Non é una pagina di storia di cui andare particolarmente fieri, ma non per questa va tenuta nascosta, anzi...
Il voto alle donne in Svizzera é stato concesso molto tardi, troppo tardi.
Avevo già avuto l'occasione di affrontare l'argomento in un esposizione temporanea a Zurigo, ma ero agli albori dei miei tour di immersione storico-culturale.
Mi limitai ai tempi a fotografare soprattutto quello che colpiva l'occhio: tra questi poster propagandistici in vista delle votazioni, cartine geografiche e qualche arnese decisamente bizzarro.
Va detto che i poster, specialmente quelli contro il diritto al voto femminile, rimangono ancora oggi delle chicche insuperabili. Riuscire in una semplice immagine di dare una motivazione valida per cui le donne dovrebbero stare alla larga della politica. A distanza di anni trovo delle fonti che spiegano la causa di questo vergognoso ritardo. A questo punto si chiude il cerchio aperto con i poster propagandistici con l'aggiunta del contesto storico
Il ritardo nell'introduzione del suffragio femminile in Svizzera è spesso attribuito al sistema federale, che lascia la sovranità ai cantoni, e alla democrazia diretta, che affida agli uomini il compito di decidere tramite voto popolare la concessione del suffragio femminile. Questi meccanismi hanno certamente rallentato il processo che è durato ben 90 anni, dalla prima votazione cantonale del 4 novembre 1900 sulla questione dell'eleggibilità delle donne nelle commissioni scolastiche del Canton Berna, fino all'introduzione del suffragio femminile anche in Appenzello Interno, il 25 marzo 1990, ultimo cantone a farlo, grazie a una sentenza del Tribunale federale.
Diverse storiche oggi, però, non condividono del tutto l'argomentazione secondo cui il suffragio femminile sarebbe stato introdotto molto prima senza l'ostacolo della democrazia diretta. Il ritardo nella politica democratica o, per dirla in altro modo, l'ostinata resistenza maschile all'estensione dei diritti politici alle donne possono essere spiegati con «il carattere duraturo e specifico del genere della cittadinanza». La cittadinanza è la categoria strutturante degli Stati democratici. È attorno a questa categoria che la democrazia emerge, si legittima e si stabilizza.
Implica anche un senso di appartenenza patriottica che, in un'ottica elvetica, si declina da secoli nella triade uomo-soldato-cittadino che risale alla Landsgemeinde, dove solo i cittadini in grado di portare le armi potevano votare ed essere votati. Questo legame tra cittadinanza e servizio militare fa sì che siano proprio le guerre mondiali, a differenza di quanto avvenne in tutti gli altri paesi, a rallentare l'emancipazione femminile: il valoroso soldato domina la propaganda pubblica della Difesa spirituale. Tale rappresentazione ideale non è messa in discussione, come accade altrove, da sconfitte e crimini di guerra: anzi, gli uomini svizzeri non pagano nessun tributo di sangue tale da rendere necessario che le donne assumano i loro compiti e soprattutto le loro funzioni direttive
Questa impostazione si salda, e la rende più duratura rispetto agli altri paesi, con la concezione dicotomica di genere della modernità borghese-liberale, che assegna compiti specifici e diversi ai due sessi: agli uomini la sfera pubblica e razionale, alle donne quella domestica e affettiva. La richiesta di suffragio femminile è infatti interpretata dalla maggioranza degli uomini - ma anche da molte donne - come una mascolinizzazione delle donne in carriera e un viatico per cattive madri. «La politica, l'ultimo dominio maschile intatto, fu praticamente reificata».

Mentre nobilita l'uomo, la lotta politica snatura la donna, togliendola dal suo ruolo materno e di cura, mettendo in crisi l'ordine sociale. La donna, si aggiunge, è intellettualmente inferiore all'uomo e incapace di riflettere sulle questioni politiche.
Da questo punto di vista, i partiti borghesi diffidano del voto femminile, considerato più plagiabile dai movimenti socialisti e cattolico-conservatori.
In realtà, il cuore del discorso va ribaltato. Concedere il diritto di voto equivale a permettere alle donne di entrare nello spazio del potere, tradizionalmente riservato agli uomini. Significa dislocare la separazione dell'ordine simbolico tra pubblico e privato, con tutte le conseguenze che ne derivano per entrambe le sfere. Nel 1951 il giornale progressista «Der Nation» individua con precisione la posta in gioco: «Per il popolo maschile e sovrano il suffragio femminile significa la spartizione del potere»
Le associazioni femminili, temendo ulteriori rinvii, protestano in massa contro questa decisione, chiedendo il diritto di voto come condizione per la firma della convenzione.
