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La battaglia delle Tuileries

Non per insistere ma insisto comunque. Il famigerato leone morente di Lucerna ha avuto ragion d'essere dopo un determinato evento nella storia (per la serie: se gli han dedicato una scultura simile qualcosa di altrettanto epico sta all'origine)

Già accennato nel primo post dedicato al monumento approfondisco i tragici eventi avvenuti alle Tuileries il 10 agosto 1792. Sono fatti tragici che riguardano la storia di nostri connazionali impegnati nel servizio che ci ha resi celebri in tutta Europa: il servizio mercenario.
 
Soldati di punta del reggimento Eptingue. Costituito nel 1758 per ordine del Principe Vescovo di Basilea, il reggimento fu messo al servizio del Re di Francia, prima di essere sciolto nel 1783.
Museo di Delémont (JU)

Il cappello frigio

Siamo nel pieno della rivoluzione francese, la rivoluzione non si fa in un giorno ma é una serie di avvenimenti, nel caso della rivoluzione francese durato negli anni.
Nell'agosto 1792 si sta vivendo una situazione transitoria, tutti sanno che non é quella definitiva. Nel giugno 1791 il re e la sua famiglia hanno provato a fuggire di nascosto dalla Francia per essere catturati a Varenne a pochi chilometri dal confine. Questo ha ulteriormente peggiorato la già non facile situazione per i regnanti. Si trovano imprigionati al palazzo delle Tuileries. Hanno già subito delle invasioni da parte dei rivoluzionari é il re é stato obbligato dalla folla ad indossare il cappello frigio simbolo dei rivoluzionari.
20 giugno 1792, i rivoluzionari penetrano nel palazzo delle Tuileries 
ed obbligano il re ad indossare il cappello frigio. 
Il re non oppone resistenza

Applausi al duca

I patrioti francesi sospettano il re di tramare con il nemico per sconfiggere la rivoluzione e restaurare l'assolutismo borbonico con la forza. Una conferma in questo senso sembra venire dal durissimo proclama del 25 luglio a opera del duca di Brunswick-Wolfenbüttel, comandante in capo dell'esercito austro-prussiano, che minaccia i parigini di una vendetta esemplare "nel caso in cui venga usata la più piccola violenza o venga recata la minima offesa nei confronti delle loro Maestà, il re, la regina e la famiglia reale" e "se non si provvede immediatamente alla loro sicurezza, alla loro protezione ed alla loro libertà". Scopo evidente del proclama è di terrorizzare i francesi, ma ottiene l'effetto contrario, di cementare il loro sentimento di unità nazionale e di infiammarli d'odio nei confronti del "re traditore".

È in questo contesto che matura l'insurrezione del 10 agosto, che cambierà il corso della storia francese abbattendo la monarchia e portando all'instaurazione di una repubblica.
Tutto parte nella notte tra il 9 e il 10 agosto quando si forma un "corteo" di insorti provenienti dai quartieri più popolari di Parigi, come il Faubourg Saint-Marcel e il Faubourg Saint-Antoine, quartieri di botteghe e piccole fabbriche, dove vive la maggioranza dei "sanculotti". Al loro fianco, ci sono le truppe dei "federati", cioè i volontari giunti da Marsiglia e dalla Bretagna per combattere contro l'Austria, per i quali l'Assemblea legislativa aveva allestito un campo militare nei pressi di Parigi. 

In totale, parteciperanno a questa giornata rivoluzionaria circa 25 000 dimostranti, fra uomini e donne, operai e borghesi, militari e civili, parigini e provinciali.

Fucilieri del reggimento svizzero, giugno 1789

La notte del 9-10 agosto

Questo "esercito", se così si può definire, è nella sua parte principale composto da circa cento compagnie, ognuna con un centinaio di uomini, armati prevalentemente di fucili. A guidarli ci sono i militanti sanculotti delle varie sezioni di Parigi. 
Tale organizzazione fa capire che lo scontro è stato preparato con cura
È ancora notte quando il corteo muove verso l'Hotel de la Ville, sede del municipio. Qui il consiglio comunale in carica, di orientamento moderato, viene sostituito dagli insorti con un consiglio rivoluzionario: la Commune insurrezionale.

Quindi la massa dei dimostranti si dirige verso il palazzo delle Tuileries, dove risiede il re Luigi XVI di Borbone. 

06:00 - Il re passa in rassegna le truppe svizzere

La reggia è difesa da un centinaio di guardie nazionali e soprattutto da 1330 guardie svizzere, "soldati eccellenti, coraggiosi e disciplinati, obbedienti sino alla morte".

Nel palazzo, in un primo tempo, regna l'ottimismo: la massa di popolani che si sta radunando per le vie di Parigi sarà facilmente sbaragliata. Verso le 6 del mattino del 10 agosto, Luigi XVI, tenendo a mano il Delfino, discese nella corte reale occupata da distaccamenti della Guardia Nazionale francese e dagli Svizzeri. Alla vista dell'infelice Sovrano gli Svizzeri gridarono «Vive le Roi ». 

Un testimone oculare, ufficiale del Reggimento della Guardia Svizzera, il cav. de Gibelin, scrisse nelle sue Memorie: "Il contegno del Re che passava in rivisiti i suoi fedeli Svizzeri fu tranquillo ed imponente e i suoi sguardi erano più eloquenti di ogni suo discorso. Egli sembrava dirci: ecco gli ultimi difensori rimastimi fedeli! Era una scena commoventissima"

07:00 - Il re all'assemble nazionale

Ma alle prima luci dell'alba, guardando dalla finestra la marea di sanculotti in armi, il re deve ricredersi. Tutta Parigi è in marcia, gli fanno notare. 

Agli Svizzeri giungeva l'ordine di opporre resistenza all'assalto, respingendo la forza con la forza. Nel frattempo, però, una deputazione della Guardia Nazionale Francese era riuscita a convincere il Sovrano a presentarsi in persona all'Assemblea Nazionale. 
E così Luigi XVI, insieme alla moglie Maria Antonietta, ai figli Maria Teresa e Luigi Carlo, e alla sorella minore Madame Élisabeth, fugge dalle Tuileries e si rifugia nella vicina sala del Maneggio, chiedendo protezione all'Assemblea legislativa. La regina non voleva abbandonare le guardie svizzere, oltre ai nobili al suo servizio da tanti anni, in balia dei rivoluzionari, ma il re la convinse ad obbedire

Non l'avesse mai fatto! Alla sua entrata all'Assemblea il Re si faceva suo prigioniero e si dava spontaneamente nelle mani dei suoi peggiori nemici. Gli Ufficiali Svizzeri che lo avevano accompagnato con un distaccamento di truppa del Reggimento vennero tutti arrestati ed i soldati disarmati.

Rimasti soli, i nobili della corte e le guardie svizzere si preparano con i fucili puntati a ricevere gli insorti.

08:00 - Westermann ordina l'assalto

Nell'ora in cui Luigi XVI lasciò il palazzo per recarsi all'Assemblea, gli insorti formarono un ampio semicerchio sulla piazza del Carrousel dal Ponte Reale alla Rue Saint-Honore. Un capo su un cavallo nero con un pennacchio rosso sul cappello, l'alsaziano Westermann, ordinò loro di combattere e rinforzò il centro e le ali con 40 cannoni. I gendarmi, terrorizzati alla vista di questa forza popolare, sguainarono le sciabole e gridarono "Viva la nazione!". Poi fuggirono attraverso Rue de l'Echelle.


François-Joseph Westermann, "il macellaio della Vandea",  
fu uno dei primi a penetrare nel Palazzo delle Tuileries il 10 agosto 1792

09:00 - Cade il primo svizzero

Il capitano svizzero Dürler, che aveva assunto il comando dopo la partenza di de Maillardoz, si rese conto che l'area da proteggere era troppo vasta per 15 deboli compagnie e limitò la difesa al castello. Alle 9, la compagnia di Salis si ritira sulla scalinata della Regina di fronte al giardino. Lascia il tenente von Diesbach con 25 uomini come posto avanzato al ponte girevole. Le compagnie di de Castella, d'Affry, Pfyffer e von Reding sono schierate con le guardie nazionali fedeli nella corte reale, Friedrich von Diesbach nel Fürstenhof, i granatieri di Castelberg nella Cour de Marsan, la compagnia di Roll nello Schweizerhof, de Loys nella sala Hundertschweizer e von Ernst nel Florapavillon. Circa un centinaio di nobili sotto il comando del Barone di Viomesnil e di von Puysegur occupavano i piani superiori e i lucernari.

Dürler è sulle scale del Pavillon de l'Horloge. Il maresciallo de Mailly gli dice: "Non lasciarti allontanare per nessun motivo"
"Ci può contare", rispose il lucernese. 

Il primo svizzero a cadere fu una sentinella bernese che era stata dimenticata nei giardini. Attaccato alla sprovvista, rimane al suo posto, uccide sette assalitori con colpi di fucile e colpi di baionetta, poi estrae la sciabola e abbatte altri tre Sansculottes prima di soccombere. 

Le parti si guardano a vicenda. Le pietre volano contro le mura del castello e tuonano in massa contro le porte.  La voce della folla diventa una tempesta e urla minacce di morte in faccia ai difensori. I soldati stringono i loro fucili con rabbia tra gli insulti. L'ordine vieta loro di attaccare per primi. Il manierismo ha ancora la meglio.

