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Parolacce

 Inutile fare i santi, siamo umani, prima o poi la parolaccia scappa. Ho sempre ammirato la mia prozia che nei momenti in cui si rendeva necessario l'utilizzo di una parolaccia ripiegava su "acciderbida" o "orcu sciampin". Io mi rintano in un più pepato "dio becco" consapevole di sfociare nella maleducazione ma senza esagerare.

Altre parole poi sono di uso quotidiano: cazzo ad esempio esiste da inizio XIV secolo (!) e a mia sorpresa scopro che buzzurro potrebbe essere stato ispirato dai ticinesi.

Ho il modo poi di riscoprire un secondo significato della parola puttana che sta andando a scomparire e un terzo che non conoscevo affatto.

Ecco dunque un piccolo viaggio, non esaustivo, nel magico mondo del turpiloquio che ci rende un po' meno eleganti ma decisamente più umani

Parolacce per ogni occasione

stronzo ‹ strónzo> s.m. VOLG. 1. Escremento solido a forma di cilindro. 
FIG. Frequente come ingiuria rivolta a persona inetta o stupida oppure infida, malvagia e spregevole; anche SCHERZ.: non fare lo stronzo!, per esprimere simpatica disapprovazione; 
come stai, vecchio stronzo? per dimostrare rude, cameratesca simpatia. 

coglia: [sec. XIV] 'scroto'; [sec. XVII] 'persona stupida e presuntuosa, coglione.

mortaio: [sec. XIII] 'organo sessuale femminile
A questo proposito Bassetti nota che i genitali femminili hanno «più frequentemente una connotazione metaforica positiva di quelli maschili, come è lampante nell'uso di cazzata e figata, e figa - anche girata al maschile figo - è quasi uno dei complimenti più gentili».

batacchio: [sec. xvi] 'organo sessuale maschile, pene.

bazzotto: [sec. xx] di pene, 'non completamente eretto' (dal 1600: di uovo, 'non completamente sodo').

cazzo: [av. 1310] 'pene'; al pl., 'affari, fatti"; [1582] con valore interiertivo, per esprimere meraviglia, impazienza e sim., o anche rabbia, ira;
La data tra parentesi quadre si riferisce alla prima attestazione presunta di ciascuna parola nella specifica accezione volgare (ricordo che l'abbreviazione «av.» sta per 'avanti, prima').

puttana: [sec. xi] 'persona che, per proprio vantaggio, cambia comportamento, opinioni o partito a seconda delle circostanze e con estrema leggerezza'; con valore raff., in imprecazioni o bestemmie.

trombare: [av. 1306] 'possedere sessualmente'; avere un rapporto sessuale.

Parole dall’uso limitato

affanculare: [1994] 'mandare affanculo

bucaiolismo: [1915] 'omosessualità.

gonfiare: [sec. xvi] ingravidare'.

insifilidato: [1910] 'affetto da sifilide.

ostrica: [sec. xIx] 'sputo catarroso.

puttana: [1948] nel gergo dei giocatori di poker, 'regina, donna?

smerdafogli: [av. 1882] 'imbrattacarte, scrittore di poco conto.

stantuffare: [1961] 'possedere sessualmente'.

Parole obsolete

merdellone: [av. 1535] 'persona sudicia'; persona vile, spregevole';

Parole regionali

brodosa: roman. [sec. xvII] 'vulva.

trapanare: sett. [sec. XVI] 'possedere sessualmente
Il trapano manuale, o succhiello, esiste fin dall'epoca romana e consisteva in una punta su cui si arrotolava un cordino fissato alle due estremità a un'asse forata, in cui si inseriva la punta. Spingendo l'asse verso il basso, la corda faceva girare rapidamente la punta, che così poteva perforare il legno o la pietra.

Bestemmie

Tabù è il timore di "fare il nome di Dio invano", e non solo in termini negativi. 

Nominare l'essere temuto vuol dire richiamarlo alla vita, farlo comparire, scatenarne il potere. Erano impronunciabili i nomi di divinità, di demoni, nomi tabù. Cribbio, perdinci, perdiana sono tutti modi per evitare di nominare, in questo caso, il nome di Cristo o di Dio; ..., con diamine si evita di nominare Dio e il diavolo (è una sovrapposizione di domine su diavolo).

Si potrebbe sostenere, d'altra parte, che la bestemmia non è affatto un sintomo di irreligiosità, ma è anzi l'espressione di una religiosità esasperata e disperata, che impreca contro l'essere supremo a cui attribuisce la causa di un male, riconoscendone così l'onnipotenza e insieme manifestandogli un bisogno di attenzione. Non si insulta chi non esiste o non interessa, e perciò bestemmiare ha veramente senso solo in una società religiosa. 


Crociata Santa Comitato Centrale Antiblasfemo di Verona

Togliete ai fiorentini la bestemmia, e torna quasi lo stesso che portargli via mezzo vocabolario della lingua parlata.

