Passa ai contenuti principali

Storia del Ticino e dei ticinesi nella battaglia di Marignano

Molto ho letto e riportato della battaglia dei giganti occorsa a Marignano nel 1515. Il mancato happy ending viene però mitigato dalla nota onorevole ritirata degli svizzeri dopo la sconfitta sul campo.
Ma fu veramente così? E questo status di “intoccabili sconfitti” per quanto si protrasse? O ancora più semplicemente: cosa accade effettivamente nei tempi immediatamente successivi alla battaglia?

Ecco finalmente un estratto che permette di far luce anche a quello che fu il dopo del dopo (dove il primo dopo si intende l'immediata ritirata, momento epico in cui mi sono chinato più e più volte)

Ritirata degli svizzeri da Marignano

Leventinesi caduti a Marignano

Come nelle due battaglie di Novara, cosi in quella di Marignano milizie ticinesi combatterono a fianco degli svizzeri; mentre ad Arbedo e a Giornico i bellinzonesi pugnavano nelle file ducali, i locarnesi nel 1502 alla Francia per i Rusca e i Valmaggesi nel 1484 per difendere i loro valichi contro i vallesani.

I1 Motta annovera 96 leventinesi caduti nella battaglia dei giganti purtroppo assai intedescati, dal martirologio della parrocchia urana di Schaddorf. Tra essi troviamo un Enrico Pin (Pini) alfiere e luogotenente, il cui casato tuttora esiste ed è patrizio bellinzonese: abbiamo un Giovanni Gross (Grossi), famiglia di Monte Carasso; un Cristoforo Pedrina, parentela leventinese; un Bartli Biatz, che potrebbe essere un Bartolomeo Piazza, il cui casato figurava tra i patrizi di Olivone già nel 1210, un Giovanni Alberto, un Gaspare Schnider, un Giacomo Zoppo, casato di Broglio Valle Maggia, Giovanni Schanon, forse Sciaroni di Biasca e di Minusio, un Marti di Ronco, un Giovanni Martinetti, Giorgio Ramelli, airolese o luganese. E ancora, Giov. Antonio Piscken, forse Pisciani di Peccia o di Minusio, il capitano Stanga, Antonio von Kautzog (Cauzza?), Michele Pedretti, Pietro Kaym di Anzonico, Guglielmo Antogin (Antognini), un Piecolo, un Orlandi, un Jacchini, un Marti, Antonio Mottino. Antonio Rusca, Giacomo del Pozzo, un da Corte, un Giambonini, un Antonio Mode, un Giovanni Leventin, Pietro Bertin, Giovanni da Polmengo, Giovanni Pedret, un Jacmina, un Guglielmina, uno Schaneiy (Gianella) ecc.


Baldanzosi, guidati dal cardinale Schiner (tutta a sinistra) gli svizzeri si preparano allo scontro

E probabile che tutti i combattenti dei diversi baliaggi o fossero coi leventinesi o con essi venissero registrati nel martirologio. I nomi, benchè intedescati, come ben dice il Motta, vennero tuttavia scritti sotto dettatura colla pronunzia dialettale. 

Inquietudine

La clamorosa sconfitta lasciò un periodo di inquietudine nei confederati, sulle sorti dei baliaggi ticinesi.
Benchè non inseguiti letteralmente colla spada alle reni nella ritirata dai campi sanguinosi di Marignano, essi dovevano attendersi nuovi attacchi. 
Provvidero, quindi, rapidamente alle difese. Ma già in data 12 settembre, la vigilia della battaglia, la Dieta di Zurigo, aveva notizia dal Commissario di Bellinzona che l'eterno nemico, il Triulzio-aveva fatto fortificare Mesocco, e che il nemico ha libero passaggio per uscirne o per recarvisi, e che anche il Castello di Musso, sul lago di Como, veniva fortificato. La Dieta scrive ai confederati di Coira (Crovaglia, Curiae vallis, Churvalen) di sorvegliare i due castelli in modo da impedire che rechino danni.

Le truppe ticinesi (2000 soldati) che occupavano Como, ed altre spedite alla Tresa, servirono a coprire la ritirata degli svizzeri. 