Gli ufficiali guardano con ansia i volti stravolti dei loro uomini, esausti per la fatica, spenti per la mancanza di sonno e tormentati dalla fame. Il soldato Fonjallaz della compagnia Loys scrive: "Tutto il giorno e la notte passarono senza che potessimo mangiare nulla, e ancor meno la mattina del 10". (Journal d'un garde-suisse)

09:30 - La porta della corte cade

La porta della corte reale ruggiva sotto i colpi selvaggi dei ribelli. Alle 9 e mezzo crolla con un boato. I primi gruppi di Marsigliesi che entrano nel cortile si fermano improvvisamente come se fossero radicati al suolo.

In fondo allo scalone d'onore, quattro compagnie svizzere, con i fucili pronti, sono schierate in formazione di battaglia, gli ufficiali stanno davanti, i conestabili serrano i ranghi. Altre compagnie coprono i gradini come un tappeto scarlatto. È l'ultima apparizione del reggimento nello splendore delle sue uniformi, nel luccichio delle baionette, nello sventolio delle bandiere spiegate.

La calma di questa squadra, il loro inquietante silenzio intimorisce i marsigliesi, che esitano. Nella piazza del carosello, la folla grida: "Abbasso le Giubbe Rosse! Deponete le armi!". Migliaia di federati si riversano nei cortili, chiamando i difensori: "Compagni svizzeri, potete scendere, il re è in assemblea".

L'aiutante Roulin, di Neuchâtel, cercò di parlare alla folla per calmarla e fece qualche passo avanti, ma prima che potesse dire una parola, fu afferrato, derubato dell'orologio e stava per essere ucciso quando la sua squadra lo liberò. In preda a una rabbia disperata, l'agente Lendi, von Wallenstadt, vuole sparare un colpo, ma gli agenti glielo impediscono.

Westermann chiede di parlare con il comandante svizzero. "Unisciti a noi", dice a Dürler, "sarai trattato bene, arrenditi alla nazione" Il lucernese risponde: "Mi sentirei disonorato se mi arrendessi a voi". Westermann minaccia. "Sono responsabile del mio comportamento nei confronti degli Estati Confederati, delle mie autorità", risponde Dürler, "non deporrò mai le armi".

Alle porte di Marsan, il conestabile Blaser, di Soletta, risponde alle richieste: "Siamo svizzeri e gli svizzeri depongono le armi solo a costo della vita". Altrove, Reding, Zimmermann e Glutz danno risposte simili. Le squadre hanno risposto con rabbia alle minacce e alle sfide con il loro silenzio e la loro immobilità.

L'ordine è di non essere i primi a sparare.

09:50 - Prima ondata francese

Sulla rotonda, la folla brontola e si spazientisce. C'è una confusione selvaggia di insulti, grida di donne e rumore di tamburi. Poco prima delle 10, un colpo proveniente dalla corte reale sbatte contro le finestre del palazzo come un segnale prestabilito, seguito quasi contemporaneamente da una breve raffica di spari, seguita da un forte tuono: i cannoni della Guardia Nazionale hanno aperto il fuoco sullo scalone d'onore a una distanza di 50 metri.

Il sottotenente Philipp von Glutz cade a terra, colpito, il piede del sottotenente von Castelberg viene frantumato, i Federali pongono fine alla sua vita con colpi di baionetta. L'intera prima linea degli svizzeri viene falciata. La pazienza ha i suoi limiti. Brevi ordini risuonano dal vestibolo, i cannoni degli svizzeri si lanciano simultaneamente all'attacco. Una raffica spazza via il cortile e copre il portico di morti e feriti.

L'intera facciata del castello viene colpita da una pioggia di piombo. Altre raffiche rispondono al fuoco dai giardini. I cortili si svuotano. La folla fugge in preda all'orrore e al disordine. Senza perdere un attimo, Dürler fa una sortita con 200 uomini, libera il cortile reale e prende quattro cannoni. Poi prende posizione contro la piazza della giostra e si fa padrone della piazza sparando su tre lati. Viene sostenuto dal fuoco proveniente dal primo piano del castello. Il capitano Zimmermann e suo figlio Alexander cacciano il nemico dallo Schweizerhof con 30 uomini e catturano tre cannoni. Un denso fumo bianco, da cui fuoriescono solo gli spari, avvolge le Tuileries.



La folla, presa da un terrore selvaggio, si dirige come un torrente di montagna verso i vicoli e le strade lungo il fiume, torna indietro e si dirige verso il municipio, molti terminano la loro fuga solo nel sobborgo di St Antoine. La gendarmeria a cavallo, trascinata dal flusso di rifugiati, porta la confusione al suo culmine. Vengono sparati colpi di pistola a caso, le persone vengono calpestate dagli zoccoli dei cavalli. Tutti gridano al tradimento e accusano gli svizzeri di omicidio per aver attirato i volontari nei cortili e averli poi abbattuti a distanza ravvicinata

Tuttavia, questa leggenda dell'agguato, diffusa dai giacobini, si basa esclusivamente su testimonianze tendenziose. Le testimonianze degli ufficiali svizzeri sono unanimi: "Giuro sulla cosa più sacra del mondo", dichiarò il tenente de Luze, "che il reggimento sparò solo quando la Guardia Nazionale sparò tre o quattro colpi di cannone contro il castello". 

Sul lato del giardino, la compagnia di Salis avanzò fino al cortile del maneggio e tornò nel vestibolo con tre cannoni catturati, lasciandosi alle spalle 30 morti e moribondi e chiedendo rinforzi. Il capitano von Reding e gli aiutanti von Glutz e von Gibelin si precipitarono con due compagnie e misero a tacere gli artiglieri sulla terrazza dei feuillants con un fuoco ben diretto. Diversi ufficiali si distesero davanti a un cannone in mezzo alla pioggia di proiettili e lo portarono in posizione di batteria; Reding fu ferito al braccio per la prima volta. Gli svizzeri hanno così respinto l'attacco su due fronti in meno di un quarto d'ora. Riportano i feriti, riorganizzano i ranghi e ricaricano i fucili. La mancanza di munizioni si fa già sentire e per sostituirle si limitano alle cartucce dei morti e dei feriti. 

La Porta del Re viene colpita dai proiettili di due cannoni posizionati di fronte all'Hotel de Longueville. Il capitano von Salis-Zizers tenta una manovra diversiva con 80 granatieri svizzeri e alcuni nazionali attraverso la corte reale. Si scontra con i ribelli, riconquista la piazza del carosello con la baionetta, ma è presto in inferiorità numerica. 

Dürler sembra moltiplicarsi.

La posizione sulla piazza della giostra non può più essere mantenuta. Falciati dal fuoco dei caroselli, senza cartucce, gli uomini spaccano i loro fucili e vendono le loro vite il più caro possibile con le loro sciabole in pugno. La compagnia del colonnello viene distrutta. Alla fine, Dürler si ritrova da solo davanti alla Porta del Re con un conestabile e alcuni uomini. Il sottotenente von Diesbach e il fuciliere Michel Steiner, di Willisau, sono feriti al suo fianco. La situazione è critica.

10:30 - Il re ordina la ritirata

Sono le 10.30. La Terrazza della Regina viene attaccata dal Ponte del Re. La compagnia del generale viene attaccata con i cannoni dal cancello del maneggio. Scacciano i cannonieri, attaccano un battaglione della Guardia Nazionale con le baionette, lo gettano nel mucchio e liberano la piazza. La folla fugge nel vicolo cieco dell'Orangerie. Questo scontro a fuoco a distanza ravvicinata provoca la costernazione dei legislatori. Il Presidente si copre la testa e annulla la seduta. 

Il Re, nella sua angusta cella, è convinto di essere ancora in grado di fermare la battaglia. Invia il maresciallo d'Hervilly al castello per consegnare un primo messaggio agli svizzeri: "Il Re ordina agli svizzeri di ritirarsi nelle loro caserme. D'Hervilly, che non si è nemmeno preso la briga di leggere attentamente la nota del Re, lascia l'arena a testa scoperta, corre al castello sotto una pioggia di proiettili e grida a tutti gli ufficiali che incontra: "L'ordine del Re di recarsi all'Assemblea Nazionale". Dürler lo vede e gli spiega la situazione. D'Hervilly lo interrompe: "Non si tratta più di questo, per ordine del Re, andate all'Assemblea!". Questa notizia riempie di gioia gli svizzeri. Immaginavano che il re li chiamasse per liberarlo dai suoi nemici. Anche il generale de Viomesnil esorta: "Andate, nobili svizzeri, e salvate il re, i vostri antenati lo hanno fatto più volte".  

Tutti i tamburi disponibili battevano per radunarsi. Su questi ritmi familiari, le squadre si affrettano a schierarsi sulla terrazza della regina. Sotto una furiosa grandinata di piombo che squarcia i vuoti, spazza via le foglie e rimbalza sulle piastrelle di pietra, i resti delle compagnie si allineano. I capitani Heinrich von Salis, von Reding e Pfyffer organizzano i loro uomini "come nei giorni della parata". 200 guardie si affollano intorno alla bandiera del battaglione, portata dall'alfiere de la Corbière, di Ginevra, e circondata dagli aiutanti-primari von Glutz e von Gibelin, i tenenti Repond, Emmanuel e Joseph Zimmermann, de Luze, Gross, Ignace de Maillardoz, i sottotenenti Roman von Diesbach e de Castella.

Il resto del reggimento, che continua a difendere i cortili sull'altro lato del castello, non ha sentito il segnale. Mentre battono per il raduno, il conestabile Fridolin Hefti, di Ennetbühl, Canton Glarona, della Compagnia di Besenval, cade a terra ai piedi di un albero, con la coscia frantumata da una palla di cannone. I suoi compagni cercano di tirarlo su. "Fate il vostro dovere!", dice, "Non sentite il tamburo? Lasciatemi morire". Poco dopo viene ucciso dai Sansculottes. 

