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Storia del Ticino e dei ticinesi nella battaglia di Marignano

Molto ho letto e riportato della battaglia dei giganti occorsa a Marignano nel 1515. Il mancato happy ending viene però mitigato dalla nota onorevole ritirata degli svizzeri dopo la sconfitta sul campo.
Ma fu veramente così? E questo status di “intoccabili sconfitti” per quanto si protrasse? O ancora più semplicemente: cosa accade effettivamente nei tempi immediatamente successivi alla battaglia?

Ecco finalmente un estratto che permette di far luce anche a quello che fu il dopo del dopo (dove il primo dopo si intende l'immediata ritirata, momento epico in cui mi sono chinato più e più volte)

Ritirata degli svizzeri da Marignano

Leventinesi caduti a Marignano

Come nelle due battaglie di Novara, cosi in quella di Marignano milizie ticinesi combatterono a fianco degli svizzeri; mentre ad Arbedo e a Giornico i bellinzonesi pugnavano nelle file ducali, i locarnesi nel 1502 alla Francia per i Rusca e i Valmaggesi nel 1484 per difendere i loro valichi contro i vallesani.

I1 Motta annovera 96 leventinesi caduti nella battaglia dei giganti purtroppo assai intedescati, dal martirologio della parrocchia urana di Schaddorf. Tra essi troviamo un Enrico Pin (Pini) alfiere e luogotenente, il cui casato tuttora esiste ed è patrizio bellinzonese: abbiamo un Giovanni Gross (Grossi), famiglia di Monte Carasso; un Cristoforo Pedrina, parentela leventinese; un Bartli Biatz, che potrebbe essere un Bartolomeo Piazza, il cui casato figurava tra i patrizi di Olivone già nel 1210, un Giovanni Alberto, un Gaspare Schnider, un Giacomo Zoppo, casato di Broglio Valle Maggia, Giovanni Schanon, forse Sciaroni di Biasca e di Minusio, un Marti di Ronco, un Giovanni Martinetti, Giorgio Ramelli, airolese o luganese. E ancora, Giov. Antonio Piscken, forse Pisciani di Peccia o di Minusio, il capitano Stanga, Antonio von Kautzog (Cauzza?), Michele Pedretti, Pietro Kaym di Anzonico, Guglielmo Antogin (Antognini), un Piecolo, un Orlandi, un Jacchini, un Marti, Antonio Mottino. Antonio Rusca, Giacomo del Pozzo, un da Corte, un Giambonini, un Antonio Mode, un Giovanni Leventin, Pietro Bertin, Giovanni da Polmengo, Giovanni Pedret, un Jacmina, un Guglielmina, uno Schaneiy (Gianella) ecc.


Baldanzosi, guidati dal cardinale Schiner (tutta a sinistra) gli svizzeri si preparano allo scontro

E probabile che tutti i combattenti dei diversi baliaggi o fossero coi leventinesi o con essi venissero registrati nel martirologio. I nomi, benchè intedescati, come ben dice il Motta, vennero tuttavia scritti sotto dettatura colla pronunzia dialettale. 

Inquietudine

La clamorosa sconfitta lasciò un periodo di inquietudine nei confederati, sulle sorti dei baliaggi ticinesi.
Benchè non inseguiti letteralmente colla spada alle reni nella ritirata dai campi sanguinosi di Marignano, essi dovevano attendersi nuovi attacchi. 
Provvidero, quindi, rapidamente alle difese. Ma già in data 12 settembre, la vigilia della battaglia, la Dieta di Zurigo, aveva notizia dal Commissario di Bellinzona che l'eterno nemico, il Triulzio-aveva fatto fortificare Mesocco, e che il nemico ha libero passaggio per uscirne o per recarvisi, e che anche il Castello di Musso, sul lago di Como, veniva fortificato. La Dieta scrive ai confederati di Coira (Crovaglia, Curiae vallis, Churvalen) di sorvegliare i due castelli in modo da impedire che rechino danni.

