Heinrich Zschokke a partire dal 1798 svolge diversi incarichi in seno alla neonata Repubblica elvetica (quella portata da Napoleone in buona parte dell'Europa per intenderci), tra i quali la direzione dell'uffici della cultura nazionale e due missioni di pacificazione dovuti ai disordini intestini causati a loro volta dai drastici e repentini cambiamenti portati dal nuovo regime filofrancese .
Nella seconda di queste missioni dovette recarsi nei cantoni di Bellinzona e Lugano (il canton Ticino vedrà la nascita con la mediazione del 1803)
Quello che ne esce dalla sua osservazione é riportato sotto e ci aiuta a capire quale fosse la vera indole del ticinese, che a ben vedere non si discosta molto da quella che avremmo potuto fare noi stessi ticinesi in un immaginario collettivo. Zschokke tra gli altri, distingue nettamente gli abitanti del Ticino in due categorie: quelli di montagna e quelli di pianura, spaccatura prevedibile e antichissima. Questa spaccatura é confermata anche dalle osservazioni del von Bonstetten
Tengo però ad aggiungere che Zschokke in un paio di commenti inerenti altri temi, in particolare riguardante il numero della popolazione presente nel Cantone tende ad esagerare. Va dunque tenuto conto di questa possibile tendenza del Zschokke ad accentuare pesantemente le particolarità riscontrate nei nostri avi.
Abitanti di montagna e di pianura
Gli abitanti di queste zone di montagna vivono delle loro greggi. I loro costumi sono semplici, come quelli di tutti i montanari. Rozzi e animosi, ma onesti e sinceri, non hanno in comune con gli Italiani pressoché null'altro che la lingua. Sono di corporatura forte e robusta, e di colorito sano. Le loro capanne sono fatte di tronchi di abete e di larice, e i tetti di scandole sono appesantiti con sassi perché resistano alla furia delle tempeste.Ma in questo mite clima si aggira un diverso genere di uomini. Non è più il duro e forte popolo di pastori dell'alta montagna, rozzo e frugale; ma uno più molle ed ozioso, loquace e fantasioso. E intraprendente, ma privo di tenacia; ha il gusto degli atti temerari, ma senza essere valoroso; ama il fasto e la solennità; è iracondo e vendicativo; è più scaltro che intelligente; aborrisce la fatica e il pericolo, e preferisce vincere con la perfidia.
L'influsso del culto
Ma non soltanto il clima ha determinato questo carattere negativo della popolazione.La Svizzera italiana ha professato da sempre il cattolicesimo romano. Nel XVI secolo singole comunità del baliaggio di Locarno osarono passare alla confessione evangelica, ma vennero subito costrette ad abiurare la nuova fede dai vicini sobillati contro di loro; e chi restò fedele alle proprie convinzioni dovette lasciare per sempre la patria.
Il popolo è tuttora legato con zelo alla fede dei padri e allo scrupoloso esercizio del culto. Proprio questa pompa solenne, esteriore, che eccita l'immaginazione, si sostituisce spesso, per lui allessonia della religione:festività, messe, confessioni, processioni e cosi via sottraggono pero innumerevoli braccia e ore di lavoro alla coltivazio ne della terra, e favoriscono l'inclinazione all'ozio, cui già invita il clima mite.
I parroci, per lo più figli di modesti coltivatori, formati alla cura d'anime da monaci dei collegi di Como e Milano, mancavano in massima parte di cognizioni e di studi superiori. Perciò poterono mantenere il loro ascendente presso il popolo soltanto attenendosi rigidamente ai riti liturgici. Per causa loro il compimento delle opere divenne la principale virtù, e l'esaltato zelo religioso il principale dovere cristiano.
Le comunità hanno sempre avuto, al pari dei cantoni democratici della Svizzera, l'antico diritto di eleggere i loro parroci. I cittadini, a partire dal sedicesimo anno di età, si riunivano, nominavano il pastore e gli facevano sottoscrivere le condizioni alle quali egli riceveva l'incarico. La sua paga era misera, sicché egli era tanto più dipendente dai suoi parrocchiani. Quali frutti si potevano sperare, in relazione al perfezionamento dei costumi, da uomini spesso prescelti da un popolo corrotto? Come avrebbe potuto una gente rozza e ignorante scegliersi un maestro dalla mente dotta e profonda?
Un'ignoranza ancor più profonda di quella dei curati regnava nei numerosi conventi. La maggior parte di essi apparteneva a ordini mendicanti, che badavano più alle onoranze da rendere ai defunti che ad attività di pubblica utilità. Certo, non mancavano singoli frati di buona cultura, tanto tra i francescani riformati e recolletti', quanto tra i cappuccini; questi ultimi si distinsero in particolare per l'oratoria sacra: ma la loro opera rimase timida ed infruttuosa in presenza di condizioni così sfavorevoli.
Il perfezionamento del popolo deve provenire dalla chiesa e dalla scuola: ma qui né l'una né l'altra esercitarono, per secoli, alcuna influenza benefica.
È pur vero che Mendrisio, Ascona, Lugano, Pollegio e Bellinzona hanno avuto collegi o seminari in cui i figli delle famiglie abbienti venivano istruiti in ciò che i monaci chiamavano grammatica, humaniora, retorica e filosofia.