Il granatiere Hayot, da Friburgo, punta l'unico fucile carico verso l'ingresso per coprire la ritirata. La colonna si incammina attraverso il giardino e viene investita da un intenso fuoco dalla Terrasse de l'Eau, dal Ponte Reale, dal cortile del maneggio e dal Cafe des Feuillants. In pochi minuti persero circa 30 uomini.

Pressata duramente da tutti i lati, la piccola truppa si chiudeva a riccio dopo ogni colpo e si fermava per rispondere al fuoco dei ribelli. Reding, che era già stato ferito due volte, ricevette tre colpi di sciabola alla testa e crollò. Per alleviare le sue sofferenze, Gibelin posò la sua testa sullo zaino di un soldato morto. Il tenente Gross cade presso il grande stagno ai piedi delle statue di Aria e Paetus. Il tenente Repond e il sottotenente de la Cerbiere sono feriti. Dürler, che sembra invulnerabile, ha il tricorno trafitto da un proiettile. 

Dürler

Ridotta di 50 uomini, la debole truppa raggiunge finalmente la terrazza della cavalcata, si unisce alla compagnia del generale e si ferma davanti alla porta dell'Assemblea Nazionale, accolta dalle grida di "Carnefici del popolo, deponete le armi!". L'ultima speranza di difendere il re si spegne. 

D'Hervilly si rende conto del suo errore: gli svizzeri avrebbero dovuto ritirarsi nelle loro caserme e non all'Assemblea.

Gli ufficiali entrano nella sala dell'Assemblea. Alla vista di questi uomini coperti di polvere e con le spade nude in pugno si scatena il panico. La gente grida: "Ecco gli svizzeri!". Alcuni membri dell'estrema sinistra tentano di fuggire dalle finestre. Il giornale "Le Logographe" fu bandito per aver riportato questo fatto. Dürler e Salis si lasciano condurre dal re. "Sire", spiega Dürler, "mi è stato chiesto di deporre le armi e, nonostante le poche persone che mi sono rimaste, lo farò solo su ordine di Vostra Maestà". Ludwig risponde: "Consegnate le armi alla Guardia Nazionale, non voglio che persone coraggiose come voi muoiano". Questa è la sentenza di morte per gli svizzeri. 

Con le lacrime che le rigano il viso, la regina fa ogni tipo di domanda a Dürler e ai suoi compagni, si informa sulle loro ferite ed esprime la sua solidarietà per la loro situazione. Il Delfino dorme sulle ginocchia di sua madre, in un'atmosfera soffocante, tra gli insulti dei tribuni, in mezzo a un incessante fiume di discorsi, spesso interrotti dai sansculottes che minacciano i deputati terrorizzati. Il re ha appena ascoltato con calma e tranquillità la proclamazione della sua deposizione. 

Gli ufficiali svizzeri, con la morte nel cuore, cercano di nuovo il loro equipaggio per dargli la disastrosa notizia: Il Re ordina agli svizzeri di deporre immediatamente le armi e di ritirarsi nelle loro caserme. Questo secondo ordine, il cui originale si trova al Museo Carnavalet, non è stato scritto dal Re, solo la sua firma è autentica. 

A questa nota è legato uno strano segreto, che ha portato alla frettolosa risoluzione del dramma paralizzando per la seconda volta le difese del castello. Firmandola, il re ha pronunciato una sentenza su se stesso. Coloro che avevano preparato ed evocato il suo destino lavoravano ovunque con la menzogna in bocca. Le persone oneste, troppo deboli per intervenire con decisione, si nascosero. Gibelin scrisse nel suo diario: "D'ora in poi, vivevamo solo alla mercé delle tigri assetate di sangue". I soldati, infuriati e disperati, rifiutarono questo ordine disumano che li lasciava disarmati alla mercé dei loro nemici.  "Dateci le baionette!" implorano. I vecchi soldati piangono di rabbia. Eccoli lì, in numero di duecento, sufficienti per liberare la sala delle assemblee, liberare il re e riportarlo al castello. 

Inizia la mattanza

Ma il re chiede loro un ultimo sacrificio. Essi obbediscono. Salis ordina di radunare i fucili e di togliere le cartucce. La folla si avventa immediatamente su di loro. Chiunque resista viene abbattuto sul posto. I sottufficiali e i soldati, circa 150 uomini, vengono condotti nei feuillants, dove riemergono solo per essere condotti all'esecuzione. Con grande difficoltà si sono fatti strada tra gli insulti, gli sputi e la grandine di pietre. "Questi sono i veri colpevoli, hanno sparato ai nostri fratelli, consegnateli al popolo! Picchiateli a morte!". 13 ufficiali, separati dal loro equipaggio, vengono rinchiusi nella stanza degli ispettori dell'Assemblea, dove i deputati vengono a guardarli "come animali strani". 

Il personale del reggimento viene portato nell'abbazia. Danton e la Comune riservarono queste vittime scelte per i loro scopi speciali.  Metà della compagnia del generale si rifiutò di deporre le armi, credendo di poter eseguire la seconda parte dell'ordine reale e di tornare alla propria caserma in Rue Grange-Batelière. Il distaccamento guidato dal capitano von Erlach e dal guardiamarina Deville forzò la strada attraverso l'Orangerie ed entrò in Place Louis XV. Furono immediatamente attaccati dal battaglione dei Cappuccini, falciati dai cannoni posizionati all'ingresso degli Champs Elysées e attaccati dalla gendarmeria a cavallo. I sopravvissuti furono portati al municipio. Huguenin li interrogò e li condannò a morte. Ammassati in uno stretto cortile, furono macellati come bestiame, spogliati dei loro vestiti, violati e mutilati. I corpi vengono trascinati via su carri. 

La morte di von Erlach

Il guardiamarina Deville riesce a ricongiungersi al suo equipaggio intrappolato nei feuillants. Il capitano von Erlach fugge da amici, dove viene scoperto. "I federali trovarono un giovane e affascinante ufficiale svizzero in una casa. Lo trascinarono fuori e ordinarono al suo attendente di vestirlo.

L'inserviente obbedì, ma uno dei patrioti le consegnò una sega e le ordinò di segare lentamente il collo dell'ufficiale perché, aggiunse il bruto, questa bella testa avrebbe avuto un grande successo su una picca e la pettinatura non doveva essere disordinata. Poiché il soldato rifiutò inorridito, fu immediatamente abbattuto. Allora due donne compiacenti si offrirono e dopo aver segato lentamente la testa dell'ufficiale, la misero sulla picca". Sono le 11 in punto.

I giardini sono pieni di macchie rosse. I corpi degli svizzeri coprono i prati calpestati e le aiuole distrutte. Singoli cadaveri galleggiano negli stagni. Ma la battaglia non è finita. Il castello, avvolto da un velo di fumo, continua a opporre resistenza.

11:00 Gli ultimi 450 svizzeri

Alle Tuileries, 450 svizzeri occupano ancora gli edifici. I ribelli, umiliati dalla sconfitta del mattino, hanno ripreso coraggio. I rinforzi si sono uniti a loro e i battaglioni ancora indecisi della Guardia Nazionale sono usciti dalla loro neutralità, mostrando tanto più fervore in quanto sanno che i difensori sono indeboliti dalle perdite subite e dai distaccamenti inviati dopo l'assemblea. L'assalto riprende con rinnovato furore. 

 Dalle 11 in poi, secondo la Guardia Nazionale Langlas, da 30 a 40 cannoni uniscono il loro fuoco sul castello. Il primo piano del padiglione Flora, che è stato trasformato in ambulanza, viene attraversato da una pioggia di ferro proveniente da tutte le direzioni. Quasi tutti i feriti vengono uccisi.  Nella corte reale, un gruppo di svizzeri compie sortite regolari, spara una raffica e torna in ordine nel vestibolo. Il conestabile Jakob Stoffel, di Mels (San Gallo), recupera 3 cannoni con 15 uomini e resiste a lungo davanti alla porta del re. Un conestabile della Compagnia Pfyffer, 

Xaver Stalder, di Lucerna, difende un cannone con due uomini e uccide sei Sansculottes. Rimasto solo, un colpo d'ascia lo priva del braccio destro, combatte con il sinistro e infine cade, coperto di ferite

Il caporale David Clerc, di Motiers (Neuchâtel), viene colpito con una baionetta all'addome dalla sua pistola. Nessun soffio d'aria disperde il fumo. Si spara al buio, dice Michelet. Poiché le scuderie e il corpo di guardia sembravano inespugnabili, i marsigliesi vi lanciarono contro delle cannonate che esplosero facendo saltare i tetti e distruggendo i muri. In men che non si dica, i cortili vengono avvolti da spesse colonne di fiamme e fumo. 

La carneficina sullo scalone d'onore

La massa degli assalitori, coperta dalla conflagrazione, si precipita all'assalto dello scalone d'onore al suono della Marsigliese. Ma per venti minuti, 80 uomini, granatieri di Friburgo, tengono a bada l'enorme folla che si è esposta ai loro proiettili. 

Aprirono il fuoco, che si trasformò in "fuoco su due arti" e mise fuori combattimento 400 uomini. Poi si ritirarono lentamente, lasciando un certo numero di morti a ogni passo. "L'ultimo colpo di fucile si spegne solo con l'ultima vita". 

