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Emigrazione ticinese a Parigi

Spesso mi ripeto che una volta eravamo noi a dover emigrare per far fortuna, chi definitivamente chi per una stagione, chi in America, chi in Australia e chi più vicino: Parigi ad esempio.

È da questa emigrazione che voglio iniziare il mio viaggio alla scoperta dell'emigrazione ticinese, quando gli emigranti eravamo noi.

Non nascondo che la conferenza seguita al museo di Giornico ha accelerato e priorizzato il tema da sviluppare, poiché tassello di rilievo della nostra storia.

Emigranti ticinesi davanti al loro negozio in terra francese

Swiss diamonds e hirondelles d'hiver

"basterà pensare ai mungitori in California e agli «swiss diamonds», i diamanti svizzeri, cioè i calli delle mani che esibiscono come trofei"

Dei ventisettemila ticinesi partiti per la California fra il 1850 e il 1950, circa mille sono diventati proprietari di altrettanti ranch distesi su centinaia, persino migliaia, di ettari tra le Catene Costiere e la Sierra Nevada. Cuciti insieme in un gigantesco patchwork formano un territorio di 1’800 km quadrati, corrispondente alla superficie dei quattro distretti di provenienza della maggior parte degli emigrati: Valle Maggia, Locarno, Leventina e Bellinzona; i due terzi del territorio cantonale

Altri, li chiamano affettuosamente les «hirondelles d'hiver», le rondini d'inverno, alternano stagionalmente il lavoro di marronatt, intirizziti nelle loro baracchette di legno sugli affollati quais attorno alla Senna, nei mesi freddi, a quello di pastore, sui monti silenziosi e solitari del Ticino, nella stagione calda.

Due realtà tanto profondamente diverse da non saper bene come possano riuscire a convivere. Ma chi emigra, si sa, impara ad adattarsi assai più facilmente di chi resta.


Uomo di montagna. Vs uomo di pianura

«L'emigrazione e la ricerca di un migliore guadagno, data la densità della popolazione, è divenuta non solo un'abitudine, ma quasi una specie di necessità»: così osserva, tra il 1770 e il 1772, il giovane pastore riformato Hans Rudolf Schinz (1745-1790) durante un prolungato soggiorno nel Locarnese. 

Nei villaggi delle valli il teologo di Zurigo è colpito dall'incontro con donne povere e tribolate, che sono in incessante attività. «Portano al mercato pesanti fardelli; portano dai boschi fino a casa, nelle loro ceste, legna e castagne o trasportano carbone, per strette gole e ripidi sentieri, dalle più alte montagne fino alle rive dei laghi». Ma tutti questi umili lavori non bastano ad impegnare i molti abitanti di quelle valli strette e rocciose:
«Come altri abitanti di regioni montagnose, gli uomini inseguono la fortuna fuori della loro patria ed emigrano più spesso di tutti gli altri svizzeri e perfino più dei loro vicini savoiardi». 
Ed aggiunge Schinz: «Hanno lo spirito molto più sveglio degli abitanti della pianura, sono più attivi, più ingegnosi, più inventivi e intraprendenti e aspirano quindi maggiormente ad uscire dalla loro situazione, che pure non è così cattiva, e a cercare una via verso una sorte migliore; mentre l'abitante delle pianure lombarde va avanti avvilito per la sua strada abituale e non pensa a mutare la propria condizione, l'italiano di montagna se ne va in tutte le città e in tutti i paesi, per guadagnarsi - anche nei modi più strani - qualcosa di cui potere poi vivere una volta tornato a casa. Quando è lontano dalla sua patria, si distingue per audacia, abilità e tenacia»

Al pastore zurighese fa eco, alla stessa epoca, il cappellano di Lavertezzo, che descrive la Valle Verzasca, nel 1779, come piena «di deliziosi rompicolli e di copiosa fame».

«Le migliori risorse si hanno dall'Olanda, ove quei di Bignasco e Cavergno tengono privilegio di fumista. Non sono cattive neppure le notizie di coloro che emigrano in Francia, ma il guadagno viene assorbito dalla facilità con cui si scialacqua il denaro»"

Nel 1879 che il Commissario della Leventina annota nel suo rapporto: «L'emigrazione d'oltremare è in generale più di danno che di utile considerata dal lato morale e materiale; la più robusta gioventù si avvia oltremare dimentica presto e famiglia e patria». Mentre l'emigrazione verso la Francia è tollerata dalle autorità, poiché intravvedono la possibilità di un ritorno in patria.