Le truppe ticinesi (2000 soldati) che occupavano Como, ed altre spedite alla Tresa, servirono a coprire la ritirata degli svizzeri. 

Che la situazione in Lugano non fosse confortante risulta da una lettera del capitano Sigismondo Schnider e dei suoi soldati allo scoltetto e al Consiglio di Berna, in data del 21 Ottobre, giorno delle Undicimila vergini, da Lugano. 
Egli espone di essere giunto a Lugano, ma che la strada del Monteceneri non era aperta. Si lamenta del nobile Ludovico che fece loro di scorta coi suoi soldati, con altri di Bellinzona, per il Ceneri: egli non gli rivolse mai parola e non forni indicazioni.

Seppero poi da un certo Zucker, che veniva da Milano, come quel castello fosse perduto e come il «von Mondargun», certamente il Mondragone che difese il castello di Lugano, si trovi alla Tresa, da dove manda ogni giorno ad intimare la resa del castello. Egli venne persino a Lugano e vi restò durante nove giorni. Quindi, la solita preghiera di mandare denaro, colla cortese minaccia di andarsene in caso negativo.
Infine il capitano bernese chiede istruzioni contro il contegno dei tre Cantoni, i quali « si permettono di comandarci » per il che tutti sono in discordia nel castello, eccetto le città. Specialmente quelli di Svitto ci trattano quasi con disprezzo, perché sono molto più numerosi di noi....

Dunque, anche la storia della ritirata superba da Marignano va rettificata. 

Malgrado gli aiuti ticinesi agli svizzeri, l'inseguimento dei vincitori fu così vicino e così violento che Lugano e il Monteceneri furono occupati e tenuti dal Mondragone per ben nove giorni.
Non è ben chiaro il motivo per il quale egli retrocesse quindi alla linea della Tresa; forse, in causa di un contr'attacco dei confederati (Uri, Svitto e Nidvalden), dalla base di Bellinzona, che aveva chiesto aiuto, e col concorso degli abitanti, o d'un richiamo di Francesco I.

Certamente risulta, anche per testimonianza del cronista Muralto, che la ritirata degli svizzeri, in ogni caso, da Como verso Bellinzona, fu disordinata: i grigioni poi, inseguiti dai Tornaschi, su per il lago ebbero fortissime perdite. A Como e a Varese caddero parecchi luganesi. Il Gambarogno fu anch'esso invaso e devastato

Queste discordie
, che non sono nuove, come abbiamo già visto, dovettero certamente rincrudire dopo Marignano, e il contegno specialmente dei bernesi, i quali erano rimpatriati prima della battaglia, era ben atto a giustificarle; da ciò il fare sprezzante del nobile Ludovico.


Svizzeri baldanzosi in vista dello scontro di Marignano

La Dieta giunge in soccorso

Alla Dieta di Lucerna del 24 settembre si decide di rispondere a voti unanimi ai due Commissari di Lugano e di Locarno, i quali avevano chiesto come comportarsi, di tenersi onorevolmente che non li si abbandonerebbero. 
E poichè quelli di Lugano si lamentano che la guarnigione è troppo piccola e non è fornita di provvigioni, ognuno dei dodici Cantoni deve spedire colà immediatamente dieci uomini, forniti di danaro Uri poi, e Svitto, spediranno a Bellinzona, luogo di concentramento dei militi, un certo numero di buoi e una provvigione di formaggio e di zigra (ricotta). 
I militi colà giunti trasporteranno, con cautele di sicurezza, a Lugano le provvigioni, eventualmente coll'aiuto della gente del paese .
Subito dopo si provvede anche a Locarno. 