Il tenente Hubert von Diesbach imbraccia un fucile e grida in dialetto friburghese ai pochi uomini rimasti: "Dopo tanti prodi, non vale più la pena di vivere". Poi si tuffano alla cieca tra le baionette e trovano la morte.  


Con gioia selvaggia, come animali famelici, i ribelli saltano sui mucchi di cadaveri ed entrano nel castello. "Tutto si dissolve in un combattimento singolo, i nostri soldati si fronteggiano uomo contro uomo, non c'è pietà per loro", scrive il sottotenente de Constant. La folla si riversa attraverso tutti i cancelli, invade, travolge, distrugge tutto ciò che è ancora vivo


La battaglia è solo una carneficina. Gli Svizzeri vengono spinti da una sala all'altra, da un piano all'altro, picchiati a morte, sgozzati, impalati, massacrati e gettati dalle finestre. Sono la preda lasciata ai cani. La peggiore marmaglia di Parigi, convocata dalla Comune, si è precipitata all'appuntamento. Il tintinnio dei cannoni è cessato, i cannoni sono silenziosi. Tutto ciò che si sente ora è l'ululato e lo sferragliare di un enorme mattatoio umano.

Caccia agli Svizzeri

Le campane di Saint-Germain-l'Auxerrois suonano incessantemente. Alcuni colpi di pistola mostrano che le vittime della "giustizia rivoluzionaria" (la parola è di Robespierre) osano ancora difendersi o che i feriti vengono uccisi. I Federati hanno combattuto al mattino, la sera la plebaglia di strada ha ucciso. Hanno massacrato al grido di: "Viva la nazione!". 17 uomini che erano fuggiti nella cappella.

Il caporale dei tamburi Büeller e il musicista Mainguet, oltre a diversi piccoli tamburini, furono gettati su spiedi e forchette. Anche i medici non vengono risparmiati. Beguin e Richter cadono mentre si occupano dei loro feriti.

I chirurghi-magistrati Le Canu del 1° battaglione e Bucher del 2°, entrambi feriti, sfuggono per un pelo agli assassini. Padre Loretan, il predicatore da campo, dà ai moribondi la consolazione della religione: è minacciato, perseguitato e riesce a salvarsi solo scambiando il suo abito cappuccino con un abito civile. Le nicchie, i letti e gli armadi vengono perlustrati con la punta di una sciabola.

Henri Paul Motte

Lancia, arpiona e trafigge le figure rannicchiate negli angoli bui. Alcuni si lasciano uccidere, altri reagiscono, mordono, graffiano e restano a lungo martirizzati.
Quattro uomini, tra cui il tamburo maggiore Chaulet, vengono fatti a pezzi nella stanza della regina. Fonjallaz fugge attraverso la canna fumaria del camino. Gli scudieri e i valletti muoiono coraggiosamente con le spade in mano. In cucina, gli sguatteri vengono gettati vivi nei bollitori di acqua bollente.

Alcuni distaccamenti cercano di farsi strada tra la folla nella speranza di raggiungere le loro caserme. Circa 100 uomini fanno una sortita attraverso il cortile di Marsan, 80 cadono in Rue de l'Echelle. La folla mutila immediatamente i loro corpi. 

In piazza Greve, 85 uomini sono stati abbattuti sotto le finestre del consiglio comunale e tra gli applausi del popolo. I sottotenenti de Gottrau, von Caprez e Jean de Maillardoz probabilmente persero la vita lì. 

Una truppa di circa 200 uomini attraversò il giardino sotto una pioggia di proiettili e inseguì intere orde di manifestanti con le baionette pronte. Il tenente Simon de Maillardoz e il sottotenente von Waldner cadono vicino al laghetto ottagonale, il tenente Müller, von Uri, sulla spianata del Delfino. 

La gendarmeria a cavallo attaccò la colonna mentre entrava nella piazza Luigi XV. Circa 30 uomini si sono diretti verso la Rue Royale. Al Ministero della Marina, un colpo di cartuccia sparato a distanza ravvicinata uccise 23 di loro. Il sottotenente Forestier e il guardiamarina de Montmollin, insieme a un manipolo di uomini, trovarono riparo presso la statua di Luigi XV e respinsero più volte gli attacchi dei gendarmi.

Forestier cade a terra morto, colpito da un colpo di pistola: Montmollin porta lo stendardo del 1° Battaglione. Trafitto alle spalle, cade tra le braccia di un caporale: "Lasciatemi morire e salvate la bandiera!". Il caporale riceve a sua volta il colpo di grazia. 

Senza pietà

Montmollin si avvolge nelle pieghe della sua bandiera per morire. Le donne cadono sul suo cadavere e gli strappano il cuore dal petto. 
Ogni sentimento umano è scomparso. Le donne sono ubriache di orrori. Bonaparte osservò come intorno alle Tuileries "donne ben vestite eseguivano le ultime indecenze sui cadaveri degli svizzeri". 

Un testimone, l'inglese Fennel, vide bambini, ragazzi e ragazze, lottare per le teste, le braccia e le gambe degli svizzeri. Una frenesia sadica affolla la folla. Cadaveri mutilati, brandelli di carne umana infilzati sulle baionette e portati in giro per le strade, teste mozzate sulle picche, torture indicibili caratterizzano il regno della "bête humaine" in questo grande giorno della Rivoluzione.

L'orrore del 14 luglio è di gran lunga superato.  "Nella corte degli Svizzeri", racconta il soldato Fonjallaz, "ho visto dieci o dodici di questi mangiatori di uomini, che erano anche ubriachi, fare scherzi con i cadaveri. Li mettevano in piedi e poi li schiaffeggiavano per farli cadere a terra. Gridavano loro: 'Che soldato coraggioso! Uno schiaffo in faccia lo fa cadere a terra! Poi gettarono i corpi nel fuoco che avevano appiccato vicino alla nostra guardiola".

Davanti al municipio, un piccolo tamburino di nove anni si getta sul cadavere del padre, piangendo. I patrioti pensarono che "non valesse un colpo di polvere da sparo", attaccarono il bambino con le baionette e lo uccisero sul cadavere del padre. Tra le 4 e le 5, altri due tamburini, il più grande dei quali aveva 15 anni, singhiozzavano sulla rotonda e si aggrappavano al cadavere ancora caldo del padre. "Picchiateli a morte!", urla la folla, "sono svizzeri anche loro". Una guardia nazionale di nome Tasset si lancia, interviene con grande coraggio e salva i due bambini. L'allievo di tamburello Josef Jost, grigionese di dieci anni, membro della compagnia di Erlach, deve la sua vita all'aiuto di un onorevole parrucchiere che lo nasconde nella sua stanza.  

Gli interni delle Tuileries vengono saccheggiati e derubati. I mobili, gli specchi e i lampadari sono stati vandalizzati in un'insensata frenesia. I ritratti vengono distrutti, gli arazzi fatti a pezzi e la biblioteca del geografo Laborde viene bruciata. Bande di ubriachi di vino popolano le cantine e distruggono le botti. I Sansculottes intossicati dormono come morti sulle pile di cadaveri. Nella caserma dell'Hôtel de Brionne è stato appiccato il fuoco ai pagliericci. Tutti i miseri averi dei soldati furono gettati in strada e gli zaini aperti e strappati svuotarono il loro contenuto sul selciato. 

Il corpo di guardia e le scuderie continuano a bruciare, i vigili del fuoco vengono accolti da spari.

Il terzo piano dei Feuillants, trasformato in ospedale, è pieno di svizzeri feriti o morenti. Il guardiamarina Deville, assistito da compassionevoli guardie nazionali, li cura e li rafforza. Al piano terra, 60 prigionieri, tra cui i poliziotti Dozet, Hauser, Kummer e Martin, ascoltano le grida selvagge della folla che chiede la consegna dei feriti e dei prigionieri. 

Tutta Parigi è in balia della cannaille e nulla può fermare la caccia agli svizzeri. Portiere: Gli svizzeri della Chiesa (che hanno solo il nome di Svizzera) sono in balia della vendetta popolare. I fuggitivi sono inseguiti fino ai tetti. 

Mentre l'omicidio di massa infuria alle loro porte, l'Assemblea Nazionale vota - crudele ironia! - vota il seguente decreto: "L'Assemblea Nazionale delibera che gli ufficiali e i soldati svizzeri e tutte le altre persone poste in arresto siano protette dalla legge e dalle virtù ospitali del popolo francese".

Tuttavia, la paura degli svizzeri attanagliava i deputati. Verso sera si sparse la voce che la guardia rimasta a Courbevoie stesse marciando contro Parigi! L'Assemblea decise di inviare truppe armate contro questo nuovo nemico. La caserma fu assediata e circa 50 uomini, compresi i malati, furono massacrati dopo una resistenza senza speranza. Gli sfortunati uomini avevano solo 10 cartucce in totale. A Rueil furono fatti prigionieri 15 uomini, a Versailles e Saint-Cloud 48, tutti condannati a morte.

Scende la notte

Durante il saccheggio delle caserme, scomparve anche il tesoro del reggimento. Il Gran Giudice Kayser salvò alcuni archivi.  È scesa la notte. Per le strade, alla luce delle fiaccole, viene fatta sfilare una bandiera con la croce bianca, che la Federated Long di Nancy ha sequestrato e profanato nel modo più indegno. È guidata da picche su cui sono stati infilzati brandelli di carne umana e uniformi rosse strappate. 