Che la situazione in Lugano non fosse confortante risulta da una lettera del capitano Sigismondo Schnider e dei suoi soldati allo scoltetto e al Consiglio di Berna, in data del 21 Ottobre, giorno delle Undicimila vergini, da Lugano. 
Egli espone di essere giunto a Lugano, ma che la strada del Monteceneri non era aperta. Si lamenta del nobile Ludovico che fece loro di scorta coi suoi soldati, con altri di Bellinzona, per il Ceneri: egli non gli rivolse mai parola e non forni indicazioni.

Seppero poi da un certo Zucker, che veniva da Milano, come quel castello fosse perduto e come il «von Mondargun», certamente il Mondragone che difese il castello di Lugano, si trovi alla Tresa, da dove manda ogni giorno ad intimare la resa del castello. Egli venne persino a Lugano e vi restò durante nove giorni. Quindi, la solita preghiera di mandare denaro, colla cortese minaccia di andarsene in caso negativo.
Infine il capitano bernese chiede istruzioni contro il contegno dei tre Cantoni, i quali « si permettono di comandarci » per il che tutti sono in discordia nel castello, eccetto le città. Specialmente quelli di Svitto ci trattano quasi con disprezzo, perché sono molto più numerosi di noi....

Dunque, anche la storia della ritirata superba da Marignano va rettificata. 

Malgrado gli aiuti ticinesi agli svizzeri, l'inseguimento dei vincitori fu così vicino e così violento che Lugano e il Monteceneri furono occupati e tenuti dal Mondragone per ben nove giorni.
Non è ben chiaro il motivo per il quale egli retrocesse quindi alla linea della Tresa; forse, in causa di un contr'attacco dei confederati (Uri, Svitto e Nidvalden), dalla base di Bellinzona, che aveva chiesto aiuto, e col concorso degli abitanti, o d'un richiamo di Francesco I.

Certamente risulta, anche per testimonianza del cronista Muralto, che la ritirata degli svizzeri, in ogni caso, da Como verso Bellinzona, fu disordinata: i grigioni poi, inseguiti dai Tornaschi, su per il lago ebbero fortissime perdite. A Como e a Varese caddero parecchi luganesi. Il Gambarogno fu anch'esso invaso e devastato

Queste discordie
, che non sono nuove, come abbiamo già visto, dovettero certamente rincrudire dopo Marignano, e il contegno specialmente dei bernesi, i quali erano rimpatriati prima della battaglia, era ben atto a giustificarle; da ciò il fare sprezzante del nobile Ludovico.


Svizzeri baldanzosi in vista dello scontro di Marignano

La Dieta giunge in soccorso

Alla Dieta di Lucerna del 24 settembre si decide di rispondere a voti unanimi ai due Commissari di Lugano e di Locarno, i quali avevano chiesto come comportarsi, di tenersi onorevolmente che non li si abbandonerebbero. 
E poichè quelli di Lugano si lamentano che la guarnigione è troppo piccola e non è fornita di provvigioni, ognuno dei dodici Cantoni deve spedire colà immediatamente dieci uomini, forniti di danaro Uri poi, e Svitto, spediranno a Bellinzona, luogo di concentramento dei militi, un certo numero di buoi e una provvigione di formaggio e di zigra (ricotta). 
I militi colà giunti trasporteranno, con cautele di sicurezza, a Lugano le provvigioni, eventualmente coll'aiuto della gente del paese .
Subito dopo si provvede anche a Locarno. 

Il numero dei soldati che ogni Cantone deve spedire cola è di venti, in relazione alla estensione delle opere di quel castello. Anche queste truppe devono radunarsi nello stesso tempo (ossia per il 4 ottobre) a Bellinzona, la base strategica.
E' intanto dato ordine al Commissario di Locarno di raccogliere nel castello provvigioni per 200 sino a 250 uomini.

L'ambasciatore bellinzonese

E qui entra in campo un bellinzonese come ambasciatore del re di Francia per iniziare le trattative di pace. I regesti non ne danno il casato, indicandolo soltanto come un Giovanni di Bellinzona. «Egli racconta, con molte parole (così i regesti) di essere stato fatto prigione dai francesi e condotto dal re e dal Triulzio, i quali lo fecero scortare agli svizzeri. I due gli dissero che al re rincresceva che fosse avvenuta la battaglia e che egli era tuttora volonteroso di pace: dovesse egli riferire ciò ai suoi signori di Uri e agli altri contederati, e poi ritornare a lui colla risposta entro 15 giorni.

Gli svizzeri, dopo aver ciò sentito, gli ingiungono di restare a casa in forza del giuramento da lui prestato ai suoi Signori. Essi ebbero evidentemente sospetto che egli potesse fornire al re infor mazioni sulle cose loro e non gli permisero di ripartire.