Sul passo della Greina, nell'estate 1859, il naturalista Luigi Lavizzari (1814-1875) e la sua guida si imbattono in un pastore solitario che custodisce il suo numeroso gregge. Gli domandano, mentre riposano in riva ad un torrentello, come passa i giorni, tra rupi e ghiacciai, su quei deserti monti. «Da lunghi anni, rispose il pastore, sono avvezzo tanto al silenzio de' monti come al rumore delle grandi città. D'estate sono custode di quell'armento che vedete, e che mi dà somma inquietudine se lo perdo d'occhio un sol istante; all'avvicinarsi dell'inverno mi reco a Parigi a fare il marronaio sulle pubbliche vie; all'aprirsi della bella stagione ritorno a questi monti. Conosco anche Marsiglia, Nimes e Fontainebleau, dove passai parecchi inverni esercitando il mio mestiere; eppure son sempre povero, qual mi vedete; nemmeno una di quelle pecore è mia; e le mie fatiche sono scarsamente rimunerate».

Fumisti

Un gruppo di fumisti di Peccia, secondo il Bonstetten, muoiono ghigliottinati a Parigi durante la rivoluzione francese, nel tempo tragico del Regime del Terrore (1793-1794).

I fumisti che si registra il maggior numero di giovanissimi emigranti, almeno sino al decreto del 30 maggio 1873 con il quale il Consiglio di Stato vieta agli abitanti del Ticino «di affidare a qualsiasivoglia persona, giovanetti minori d'anni 14 per condurli all'estero per l'esercizio del mestiere di spazzacamino».

Lo scopo del governo ticinese sembra quindi, almeno in parte, raggiunto: «Ci si e, nell'esame di quest'oggetto, affacciata una dolorosa iliade di patimenti, di oppressioni e di miserie; ci si è appalesata nella sua scandalosa nudità la piaga dell'accattonaggio forzato e dell'abbruttimento morale e fisico velati sotto la maschera del lavoro e sotto i poveri cenci del piccolo spazzacamino»

Il giovane Carlo Biaggi di Piazzogna, apprendista fumista a Parigi, rientra da parte sua in patria nel 1846 con il compenso di 200 franchi, ma l'anno seguente fa causa ai suoi ex datori di lavoro poiché è rimasto storpio «par suite des blessures qu'il a reçues en 1844 en travaillant dans une cheminée dans laquelle on l'a contraint d'entrer dans le moment où il y avait encore du feu» 

La formica e la cicala

Un'altra histoire de succès, è quella della famiglia Farei di Chironico. Camillo Farei, giunto a Parigi al cap du siècle, si fa conoscere come lavoratore instancabile.

Nella metropoli francese svolge contemporaneamente due lavori per guadagnarsi la somma necessaria all'avvio di un commercio in proprio. Così nasce la poissonnerie Farei, situata alla rue des Pyrénées, che diventa una delle più grandi e frequentate pescherie della capitale. Affiancato dalla moglie Emma, Camillo Farei si lancia in un'attività très lourde, a causa della manipolazione del prodotto ittico nel ghiaccio necessario alla sua conservazione.

La tipica giornata lavorativa comincia all'alba e si protrae fino in tarda serata, come annotano le sensibili penne di Aline Solari e Michela Belli: «Alle quattro del mattino si recavano al mercato del pesce all'ingrosso Les Halles che a quel tempo si teneva nel centro di Parigi, e tra le numerose bancarelle e la vasta scelta avevano imparato a districarsi assicurandosi un prodotto di ottima qualità in seguito recapitato al negozio per la rivendita. Infine un successivo giro del quartiere prima dell'apertura permetteva di rilevare i prezzi applicati dalla concorrenza» 

Al suo definitivo rientro in patria, Camillo Farei acquista una villa situata nei pressi della stazione di Faido e costruisce una casa a Chironico, suo villaggio natale, destinata ad ospitare, estate dopo estate, emigrati parigini tornati in valle per le sospirate vacanze au pays.

Röstigraben

È alla periferia, o meglio ai margini della colonia svizzera che, secondo le fonti, sembrano vivere i ticinesi nella capitale francese. Il passo del San Gottardo sembra restare, anche a Parigi, un valico che divide culturalmente gli svizzeri di lingua italiana e tedesca. Alla creazione del Centre commercial suisse, nel 1881, i ticinesi restano così esclusi. Lo scopo ideale del nuovo Centro è di rafforzare la coesione tra giovani commercianti elvetici: «Dans une ville grande et turbulente comme le centre de Paris, c'était une raison de plus pour faire sortir de l'isolement dans lequel se trouvaient les jeunes commerçants suisses». Ma i membri fondatori sono, secondo i registri, «tous de la Suisse alémanique et romande». Stessa musica per la Chorale suisse de Paris, dai cui archivi risulta che nel 1903 i coristi sono ben 129, tra cui soltanto uno è però di origine ticinese.