Tutti i morti sono stati saccheggiati (gli orologi svizzeri sono particolarmente pregiati), privati delle loro uniformi e fatti a pezzi. I responsabili sono i banditi al soldo del Comune, "che sanno come trattare la carne umana". Le carmagnole vengono ballate intorno ai cumuli di cadaveri ammassati sulla piazza della rotonda. "Stendiamo un velo su questa immagine straziante", dice Glutz. "Dissacra l'umanità"

Il granatiere Fonjallaz diede libero sfogo alla sua indignazione di soldato: "Voi vigliacchi siete sempre stati meschini, ma vi siete dimostrati ancora più meschini quando avete massacrato dei prigionieri sfortunati e indifesi!". 

Un giovane capitano di artiglieria stava osservando la battaglia da una finestra nella piazza del carosello, vicino al commerciante di mobili Fauvelet, fin dal primo mattino: 

era Bonaparte. Nelle sue "Memorie di Sant'Elena", scrive: "Il palazzo fu preso d'assalto dalla peggiore plebaglia. Quando il palazzo fu conquistato e il re si recò all'Assemblea Nazionale, osai entrare nel giardino. Da allora, nessuno dei miei campi di battaglia ha mai presentato un quadro con così tanti cadaveri come le masse della Svizzera .....".

Alle Tuileries, il centro dei combattimenti, l'oscurità avvolge le sale silenziose, da cui proviene un odore di macello. L'enorme vestibolo al primo piano è intasato da pile di cadaveri. "Si scivola come sul ghiaccio" sul parquet macchiato di sangue. Un ruscello rosso scorre lungo le scale da un corridoio all'altro, da un gradino all'altro, ricevendo innumerevoli affluenti a ogni piano e insabbiandosi infine nella polvere dei cortili. Così l'eroico e nobile desiderio del sottotenente Forestier e dei suoi compagni che caddero con lui si realizzò e fu addirittura superato dall'orrore: "Ieri (6 agosto) ci siamo detti tutti all'unanimità: se una disgrazia dovesse capitare al re e non ci fossero almeno 600 Giubbe Rosse in fondo alle scale, ci sentiremmo disonorati".

Si salvi chi può

Il 10 agosto il reggimento perse oltre 600 uomini, compresi 15 ufficiali. Furono uccisi circa 100 feriti, la maggior parte dei quali a settembre. Tra le vittime dei patrioti c'erano anche i nobili che difendevano il castello, le guardie nazionali fedeli, i servi, i cuochi e i weibel, che furono massacrati solo la sera. Inoltre, circa un migliaio di persone (passanti, cittadini, portieri ed ecclesiastici svizzeri) persero la vita nelle strade. 

Le perdite dei ribelli sono difficili da accertare, le cifre variano tra i 3000 e i 4000 morti e feriti. Così il più antico reggimento svizzero in Francia, i cui colori avevano sventolato in 71 campagne, 154 battaglie e 30 assedi, fu distrutto: due secoli di vecchia monarchia. Il trono dei Borboni crollò con esso. 

I resti dei difensori delle Tuileries furono sepolti in un giardino sullo Chemin Petrelle dopo essere stati esposti nudi e mutilati nelle piazze per tre giorni.  Danton e Robespierre rivendicarono entrambi la responsabilità di questa giornata del 10 agosto, necessaria per la vittoria dell'assolutismo rivoluzionario. "Ho evocato il 10 agosto", disse Danton e Robespierre si vantò di aver ricevuto il comitato segreto dell'insurrezione.

Ma la giustizia esige che si sottolinei che tutti gli svizzeri sopravvissuti quel giorno sono stati salvati da parigini coraggiosi. Il vero popolo si è vendicato della marmaglia. Dimostrandosi umani e disponibili, i soccorritori hanno messo in gioco la loro testa, perché chiunque abbia favorito la fuga di uno svizzero si è reso sospetto come nemico della libertà e dell'uguaglianza. 

Il vice Bruat fornì a 13 ufficiali abiti civili e salvò diversi soldati. Il tenente Coquet della Guardia Nazionale sfamò 12 uomini a casa sua per tre settimane. Dussault, il capo chirurgo dell'ospedale Hôtel-Dieu, diede alle Guardie Svizzere dei Sansculottes feriti. La famiglia La Rochejaquelin, il signor de Lescure, l'avvocato Morisot, il banchiere Achard, lo svizzero Zurigo, un segretario dell'Assemblea Nazionale, un sarto sconosciuto, artigiani e operai accolsero i rifugiati e curarono le loro ferite. 

Dürler, Pfyffer e Heinrich von Salis passarono una notte con il signor de la Rochefoucauld. Il signor de Montarby ricevette una medaglia d'oro dalla Dieta Federale per il suo comportamento eroico durante la battaglia e per la gentilezza dimostrata nei confronti dei feriti svizzeri. Gibelin, che fu salvato dal signor de Castellane, poté scrivere a sua madre il 13 agosto: "Sono ancora vivo, ho fatto il mio dovere e non sono nemmeno ferito". Questa fu la prima lettera a raggiungere la Svizzera.

Diciassette ufficiali e 200 sottufficiali e soldati fuggirono da Parigi sotto mentite spoglie, alcuni in Inghilterra, altri in Olanda o in Germania. Ebbero la fortuna di rivedere le loro famiglie e la loro patria come ultimi resti del loro reggimento. Dürler entrò nel servizio inglese e divenne generale, 
de Constant servì in Prussia e in Inghilterra: lo ritroveremo come Capo di Stato Maggiore dell'esercito olandese a Waterloo. Heinrich von Salis e Josef Zimmermann divennero tenenti generali in Francia dopo la Restaurazione.

Gli omicidi di settembre 

Per altri due giorni, il sabba infernale che diede vita alla Prima Repubblica riempì Parigi con i suoi orrori. Piazza Vendôme era una vera e propria fossa degli omicidi. L'11 agosto, La Rochefoucault vide orde di personaggi che correvano dietro ai passanti sulla piazza di Luigi XV, fingendosi aristocratici o svizzeri sotto mentite spoglie: "Cinquanta o cento di questi disgraziati si gettarono su un malcapitato e lo colpirono a morte con bastoni, senza il minimo rimprovero, senza una parola, senza alcuna pietà per le sue grida". (Revue de Paris, 1 giugno 1929) 

La folla della grande città diede libero sfogo ai suoi istinti.  Rimasero 246 ufficiali, sottufficiali e soldati del Reggimento della Guardia Svizzera nelle prigioni dell'Abbazia di Châtelet e della Conciergerie. La Comune li riservò per la vendetta. Il 17 agosto fu istituito un tribunale rivoluzionario per giudicare "i crimini del 10 agosto". 

Il massacro iniziò con i sacerdoti, che furono uccisi per strada mentre venivano condotti all'abbazia. Gli svizzeri si fidavano ancora delle parole di Danton, erano convinti che sarebbero stati rimandati in patria, poiché l'Assemblea Nazionale li aveva presi sotto la sua protezione. Solo Danton rispose a uno dei segretari di Roland, che lo pregava di intervenire in loro favore: "Al diavolo i prigionieri, qualsiasi cosa accada loro!". L'ambasciatore francese in Svizzera, Barthélemy, cercò invano di smorzare la sete di sangue dei suoi compatrioti. Il 31 agosto scrisse al Ministro degli Affari Esteri Lebrun: "Restituiamo alla loro desolata patria tutti gli uomini del Reggimento della Guardia Svizzera che sono rimasti vivi!". Questo appello alla generosità rimase inascoltato. 

Gli omicidi di settembre erano ormai cosa fatta.  Il 19enne Roman von Diesbach e il 20enne Friedrich von Ernst sono stati interrogati dal tribunale il 2 settembre. Non cercano di scusarsi. Diesbach si rimprovera solo la debolezza di aver finto di essere olandese quando è stato arrestato. Ora sottolinea il suo status di svizzero con particolare zelo e accetta la sua condanna a morte con un sorriso freddo. Anche von Ernst non si umilia cercando di ammorbidire i suoi carnefici. 

Non perdiamo tempo ad interrogarli

Nell'abbazia, 156 svizzeri sono ammassati in uno spazio ristretto. Il 2 settembre compaiono davanti ai loro giudici e la procedura è estremamente semplice: "Non perdiamo tempo a interrogarli", consiglia una voce. "Sono tutti colpevoli, nessuno può sfuggire". 

Congelati dallo shock, i malcapitati si accalcano in un angolo della stanza come animali in un mattatoio. Il primo ad apparire sulla soglia è Roman von Diesbach. In quanto ufficiale, deve dare l'esempio. Con le braccia conserte, guarda per un attimo i suoi assassini, che istintivamente indietreggiano. Poi si getta il cappello alle spalle e affonda le lance che tiene davanti a sé. Una dopo l'altra, le vittime attraversano il cancello. I carri ordinati in anticipo dal "Ministro della Giustizia" Danton non sono sufficienti per portare via tutti i corpi abbastanza velocemente.  