La reputazione internazionale della Svizzera inizia a risentire negativamente dell'esclusione delle donne dalla vita politica. Il governo si trova di fronte a un dilemma: per mantenere la buona immagine internazionale del paese, vuole firmare la convenzione il prima possibile, ma per farlo deve introdurre il suffragio femminile altrettanto rapidamente. Data la situazione sociale già tesa, il Consiglio federale è costretto ad attivarsi per presentare una nuova proposta di voto. Il 7 febbraio 1971, i cittadini approvano il diritto di voto femminile con 621.109 sì (65,7%) contro 323.882 no.
La concessione del suffragio non modifica sensibilmente la composizione partitica di parlamenti e governi, che mantengono la loro stabilità e i loro equilibri interni.
Accelera comunque il raggiungimento della parità formale dei sessi: nel 1981 la Costituzione viene aggiornata sia per garantire l'uguaglianza dei diritti tra uomini e donne, sia per obbligare le autorità a eliminare le discriminazioni e a imporre la parità effettiva in settori esplicitamente citati quali il lavoro, la famiglia e la formazione.
Il ritardo nella concessione dei diritti ha portato a una peculiarità del movimento femminista svizzero, caratterizzato dalla contemporaneità tra la cosiddetta "prima ondata più moderata e concentrata sui diritti politici, e la "seconda ondata", quella delle generazioni più giovani e radicali che rivendicano un'emancipazione che va ben oltre un'uguaglianza formale. Come scrive la storica Brigitte Studer, all'inizio degli anni Settanta il retropensiero delle autorità, di fronte a questa nuova realtà sociale e politica, è quello che forse sia meglio integrare le donne negli organi democratici del paese, con la scommessa vinta che tutto cambi affinché nulla muti.
Il voto alle donne in Svizzera é stato concesso molto tardi, troppo tardi.
Avevo già avuto l'occasione di affrontare l'argomento in un esposizione temporanea a Zurigo, ma ero agli albori dei miei tour di immersione storico-culturale.
Mi limitai ai tempi a fotografare soprattutto quello che colpiva l'occhio: tra questi poster propagandistici in vista delle votazioni, cartine geografiche e qualche arnese decisamente bizzarro.
Va detto che i poster, specialmente quelli contro il diritto al voto femminile, rimangono ancora oggi delle chicche insuperabili. Riuscire in una semplice immagine di dare una motivazione valida per cui le donne dovrebbero stare alla larga della politica. A distanza di anni trovo delle fonti che spiegano la causa di questo vergognoso ritardo. A questo punto si chiude il cerchio aperto con i poster propagandistici con l'aggiunta del contesto storico
Manifesto contro il diritto di voto alle donne, 1946.
Design: Donald Brun (CH, 1909–1999)
Eccola qui: la cattiva casalinga, così presa dal suo diritto di voto che non si cura più della pulizia di casa e del passeggino.
Compilare i documenti elettorali come lavoro a tempo pieno? Wecker: «Oggi può sembrare assurdo, ma all'epoca, nei dibattiti del Consiglio nazionale, si sosteneva davvero che il tragitto per raggiungere il seggio elettorale fosse troppo lungo, soprattutto nelle zone rurali. Ci si chiedeva: chi cucinerà il pranzo la domenica se le donne andranno alle urne?».
Già allora i manifesti suscitavano reazioni in parte rabbiose, soprattutto tra le lavoratrici. Queste facevano notare che alla politica non interessava che, a causa del doppio carico di lavoro, rimanesse loro troppo poco tempo per i figli.
Oggi la maggior parte delle agenzie pubblicitarie dedica molte energie alla diversità e all'equilibrio di genere, afferma Schärer.
«La casalinga nella pubblicità dei detersivi sta lentamente ma inesorabilmente scomparendo». Tuttavia, i ruoli tradizionali sono rimasti a lungo sugli schermi, perché la pubblicità non abolisce quasi mai le norme: rimane sempre entro i confini del mainstream e li sfiora solo leggermente.
Il caso svizzero è unico nel panorama delle democrazie moderne, soprattutto per il significativo divario temporale tra l'introduzione del suffragio maschile e di quello femminile.
Come è stato possibile che gli uomini ottengano il diritto di voto nel 1848, mentre le donne debbano attendere per lo stesso diritto circa 120 anni?
Come è stato possibile che gli uomini ottengano il diritto di voto nel 1848, mentre le donne debbano attendere per lo stesso diritto circa 120 anni?
Testimonianza del 1894
Il 24 maggio 1894, lo studente liceale Carlo Marchesi tenne, alle scuole comunali di Lugano, una conferenza, durante la quale sostenne, a giustificazione del diritto di voto femminile, che «il cervello della donna pesa due grammi più di quello dell'uomo».
Nel 1928 le suffragette svizzere hanno usato un modello di lumaca per protestare contro la lentezza dell'emancipazione politica.
