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Giuseppe Motta di Airolo

Anche il mio paese può fregiarsi di avere un personaggio che ha trovato spazi in nei libri di storia: Giuseppe Motta. Lo ricordano la piazza Motta nel centro del paese, l’albergo Motta ed una targa alla casa natale, tutto in un fazzoletto di paese.

Giuseppe Motta di Airolo

Non saranno certo poche righe di un blog spannometrichista a rendere omaggio a tutto quello intrapreso dal mio concittadino durante, tra le altre cose, 25 anni in consiglio nazionale e ben 5 volte presidente della Confederazione

Partiamo da qui: Il giudizio più severo è dell'Unione Sovietica. Stalin non esita a definire gli svizzeri "porci", e nel 1944 si rifiuta di stabilire relazioni diplomatiche. Questo atteggiamento risale anche alle posizioni anticomuniste espresse negli anni precedenti dal consigliere federale Motta, secondo il quale il comunismo rappresentava la negazione di tutto ciò che costituiva l'essenza della Svizzera.

La targa sulla casa natale ad Airolo

Fu presidente della Confederazione svizzera negli anni 1915, 1920, 1927, 1932 e 1937 e vicepresidente negli anni 1914, 1919, 1926, 1931 e 1936. Morì in carica il 23 gennaio 1940.

Come responsabile della politica economica prima ed estera poi si trovo spesso a dover elaborare dossier importanti per l'epoca e la posizione del paese nel mondo. Soprattutto come responsabile della politica estera federale si trovo a dover trattare con i regimi fascisti che vennero a crearsi attorno alla confederazione elvetica, da notare che le origini ticinesi favorirono il rapporto con il regime fascista di Benito Mussolini nonostante le critiche levate da Motta sulla politica espansionistica in Africa prima e poi quella razziale addotta dal regime italiano.

Carriera rapidissima

Giuseppe Motta nasce ad Airolo il 29 dicembre 1871, in una famiglia che aveva da tempo il monopolio dei trasporti lungo la «via delle genti», nonché una posizione di rilievo in ambito alberghiero. Al momento della sua nascita, l'impresa diretta dal padre, Sigismondo, è ancora forida, ma ormai al tramonto, a causa dell'apertura della linca ferroviaria che si preannuncia di li a poca. La madre originaria di Chironico, è sorella dell'avvocato Giovanni Dazzoni, esponente di spicco del partito conservatore e per qualche anno consigliere nazionale.

Il giovane Giuseppe, orfano di padre a 11 anni, studia al collegio Papio di Ascona, poi al Saint Michel di Friborgo, infine alle universtà di Monaco di Baviera e di Heidelberg, Intraprende insomma un cammino formativo simile a quello dell'élite cattolica del tempo, con tuttavia un'attrazione per il mondo tedesco assai rara fra i pochi studenti ticinesi di allora, perlopiù incamminati verso l'Italia o verso la Ginevra radicale. 

Terminati gli studi in diritto, fa dapprima pratica legale a Faido, presso lo zio Giovanni Dazzoni. Dal 1895 fino all'elezione in Consiglio federale fu avvocato e notaio ad Airolo, divenendo tra l'altro consulente legale delle Gotthardwerke di Bodio, legate alla AG Motor (Brown Boveri & Cie), e delle Granitwerke.

Entrato in Gran Consiglio a soli 23 anni, diventa presto uno degli esponenti più in vista della minoranza conservatrice. Nel 99, a 28 anni, viene eletto anche in Consiglio Nazionale. 

A Berna (dove fra i suoi interventi è da ricordare il sostegno al sistema di voto proporzionale), grazie a uno spiccato senso politico e a un'ottima preparazione giuridica, si inserisce nelle cerchie più influenti delle Camere. La sua carriera rischia di interrompersi nel 1908, quando riesce a confermare il suo seggio al Nazionale per un soffio (al ballottaggio ottiene infatti soli 6 - sei - voti di vantaggio sullo «sfidante» radicale Carlo Maggini). 