Gli svizzeri tenevano ancora, addi 24 settembre, 1800 soldati, tra sani e feriti, nei castelli di Milano, di Lugano, di Locarno e di Domo, e per il caso che si trovassero in pericolo, conforme alla promessa fatta di non abbandonarli, si risolve una levata di 20-30 mila uomini per una nuova calata.

I primi resoconti della battaglia di Marignano a nord delle Alpi

La prima nuova della battaglia al di là delle Alpi venne data dal Commissario di Bellinzona, cosi rapidamente che il 16 settembre, di notte  Anselmo Graff di Uri, poteva darne, alla sua volta, notizia ai confederati. La lettera del Commissario bellinzonese racconta esattamente l'esito favorevole della prima giornata e sfavorevole della seconda, per le acque - cosi egli succintamente - alludendo alla inondazione artificiale suggerita dal Triulzio, che rese quasi impossibile il combattere.

Ma già il 4 ottobre, il giorno istesso in cui doveva aver luogo il concentramento a Bellinzona dei presidi per Locarno e per Lugano, arriva a Lucerna notizia che i francesi hanno passato il Monteceneri marciando contro Locarno e contro Bellinzona. La loro intenzione era, specialmente, di occupare Bellinzona.
Il Vogt, i capitani el la guarnigione di Bellinzona, dando questo avviso, chiedono pronto soccorso.

Anche la Comunita di Bellinzona, sempre timorosa della vendetta francese per la rivolta del 1500, con lettera (Archivio di Stato di Lucerna) del 27 settembre 1515 firmata dai « fidelissimi servitores pressidentes regim. comunitati Belllinzone » scrivono a Lucerna chiedendo prontissimi soccorsi - nedum citius sed citissime - appoggiando uguale richiesta del commissario. 
In essa si espone che la fortezza (oppidum istud). i beni e le persone sono esposti a vari pericoli per i molti attacchi e le insidie que per gallos et exules (gli esigliati del partito francese) perpelrata fuere. Essere grande il pericolo che Lugano cada in mano ai francesi e preparasi - come ad avviso avuto - sul lago Maggiore multa armata navilia varii locis e specialmente presso Locarno; mancare le vettovaglie, essendo chiusa la strada per provvederle; non esservi artiglierie colle munizioni, non adsunt artilurie, quibus possimus castra minusque oppidum deffendere.

Immediatamente Uri, Svitto e Nidwalden si mettono in marcia per liberare i loro.
Nell'Archivio dell'Abbazia di S. Gallo si rinvenne una lettera di Uri, di Svitto e di Untervaldo, firmata da Svitto, diretta all'Abbate Francesco, in data del 15 ottobre. In essa gli si espone il destino degli svizzeri in Milano, tolti dall'Ospitale e venduti sul mare (nelle galere); e il continuo pericolo dei confederati a Lugano, a Locarno ed a Bellinzona. Di questa situazione venne a loro ripetutamente notizia con preghiera di pronto soccorso. Per ciò sono sul punto di mettersi in campo colla bandiera e chiedono all'Abbate di spedire in aiuto le sue genti.
Il 13 ottobre si trovavano in guarnigione a Bellinzona 50 bernesi con a capo un Antonio Bütschelbach. Per 46 di essi, citati per nome nei documenti bernesi, vennero spesi 373 lire e 14 scellini.

La Confederazione fu allora sul punto di perdere il Ticino o in tutto o in parte. Si fu ancora una volta il timore della dominazione e della vendetta francese che mantenne gli avi nostri con i nuovi signori, ai quali furono anzi di valido aiuto nella battaglia e poscia nella sconfitta.

Non solo quindi il Ticino non fu dagli svizzeri conquistato nel vero senso della parola, ma, una volta fattosi svizzero nelle condizioni più volte indicate, seppe rendere segnalati servigi, sino dagli inizii ai suoi oppressori, dei quali costoro non tennero calcolo né politicamente, nè storicamente, e, meno ancora, dal lato economico.

