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Palafitticoli

È ad una conferenza sull'identità svizzera tenuta a Giornico con la partecipazione della direttrice del museo nazionale svizzero che vengono discusse le origini dei miti che avrebbero dovuto accumunare la nuova Confederazione alla disperata ricerca di un identità. Fino al 1848 non c'era necessità di trovare un punto in comune, i Cantoni avevano vite a se stanti, ognuno sicuro delle proprie piccole radici, ognuno con i piccoli martiri da sfoggiare al momento giusto, poco interessava di avere punti in comune con i Cantoni vicini. 

La decisione di costruire una casa dove contenere tutti questi simboli di coesione e identità svizzera che all'improvviso si necessitava combaciò con la costruzione del museo nazionale svizzero.

Tutti sarebbero tentati di affermare che i miti fondatori furono il patto del Grütli e Guglielmo Tell, e invece la storia ci spiazza dandoci un motivo del tutto inaspettato;  un estate particolarmente calda darà modo agli svizzeri di trovare un punto di coesione comune. Ma andiamo con ordine.

Relatore: Il Museo Nazionale Svizzero viene creato negli anni 90 dell'Ottocento in un periodo nel quale occorreva contribuire alla creazione di un'identità svizzera. Questo processo era già in atto in tutto l'Ottocento, ma poi in un'epoca dominata evidentemente dai nazionalismi, quindi l'idea di fare prevalere la propria nazione rispetto alle altre, è chiaro che la Svizzera si è proprio trovata in una situazione difficile, perché di per sé non esisteva una cultura svizzera. 

Direttrice museo svizzero: Sì, esatto. Alla fine dell'Ottocento non esisteva una cultura svizzera e quindi occorreva crearne una e questo passava anche attraverso la creazione del museo nazionale. 

Il Museo Nazionale Svizzero è stato fondato negli anni 90 dell'Ottocento, è un periodo in cui bisogna immaginarsi una Svizzera, uno stato moderno, Svizzera ancora molto giovane, fondato nel 1848, dopo centinaia di anni in cui in realtà avevamo dei cantoni che erano dei piccoli stati. E quindi questa trasformazione da un insieme di stati a qualche cosa di comune con un Consiglio federale, con una capitale, Berna, era una cosa molto nuova per la Svizzera.  

La Confederazione Svizzera inizia abbastanza presto a pensare a come creare un'identità comune. E quindi ad esempio costruisce vari edifici, tra cui anche il Museo Nazionale Svizzero, ma ci sono anche il Politecnico di Zurigo, fa parte anche di questi stabili che sono stati costruiti nell'Ottocento per marcare l'esistenza di questo nuovo Stato. 

All'inizio, quando si iniziò a parlare di fondare un Museo Nazionale Svizzero, i cantoni non erano d'accordo, perché i cantoni dicevano no, la nostra storia la mostriamo da noi, abbiamo i nostri musei e le nostre collezioni, e non abbiamo bisogno di un Museo Nazionale. 

Creazione di un mito unitario

Direttrice museo svizzero: E la cosa interessante è che solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo che succedono due cose. Da un lato si scoprono in tutta la Svizzera delle palafitte, cioè i resti di insediamenti parafitticoli, in tutta la Svizzera, quindi sia in Svizzera francese che in Ticino, che in Svizzera tedesca, e da lì nasce un'idea che forse abbiamo veramente un passato comune che va molto più indietro di quanto ci immaginavamo e i resti di questi insediamenti palafitticoli fanno parte dei primi oggetti che sono entrati nella collezione del Museo Nazionale. 

Rappresentazione idealizzata di un insediamento lacustre situato sul lago di Neuchâtel. Olio su tela di Auguste Bachelin, 1867 (Museo nazionale svizzero).
Realizzato quale complemento alle raccolte di reperti palafitticoli inviate dalla Confederazione all'Esposizione universale di Parigi nel 1867, il dipinto fu in seguito collocato nel Palazzo federale a Berna, a dimostrazione del serio interesse delle autorità per la dimensione nazionale del passato palafitticolo. Questa visione ideale di una Svizzera delle origini unita e pacifica invitava alla riconciliazione delle parti dopo la guerra civile del Sonderbund. Nel 1891 l'opera venne integrata nelle collezioni del Museo nazionale svizzero, che fu inaugurato ufficialmente nel 1898.