Il numero dei soldati che ogni Cantone deve spedire cola è di venti, in relazione alla estensione delle opere di quel castello. Anche queste truppe devono radunarsi nello stesso tempo (ossia per il 4 ottobre) a Bellinzona, la base strategica.
E' intanto dato ordine al Commissario di Locarno di raccogliere nel castello provvigioni per 200 sino a 250 uomini.

L'ambasciatore bellinzonese

E qui entra in campo un bellinzonese come ambasciatore del re di Francia per iniziare le trattative di pace. I regesti non ne danno il casato, indicandolo soltanto come un Giovanni di Bellinzona. «Egli racconta, con molte parole (così i regesti) di essere stato fatto prigione dai francesi e condotto dal re e dal Triulzio, i quali lo fecero scortare agli svizzeri. I due gli dissero che al re rincresceva che fosse avvenuta la battaglia e che egli era tuttora volonteroso di pace: dovesse egli riferire ciò ai suoi signori di Uri e agli altri contederati, e poi ritornare a lui colla risposta entro 15 giorni.

Gli svizzeri, dopo aver ciò sentito, gli ingiungono di restare a casa in forza del giuramento da lui prestato ai suoi Signori. Essi ebbero evidentemente sospetto che egli potesse fornire al re infor mazioni sulle cose loro e non gli permisero di ripartire.

Gli svizzeri tenevano ancora, addi 24 settembre, 1800 soldati, tra sani e feriti, nei castelli di Milano, di Lugano, di Locarno e di Domo, e per il caso che si trovassero in pericolo, conforme alla promessa fatta di non abbandonarli, si risolve una levata di 20-30 mila uomini per una nuova calata.

I primi resoconti della battaglia di Marignano a nord delle Alpi

La prima nuova della battaglia al di là delle Alpi venne data dal Commissario di Bellinzona, cosi rapidamente che il 16 settembre, di notte  Anselmo Graff di Uri, poteva darne, alla sua volta, notizia ai confederati. La lettera del Commissario bellinzonese racconta esattamente l'esito favorevole della prima giornata e sfavorevole della seconda, per le acque - cosi egli succintamente - alludendo alla inondazione artificiale suggerita dal Triulzio, che rese quasi impossibile il combattere.

Ma già il 4 ottobre, il giorno istesso in cui doveva aver luogo il concentramento a Bellinzona dei presidi per Locarno e per Lugano, arriva a Lucerna notizia che i francesi hanno passato il Monteceneri marciando contro Locarno e contro Bellinzona. La loro intenzione era, specialmente, di occupare Bellinzona.
Il Vogt, i capitani el la guarnigione di Bellinzona, dando questo avviso, chiedono pronto soccorso.

Anche la Comunita di Bellinzona, sempre timorosa della vendetta francese per la rivolta del 1500, con lettera (Archivio di Stato di Lucerna) del 27 settembre 1515 firmata dai « fidelissimi servitores pressidentes regim. comunitati Belllinzone » scrivono a Lucerna chiedendo prontissimi soccorsi - nedum citius sed citissime - appoggiando uguale richiesta del commissario. 
In essa si espone che la fortezza (oppidum istud). i beni e le persone sono esposti a vari pericoli per i molti attacchi e le insidie que per gallos et exules (gli esigliati del partito francese) perpelrata fuere. Essere grande il pericolo che Lugano cada in mano ai francesi e preparasi - come ad avviso avuto - sul lago Maggiore multa armata navilia varii locis e specialmente presso Locarno; mancare le vettovaglie, essendo chiusa la strada per provvederle; non esservi artiglierie colle munizioni, non adsunt artilurie, quibus possimus castra minusque oppidum deffendere.