Derby ticinese

Liberali e conservatori sui treni elettorali...

Questo piccolo mondo a parte è formato, anzitutto, dalle società politiche ticinesi, ovvero la liberale radicale "La Stefano Franscini", fondata nel 1880, e la liberal-conservatrice "Il Ticino", creata nel 1891. Si tratta di «un petit monde à part», poiché nessun altro Cantone conta, a Parigi, società di carattere politico. Questo si spiega con la legislazione ticinese che, a differenza degli altri Cantoni svizzeri, offre in quei tempi ai propri cittadini il diritto di voto anche se residenti all'estero. Inevitabilmente le due società rivali rivestono così un carattere politico, «tandis que la règle absolue de toutes les autres sociétés suisses de la capitale est d'interdire les discussions politiques ou religieuses. Cette interdiction n'est pas seulement dans les statuts, mais dans les mœurs et dans les cœurs»

Alla storia passano, così, i viaggi elettorali in treno organizzati (e finanziati) a Parigi dalle due società rivali in occasione delle elezioni comunali, cantonali e federali. Attivamente "La Franscini" e "Il Ticino" invitano i propri membri a salire sul treno, pagando loro il viaggio per rientrare in patria a votare la scheda liberale o conservatrice. Raro non è che i liberali e conservatori si ritrovino così, à la gare, a salire sullo stesso treno alla volta della patria, «mais parfois sur des vagons différents»

Per non chiudere i commerci e ristoranti a Parigi, le famiglie si suddividono. Gli anziani partono tradizionalmente al venerdì sera dalla gare de l'Est ed arrivano nel Ticino già nella mattinata del sabato, mentre i figli lavorano nei commerci parigini. Subito i vecchi si recano alle urne per votare. 
«A Malvaglia i due partiti rivali, conservatore e liberale, offrono poi il pranzo agli emigrati parigini: polenta e luganiga»

Dopo pranzo, rientrano alla volta di Paris. I figli, invece, prendono il treno sabato in serata, per giungere in patria nella mattinata di domenica e votare prima che il seggio chiuda allo scoccare del mezzogiorno. Poi il rito della polenta offerta dal partito ed il voyage de retour.

Arriva la Pro Ticino

Mentre sventola il nuovo vessillo, ricamato in terra ticinese, gli occhi dei presenti ammirano il fiammante emblema che presenta, da un lato, i colori cantonali contornati da artistica decorazione, nel centro lo stemma della Pro Ticino e l'iscrizione "Sezione di Parigi" e dall'altro la croce bianca federale in campo rosso. Tra la commozione generale sono intonati l'inno svizzero e la marsigliese.

Il 1 ottobre 1932 debutta l'esperienza della castagnata della Pro Ticino, la prima di una tradizione che continua sino ad oggi. I marroni sono offerti dalla famiglia Baggi, «non solo per gustare le deliziose caldarroste, ma per ritrovarci riuniti nel caro ambiente intimo e familiare che ci offre ogni riunione, sempre animata dal sincero spirito patriottico che ognuno indistintamente ama e venera».

Chironichesi di successo

Parroco don Carlo Maria Pagani (1901-1970), che sulla partenza di quel giovane chironichese aggiunge ancora: «Partì, come tutti i nostri, povero di mezzi, per l'immensa Metropoli, senza un'idea precisa di quello che avrebbe fatto, giacché, da noi, in piano ed a monte, scarsa è l'applicabilità dell'intelligenza, costretta ai limiti avari della giornata contadina, monotona, interminabile, eterna».

Curiosamente diversi emigrati chironichesi, al rientro in patria, preferiscono Faido al villaggio natale sulla collina, forse a causa della notorietà assunta alla fine dell'Ottocento, quando quel borgo leventinese diventa il terzo polo turistico nel Cantone. Accanto alle ville parigine sorgono alberghi destinati ad accogliere la crescente affluenza di turisti benestanti provenienti dall'Italia.

Dagli anni Trenta sino dal secondo dopoguerra, tanti ticinesi a Parigi temono di passare per italiani, poiché il fascismo è mal visto in Francia, specialmente dopo la libération. Una tradizione viva vuole che, per decenni, i ticinesi si facciano passare per corses, ovvero originari della Corsica: «Les Tessinois arrivant en France se disaient d'origine corse, pour ne pas être catalogués comme Italiens. Beaucoup de parents francisaient les prénoms.»

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