La scoperta storica delle stazioni palafitticole, denominate negli studi più datati anche «città lacustri», risale all’inverno 1853-1854 sul lago di Zurigo. La siccità eccezionale che caratterizzò quell’anno provocò l’abbassamento del livello delle acque nella maggior parte dei laghi attorno alle Alpi, portando alla luce dei pali di quercia conficcati nella melma delle rive emerse, come pure tutta una serie di reperti archeologici, identificati come precedenti all’epoca romana. Ferdinand Keller, presidente della Società antiquaria di Zurigo, chiamato sul sito di Meilen sulla riva destra del lago di Zurigo, interpretò i pali e gli oggetti neolitici rinvenuti come resti di un antico villaggio costruito su una piattaforma sovrastante le acque. Questa immagine si ispirava a incisioni di villaggi lacustri dell’Indonesia, pubblicate in seguito alla recente spedizione dell’esploratore francese Jules Dumont d'Urville in Oceania. Da tale interpretazione nacque il mito delle stazioni lacustri e dei loro abitanti, i palafitticoli, in risposta alla ricerca di antenati identitari che accompagnò la creazione dello Stato federale nel 1848. Questo mito si fissò per lungo tempo nell’immaginario della Svizzera preistorica. I palafitticoli furono contrapposti agli abitanti della terraferma, che si supponeva appartenessero a popolazioni meno evolute e spesso bellicose. Oggi questa interpretazione è stata interamente respinta, ma ne sussiste ancora traccia nell’inconscio collettivo.


Creazione di un mito: la rappresentazione delle stazioni lacustri da parte di Ferdinand Keller. 
In alto: Villaggio di Kouaouï nel porto di Dorey (Nuova Guinea), disegno di Louis Auguste de Sainson, litografia pubblicata nell’opera di Jules Dumont d’Urville, Voyage de la Corvette l’Astrolabe, exécuté par ordre du Roi pendant les années 1826-1829, 1830-1833 (New York Public Library Digital Collections). In basso: Rappresentazione della stazione di Obermeilen di Ferdinand Keller pubblicata in “Die keltischen Pfahlbauten in den Schweizerseen”, in: Mitteilungen der Antiquarischen Gesellschaft in Zürich, 9/2.3, 1853-1856, tavola 1/figura 4 (ETH-Bibliothek Zürich, Rar 9180, e-rara.ch, DOI: 10.3931/e-rara-49149).

Ferdinand Keller creò la sua immagine delle stazioni lacustri copiando degli elementi direttamente dal disegno di Sainson. Riprese ad esempio l’edificio centrale, posizionandolo però a destra del villaggio di Obermeilen. Scostandosi dai modelli etnografici, Keller interpretò tuttavia i pali di Obermeilen come sostegni di una piattaforma sola, impiantata nell’acqua, sulla quale si poteva circolare tra una casa e l’altra.

Nell’elaborazione di questa prima rappresentazione Keller lasciò volutamente da parte alcuni elementi degli appunti di viaggio di Dumont d'Urville in contrasto con la sua teoria, come le abitazioni indonesiane costruite sulla terraferma e non sull’acqua.

Due vedute aeree dei pali della stazione palafitticola di Chabrey-Pointe de Montbec I, nel comune vodese di Vully-les-Lacs, sulla riva meridionale del lago di Neuchâtel. Fotografie, 02.04.2011 (Forze aeree svizzere, Payerne; fotografie maggiore Aldo Wicki).

Sul lago di Neuchâtel le condizioni meteorologiche per realizzare fotografie aeree sono idonee solo alcuni giorni all’anno. Le vedute aeree sono utili sia durante la prospezione di siti sia per documentare lo stato di conservazione di determinati insiemi di pali. L’immagine a sinistra è una panoramica della stazione di Chabrey-Pointe de Montbec I, mentre quella a destra è una vista ravvicinata, in cui si distinguono le palafitte e la loro ombra sotto il livello dell’acqua.

