesso di beni esteriori che al mantenimento di un temperamento sereno e felice e di un sano buonsenso
La felicità non è cosa facile: è difficilissimo trovarla in noi e impossibile trovarla altrove
Chi è diventato saggio sa che la felicità di un individuo dipende interamente da ciò che lui stesso è per se stesso, mentre non dipende per nulla da ciò che egli è nell'opinione altrui***
Una delle follie più grandi e frequenti è che si facciano per la vita progetti di ampio respiro, quali che ne siano le modalità. Essi presuppongono anzitutto una vita umana intera e compiuta, che però pochissimi raggiungono e che comunque, anche se essi vivono così a lungo, è pur sempre troppo corta per tali progetti, poiché la loro realizzazione richiede sempre molto più tempo di quanto si è supposto.
Inoltre, come tutte le cose umane, siffatti progetti sono talmente esposti a fallimenti e a impedimenti che raramente arrivano alla meta; e anche quando alla fine tutto è stato raggiunto non si è tenuto conto del fatto che anche l'uomo cambia con gli anni, e non conserva le medesime capacità né per agire né per godere: ciò a cui ha mirato per tutta la vita, nella vecchiaia gli appare indigesto; non è più in grado di occupare la posizione così difficilmente conquistata, dunque le cose giungono per lui troppo tardi, o, viceversa, quando ha voluto fare qualcosa di particolare e realizzarlo, è lui che giunge troppo tardi rispetto alle cose.
Il motivo di questo errore così frequente è l'illusione naturale in virtù della quale la vita, vista dal suo punto di partenza, sembra senza fine, mentre vista retrospettivamente dal termine del suo percorso sembra assai breve (effetto del binocolo da teatro). Ovviamente tale illusione ha il suo lato positivo: infatti senza di essa difficilmente si realizzerebbe mai qualcosa di grande.
Aúoxoros è colui che, avendo le medesime chances pro o contro di sé, non si rallegra se l'esito gli è favorevole, però si irrita se non lo è. Eúxonos è colui che in caso di esito favorevole si rallegra, ma in caso contrario non si irrita. La ricettività alle impressioni gradevoli e sgradevoli è estremamente diversa in uomini differenti. La stessa cosa che porta l'uno quasi alla disperazione fa ridere l'altro.
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Il motivo di questo errore così frequente è l'illusione naturale in virtù della quale la vita, vista dal suo punto di partenza, sembra senza fine, mentre vista retrospettivamente dal termine del suo percorso sembra assai breve (effetto del binocolo da teatro). Ovviamente tale illusione ha il suo lato positivo: infatti senza di essa difficilmente si realizzerebbe mai qualcosa di grande.
Aúoxoros è colui che, avendo le medesime chances pro o contro di sé, non si rallegra se l'esito gli è favorevole, però si irrita se non lo è. Eúxonos è colui che in caso di esito favorevole si rallegra, ma in caso contrario non si irrita. La ricettività alle impressioni gradevoli e sgradevoli è estremamente diversa in uomini differenti. La stessa cosa che porta l'uno quasi alla disperazione fa ridere l'altro.
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Per Aristotele la vita filosofica è la più felice
(Etica Nicomachea, X, 7-9).
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La definizione di esistenza felice potrebbe essre questa: un'esistenza tale che, considerata in
termini puramente oggettivi - ovvero (poiché qui è in gioco un giudizio soggettivo) con una riflessione fredda e matura -, sarebbe decisamente da preferirsi alla non-esistenza.
Il concetto di un'esistenza siffatta implica che dovremmo esserle attaccati per ciò che essa è in se stessa e non solo per paura della morte, il che implica a sua volta che desideriamo vederla durare all'infinito. Com'è noto, alla domanda se la vita umana corrisponda, o possa corrispondere, a questo concetto di esistenza, la mia filosofia dà una risposta negativa.
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