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La giornata del monaco

Ci si abitua in fretta alla bambagia, e più la bambagia é soffice più facilmente si rischierà di rovinarla. In altre parole, più ci si abitua alla bella vita e all’ozio e più facilmente ci si lamenterà quando la situazione si discosterà anche minimamente da questo standard.

Per fare un passo indietro innumerevoli sarebbero gli esempi di persone che sudano le famigerate 7 camicie quotidiane. I monaci rappresentano un ottimo esempio, non tanto quanto la durezza a livello fisico del lavoro che svolgevano (anche se proprio leggero non era, vedi sotto), ma più per gli orari estremamente irregolari che non permettevano di avere un numero di ore di riposo consecutivo sufficiente, cose che nei campi di concentramento avevano.

La giornata del monaco

Quelle belle sere d'estate, quelle infinite, dove il sole sembra mai tramontare e ci si vuole godere finalmente il tempore dopo il caldo asfissiante della giornata. Dovrebbero iniziare alle 7 di pomeriggio le giornate in estate. Poco prima insomma di quando un monaco nel medioevo andava a coricarsi.


E va anche detto che le attività svolte prima di andare a coricarsi erano tutt'altro che avvincenti, un alternarsi di "servizi liturgici in chiesa - lettura e meditazione - servizi liturgici in chiesa" questo per una durata di 2h, mentre dalle 17:45 alle 18:00 si ingeriva più cibo possibile stile le ricompense nelle prove di abilità all'isola dei famosi

Se restiamo poi sull'argomento cibo l'inverno era ancora peggiore; un unico pasto quotidiano servito alle 2 del pomeriggio quando si era in piedi dalle due di notte per un entusiasmante lettura e meditazione 

Sempre in estate dopo il pranzo c'era un piccolo riposino di un ora, stile scuola dell'infanzia , la cosi detta ora sesta da cui deriva un altro nome...

Le origine dei nomi

...si perché alcuni nome in uso ancora oggi hanno origini da questa terribile scaletta quotidiana:

...i monaci tornavano in chiesa tre ore dopo, all'ora terza, e ancora tre ore dopo, all'ora sesta, che d'inverno corrispondeva alle nostre due del pomeriggio: proprio dall'ora sesta deriva la parola siesta, il periodo di breve riposo subito dopo il pranzo. Infine c'erano altre tre riunioni in chiesa: all'ora nona, nel tardo pomeriggio per i Vespri, e al crepuscolo per la cosiddetta Compieta. Con questo servizio liturgico la giornata era infatti compiuta e poco più tardi i monaci andavano a letto. Si andava a dormire quando era buio, perciò in inverno le giornate erano più corte e si mangiava una sola volta, all'ora nona, che in origine cadeva nel pomeriggio avanzato; ma i monaci avevano molta fame e cercavano di anticipare sempre l'ora del pranzo. Così in inglese la parola noon, cioè appunto l'ora nona, ha finito per indicare oggi il nostro mezzogiorno.

Copiare che fatica

Scrivere, dunque, era il lavoro principale del monaco; ma in cosa consisteva esattamente? Confezionare un manoscritto era un'operazione lunghissima, lenta e molto faticosa.

I monaci scrivevano usando scrittoi e sgabelli che a noi paiono molto scomodi. A volte usavano dei leggii girevoli e delle tavole regolabili in altezza, con stilo e raschietto, e filo a piombo pronto all'occorrenza. 

La fatica dello scrivere, metà del XII secolo, Durham

I monaci copiavano dal modello che tenevano davanti o scrivevano sotto dettatura. Un copista ha lasciato scritto in un codice dell'VIII secolo:

Carissimo lettore, prendi il libro soltanto dopo esserti ben lavato le mani, gira ifogli con delicatezza, tieni lontano il dito dalla scrittura, per non sciuparla. Chi non sa scrivere crede che non occorra alcuna fatica. E invece come è penosa l'arte dello scrivere: affatica gli occhi, spezza la schiena; tutte le membra fanno male!
Tre dita scrivono, ma è l'intero corpo che soffre

Copiare era dunque ritenuto un lavoro manuale assai duro. Qualche volta, alla fine di un manoscritto, il copista prega Dio di ricompensarlo con la salvezza eterna, perché lo sforzo è stato veramente grande. Comprendiamo qui uno dei motivi per cui i monaci si dedicavano così assiduamente alla copiatura: in linea con la loro concezione generale del lavoro, essi scrivevano per fare penitenza.

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