L'autore di Pinocchio descrive poi nello stesso testo il suo incontro in una caffetteria con un certo Pitagna, forte bevitore e altrettanto forte bestemmiatore, che con tutta la buona volontà non riesce proprio a trattenersi dall'emettere uno dei suoi sacrileghi «moccoli»:

E difatti la dice [la bestemmia]: e dopo averla detta, fa un gran sospirone e brontola fra i denti:
 
- "Ne avevo proprio bisogno! Eppure anche questa l'è una bella prepotenza!"
- "Cioè?"
- "Di dire che un libero cittadino non sarà più padrone di bestemmiare, neanche se gli fa bene alla salute. O allora per chi s'è fatta l'Italia? Poeri quattrini spesi bene!.."
- "Peraltro, converrai meco che la bestemmia è una brutta cosa."
- "Bruttissima, ma fa un gran comodo. In certi momenti, bisogna che ne convenga anche lei, il moccolo è il vero amico dell'uomo!"

Oggi, invece, il dilagare del turpiloquio si accompagna a una sensibile riduzione del vizio di tirare moccoli, che oltre tutto dal 1999 non è più sanzionato penalmente (in Italia). 
Lo sfoltimento delle bestemmie si spiegherà piuttosto con il fondamentale laicismo di una società che, una volta liquidata la nozione stessa di peccato, ha perso anche gran parte del bisogno e del gusto di bestemmiare. Se un tabù perde forza e attualità, inevitabilmente la sua violazione diventa meno corrosiva e meno stuzzicante, quindi anche meno praticata

Si noti che le locuzioni accendere o attaccare o tirare moccoli, alle quali si collega il verbo smoccolare, non rimandano a moccolo muco del naso, come si potrebbe credere, ma sono riformulazioni con valore ironico-antifrastico di moccolo 'candela votiva'. Alessandro Falassi ha osservato che in Toscana le «sequenze di bestemmie vengono chiamate comunemente "rosari" e le singole bestemmie "moccoli"»,

~ino 

Si noti che i "nomi di agente" in -ino, probabilmente a causa del valore diminutivo che caratterizza il suffisso, designano per lo più mestieri umili, e ciò vale non solo per i sostantivi denominali sopra ricordati, ma anche per quelli deverbali, come arrotino, attacchino, imbianchino, spazzino, con il geosinonimo romano scopino; da tale tendenza discende una valutazione negativa o riduttiva di alcuni suffissati, che evocano attività screditate o comportamenti criticabili: galoppino, lecchino, scribacchino, strozzino, traffichino, vagheggino. 

Parolaccia ispirata dai ticinesi

Mentre burino è una parola di sicura origine romanesca, buzzurro è invece un vocabolo importato subito dopo il 1870 da Firenze, dove circolava da tempo - probabilmente prima dei più antichi esempi finora noti, che risalgono all'inizio dell'Ottocento- per designare i castagnai ambulanti svizzeri dei cantoni del Ticino e del Grigioni che d'inverno lasciavano le loro montagne e venivano a vendere caldarroste (fiorentinamente bruciate) nella città toscana

La «castagnaia», i vecchi ancora ricordano a Lugano la Céca Valséca. 
Tutti sono sensibili al seducente profumo della nera padella del marronaio,
 là ai primi freschi dell'autunno: profumo di infanzia rustica, 
quando le «brasche» non erano soltanto leccornia, facevano pasto.

Dopo il 1865, nella breve stagione di Firenze capitale, 'epiteto di buzzurro è applicato in senso spregiativo ai funzionari e ai militari piemontesi che si trasferiscono in massa, con le rispettive famiglie, sulle rive dell'Arno; tanto che nel 1870 Pietro Fanfani registra nelle Voci e maniere del parlar fiorentino il recente sviluppo semantico, aggiungendo alla precedente e più specifica accezione del vocabolo quella di «Uomo zotico, sgarbato, e di poca creanza».

Buzzurro ha avuto fin dal suo primo ingresso a Firenze una sfumatura spregiativa, per il fatto stesso di individuare gli appartenenti a un gruppo sociale basso ed emarginato, come era indubbiamente quello degli immigrati stagionali che vendevano castagne agli angoli delle strade.

Sembra più motivato, semmai, un collegamento con il tipo largamente conosciuto in area settentrionale brüzur, brüzur, brüsur, brusour 'bruciore', per la strettissima attinenza tra il bruciore e le bruciate.
Da un lato troviamo la locuzione brüsur a la lengua a Pedrinate, il centro più meridionale del Canton Ticino; dall'altro il dizionario di Policarpo Petrocchi registra un invitante appello dei buzzurri a comprare le bruciate: «Bruciate calde, e fumano! Gridano i buzzurri». 

Resta tuttavia da verificare se i primi venditori italo-svizzeri di caldarroste in giro per Firenze fossero inclini a dire qualcosa come brizur o rüsur, magari per avvertire gli acquirenti del pericolo di scottarsi la lingua o le mani, e se proprio quello strano richiamo, che ai fiorentini poteva forse risultare oscuro anche per la pronuncia marcata dei bruciatai forestieri, sia divenuto con piccole modifiche il marchio di chi lo emetteva.

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