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Kyburg e la vergine di Norimberga

Il tempo passa ma per la vergine di Norimberga presente al castello di Kyburg sembra non incidere, ache se poi vedremo che qualche ritocco l'ha necessitato pure lei. Che poi se ne possano dire finché si vuole ma la vera superstar del castello di Kyburg é lei, proprio come aveva ben visto chi l'acquistò proprio per questo scopo.

«Vergine di ferro»
I visitatori del castello si aspettavano sempre di vedere armi storiche e strumenti di tortura. 
Appositamente per loro venivano realizzate delle «vergini di ferro».
Matthäus Pfau acquistò il suo esemplare nel 1876 in Carinzia per mettere in mostra «il lato più oscuro del Medioevo». 
A quel tempo, le forze conservatrici cercavano di reintrodurre la pena di morte, che era stata abolita poco prima in Svizzera.

Attrazione turistica

È risaputo che la Vergine di ferro fu inventata nel XIX secolo. Non vi è alcuna prova che in una simile cassa dotata di lame e con una testa di donna sia mai stata uccisa o torturata una persona. 

Le vergini di ferro sono state realizzate come attrazione turistica, per essere esposte in castelli, musei criminali o gabinetti delle curiosità. Esse incarnano l'interesse del XIX secolo per il Medioevo oscuro e sono un prodotto del «turismo oscuro» verso luoghi di sofferenza, pena di morte e tortura.

Dal XVI secolo sono attestati i termini «jungfer», «jungfraw» o anche «eiserne jungfer» (vergine di ferro) per indicare strumenti di immobilizzazione come ceppi, bastoni, collari o mantelli e botti della vergogna, nei quali i criminali venivano esposti al pubblico come punizione onorevole.

Solo nei romanzi e nei racconti del XIX secolo si parla di una figura femminile il cui abbraccio sarebbe mortale. Questa idea divenne realtà negli anni '30 del XIX secolo.

L'origine

Nel castello di Feistritz, nella Bassa Austria, il barone Joseph von Dietrich espose una vergine di ferro, che aveva dotato di un mantello della vergogna con punte a baionetta. Questo esemplare entrò a far parte del Museo della Tortura di Norimberga nel 1857. Da quel momento in poi, il mito della vergine di ferro prese piede e ne furono realizzate delle riproduzioni. Una di queste arrivò a Kyburg nel 1876.

La rappresentazione della Vergine di ferro a Norimberga: spine o coltelli all'interno, un lento dissanguamento delle vittime squartate - la storia di questo terribile strumento di morte sembra avere le sue radici nel cupo e crudele Medioevo ed è in linea di principio facilmente credibile, considerando le crudeli invenzioni usate per torturare i delinquenti.

La vergine di Kyburg

La vergine di Norimberga per il castello di Kyburg fu acquistata nel 1876 dall'allora proprietario Matthäus Pfau ed esposta nell'armeria. Durante gli ultimi 50 anni si trovava nella camera di tortura.
Nel 1989 si stabili che si componeva di una sottile struttura di legno ricoperta di ferro con delle cavità, su cui erano fissate punte smussate. Nel nuovo Museo la vergine è finita in solaio, nel ripostiglio della storia.

Uno sguardo enigmatico contribuisce ad aumentare il fascino dell'oggetto

Secondo Pfau l'oggetto proveniva da un castello in Carinzia. L'origine è probabilmente da ricercarsi nel « mantello della vergogna» - una botte di legno senza fondo e senza coperchio - con cui venivano messi alla gogna i delinquenti colpevoli di delitti contro l'onore. 

Mantello dell'onta - Modello del 1775 presso il museo nazionale bavarese

Nel 1857 a Norimberga, con l'aggiunta di una testa e di punte, uno di questi fu trasformato in una «vergine». Dopo un avventuroso viaggio in California, questa prima vergine si trova oggi nel museo criminale di Rothenburg. 

Questo pezzo esposto al Museo del Crimine di Rothenburg ob der Tauber sembra davvero inquietante. La figura di legno è del XV o XVI secolo, ma le spine all'interno sono state aggiunte nel XIX secolo. Secondo il museo, non era uno strumento di tortura, ma una sorta di “mantello dell'onta”: le donne venivano rinchiuse lì dentro per scontare una pena d'onore, ma poi venivano liberate senza alcun danno fisico.
Foto: Stefan M. Prager/ imago images

In un'altra copia, proveniente dal castello di Feistritz, nello Steiermark, sono state usate punte ricavate dalle baionette delle guerre napoleoniche.

Incisione su legno di Robert Stieler: il pittore e disegnatore ha creato questo motivo nel 1880.
 
L'allora proprietario del castello e gestore del museo Matthäus Pfau (1820-1877) aveva acquistato questo esemplare in Austria. Divenne un oggetto molto ammirato nel suo museo del castello, che gestiva con serio intento didattico attraverso la storia e l'arte. La vergine di ferro era esposta nella sala delle armi insieme ad altri strumenti di tortura, tra cui maschere di vergogna, violini di tortura, cinture di ferro, ferri roventi, viti da pollice e un banco di tortura. 

Schiacciapollici - XVIII secolo - Ferro 
Museo nazionale svizzero, sezione Zurigo

Pfau credeva nell'effetto educativo derivante dall'osservazione di oggetti legati alla violenza e all'arbitrio del passato. Egli li considerava «testimoni muti di un processo penale spietato», che parlavano a favore dell'umanità in modo «più forte e potente» di quanto potessero fare le parole. 