Rudolf von Reding, il bel Reding, giace su una branda nella cappella. Le sue ferite lo stanno facendo soffrire terribilmente, la febbre lo sta consumando, una donna sconosciuta in costume da infermiera lo sta curando con devozione. Il malato non ha perso ogni speranza di vita; il 30 agosto scrive a suo fratello Nazar, capitano del reggimento svizzero di Reding a Barcellona: "Dio solo sa se il mio povero corpo è in grado di sopportare le mie sofferenze. Sopporto i miei tormenti con pazienza e mi abbandono al destino, perché la sfortuna sembra perseguirmi. Vi raccomando, se dovessi morire, la mia cara Maddalena (sua sorella maggiore) e i suoi due figli. Se ne uscirò illeso, cosa non impossibile, intendo trascorrere i miei giorni tranquillamente nel seno della nostra famiglia (a Svitto) e dedicarmi a loro al meglio delle mie possibilità"
(Lettere in possesso della famiglia von Reding, citate dal signor von Mülinen)

Alle 7 della sera del 2 settembre, una guardia, accompagnata da due banditi, si avvicinò al malcapitato alla luce di una torcia. Journiac de Saint-Meard, suo compagno di sventura, gli strinse ancora una volta la mano. "Ho sofferto abbastanza", dice ai suoi carnefici. "Non temo la morte, ma siate clementi e uccidetemi subito". Uno degli uomini lo carica sulle spalle, mentre un altro, per finirlo rapidamente, gli taglia il collo con la sciabola. 

La sera stessa, il tenente colonnello de Maillardoz, Rudolf von Salis, Ludwig Zimmermann, Wild, Chollet, Allemann e 30 soldati trovarono la morte sui gradini della Conciergerie.

Maillardoz fu massacrato nel modo più barbaro: Le donne che lavoravano a maglia ("tricoteuses") gli aprirono lo stomaco e fecero delle coccarde con i suoi intestini.

Sua moglie era riuscita a fuggire con due bambini piccoli e i Sansculottes la inseguirono fino a una casa, dove la cercarono senza trovarla. Tuttavia, poiché sospettavano la sua presenza, raccontarono l'orribile morte del marito a voce alta e con i dettagli più disgustosi. Per non gridare a squarciagola, la marchesa fece uno sforzo tale da rimanere in silenzio da quel momento in poi

L'aiutante maggiore Rudolf von Salis, erede del potere ancestrale della sua famiglia, non vuole essere ucciso facilmente. Strappa l'arma a uno degli strangolatori e ne colpisce diversi ai suoi piedi prima di soccombere.  

A La Force, dove la Principessa di Lamballe subisce la sua terribile tortura, de Castella e circa 50 soldati vengono uccisi lo stesso giorno. Il suono della Marsigliese annega le urla dei moribondi. I macellai cittadini che svolgevano questo lavoro di sangue ricevevano un salario giornaliero di 6 livres dal comune, più vino a volontà.  

Il processo al maggiore Bachmann

Il maggiore Bachmann rimase ancora in vita. Il suo processo fu trattato in modo un po' più formale: gli fu concesso l'onore della ghigliottina. Bachmann sembra essere stato oggetto dell'odio giacobino più degli altri ufficiali del reggimento di guardia. Quando comparve in tribunale, l'imputato negò al tribunale il diritto di giudicarlo. Chiese ai commissari "di prendere atto del fatto che i cittadini del suo paese al servizio dell'estero e soprattutto della Francia hanno, in base ai trattati e alle capitolazioni, il diritto, mai contestato fino ad allora, di dover rispondere solo ai propri giudici nominati dalle loro autorità, gli Estati confederati, negli interrogatori".  
Il pubblico ministero rispose che fino ad allora le Capitolazioni avevano esentato il reato di lèse majesté contro il re. Ora era ancora più giusto escludere l'omicidio del popolo, "il reato di lèse majesté contro la nazione". Bachmann fu dichiarato responsabile dello spirito del reggimento, della "sua resistenza alla volontà nazionale". 

Karl Josef von Bachmann, comandante delle Guardie Svizzere 
che difesero il Palazzo delle Tuileries il 10 agosto 1792

L'accusa principale era quella di aver ordinato ai soldati di sparare; egli negò che gli svizzeri fossero stati i primi a sparare. Vennero anche proposti tutti i luoghi comuni rivoluzionari: "I vili oppressori del popolo, il giogo della tirannia". L'imputato era freddo e riservato, non si sbilanciava a proclamare la sua innocenza. Si cercò di estorcergli alcune confessioni contro la regina, ma lui rimase in silenzio. Dopo quarantotto ore di deliberazione, la corte dichiarò l'imputato colpevole e lo condannò a morte.  

Lamartine descrive l'esecuzione, che ebbe luogo il 3 settembre di fronte alle Tuileries: Bachmann sale sul carro che lo condurrà al luogo dell'esecuzione. In piedi, a testa alta, con lo sguardo sereno e la bocca fiera, avvolto in un cappotto rosso da guerra come un soldato a riposo nell'accampamento, conserva la dignità del comandante di fronte alla morte. Lancia uno sguardo sprezzante alla folla assetata di sangue che si accalca intorno alle ruote e chiede la sua testa. 
Lentamente, il carro attraversa il cortile dove il popolo sta massacrando i propri compatrioti e amici. Il cuore di Bachmann batte solo per loro. I suoi soldati, che stanno ancora aspettando di morire qui, si inchinano rispettosamente al passaggio del loro capo, come per riconoscerlo come il loro comandante fino alla morte. 

Il patibolo è il campo di battaglia del giorno. Egli vi sale con orgoglio e muore come un soldato. Le sue ultime parole furono: "La mia morte sarà vendicata".

I corpi dei "settembrati" svizzeri furono sepolti nei cimiteri della Madeleine e della Roule.

 Il 21 gennaio 1793, il corpo di Luigi XVI fu sepolto accanto a coloro che erano morti per lui. "La Convenzione pensava di umiliare la maestà reale consegnando il suo corpo all'ignominia della tomba comune. Dimenticava che gli eroi che avevano sacrificato la loro vita alle Tuileries per la causa del figlio di San Luigi erano anch'essi martiri ed erano saliti al suo stesso livello grazie alla grandezza della loro devozione."

Il generale d'Affry si salva

Per uno strano scherzo del destino, il generale d'Affry fu risparmiato. Imprigionato nella Conciergerie, il 27 agosto scrisse a suo figlio: "La mia sorte è stata alleggerita, non sono più un prigioniero comune, i miei servi mi sono stati restituiti. Sto bene e ti abbraccio". 
Fu in grado di dimostrare che il 10 agosto non si trovava nel castello e non sapeva cosa stesse accadendo. Il 2 settembre, durante il massacro, il popolo lo portò a casa in trionfo. 

Tornò in Svizzera alla fine del 1792 e si stabilì nel suo castello di Saint Barthelémy, vicino a Echallens, nel Vaud. Dalle sue finestre, la vista verso sud si posa su un vasto tratto della sua terra natale, su colline coperte di foreste e campi verdi che scendono fino alla luminosa fessura dove, nascosto dalle creste dello Jorat, si immagina il lago invisibile. 

Castello di Saint Barthelémy

Negli ultimi mesi della sua vita, il signor de Affry camminava ogni mattina e ogni sera lungo il viale ombroso che dal castello scende verso le prime case del villaggio. Una tenace speranza guidava i suoi passi in questa direzione, aspettava il ritorno di suo nipote Charles d'Affry, il sottotenente delle Guardie Svizzere, che era stato inviato in Normandia il 7 agosto del '77 e di cui si erano perse le notizie da diversi mesi. 
Un giorno, l'anziano vide venire verso di lui un cavaliere che riconobbe subito: era l'uomo scomparso, arrivato da Rouen dopo tante avventure. "Travestito da inglese, si era recato prima a Londra, poi a Bruxelles, prima di tornare in Svizzera passando per Colonia, Francoforte e Basilea. Lo rivedremo come colonnello del 4° reggimento svizzero al momento della ritirata dalla Russia. 

Il generale d'Affry morì il 10 giugno 1793, circondato dalla sua famiglia, all'età di 81 anni. Suo figlio Louis, capitano della seconda compagnia del secondo battaglione delle Guardie Svizzere e Maréchal de camp, era in licenza a Friburgo il 10 agosto.

Nel 1803, in base all'Atto di Mediazione, fu eletto primo Landammann della Svizzera. Che fine aveva fatto il distaccamento di 300 uomini inviato in Normandia? Aveva combattuto di tappa in tappa in mezzo alla popolazione nemica. Il loro capo, il primo tenente Karrer, stava aspettando a Dieppe l'ordine di congedarsi. 
Il 17 settembre, la piccola truppa, armata e in armi, ascoltò tristemente la lettura del decreto che annunciava il loro scioglimento. Questi uomini erano sempre stati fedeli alla loro virilità; erano gli ultimi rappresentanti di un reggimento la cui fama era rimasta intatta. Si separarono dai loro ufficiali con rammarico. 
L'aiutante maggiore de Billieux, di Pruntrut, il tenente von Hertenstein, di Lucerna, e il sottotenente Mercier, di Losanna, attraversarono la Manica su uno sloop, furono sballottati dalla tempesta sulla costa inglese e tornarono in Svizzera con Charles d'Affry. Alcuni membri dell'equipaggio tornarono a casa nelle loro proprietà, ma 120 uomini si arruolarono nell'esercito della Vandea per vendicare i loro compagni uccisi e combatterono contro la Repubblica. 
Il sergente Keller li comandava: "Erano infiammati dalla vendetta e combattevano come eroi", racconta la signora Rochejaquelin nelle sue memorie. Furono visti in prima fila a Saumur, Laval e durante l'attacco a Granville (novembre 1793). Furono anche tutti uccisi nella sconfitta dei "Bianchi" a Cholet, Mans e Savenay. 
Questa volta, il Reggimento dei Martiri aveva mandato nel fuoco la sua ultima riserva. Il sacrificio era completo.

L'opinione svizzera

La notizia del massacro alle Tuileries giunse in Svizzera tra il 15 e il 20 agosto. Un grido di dolore e di indignazione si levò in tutto il paese. Ovunque, nella patria straziata, si accese il sentimento nazionale offeso. L'opinione pubblica chiedeva una punizione.  