Immediatamente Uri, Svitto e Nidwalden si mettono in marcia per liberare i loro.
Nell'Archivio dell'Abbazia di S. Gallo si rinvenne una lettera di Uri, di Svitto e di Untervaldo, firmata da Svitto, diretta all'Abbate Francesco, in data del 15 ottobre. In essa gli si espone il destino degli svizzeri in Milano, tolti dall'Ospitale e venduti sul mare (nelle galere); e il continuo pericolo dei confederati a Lugano, a Locarno ed a Bellinzona. Di questa situazione venne a loro ripetutamente notizia con preghiera di pronto soccorso. Per ciò sono sul punto di mettersi in campo colla bandiera e chiedono all'Abbate di spedire in aiuto le sue genti.
Il 13 ottobre si trovavano in guarnigione a Bellinzona 50 bernesi con a capo un Antonio Bütschelbach. Per 46 di essi, citati per nome nei documenti bernesi, vennero spesi 373 lire e 14 scellini.

La Confederazione fu allora sul punto di perdere il Ticino o in tutto o in parte. Si fu ancora una volta il timore della dominazione e della vendetta francese che mantenne gli avi nostri con i nuovi signori, ai quali furono anzi di valido aiuto nella battaglia e poscia nella sconfitta.

Non solo quindi il Ticino non fu dagli svizzeri conquistato nel vero senso della parola, ma, una volta fattosi svizzero nelle condizioni più volte indicate, seppe rendere segnalati servigi, sino dagli inizii ai suoi oppressori, dei quali costoro non tennero calcolo né politicamente, nè storicamente, e, meno ancora, dal lato economico.

Qualche testimonianza sulla ritirata

In queste tre testimonianze emerge una ritirata amara, come é giusto che siano tutte le ritirate. Sul lago di Como diversi svizzero persero ancora la vita.
Quello che traspare in maniera evidente é la sensazione comunque di umiliazione e ricerca dei capri espiatori che vengono identificati nei capitani svizzeri (addirittura decapitati in Svizzera secondo il Prato) o ancora verso il comandante in capo, il cardinal Schiner

Giovanni Andrea Prato, Patrizio milanese 1499 1519

Li Sviceri intrati in Como, loro istessi, prese le navi, con l'aiuto delle loro aste et arme in loco de remi, se ne passavano il laco; molti negandosi, et molti da li incoli essendo occisi, et molti per sé morindo: et gli altri, con merore et con la stanca vita, a casa se ne andorno. Et per suplimento de li patiti mali, fu a tutti li capitanei dell'impresa, usciti dal pericolo dil facto d'ar me a S.Donato, troncata la testa a casa loro, perché egli non erano stati insieme bene uniti sì come doveano. Unde li segui quel dicto che dice: Opera enim illorum sequuntur illos (beati i morti che muoiono nel signore)

Gucciardini - Storia d'Italia - Capitolo IV


Ritirati che furono i svizzeri in Milano, essendo in grandissima discordia o di convenire col re di Francia o di fermarsi alla difesa di Milano, quegli capitani i quali prima avevano trattata la concordia, cercando cagione meno inonesta di partirsi, dimandorono danari a Massimiliano Sforza, il quale era manifestissimo essere impotente a darne; e dipoi tutti i fanti, confortandogli a questo Rostio capitano generale, si partirono il di seguente per andarsene per la via di Como al paese loro, data speranza al duca di ritornare presto a soccorrere il castello, nel quale rimanevano mille cinquecento svizzeri e cinquecento fanti italiani


Marcantonio Lauger - Istoria della repubblica di Venezia


Le conseguenze della battaglia furono decisive. Gli Svizzeri ritirati a Milano accusarono aspramente e in tuono da disperati il Cardinale di Sion di averli impegnati mal a proposito in un cimento, dal quale non avevano riportato che disonore.
Questo Prelato, non credendosi più sicuro con essi, si ritirò in Allemagna, e condusse seco Francesco
Sforza, Duca di Bari. Gli Svizzeri vergognandosi della loro sconfitta, e malcontenti di non aver ricevuto dal Papa e dal Re di Spagna il danaro ad essi promesso, lasciarono a Massimiliano Sforza quattro mille uomini per la difesa del Castello di Milano, e ritornarono nel loro paese.

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