Egli rivelò apertamente che la sua Vergine di ferro non proveniva dal castello di Kyburg. Nella sua guida al castello menziona una leggenda, di cui però dubita. Secondo questa leggenda, in passato all'esterno della cappella si trovava una vergine di ferro e i condannati venivano poi eliminati attraverso una botola.

Inefficace

Ci sono ragioni fondate per sostenere che la terribile vergine non abbia potuto essere uno strumento di tortura. Le cronache del tempo non parlano di questo sensazionale metodo di tortura o di esecuzione, perché era sconosciuto. Il materiale di costruzione, inoltre, non risale al Medioevo. Per torturare o uccidere, le 14 punte sarebbero dovute essere sistemate in modo da forare gli occhi, il petto e il ventre. Con un'altezza di 2,37 metri ciò è però impossibile. Se si tiene conto anche del piedistallo, gli occhi dovrebbero trovarsi all'altezza di 2 metri.

La Vergine di ferro di Kyburg acquistata da Pfau è alta 2,37 metri. La testa con il cappuccio a punta è intagliata nel legno, il colletto e il mantello sono in lamiera di ferro, il rivestimento interno è costituito da assi in cui sono incastrate punte di baionetta riutilizzate.

Meccanismo di terrore
Il commerciante d'armi austriaco Joseph Freiherr Dietrich von Dietrichsberg costruì la prima «vergine di ferro» utilizzando un mantello di legno e delle baionette.
Arricchitosi durante le guerre napoleoniche, nel 1815 acquistò il castello di Feistritz am Wechsel (A).
Lo «strumento di tortura» era collocato in una nicchia buia del seminterrato. Azionato a distanza tramite funi, si muoveva alla luce delle candele, faceva scattare le porte e mostrava le sue punte.

La Vergine di ferro ha fatto un sacco di apparizioni anche nei film, e non sempre in quelli migliori. Nella serie poliziesca “The Girl from U.N.C.L.E.” (1966) Boris Karloff minaccia Stefanie Powers; in questo episodio interpreta l'assassino e travestito Mother Muffin.
Foto: Everett Collection/ imago images

Durante il restauro del 1987, le sottili assi di abete all'interno sono state sostituite con assi di ciliegio e le molle del meccanismo di apertura alla base sono state rimosse

Punizioni reali

Passiamo dalla leggenda alla storia: dal XV secolo al 1798 il balivo deteneva l'alta giurisdizione, ovvero giudicava i crimini punibili con la pena corporale o la pena di morte. La tortura chiamata «interrogatorio doloroso», con la vite da tortura o lo stiramento con la corda, avveniva nella cappella riconvertita

Il più crudele dei due metodi di tortura usati all'epoca dei balivi era lo stiramento. La vittima veniva tirata verso l'alto tenendola per le mani legate dietro la schiena.
Il dolore veniva intensificato con l'aggiunta di pesi ai piedi. L'immagine mostra i deputati cattolici della Dieta federale che nel 1524 torturarono il vice balivo di Stammheim Hans Wirth. Questi era considerato il capofila dell'assalto al monastero di Ittingen, che all'epoca fu distrutto da un incendio.

Fino alla sentenza, gli imputati venivano rinchiusi in una delle prigioni della torre o della Ritterhaus. Il luogo dell'esecuzione si trovava lontano dal castello, dove oggi sorge il parcheggio superiore. I condannati a morte venivano impiccati al patibolo a sud di First.

Mentre Pfau gestiva il suo museo privato, la pena di morte fu abolita a Zurigo (1869) e poi in tutta la Svizzera (1874). I circoli cattolici conservatori si opposero all'abolizione e promossero una modifica costituzionale che consentiva ai cantoni di reintrodurre la pena di morte. Sarebbe stato tipico del democratico Pfau intervenire nel dibattito con l'installazione della vergine di ferro e comunicare al pubblico che la tortura e la pena di morte appartengono al passato e che gli strumenti utilizzati a tal fine devono essere esposti in un museo.

 Nel 1879 una stretta maggioranza degli svizzeri votò a favore della reintroduzione della pena di morte, mentre due terzi degli zurighesi si opposero.

Il successore di Pfau, Eduard Bodmer, istituì la camera di tortura nella Torre Grigia ben 20 anni dopo. Oltre alla vergine di ferro, vi esponeva anche una ruota su un palo alto due metri, nei cui raggi era intrecciato un manichino umano. 

Questo quadro che raffigura il martirio dei tre santi di Zurigo si può notare la tortura completa della ruota: oltre a rompere gli arti poi la tortura prevedeva che il corpo inerme fosse legato alla stessa ruota ed esposto sotto il sole per ore intere tra atroci dolori dovuti alla rottura degli arti

Quando il Cantone rilevò il castello, il manichino fu immediatamente rimosso, mentre la Vergine di ferro fu lasciata al suo posto, nonostante si sapesse che si trattava di un'invenzione del XIX secolo. Nel 1999, la raccapricciante struttura fu simbolicamente collocata «sulle ali della storia» nella soffitta della Ritterhaus e ne fu spiegata l'origine. Dal 2019 la Vergine di ferro è tornata al posto in cui Pfau l'aveva collocata un tempo, insieme ad altri oggetti provenienti dal suo museo del castello.

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