Il Mulino del Ghitello, uno degli opifici idraulici più completi e meglio conservati della Svizzera, ospita una casa rurale, un mulino per castagne e cereali ed un frantoio per noci e semi.
Risalente al 1606, è rimasto attivo fino al agli anni '60 ed è stato poi restaurato.
La presenza di opifici e mulini lungo la Breggia è documentata sin dal 1265 fino alla prima metà del Novecento; il fiume forniva l'energia necessaria per muovere le pale dei numerosi mulini presenti lungo il suo corso.
Tra il 1680 e il 1760 si contavano ben 16 mulini nel Basso Mendrisiotto, alcuni dei quali posti in posizioni davvero poco agevoli a testimonianza della grande quantità di cereali da lavorare e dell'assenza di corsi d'acqua alternativi.
Arrivo al cementificio alla fine del mio giro, ho voluto lasciarmi questo scenario alla fine, fa una certo effetto vedere questo mastro di metallo adagiato in un parco così selvaggio. Il contrasto é forte, ma proprio per questo lo rende del tutto speciale, un contrasto come le salse agrodolci, come l'ananas sulla pizza
La storia del cementicio Saceba e della valle che l’ha ospitato ha qualcosa di sconcertante ma anche di particolarmente signicativo: come si è arrivati a costruire un simile “mostro” in un territorio pregiato come le Gole della Breggia? Attivo a pieno regime dal 1963 al 1980, questo cementicio ha rifornito i cantieri edili del cantone Ticino nel ventennio del boom economico per poi diminuire la propria attività fino alla chiusura defnitiva nel 2003, quando attorno alla fabbrica era già stato istituito un parco.
A Monerei, nel 1866, venne costruito un impianto per la produzione del “cemento idraulico” con un mulino per frantumare il calcare che circa trent'anni dopo venne convertito in birreria ...e ad essere franto fu questa volta l'orzo (anche in questo caso la scritta sull'edificio è ancora visibile). L'attività brassicola durò solo una decina d'anni ma nel 1908 la birra “Bierbrauerei Breggia Balerna” ottenne il diploma d'onore e la medaglia d'oro all' Esposizione Internazionale di Monaco e Gran Prix di Bruxelles e Parigi.
Poco più a valle vide la luce anche il primo cementificio che ebbe però vita breve a causa della scarsa qualità del materiale scavato.
Lo sviluppo edilizio e turistico, oltre alla costruzione della ferrovia del Gottardo, fecero aumentare la domanda di calce tanto che, nonostante le undici fabbriche ticinesi di calce e gesso presenti all'inizio del novecento, il mercato interno copriva il proprio fabbisogno al 50% con forniture dall'Italia e al 50% con forniture dal resto del paese. Pochi decenni dopo però, nel 1939, le fornaci rimaste erano solo due, quella di Arzo e di Caslano. Era terminata l'era della calce a pro di quella del cemento.
Il 1960, anno della scoperta della Maiolica Lombarda detta “Biancone” nelle Gole della Breggia, segna la fine di un'epoca e l'inizio di una nuova con la costituzione della SACEBA (Società Anonima Cementi Balerna).
Furono due ufficiali dell'esercito che, durante un'esercitazione, ebbero l'idea di crearla. Iniziarono così la ricerca di giacimenti di calcare e marna ai piedi del Generoso trovandone grandi quantità, di buona qualità, sotto l'abitato di Castel S.Pietro. Non fu difficile convincere i 23 diversi proprietari terrieri a vendere i propri fondi abbagliati forse dal miraggio del cosiddetto miracolo economico.
Nel 1961 iniziarono ufficialmente i lavori di scavo, negli anni a seguire i posti di lavoro aumentarono continuamente, i macchinari e le attrezzature anche e con loro le tonnellate di cemento prodotto.
Dal 1964 al 1973 il cementificio produsse 1.500.000 tonnellate di cemento!
Nel 1975 la crisi edilizia provocò una prima importante contrazione delle vendite di cemento che, unita alla difficoltà crescente di reperimento del materiale dovuta soprattutto alle opposizioni e contestazioni di comuni e cittadini, decretò la definitiva chiusura delle cave nel 1980.
La Torre dei Forni, forse la struttura più adatta a documentare la storia del luogo, è stata convertita ad una nuova utilizzazione che comprende spazi espositivi e didattici, spazi multiuso e culturali.
Nel Parco delle Gole della Breggia infatti, il progetto di riqualifica è stato preferito alla demolizione del cementificio per poter raccontare la storia per intero e riflettere onestamente sulle impronte che lasciamo dietro di noi, qui o altrove.
Si tratta di uno spazio unico nel suo genere, immerso nel verde del Parco e dotato di metrature generose, ben si adatta alla realizzazione di eventi artistici, musicali ma anche a conferenze, feste e meeting.
Il Castello
Forse il leit motiv della mia escursione. Scopro purtroppo dopo una scarpinatella di inizio stagione che é incredibilmente i fase di restauro e che non riuscirò a vedere nulla.