Qualche testimonianza sulla ritirata

In queste tre testimonianze emerge una ritirata amara, come é giusto che siano tutte le ritirate. Sul lago di Como diversi svizzero persero ancora la vita.
Quello che traspare in maniera evidente é la sensazione comunque di umiliazione e ricerca dei capri espiatori che vengono identificati nei capitani svizzeri (addirittura decapitati in Svizzera secondo il Prato) o ancora verso il comandante in capo, il cardinal Schiner

Giovanni Andrea Prato, Patrizio milanese 1499 1519

Li Sviceri intrati in Como, loro istessi, prese le navi, con l'aiuto delle loro aste et arme in loco de remi, se ne passavano il laco; molti negandosi, et molti da li incoli essendo occisi, et molti per sé morindo: et gli altri, con merore et con la stanca vita, a casa se ne andorno. Et per suplimento de li patiti mali, fu a tutti li capitanei dell'impresa, usciti dal pericolo dil facto d'ar me a S.Donato, troncata la testa a casa loro, perché egli non erano stati insieme bene uniti sì come doveano. Unde li segui quel dicto che dice: Opera enim illorum sequuntur illos (beati i morti che muoiono nel signore)

Gucciardini - Storia d'Italia - Capitolo IV


Ritirati che furono i svizzeri in Milano, essendo in grandissima discordia o di convenire col re di Francia o di fermarsi alla difesa di Milano, quegli capitani i quali prima avevano trattata la concordia, cercando cagione meno inonesta di partirsi, dimandorono danari a Massimiliano Sforza, il quale era manifestissimo essere impotente a darne; e dipoi tutti i fanti, confortandogli a questo Rostio capitano generale, si partirono il di seguente per andarsene per la via di Como al paese loro, data speranza al duca di ritornare presto a soccorrere il castello, nel quale rimanevano mille cinquecento svizzeri e cinquecento fanti italiani


Marcantonio Lauger - Istoria della repubblica di Venezia


Le conseguenze della battaglia furono decisive. Gli Svizzeri ritirati a Milano accusarono aspramente e in tuono da disperati il Cardinale di Sion di averli impegnati mal a proposito in un cimento, dal quale non avevano riportato che disonore.
Questo Prelato, non credendosi più sicuro con essi, si ritirò in Allemagna, e condusse seco Francesco
Sforza, Duca di Bari. Gli Svizzeri vergognandosi della loro sconfitta, e malcontenti di non aver ricevuto dal Papa e dal Re di Spagna il danaro ad essi promesso, lasciarono a Massimiliano Sforza quattro mille uomini per la difesa del Castello di Milano, e ritornarono nel loro paese.

Commenti

Post popolari in questo blog

Suvorov55 - L’epopea di un esercito in Svizzera - Parte2: Risalendo il Ticino

Prosegue il viaggio fianco a fianco del generale Suvorov e la sua armata. Certo non capita tutti i giorni di veder sfilare un armata sotto casa. Quali le reazioni e le ripercussioni e le conseguenze nelle povere terre ticinese? In questa tappa seguiamo l'esercito percorrere un sottoceneri ancora poco stabile sulle sue gambe dopo la scacciata dei Lanfogti Piccolo padre Così la spedizione di Suwaroff in Isvizzera fu decisa: dal suo campo di Asti egli lanciava il 5 settembre 1799 un ordine del giorno pieno di entusiasmo alle sue truppe agguerrite e ben riposate e senz’indugio mettevasi in marcia verso il Cantone Ticino per Gallarate, Varese, Ponte Tresa. Souwaroff era pieno d’umore bellicoso: vecchio d’oltre 70 anni ma arzillo e noncurante dei disagi, ora caracollava frammezzo ai cosacchi ridendo e cantando con essi, ora con parole incoraggianti spronava alla marcia i suoi granatieri , ed i moschettieri mitrati, che in lunghe colonne per sei divoravano le larghe strade lombarde. Fisi...

Museo della riforma di Ginevra 3 - Icone e iconoclastia

In un secolo dove l'analfabetismo si aggira al 90% il potere delle immagini la fa da padrone. Come visto in passato la bibbia veniva disegnata sulle pareti delle chiese, le icone prendevano ancor più piede. E come qualcuno impone delle icone qualcun'altro vuole eliminarle perché non attinenti al suo pensiero. Ecco con parole mia l'iconoclastia: una parola probabilmente udita almeno una volta, ma proprio per quello difficile da ricordare, ma anche se si ricordasse sarebbe assai difficile al giorno d'oggi trovare un iconoclasta praticante....ok, ho capito..... Iconoclastia protestante La Riforma diffidava della superstizione. Combatteva l'infatuazione dei devoti per le immagini e le statue, nel rispetto letterale del secondo dei dieci comandamenti dell'Antico Testamento, che proibisce la rappresentazione materiale di Dio. Nella prima parte del XVI secolo, i riformatori radicali distrussero immagini, dipinti e sculture in campagne iconoclaste, che Lutero, Zwingli ...