Il ritardo nell'introduzione del suffragio femminile in Svizzera è spesso attribuito al sistema federale, che lascia la sovranità ai cantoni, e alla democrazia diretta, che affida agli uomini il compito di decidere tramite voto popolare la concessione del suffragio femminile. Questi meccanismi hanno certamente rallentato il processo che è durato ben 90 anni, dalla prima votazione cantonale del 4 novembre 1900 sulla questione dell'eleggibilità delle donne nelle commissioni scolastiche del Canton Berna, fino all'introduzione del suffragio femminile anche in Appenzello Interno, il 25 marzo 1990, ultimo cantone a farlo, grazie a una sentenza del Tribunale federale.
Nel frattempo, ci sono state circa 70 votazioni a livello comunale, cantonale e federale, compreso il devastante primo referendum nazionale del 1° febbraio 1959, in cui l'introduzione del suffragio femminile è respinta con una maggioranza di due terzi
Manifesto contro il diritto di voto alle donne, 1920.
Cravatta, camicia, mani enormi: «Nessuno vuole donne così», suggerisce il poster dell'artista zurighese Otto Baumberger. Regina Wecker, professoressa emerita di storia delle donne e di genere, ha studiato a fondo questo tema. Dice: «La donna mascolina è un motivo centrale nei manifesti contro il diritto di voto alle donne».
Tra i più grandi successi dei pubblicitari dell'epoca c'erano anche la donna in carriera e la cattiva casalinga. «La controparte era rappresentata dai padri che spingevano passeggini», dice Wecker. Tutti questi soggetti dovevano spaventare chi li guardava.
Implica anche un senso di appartenenza patriottica che, in un'ottica elvetica, si declina da secoli nella triade uomo-soldato-cittadino che risale alla Landsgemeinde, dove solo i cittadini in grado di portare le armi potevano votare ed essere votati. Questo legame tra cittadinanza e servizio militare fa sì che siano proprio le guerre mondiali, a differenza di quanto avvenne in tutti gli altri paesi, a rallentare l'emancipazione femminile: il valoroso soldato domina la propaganda pubblica della Difesa spirituale. Tale rappresentazione ideale non è messa in discussione, come accade altrove, da sconfitte e crimini di guerra: anzi, gli uomini svizzeri non pagano nessun tributo di sangue tale da rendere necessario che le donne assumano i loro compiti e soprattutto le loro funzioni direttive
Un classico dei cartelloni politici: il battipanni utilizzato nella votazione cantonale di Zurigo nel 1947 contro il voto alle donne
Anche questo poster punta dritto a far crescere le paure degli uomini, dice Wecker. «Evoca una situazione sociale in cui le donne comandano a bacchetta e gli uomini perdono potere».
Il manifesto è stato realizzato poco dopo la fine della Seconda guerra mondiale. All'epoca, molte donne speravano di ottenere il diritto di voto come ricompensa per il lavoro svolto durante la guerra. «I pubblicitari hanno quindi dovuto ricorrere a misure drastiche per soffocare questo clima di rinnovamento».
David Schärer parla di «immagine che brucia la retina»: «Per quanto arretrata sia la visione del mondo su cui si basa, dal punto di vista tecnico questo manifesto è semplicemente geniale». Anche senza slogan, l'essenza del messaggio è immediatamente chiara. «Si vede la donna con il battipanni che aspetta il marito a casa». Oggi, campagne così incisive sono soprattutto una specialità dell'UDC.
Questa impostazione si salda, e la rende più duratura rispetto agli altri paesi, con la concezione dicotomica di genere della modernità borghese-liberale, che assegna compiti specifici e diversi ai due sessi: agli uomini la sfera pubblica e razionale, alle donne quella domestica e affettiva. La richiesta di suffragio femminile è infatti interpretata dalla maggioranza degli uomini - ma anche da molte donne - come una mascolinizzazione delle donne in carriera e un viatico per cattive madri. «La politica, l'ultimo dominio maschile intatto, fu praticamente reificata».

Nel 1927 i basilesi votarono sul diritto di voto alle donne, gli oppositori fecero propaganda con un bambino che cadeva dal passeggino. Al suo posto, un gatto si metteva comodo nella culla.
Lo slogan: «La madre fa politica!».
Mentre nobilita l'uomo, la lotta politica snatura la donna, togliendola dal suo ruolo materno e di cura, mettendo in crisi l'ordine sociale. La donna, si aggiunge, è intellettualmente inferiore all'uomo e incapace di riflettere sulle questioni politiche.
Da questo punto di vista, i partiti borghesi diffidano del voto femminile, considerato più plagiabile dai movimenti socialisti e cattolico-conservatori.