Il castrum Sancti Petri, il castello che un tempo sorgeva sulla ripida collina sopra il fiume Breggia - e da cui il villaggio prese il nome di Castel San Pietro - è menzionato in documenti dell'11/1, ma l'occupazione dell'area fortificata risale all'VIII secolo a.C,
La sua posizione strategica, che permetteva di controllare le principali vie di comunicazione che da Como portavano ai piccoli porti di Riva San Vitale e Capolage sul lago di Lugano, allora attivi, e le vie che attraverso la Valle di Muggio portavano al lago di Como, fece di questa fortezza un'importante testa di ponte già ai tempi dell'Impero Romano: tombe e monete, datate tra il I e il IV secolo d.C., sono state ritrovate in scavi recenti.
Dopo la caduta dell'Impero Romano nel 476 d.C., la collina, con le sue strutture difensive già esistenti, fu occupata da popolazioni culturalmente legate ai Goti e ai Longobardi, che hanno lasciato le loro tracce in molti nomi di località di Castel San Pietro e dintorni che sono chiaramente di origine Germanica (Longeva).
Il castello potrebbe essere stato costruito tra il 118 e il 1127, durante le guerre tra gli stati gigliati di Coma e Milano.
L'area del castello sembra comprendere tutta una serie di edifici - case, magazzini, stalle - circondati da almeno una cerchia di mura fortificate che proteggevano gli abitanti del luogo, chiaramente a parte le mura di cinta.
Nel 1218, il vescovo di Como aveva una residenza estiva all'interno di quest'area murata, che fu ampliata nel 1260.
Nel 1323 è documentata la presenza di una piccola cappella all'interno delle mura, ma le sue rovine non sono ancora state individuate. A partire dal 1282, i membri influenti della famiglia Rusconi di Como vennero a vivere nel castello. Questi continuarono a svolgere un ruolo eminente anche dopo il 1335, quando Como entrò a far parte del Ducato di Milano, all'epoca governato dalla famiglia Visconti.
Pochi anni dopo, nel 1343, il vescovo Bonifacio commissionò la costruzione di una bellissima chiesa, che possiamo ammirare ancora oggi (La chiesa rossa, vedi sotto) e, nel 1346, fu costruita anche una nuova residenza estiva per lui. Nei decenni successivi, diverse famiglie nobili, legate al vescovo o alla famiglia Rusconi da vincoli di sangue o da interessi commerciali, si stabilirono tra le mura del castello.
Oggi rimane ben poco di tutte quelle mura, torri, quartieri militari, case e stalle. L'ultima testimonianza del castello risale al 1468, quando i Visconti di Milano ne divennero proprietari. Probabilmente fu spazzato via durante le battaglie che, tra il 1511 e il 1516, coinvolsero il duca di Milano (Massimiliano Sforza, aiutato dai mercenari svizzeri*, fino ad allora invincibili) contro Francesco I, re di Francia, e che si conclusero con la vittoria francese a Marignano, vicino a Milano, nel settembre del 1515. Solo la “Chiesa Rossa” è sopravvissuta come testimone silenzioso di questi tempi turbolenti e affascinanti.
La chiesa rossa
Visto dall'esterno, l'edificio, con la sua semplice pianta rettangolare e un'abside semicircolare orientata verso est, sembra piuttosto spoglio, anche per la mancanza di un campanile.
Ricerche archeologiche condotte in concomitanza con gli ultimi due restauri hanno permesso di rinvenire nell'area del sagrato tre fasi cimiteriali tombe di epoca tardoromana (fine IV-inizio secolo VI), altomedievale (secolo VIII e tardo medievale (secolo XIV). Una campagna di scavo eseguita negli anni 1987-1989 a sud della chiesa ha appurato la presenza di edifici precedenti utilizzati dall'età tardoromana fino a quella altomedievale (V- secolo VIII).
Costruita nel 1343 dal vescovo di Como Bonifacio Quadri da Modena fu consacrata nel 1345.
L'affresco semicircolare all'esterno, sopra la porta d'ingresso, mostra la barca di San Pietro.
Il rilievo in pietra con l'iscrizione è una copia, il suo originale è stato collocato all'interno, vicino all'altare. Su di esso sono scolpiti il Vescovo che impartisce la benedizione e lo stemma della sua famiglia, i Quadri (indicati con i cubi della città di Modena, nell'Alta Italia).
L'originale all'interno della chiesa
La parte inferiore mostra Bonifacio come professore di diritto con un libro aperto in mano, che insegna a due studenti.
Il bassorilievo marmoreo del 1343 con l'iscrizione:
Praesul Cumanus, Bonifacius rite vocatus, doctor, fons juris, mutinensium genere natus fecit hoc erigi templum sub nomine Petri, Clementis anno sexti currente secundo, mille trecentis quatordenis et tribus annis
relativa alla fondazione e il ritratto di Bonifacio da Modena in veste di vescovo docente.