Alla morte del consigliere federale Schobinger, la sua candidatura prevale comunque su quella di parlamentari di più lungo corso, come il lucernese Heinrich Walther e il friburghese Geor-ges Python. Il 14 dicembre 1911, l'appena quarantenne «avvocatino» di Airolo, padre di 10 figli, riesce dunque a compiere quel balzo verso il governo federale che da ben 47 anni (ovvero dalle dimissioni di Giovan Battista Pioda, nel remoto 1864) non era più riuscito a nessun Ticinese, il che gli conferisce, in tutto il Cantone, grande popolarità.

Motta e l'irredentismo

All'inizio del XX secolo, gli intellettuali e i commercianti del Ticino erano isolati dal resto della Svizzera a causa delle tariffe “quasi proibitive” della linea del Gottardo. Inoltre, si sentivano segretamente attratti dall'Italia di Gabriele d'Annunzio. I Confederati, che ci sanno, fiutano l'irredentismo: il 14 dicembre 1911, Giuseppe Motta viene eletto con 187 voti su 189 come consigliere federale.

Il pericolo dell'irredentismo viene scongiurato da colui che, il giorno dopo la sua elezione, fa dire in modo così lirico alla «Madre Elvezia»: 
«O Ticino, figlio della mia tenerezza, il tuo destino è inseparabile dal mio. Non posso vivere senza di te. Tu non puoi vivere senza di me! »

 Nebelspalter 1915/1, disegno di Boscovits senior intitolato 
«Il nuovo presidente della Confederazione» (Der neue Bundespräsident)

In Consiglio federale, Giuseppe Motta assume dapprima la direzione del Dipartimento delle finanze, allora considerato quasi solo per la sua funzione contabile, dunque di rilievo secondario. Grazie alle crescenti entrate dei dazi doganali, i conti della Confederazione sono del resto floridi. Le cose peggiorano nella prima guerra mondiale, ma grazie a nuove fonti di entrata (imposta di guerra, diritto di bollo...), le difficoltà vengono superate. 

Il ruolo del Motta diventa tuttavia preminente solo dopo il 1920, quando passa al Dipartimento político, ovvero agli affari esteri. I vent'anni successivi sono molto agitati. Impossibile trattarne in poche righe.

Giuseppe Motta sulla prima pagina del periodico La Patrie suisse del 1927, n. 869 (Collezione privata).
Quando Motta fu nominato per la terza volta presidente della Confederazione, il giornale pubblicò una fotografia esclusiva di Anton Krenn accompagnata da un articolo elogiativo in cui l'uomo politico ticinese era definito un "grande Europeo".

Motta e i russi

Ricordiamone però i fatti salienti: adesione della Svizzera alla Società delle Nazioni ottenimento per il nostro paese dello statuto di «neutralità perpetua», 
Nella questione dei rapporti con Mosca, che appassionò l'opinione pubblica, Motta sostenne che la Svizzera dovesse riconoscere de jure l'URSS. Nel 1927 l'accordo firmato a Berlino con i Sovietici sembrò preludere a un avvicinamento, ma le reazioni vivacissime dell'opinione pubblica, soprattutto romanda, indussero il Consiglio federale a maggiore prudenza. Nel 1934, quando l'Unione Sovietica pose ufficialmente la sua candidatura alla SdN, Motta ritenne in un primo tempo che la delegazione elvetica dovesse astenersi. Anche in questo caso la pressione dell'opinione pubblica indusse però Motta e i suoi colleghi a votare contro l'adesione dell'URSS.

Nebelspalter 1920/18, disegno a tutta pagina a colori di Boscovits junior intitolato «L'Europa ha bisogno di calma» (Europa braucht Ruhe).

Motta e i fascisti

Se per alcuni il Motta difende al meglio gli interessi della Svizzera, per altri è troppo arrendevole, se non simpatizzante, nei confronti del regime fascista. dimostrandosi ostile ai rifugiati politici. Probabilmente la verità sta nel mezzo. Di certo, il Motta difende con vigore gli interessi svizzeri, tanto da essere odiatissimo dagli irredentisti nostrani, come il mendrisiense Aurelio Garobbio.