In realtà, il cuore del discorso va ribaltato. Concedere il diritto di voto equivale a permettere alle donne di entrare nello spazio del potere, tradizionalmente riservato agli uomini. Significa dislocare la separazione dell'ordine simbolico tra pubblico e privato, con tutte le conseguenze che ne derivano per entrambe le sfere. Nel 1951 il giornale progressista «Der Nation» individua con precisione la posta in gioco: «Per il popolo maschile e sovrano il suffragio femminile significa la spartizione del potere»
Nel suo messaggio del 1957, il Consiglio federale riconosce che la concessione del voto alle donne è «decisiva per il futuro della Confederazione» e rappresenta «una delle questioni più importanti che il nostro Stato federale ha affrontato da quando è nato»
La concessione del diritto di voto femminile rappresenta, dunque, per la democrazia conservatrice svizzera un possibile scossone rivoluzionario che può mettere in discussione tutto il sistema politico e sociale confederale.
Per questa ragione, le autorità - governo in testa - non muoiono certo dalla voglia di concederlo.
Ancora una volta la spinta al cambiamento viene dall'estero. Nel 1963, finalmente, la Svizzera aderisce al Consiglio d'Europa. Rimane però l'unico paese a non aver sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il governo si decide a farlo, ma con riserva, perché nel documento è espressamente vietata la discriminazione in base al genere.
La concessione del diritto di voto femminile rappresenta, dunque, per la democrazia conservatrice svizzera un possibile scossone rivoluzionario che può mettere in discussione tutto il sistema politico e sociale confederale.
Per questa ragione, le autorità - governo in testa - non muoiono certo dalla voglia di concederlo.
Ancora una volta la spinta al cambiamento viene dall'estero. Nel 1963, finalmente, la Svizzera aderisce al Consiglio d'Europa. Rimane però l'unico paese a non aver sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il governo si decide a farlo, ma con riserva, perché nel documento è espressamente vietata la discriminazione in base al genere.
Design: Associazione svizzera per il diritto di voto alle donne.
La Svizzera come un'isola: con questo tema, le forze progressiste hanno fatto campagna per il diritto di voto alle donne. Negli anni '50, nelle nazioni vicine le donne potevano già votare da tempo. Chi era contro diceva che all'estero i cittadini votavano solo per i governi e i parlamenti, mentre in Svizzera si votava regolarmente su questioni complesse.
Secondo Wecker, le donne non erano in grado di farlo. Il tema dell'isola Svizzera torna ancora oggi nelle campagne referendarie, l'ultima volta nel dibattito sul congedo di paternità. Schärer dice: «Viviamo in un Paese che ama considerarsi progressista rispetto ai Paesi vicini. Un tema del genere fa sicuramente riflettere alcuni». Tuttavia, non lo ritiene particolarmente efficace dal punto di vista comunicativo: «Perché in certi ambienti il caso speciale della Svizzera ha una connotazione molto positiva».
Le associazioni femminili, temendo ulteriori rinvii, protestano in massa contro questa decisione, chiedendo il diritto di voto come condizione per la firma della convenzione.
La reputazione internazionale della Svizzera inizia a risentire negativamente dell'esclusione delle donne dalla vita politica. Il governo si trova di fronte a un dilemma: per mantenere la buona immagine internazionale del paese, vuole firmare la convenzione il prima possibile, ma per farlo deve introdurre il suffragio femminile altrettanto rapidamente. Data la situazione sociale già tesa, il Consiglio federale è costretto ad attivarsi per presentare una nuova proposta di voto. Il 7 febbraio 1971, i cittadini approvano il diritto di voto femminile con 621.109 sì (65,7%) contro 323.882 no.
07.02.1971 - esito della votazione a favore del diritto di voto alle donne a livello federale
IL röstigraben é ben evidente con cantoni romandi e il Ticino favorevoli.
Meno convinti i cantoni tedeschi, min particolare quelli mcentrali e orientali che bocciano la votazione
La concessione del suffragio non modifica sensibilmente la composizione partitica di parlamenti e governi, che mantengono la loro stabilità e i loro equilibri interni.
Accelera comunque il raggiungimento della parità formale dei sessi: nel 1981 la Costituzione viene aggiornata sia per garantire l'uguaglianza dei diritti tra uomini e donne, sia per obbligare le autorità a eliminare le discriminazioni e a imporre la parità effettiva in settori esplicitamente citati quali il lavoro, la famiglia e la formazione.
Il ritardo nella concessione dei diritti ha portato a una peculiarità del movimento femminista svizzero, caratterizzato dalla contemporaneità tra la cosiddetta "prima ondata più moderata e concentrata sui diritti politici, e la "seconda ondata", quella delle generazioni più giovani e radicali che rivendicano un'emancipazione che va ben oltre un'uguaglianza formale. Come scrive la storica Brigitte Studer, all'inizio degli anni Settanta il retropensiero delle autorità, di fronte a questa nuova realtà sociale e politica, è quello che forse sia meglio integrare le donne negli organi democratici del paese, con la scommessa vinta che tutto cambi affinché nulla muti.
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