La copia all'esterno
La leggenda della chiesa rossa
L'appellativo di chiesa rossa deriva dal colore rosso della facciata voluto dal vescovo Filippo Archinti nel 1559; una tradizione locale lo riferisce alla strage della famiglia Rusca da parte dei nobili Busioni (Bosia) di Mendrisio: nella notte di Natale del 1390 la chiesa fu testimone di uno scontro tra Guelfi e Ghibellini, divisi fra le due famiglie nel quale furono uccise circa cento persone. Fra loro anche il parroco che celebrava la messa
Notte di Natale 1390. Il crepuscolo scende sul territorio. Nei paesi e nelle città la
gente si prepara per la Messa di mezzanotte. Nella chiesa di Castel San Pietro, sul versante
destro della Valle di Muggio, si riunisce l’influente famiglia Rusca con parenti, seguaci,
guardie, servitori e contadini.
Mentre il parroco celebra la Messa di mezzanotte la porta d’accesso viene sfondata
con violenza.
Armi alla mano un drappello di uomini entra attraverso il varco nella
piccola chiesetta accanendosi senza pietà contro i fedeli riuniti per la preghiera. Uomini,
donne, bambini e il parroco, nessuno sopravvive al terribile massacro.
La notizia della insondabile malvagità si diffonde a macchia d'olio nel paese. Tutti
sanno chi c'è dietro la carneficina. Antonio Busioni, il capobanda, proviene da una
famiglia distinta della vicina Mendrisio. La subdola carneficina nella Chiesa Rossa è il
culmine di una falda familiare che è già costata molto sangue.
I Rusca e i Busioni sono ferocemente ostili per ragioni politiche. Il Ghibellino Rusca,
a Castel San Pietro, parteggia per l’Imperatore, mentre i Busioni di Mendrisio sono Guelfi
dalla mentalità pontificia.
Ma l’amore non conosce i confini delle rivalità e dei partiti, così Vizzardo Rusca si
innamora della bella Lavinia Busioni. Ma il giovane Vizzardo di nascosto sente affermare
da Pietro Busioni che piuttosto che dare in moglie la sua unica figlia ad un Rusca
preferirebbe ucciderla con le proprie mani.
Vistosi così malamente respinto giura sanguinosa vendetta. Con alcuni uomini
appositamente assoldati attacca i famigliari del Busioni nel loro stesso palazzo uccidendo
nove degli undici figli maschi.
Vizzardo decide in seguito di fare nuovamente irruzione
nel palazzo del Busioni a Mendrisio per rapire Lavinia, ma questi, già in allerta, fanno
fallire il piano che gli costa così la vita.
Poco dopo, non sopportano il dolore per la perdita dei figli, viene a mancare il capo
famiglia Pietro Busioni.
La vedova Margherita manda i figli sfuggiti all’attacco, Antonio e
Giorgio, in quel di Napoli per proteggerli dagli attacchi dei Rusca, i quali però non placano la loro sete di vendetta, infatti la rapiscono per poi seviziarla in modo orribile e
abbandonarla senza vita e trasfigurata legata ad un albero nei pressi di Capolago.
Questa
terribile notizia giunge fino a Napoli ad Antonio e Giorgio che rientrano in gran segreto a
Mendrisio, decisi a lavare la grave offesa nella chiesa di San Pietro.
Quella notte di Natale del 1390 persero la vita più di un centinaio di persone.
Lavinia, sconvolta per lo spargimento di sangue e ormai provata per essere stata suo
malgrado la causa di questi terribili avvenimenti, si ritira in Convento a Belluno, mentre
Antonio decide di espiare le sue colpe con un pellegrinaggio in Palestina
La nave che lo
trasporta all’assoluzione però affonda nel Mediterraneo senza lasciare superstiti.
Il fratello
Giorgio si ritira invece nel Castello di Belluno, sul lago di Como, e ne assume il comando.
Gli affreschi
Non capita spesso di vedere San Pietro crocifisso. Riconoscibilissimo per la crocifissione capovolta, dovuta alla sua volontà in quanto non degno di esser crocifisso come Gesù. Ancora meno facile vederlo dietro le sbarre
Le caratteristiche più preziose della Chiesa Rossa sono infatti i dipinti murali dell'interno. Sono eccezionali sia per il loro contenuto pittorico che per il loro stile. Il lato interno dell'arco raffigura, in dimensioni ridotte, figure di profeti e apostoli. La semicupola dell'abside è dominata da Cristo in Maestà e dai simboli degli evangelisti.
Al di sotto, vediamo quattro scene che raffigurano momenti importanti della vita di San Pietro. ; ;
Tutti questi affreschi sono stati dipinti intorno al 1345 da un artista sconosciuto. Stilisticamente, sono modellati sulla scuola pittorica lombarda di tradizione bizantina, con qualche influenza toscana.
San Pietro seduto davanti all'imperatore circondato da cortigiani - San Pietro in catene in prigione
San Pietro crocifisso a testa in giù
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