Vicino a Valangin, nella contea di Neuchâtel, la famiglia de Montmollin viveva nel suo castello, la Borcarderie. La morte di un figlio di 23 anni spezzò il cuore del padre e distrusse le sue più belle speranze. Montmollin aveva una sposa di 17 anni, Julie de Tremauville, figlia di un emigrato che era fuggito in Svizzera all'inizio della Rivoluzione. Il giovane ufficiale aveva fatto la sua conoscenza a Rouen nel 1790 quando era sottotenente nel reggimento Salis-Samaden. 
La disperazione della ragazza commosse l'intero quartiere del castello. Per molto tempo si udirono i suoi lamenti e le sue grida, la gente temeva addirittura per la sua sanità mentale e doveva tenerla lontana dai luoghi che le ricordavano in modo troppo crudele la sua perdita. 

La morte aveva creato dei vuoti in tutti gli ambienti. Le tenute accolsero con emozione e orgoglio le rovine del reggimento distrutto. Questi uomini, che non erano stati completamente schiacciati dalla prova, raccontarono delle indicibili sofferenze dei loro compagni uccisi, della grandezza del loro sacrificio. I racconti infiammarono ancora di più l'amarezza. A rendere il dolore ancora più profondo e l'odio ancora più mortale fu la crudeltà e la barbarie degli spietati vincitori, che non lesinarono nemmeno di profanare i corpi dei loro avversari. Gli svizzeri erano abituati da secoli a vedere i loro figli morire per la Francia, ma questa volta era troppo: mai un destino più immeritato era stato inflitto a soldati coraggiosi e onorevoli. 

Il sindaco di Berna, Friedrich von Steiger, chiese che la Tagatzung interrompesse le relazioni diplomatiche con la Francia. La chiamata alle armi avrebbe avuto la risposta necessaria. L'occupazione di Basilea era pronta alla guerra. 

Si verificarono scontri sanguinosi con i soldati francesi di Hüningen: la coccarda tricolore fu calpestata.

Il decano Bridel tenne un energico discorso nella cattedrale alla presenza delle truppe: "Bandite dai vostri cuori lo spirito di casta, lo spirito di partito e la tendenza a favorire i vostri interessi a scapito del benessere del paese. Stringetevi attorno alla bandiera della nostra Confederazione. Da un capo all'altro della Svizzera, molte famiglie sono profondamente addolorate. La spada a doppio taglio che ha trafitto i cuori dei figli in una città lontana è penetrata anche nei cuori dei padri e delle madri delle nostre regioni centrali e delle nostre montagne. 
Se i nostri generosi concittadini sono stati capaci di una tale devozione per un principe straniero, potete giudicare voi stessi quali sacrifici gli Svizzeri sono disposti a fare per la loro comune patria"

Solo la Svizzera, debole e divisa, esitò. La rabbia fu lasciata scemare. La Repubblica francese seppe abilmente come cullare e calmare gli animi, perché il momento non era adatto per una rottura con il corpo elvetico. Infatti, i prussiani erano partiti in risposta alle notizie del 10 agosto e avevano posto l'assedio a Verdun. La Convenzione aveva bisogno di tutte le sue forze per difendere il territorio occupato. Aspettò un momento più favorevole per attaccare la Svizzera

Sciolglimento dei reggimenti svizzeri

La Dieta di Aarau prese solo mezze misure. Decise di richiamare a casa i 10 reggimenti ancora presenti in Francia. La presenza di truppe svizzere in un paese in piena rivoluzione era diventata impossibile. Andavano incontro allo stesso destino del reggimento di guardia. I giacobini chiesero insistentemente il loro ritiro. 

Il 20 agosto, l'Assemblea Nazionale aveva già deciso, su richiesta di Brissot, "che i reggimenti della Svizzera e dei suoi alleati ancora al servizio della Francia cessassero di esistere e che il potere esecutivo fosse incaricato di ringraziare gli Stati Elvetici a nome della nazione francese per i servizi resi agli eserciti francesi". 
Ai soldati fu data la possibilità di arruolarsi nell'esercito nazionale francese. Questa decisione, che fu presto seguita dagli assassinii di settembre, scatenò una nuova ondata di malcontento in Svizzera. 

Le parole di Bachmann sul patibolo: "La mia morte sarà vendicata" divennero lo slogan del partito della guerra, la cui anima era il vecchio Schultheiss von Steiger. Le potenze, soprattutto l'Austria, fecero i maggiori sforzi in questo momento per portare la Svizzera dalla parte della coalizione, ma grazie all'abilità dell'inviato francese Barthelémy, la Tagsatzung insistette sul suo principio di neutralità a tutti i costi.  

Il primo reggimento a varcare il confine fu il Reggimento di Châteauvieux. Avendo manifestato i propri sentimenti rivoluzionari nel vergognoso affare di Nancy, chiese di unirsi all'esercito del Principe per combattere contro la Rivoluzione, ma le autorità degli Estates glielo proibirono. In seguito, un buon numero di queste truppe formò le Guardie Svizzere del Principe di Condé.  Il reggimento del Principe Vescovo di Basilea fu congedato dai commissari della Repubblica il 25 settembre davanti ai suoi quartieri a Dunkerque. 

Il tenente colonnello de Grandvillars fece onorare le bandiere per l'ultima volta, poi le aste vennero abbassate, i nastri vennero slacciati e la seta rossa, gialla e nera e il taffet bianco della croce, che  aveva mostrato loro la via della gloria e dell'onore per 34 anni, vennero distribuiti agli ufficiali e ai sottufficiali.

Schierato in un quadrato sulla spianata, il reggimento rosso con i baveri bianchi presentò i propri fucili. "Tamburini, battete il rullo!" ordinò il colonnello, e i tamburi ornati dal pastorale risuonarono fragorosamente. Tra la folla eccitata si levarono voci: "Come sono belli! Non è triste mandare a casa una truppa così abile?". 

Dopo che l'ordine di congedo fu letto in un profondo silenzio, il colonnello rivolse le sue parole di addio al reggimento. Molti soldati piansero. L'equipaggio partì e si ricompose per la marcia di ritorno in Svizzera. Diversi sottufficiali guadagnarono in seguito le spalline da ufficiale nelle guerre della Repubblica e divennero generali sotto l'Impero, come Brager, Schramm, Giger, Schreiber, Gressot, von Delsberg, che divenne generale alla Moscova nel 1812, era già tenente quando fu congedato.  

Il reggimento Diesbach fu congedato a Lille il 9 settembre dopo aver protetto la città dalle orde di rifugiati che avevano assassinato il generale Dillon e saccheggiato l'armeria. Nel suo diario, il tenente Josef von Diesbach scrisse: "Per elogiare i nostri soldati, bisogna riconoscere che non sono mai stati così onorevoli e rispettosi verso i loro ufficiali come in questo giorno".

Per sei anni, fino al novembre 1798, la Svizzera non fornì ufficialmente più soldati alla Francia. L'esecuzione di Luigi XVI scatenò l'indignazione generale. 
L'anno 89 era stato accolto con entusiasmo, ma l'anno 93 fu accolto con disgusto. Molti di coloro che avevano cercato di rovesciare tutto prima di quest'ultimo periodo ora volevano mantenere tutto com'era". 
Nonostante le ripetute promesse, le pensioni degli ufficiali e dei soldati congedati non furono mai pagate. La vedova di Bachmann scrisse al governo di Glarona "che non si aspettava nulla dalla Francia e quindi chiedeva che le misure prese fossero interrotte".

Molti veterani e invalidi si trovarono nella condizione di dover mendicare il pane. Ma nulla poteva scuotere l'inattività della vecchia Confederazione, che stava morendo. La sua disintegrazione non sfuggì all'attenzione del Direttorio, che aspettava solo l'occasione per spazzare via il suo vecchio alleato con il sangue e il fuoco.

Gli emigranti fuggiti in Svizzera e i rivoluzionari vodesi avrebbero fornito il pretesto per un'invasione pianificata da tempo. Nonostante tutti i segnali che annunciavano l'imminente fine del loro dominio, i "signori severi e gentili" che governavano le oligarchie svizzere rimasero pieni di autoillusioni fino alla fine. Solo il tuono dei cannoni del Grauholz li fece rendere conto della loro caduta.