L’occhio di vetro

Giungendo un collega in ufficio con un occhio guasto sono iniziate alcune discussioni sull'argomento. In breve tempo, degenerando, ci si é spostati sul curioso tema degli occhi di vetro. In particolare, non ne ricordo l'origine, quella paura di svegliarsi durante la notte e bere quel bicchiere d'acqua appoggiato sul comodino, magari quello contenente l'occhio di vetro. Fantascienza? La storia dell'occhio ingurgitato sa molto di leggenda metropolitana. Molto meno invece l'occhio di vetro. Esso, come molti altri, é uno di quegli argomenti pronti a saltar fuori alla prima occasione valida, occasione che mi si para davanti durante la visita del Moulage Museum dell'università di Zurigo. Esso consiste in u ampio locale in cui sono presenti diverse vetrine contenenti ricostruzioni di tutte quelle orribile malattie che possono accorrere all'uomo. Dalla lebbra alla necrosi passando per le "classiche emorroidi". Di tutto e di più. Nella vetrina dedicata ...

Il Lazzaretto di Milano

Per completare le letture sulla pestilenza che colpì Milano, origine di diversi spunti ( qui , qui e qui ), decido di recarmi direttamente sul posto per cercarne i resti. Si perché se “se non si va direttamente sul posto si gode solo a metà”  Storia del Lazzaretto In un'epoca nella quale le condizioni igieniche erano davvero precarie, nasceva la necessità di adibire alcune strutture alla degenza e all'isolamento degli appestati durante le epidemie. Per questo motivo venne costruito il Lazzaretto, struttura che ogni città avrebbe dovuto avere per garantire un minimo di assistenza ai malati e per difendersi dall'espansione del contagio. Ciò che però non si sapeva era come trattare con la peste. Nei lazzaretti i malati erano di fatto isolati in attesa della morte. Esterno del Lazzaretto e porta di accesso Il primo Lazzaretto di Milano sorse molto distante dalla città, a Cusago tra il 1447 e il 1450, ma si rivelò troppo lontano durante la peste del 1451. Era necessaria una str...

Giordano Bruno

Giordano Bruno. Scagli la prima pietra che non ha mai udito tale nome. Probabilmente se si conosce il nome si saprà anche come ha finito i suoi giorni; bruciato vivo. Stop. Ma non basta. Così come non basta passare a velocità supersonica in piazza campo dei fiori a Roma per una rapida occhiata al monumento a lui dedicato. Ci sarà pur un motivo se tra migliaia di messi al rogo a lui hanno fatto la statua. Che diamine. Questi i pensieri mentre riguardo gli scatti strappati a Campo dei fiori in una soleggiata giornata primaverile. A distanza di due anni approfondisco il personaggio e il percorso che lo ha portato ad essere ridotto in cenere a Roma, a poche centinaia di metri della capitale di Gesù Cristo Nostro Signore P.S. É un puro caso che il post esca esattamente lo stesso giorno della sua esecuzione. Il monumento  Nel centro di piazza Campo de' Fiori, in mezzo alle bancarelle del mercato e al vagabondare di romani e turisti, si leva il monumento a Giordano Bruno. Il filosofo è tu...

Hotel Dakota

A volte i musei sono nei posti più insoliti. Un evento particolare può infatti essere preso come filo rosso per l'arredamento di un albergo. Questo é quello che hanno deciso i gestori dell'albergo Dakota a Meiringen Hall dell'hotel Dakota di Meiringen L'incidente Il 18 novembre 1946, un Dakota C-53 americano decollò da Vienna con dodici passeggeri per un volo diretto a Pisa. Dopo lo scalo a Monaco, il pilota Ralph Tate decise di sorvolare le Alpi svizzere e sbagliò le condizioni di altitudine. Volando troppo basso, l'aereo sfiorò il ghiacciaio Gauli a 3350 metri di altitudine a una velocità di 280 km/h. L'aereo sbanda nella neve alta, supera dei crepacci e alla fine si  ferma, senza che i 12 occupanti riportassero ferite pericolose per la vita. A bordo c'erano quattro membri dell'equipaggio e otto passeggeri, tra cui quattro donne, alti ufficiali dell'esercito americano e una bambina di 11 anni. La nebbia e i forti venti costrinsero il Dakota ad att...