Chi però conosca bene il metodo e le materie d'insegnamento usuali nei conventi intuirà senza sforzo che di rado questi istituti facevano acquisire conoscenze utili per la vita civile. Le scienze matematiche e fisiche godevano di una considerazione scarsa o nulla. Uno spirito ristretto, bigotto, soffocava la molteplicità delle conoscenze. Una pedanteria fratesca prendeva il posto del rigore.
La pigrizia

Patate vs. castagne
Ma anche i castagneti, che devono garantire il cibo quotidiano dei Ticinesi più poveri, vengono scarsamente curati. Maiali, pecore e capre vi pascolano, calpestando e scompigliando le nuove pianticelle, e rosicchiando malamente la corteccia dei giovani tronchi.
È fuor di ogni dubbio che gli abitanti del Ticino, migliorando l'agricoltura, potrebbero ricavare dalla terra abbondanti scorte di grano, verdure, tuberi e castagne, e addirittura ottenere un' eccedenza di prodotti alimentari. E invece ogni anno vi è penuria.
In tali condizioni versava questo popolo, trascurando il fondamento primo del pubblico benessere, la coltivazione della terra, esponendosi a una incessante dipendenza dall'aiuto dell'Italia. Era costretto a far venire grano, vino e sale dalla Lombardia, indebitandosi con essa.
L'allevamento
Non mancano i pascoli; ma chi si cura di correggerne i difetti? Molti offrono alle mandrie al pascolo un'erba acida, perché nessuno prosciuga il suolo dalle acque stagnanti. Certi dannosi diritti di pascolo come per esempio quelli che parecchie comunità del baliaggio di Locarno esrcitano, sotto il nome di erbatico, nel vasto piano a Magadino lungo il Lago Maggiore, rendono poi imposi bile migliorie agricole. In cambio di una certa somma viene permesso al bestiame di pascolare in tutti i terre VI comuni e privati, dall'inizio di dicembre alla meta di maggio, quando i campi potrebbero essere di nuovo coltivati.
Un'altra pratica assurda riguardante il pascolo, fondata su antichi usi e su un tacito accordo piuttosto che su reali diritti, è diffusa in altre zone, ora sotto il nome di trasa generale, ora sotto quello di terz'erba. Da dicembre a marzo, cioè, il bestiame pascola in tutti i prati, i campi e i vigneti; danneggia le viti, sconvolge i campi vicini, e distrugge l'erba dei prati che in questa stagione sono bagnati da frequenti piogge.
Solo nelle alte valli si praticano le colture degli alpi.
Gli alpi della Svizzera italiana, però, spesso disseccati dai caldi raggi del sole, e sovente privi di fontane e di sorgenti, sono meno fertili che sul versante settentrionale. E inoltre non vengono sfruttati dai Ticinesi con le tecniche degli alpigiani tedeschi, né con esiti pari ai loro.
Quindi, dal momento che il raccolto degli alpi non basta a nutrire la massa del popolo nelle alte valli, gli abitanti, più operosi della gente di pianura, si rivolgono ad altre fonti di guadagno. Alcuni fabbricano attrezzi col legno ricavato dalle vaste foreste. Altri lavorano tutto l'anno nei boschi, tagliano i tronchi e li fanno scendere a valle per mezzo di ingegnose condutture, partendo dai punti più elevati e fuori mano delle montagne, superando rilievi, rupi e vallate, fino al fiume da cui essi vengono fluitati fino al Lago Maggiore e all'Italia.
L'emigrazione
Spesso interi paesi restano pressoché spopolati di uomini.
Le donne nel frattempo coltivano i campi e gli orticelli di casa, o guadagnano il pane per sé e per i figli con lavori di paglia intrecciata, tessendo, ritorcendo la seta eccetera.
Solo all'inizio dell'inverno gli uomini emigrati ritornano a casa, consumando con le loro famiglie, al focolare domestico, quanto hanno messo da parte.
Per questi motivi in quasi tutti i villaggi del paese regnano la penuria e la povertà. Si trovano pochi benestanti, e quasi nessun ricco.
Il popolino, avvezzo a questa miseria fin dall'infanzia, non prova affatto il desiderio di una condizione migliore.
Esso placa la fame con gli alimenti più miseri. Di rado carne e verdura compaiono sulla sua tavola. Il pasto quotidiano è costituito da una greve poltiglia di miglio e granoturco, o dalle castagne. Fintanto che non ce n'è penuria, ciascuno è pago, e spesso chi svolge attività economiche, specie nelle zone più miti di pianura, offre invano il suo denaro per ottenere dei lavoranti, se non c'è la fame a spronare i pigri.
L'alimentazione sempre uguale e scadente corrompe gli umori. Di rado si incontrano visi freschi e fiorenti tra uomini e donne. Per lo più essi sono giallognoli, scarni e sgradevoli. Devono concorrere a ciò anche il calore del clima e i vizi, diffusi fra esseri rozzi e inclini all'ozio. Il sudiciume, compagno pressoché costante della miseria, aggrava questa situazione, rendendo disgustose le vivande, le abitazioni e gli abiti del popolo minuto.


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