È però indubbio che egli, come altre personalità cattoliche dell'epoca è un ammiratore del Duce, ed è ben lungi dal nutrire verso le dittature di destra la stessa avversione che nutre per i regimi di sinistra. Lo confermano i suoi interventi in politica cantonale: tenta a più riprese di zittire la stampa antifascista

L'invasione italiana dell'Etiopia e le sanzioni economiche della SdN contro l'Italia posero Motta in una situazione molto delicata: in definitiva più che il Patto della SdN fu la difesa della neutralità e degli interessi economici a determinare la posizione della Svizzera, che partecipò alle sanzioni in modo molto limitato e quasi simbolico. Nel dicembre del 1936, su proposta di Motta al Consiglio federale, la Svizzera fu il primo Paese neutrale a riconoscere de jure l'Impero italiano in Africa. In seguito sia alla crisi della SdN sia alle minacce di referendum popolare perché la Svizzera si ritirasse dall'istituzione, Motta cercò di ridurre i legami con essa; nel maggio del 1938 il Consiglio della SdN liberò infine la Confederazione da ogni obbligo di sanzione.

Motta e i nazisti

I rapporti della Svizzera con il Terzo Reich furono in gran parte condizionati dagli ingenti scambi economici fra i due Paesi e dai cospicui investimenti elvetici in Germania, su cui Motta ovviamente non poté influire molto. A livello diplomatico si sforzò soprattutto di ottenere da Adolf Hitler la promessa ufficiale di rispettare la neutralità elvetica. Pur perseguendo essenzialmente una politica di modus vivendi con il minaccioso vicino del nord, la linea di M. non mancò di fermezza; riuscì così a ottenere la riconsegna di Berthold Jacob, giornalista rapito a Basilea dalla Gestapo nel 1935. Nel dicembre del 1938 Motta prese posizione contro le pretese esorbitanti della stampa nazista, che voleva imporre una sorta di neutralità "totalitaria" all'intera opinione pubblica elvetica.

Stakanovista

Attivo per un ventennio consecutivo (la cosiddetta "era Motta") sulla scena svizzera e internazionale, Motta esercitò sulla politica estera elvetica un influsso diretto e personale, che non va tuttavia sopravvalutato. Nei rapporti con Mosca, ad esempio, malgrado il suo anticomunismo e il suo antisocialismo, non fu Motta il fautore della linea più dura in seno al governo, anche se toccò a lui difendere pubblicamente tale posizione.
Motta cercò di salvaguardare a ogni costo i rapporti con il Terzo Reich e con l'Italia.

La famiglia

Se Motta era il miglior figlio, nel 1921 sua madre, gravemente malata, gli fece questo augurio: «Ti auguro che i tuoi figli ti diano tanta gioia quanta tu hai dato a me. Non mi hai mai causato un'ora di dolore! » — fu anche un modello di marito e padre: «Sigismondo, Aemilia, Riccardo, Stefania, Paula, Beatrice, Carmela, Cristofero, Matelda e Francesca Motta hanno vissuto nell'atmosfera sobria e vivace che il presidente Motta sapeva creare intorno a sé. »

Il credente. Il signor Motta era un grande cristiano, un grande cattolico.
«Vivere la propria fede, diceva, è il modo migliore per difenderla, per dimostrarne la verità; la migliore apologetica è quella dell'esempio».
Inoltre, era profondamente umano e sensibile alla sfortuna degli altri:

«Nel 1914 non mi sono mai addormentato senza aver pregato per la Francia». 

E questo altro pensiero sul senso della vita: «Chi non sa meditare sulla propria condizione e sul proprio destino è un essere mutilato. La mia esperienza personale mi dimostra che l'uomo religioso è un uomo completo».

Convinto del suo ruolo insostituibile, non vuole ritirarsi dal governo federale neppure quando la salute comincia a vacillare. Muore quindi ancora in carica, il 23 gennaio 1940.
Numerose sono le pubblicazioni che lo ricordano.

Tomba famigliare al cimitero di Airolo. Sulla colonna i sinistra al centro la scritta che lo ricorda

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