Marignano 1515: la battaglia dei giganti secondo il Traxino

Trovo miracolosamente un altro testo inerente la battaglia di Marignano. Vero crocevia della storia svizzera. Questa pubblicazione risulta particolarmente interessante perché arricchita (quasi la metà del testo) da numerosissime note  L'Europa è in fermento, la prospettiva che un'area geografica di importanza fondamentale come il ducato di Milano sia caduta in mano agli svizzeri e al loro comandante, cardinal Schiner, è ritenuta inaccettabile, seppur con la poco credibile assunzione al trono di un figlio del Moro, Massimiliano Sforza, manovrato dallo Schiner e senza nessun margine d'azione autonoma. Nonostante l'indubbio impegno e coraggio da essi profuso, unitamente alle elevate perdite, durante il secondo giorno è ormai evidente a tutti che il vincitore della battaglia è l'esercito francese. Gli svizzeri cominciano a ritirarsi dal Ducato, protetti da alcune robuste retroguardie, rientrando nei propri territori, ma a testa alta: hanno infatti ben combattuto ed il l...

L’arte di invecchiare

Finché lo scorrere del tempo non diventi uno dei principali pensieri o addirittura sfoci in un ossessione stiamo sicuramente navigando nelle tumultuose acque della gioventù. Inesorabile é purtroppo il passare del tempo, ma questo lo si avverte con lo "scollinamento" (vedi capitolo sotto). All'improvviso sembra tutto fragile, insicuro, ci si rende conto che al contrario dei videogiochi la vita é una sola, appesa ad un filo che potrebbe rompersi da un momento all'altro. Da qui si impone profonda riflessione e una ricerca di filosofie capaci di accompagnarci con grande serenità al più democratico dei giorni.  Negli appunti lasciati di Schopenhauer, e nuovamente racchiusi in un vademecum tascabile trovo alcune risposte a questi pensieri tipicamente serali giusto "prima di spegnere la lampada sul comodino”.  Maestro della sponda superiore del Reno - Dittico: Hieronymous Tschckenbürlin e la morte, 1487 Museo d'Arte Basilea Definizione della vita secondo Schopenhaue...

Una nuova partenza

Ho gestito un blog dal 2004 al 2016 Dal 2016 ho preso una pausa, nel frattempo il mio stile di vita e i miei interessi sono mutati, si potrebbe sostenre che sono passato dall'epoca "tardo bimbominkia" al "consapevole di un esistenza da sfruttare bene", o ancora, come amo dire, aver cambiato la mia stagione umana, che sia da "primavera a estate" o da "estate a autunno" non l'ho ancora capito. Nel frattempo i miei interessi si sono spostati fondamentalmente su due temi: montagna e storia. Perché Suvorov55? Suvorov55 é un nome che riesce a racchiudere entrambe le mie passioni, cosa abbastanza difficile in una parola; si tratta di un percorso proposto da una delle innumerevoli app di escursionismo che propone di ripercorrere il percorso fatto dal generalissimo Suvorov nelle alpi svizzere nel contesto delle guerre napoleoniche, il percorso si chiama appunto Suvorov55 ed é una dei miei innumerevoli obiettivi che mi sono proposto di raggiungere....

VERSO

Quello che ci si para dinnanzi é sempre solo una facciata, un lato della medaglia, solitamente il più bello. Ma per conoscere bene qualcuno occorre mangiarci un sacco di sale assieme. L'operazione di scoprire il lato oscuro dei quadri é decisamente più semplice ma raramente non viene trattato perché il lato bello prende per se tutto l'interesse in quanto decisamente la più degno di ammirazione. Si potrebbe dire la stessa cosa dei singoli delle canzoni che uscivano con una seconda traccia, le famose B Sides, sempre un po' bistrattate, a torto, in quanto anche loro erano delle perle destinate a rimanere a vivere all'ombra della parte bella. Ma ritorniamo ai quadri, la Kunsthaus di Basilea decide di farci scoprire cosa sta dietro ai quadri. A oggi non mi sono mai posto grandi aspettative al riguardo, l'unico punto a riguardo erano le ali delle pale d'altare, che vengono solitamente esposte aperte nei musei, ma che nella realtà erano in questa posizione in corrispon...