Un airolese

Nel massacro delle Tuleries era presente anche un airolese: Albisetti Emilio, promosso al grado di Maggiore

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 Intro Questa piccola guida ai musei e affini non era programmata e nemmeno un obiettivo dichiarato. È nata con le esperienze accumulate nel vario girovagare per musei, monumenti vicoli più e meno grandi. Piccole accortezze, da applicare con lo scopo di migliorare qualitativamente le giornate dedicate alla visita di qualsiasi tipo di oggetto culturalmente rilevante. "L'opera" é in continuo aggiornamento, una versione finale sarà in coincidenza con la mia dipartita. La vergine di Norimberga presente nel museo del castello di Kyburg;  trattasi di un falso acquistato nei secoli passati dai proprietari del castello per sorprende e intrattenere gli ospiti  La Vergine di Norimberga, spacciata come uno strumento di tortura medievale, è in realtà un prodotto del XIX secolo, un’epoca in cui l’Europa era affascinata da una visione romantica e distorta del Medioevo. Questa riscoperta del Medioevo non era basata su una comprensione storica accurata, ma piuttosto su una visione teatra

Ferrovia

Difficile riassumere l'impatto che la ferrovia ha portato alla società e alle nostre vite. Io stesso ne sono stato "travolto", lavoro per le FFS del dicembre 2014 ed ho avuto modo di immergermi nel magico mondo dei binari. Diverse le conseguenze, una su tutte quel " e rotaia " riportato nel sottotitolo del blog. Lavorando per le ferrovie ogni impiegato riceve un abbonamento generale valido per tutta la Svizzera. Questo incita molto il viaggio e mi ha permesso di poter dedicarmi in maniera molto più concreta alle mie passioni. Senza questa possibilità avrei viaggiato con meno frequenza e mi sarei arricchito in maniera minore Ferrovie Federali Svizzere Le Strade Ferrate Federali - che con la legge del 23 giugno 1944 mutarono il nome in Ferrovie Federali Svizzere Stazione come luogo di riferimento e punto di incontro Ancora oggi nei dintorni delle stazioni troviamo un determinato tipologie di persone con un fattore che le accomuna. In diverse città troviamo come pr

Carpe diem ma non solo

Carpe diem, carpe diem, carpe diem fino alla noia. Abusata e strabusata, un po' come il famoso verso di Vasco " é tutto un equilibrio sopra la follia "; se Vasco avesse scritto solo quello, rispettivamente come se i romani avessero detto solo quello.  Sminuente.  Approfittando dell’ennesimo libro acquistato in un momento “de debolezza” faccio giustizia per quel che riguarda gli aforismi latini (per quelli di Vasco non credo ce ne sia bisogno). Ho cercato di mettere solo il minimo indispensabile, scremando e scremando ancora. Questo é il minimo che si possa pubblicare In evidenza tutte le frasi utilizzabili in ambito lavorativo: alcune di esse possono essere utilizzate per insultare i colleghi con una certa classe senza correre il pericolo di essere accusati mobbing AMORE E AMICIZIA Amare et sapere vix deo conceditur. A stento la divinità concede di amare e di essere saggi. (PUBLILIO SIRO, Sententiae, A 22) Si tratta di una sentenza riferita al contrasto tra amore e sagg

Museo della riforma di Ginevra: 2 - Le guerre di religione

Ne ha uccisi più la religione che Stalin Hitler e la peste messi assieme, questa é una mia profonda convinzione. D'altra parte ringrazio la religione per le innumerevoli pagine di cronaca nera che ci hanno regalato, hanno contribuito a mettere un po' di pepe in una comunque ben densa storia europea.  Otto guerre di religione tra cattolici e protestanti insanguinarono la Francia tra il 1562 e il 1598. Il museo della riforma di Ginevra ( qui la prima sala) mette l'accento su questi tumulti, concentrandosi sugli scontri avvenuti in Francia nel corso del XVI secolo La locandina del film che ha come protagonista la regina Margot che fu testimone in prima linea della strage della notte di San Bartolomeo Incidente mortale di Enrico II - 30 giugno 1559 In occasione del doppio matrimonio della figlia Elisabetta con Filippo Il di Spagna e della sorella Margherita con il duca di Savoia, Enrico Il partecipò il 30 giugno 1559 a un torneo organizzato in rue Saint-Antoine a Parigi. Colp

The Wicker Man (l'uomo di vimini)

I Radiohead non figurano nella TOP 5 dei miei gruppi preferiti. Devo però riconoscere che ad intervalli regolari escono con dei grandissimi pezzi. Uno di questi é " burn the Wich ". Non sono solito a guardare i video musicali per non farmi condizionare nelle fantasticherie che faccio mentre ascolto i brani, un video mi condizionerebbe il pensiero portandomi a portare quello che la band desidera.  Per burn the Wich é diverso: il video é assolutamente godibilissimo: un non ben precisato ispettore visita un villaggio sulla carte perfetto ma che invece nasconde atrocità di altri tempi camuffati (ma non troppo) a festa. La scena finale poi é quella da "finale col botto" in cui l'ispettore viene rinchiuso in un uomo di vimini a cui viene poi appiccato il fuoco. L'uomo di vimini, assieme ad un riferimento alla sedia della streghe, é un elemento di nicchia che compare nel video. Non intraprendo ricerche particolari sull'uomo di vimini, aspettando certo che in f

Dialetto, aneddoti e freddure di Airolo e dintorni parte 8

A 10 mesi dell'ultima pubblicazione ecco un nuovo capitolo sul dialetto di Airolo. Una manciata di colorite cognizioni non possono far altro che far sviare il pensiero dalle paturnie quotidiane per qualche istante. Qui e precedenti 7 parti l'é bè franch u temp da métass dré a fè fünerái u méss sgiüg č i én su tücc a maisgén č , non è proprio il momento di fare funerali il mese di giugno quando tutti sono ai monti, frase detta di sé stesso, in pericolo di morte all'ospedale, da un contadino di Fontana per discrezione verso i compaesani indaffarati in quel periodo frécc s.m. freddo - scherzoso detto anche   č aut di chèl tudé š č , letteralmente caldo tedesco da Kalt frenör s.m. frenista; prob. franc. professione, a suo tempo, di molti airolesi; alcuni di loro famosi, anche in seguito alle dure condizioni di lavoro perché esposti a tutte le intemperie, come forti bevitori e non di gazósa fruch agg. fisso, stretto, saldo in senso fisico e morale Fulàna soprannome di un or

Intragna - Rasa - Palagnedra

Le Centovalli sono finite nel mio mirino già 14 anni fa. In particolare il villaggio di Rasa é all’origine di questa mia attrazione. Dopo averla visitata in tre occasioni, tutte partendo da Bordei, per la gita di oggi decido di raggiungerla da solo partendo da Intragna e finire poi il percorso a Palagnedra Guardando la cartina a casa nota un dislivello di 600m tra la Melezza e Rasa, ma a fine giornata saranno il doppio i metri in salita. Sono le 9 circa quando parto da Intragna. I primi chilometri sono in basso, sullo stretto fondovalle diviso dal fiume Melezza. Fa freddo ed é tutto all'ombra. Non incrocio anima viva, e malgrado siamo a mattinata inoltrata la natura sembra ancora dormire. Il sentiero é stretto e in alcuni punti sporge sulla Melezza. Se dovessi cadere qui non mi troverebbero subito . È con questi pensier che giungo in vista del bellissimo ponte romano Il sentiero prosegue poi abbastanza pianeggiante, sempre nel bosco, sempre all'ombra, sempre qualche decina di m

Coppet, l’ultima dimora di Necker

Ci sono diverse celebrità storiche svizzere che vivo all'ombra dei grandi classici come Tell, Nicolao e Guisan Uno di questo é sicuramente Jacques Necker, banchiere ginevrino che ebbe un ruolo importante, se non addirittura determinante nell'evolversi delle vicende che portarono alla rivoluzione francese. A mio modesto parere uno degli svizzeri che più incisero nella storia dell'Europa anche se non é mai veramente comparso sotto i riflettori nel nostro paese.  Necker fu uomo di fiducia di Luigi XVI dopo vari alti e bassi con l'insorgere della rivoluzione é costretto a fuggire e finire le sue giornate una placida cittadina sul lago alle porte di Ginevra: Coppet. Come resistere ad una visita guidata nel castello di Coppet, l’ultima residenza di Necker? Château de Coppet, residenza e tomba di Suzanne Necker,  suo marito e sua figlia, 1920 circa.ETH-Bibliothek Zürich La residenza Guida:  "Benvenuti al castello di Coppet, e per questa visita vi farò notare una piccola c

Sti cazzi

Non avrei mai pensato di trovarmi di fronte con immagini sfacciatamente a sfondo sessuale nel mio grande viaggio nel medioevo. E invece nel giro di pochi mesi più volte mi ritrovo faccia a faccia con queste curiosi creazioni. Diverse domande nascono all'istante; chi le indossava? Qual’era il loro scopo?  Spilla della mia personalissima Wunderkammer Gioielli medievali audaci Le insegne medievali erano piccole immagini metalliche spesso indossate dai pellegrini. Molte di esse non corrispondono all'idea che abbiamo di questo periodo, poiché assumono la forma di esseri fantastici con genitali. Nel Medioevo la società era così prudente come si pensa? Sono realizzati in lega di piombo e stagno, sono appena più grandi di un franco e hanno una spilla o un occhiello per essere attaccati agli abiti: sono i distintivi dell'alto Medioevo. Ne furono prodotti a migliaia tra il XII e la metà del XVI secolo. Ancora oggi, questi piccoli gioielli si trovano regolarmente vicino ai corsi d'

Una noce dura da aprire

Alle volte capita di incrociare chicche decisamente di nicchia, solitamente strappano un "oooo" o una risata. Sono da museo ma si é consapevoli che essi non cambieranno la storia. Insomma, degni di vedersi affibbiati l'etichetta "curiosità". Una chicca in questo senso l'ho trovata alla Fondazione Museo della Poesia e della Città di Liestal (consigliatissimo). Sempre nello stesso museo avevo trovato la gaffe durante la visita del presidente Bokassa La vicenda é presto raccontata Fino al 2005, il cibo in scatola e la frugalità hanno giocato un ruolo importante nella ristorazione dell'esercito svizzero. Di conseguenza, le scuole per reclute di solito non offrono pasti particolarmente ricchi. Le reclute sono quindi ancora più grate per i pacchi che, oltre al cibo, possono contenere anche materiale per fumare, materiale per leggere o biancheria. I soldati che hanno completato l'apprendistato nei mestieri di carpenteria, metallo o edilizia a volte ricevon