La porta di Wetzikon-Robenhausen nel canton Zurigo, risalente al 3700 a.C. (Museo nazionale svizzero, Zurigo, A-432).
Questa porta in abete bianco, nota in tutto il mondo, fu scoperta nel 1868 da Jakob Messikommer nel Robenhauserried ai bordi del lago di Pfäffikon. Il reperto fu datato precisamente nel 1998 grazie al metodo del radiocarbonio. L’anta, alta 1,6 m e larga 65 cm, ha uno spessore tra 3 e 6 cm. In occasione di un’esposizione negli anni 1950, la porta fu montata su un telaio, costruito appositamente per metterla in mostra 

Dipinto di un villaggio palafitticolo presente nel museo storico e naturalistico di Zofingen

Trattenere la storia

Direttrice museo svizzero:Seconda cosa che è successa nella seconda metà del XIX secolo è che questi resti di insediamenti palafitticoli erano il risultato di scavi, spesso anche di persone private, che andavano a fare i loro propri scavi e finanziavano i loro propri scavi archeologici e per finanziarli vendevano poi una buona parte dei reperti ritrovati, quindi è per questo che ci sono reperti palafitticoli svizzeri anche in Asia o in America o così, perché sono stati venduti sul mercato dell'arte. E in quel periodo queste persone iniziano anche a vendere molti oggetti risalenti al Medioevo e al Rinascimento, da calici, d'oro, insomma oggetti molto prestigiosi, e iniziano a venderli all'asta sul mercato dell'arte. Ed è lì che il Consiglio federale viene reso attento al fatto che il patrimonio culturale svizzero si stava disperdendo. E questo è il secondo motivo per cui poi è nata o è cresciuta la convinzione che fosse necessario avere un museo nazionale per appunto conservare, tenere nel paese il patrimonio svizzero. 

Identità svizzera 

Direttrice museo svizzero: E attorno a tutto questo naturalmente c'era poi la discussione dell'identità svizzera, quindi creare un'istituzione che presentasse al pubblico quello che era considerata l'identità svizzera. Oggi menziono solo brevemente, oggi non parliamo più noi al Museo Nazionale di Identità Svizzera, ma parliamo di identità svizzere al plurale, perché se si guarda la società di oggi, ma anche quella di sempre, in realtà l'identità di una persona che ha vissuto in Leventina è sempre stata diversa dall'identità di una persona che è cresciuta e ha vissuto a Ginevra, ad esempio. E quindi cerchiamo di osservare la cultura e la storia della Svizzera attraverso uno specchio più diversificato. 

Negli ultimi decenni c'è un genere storiografico, la storia culturale, così l'ha fatto un po' da padrone, e praticamente è la storia delle rappresentazioni collettive. E nell'ambito di queste rappresentazioni collettive effettivamente ci sono anche approfondimenti di carattere storico sull'identità. 

Quello che notiamo è che il pubblico del Museo Nazionale, più che identità, cerca risposte nella storia, cerca orientamento. E questa ricerca di orientamento ha sicuramente per alcuni anche a che vedere con una ricerca di identità. Per altri forse più con una ricerca, con il cercare di capire come siamo giunti a quello che abbiamo oggi e perché ci ritroviamo nella situazione in cui siamo oggi. Una ricerca di capire una Svizzera che è comunque molto particolare se si guarda adesso all'Europa, se si guarda al mondo, facciamo comunque parte di uno dei paesi più sicuri del mondo. 

La neutralità svizzera

Direttrice museo svizzero: Noi abbiamo un'idea nell'immaginario collettivo di identità e di neutralità che ha a che vedere con una neutralità, come dire, siamo neutri nei confronti di tutte le persone. Se fossimo ad un tavolo e tutti stanno litigando, noi non siamo neutrali. Ma la neutralità svizzera armata, che è quella politica, è una neutralità un po' diversa da quella che abbiamo nel nostro immaginario collettivo.

Più che una ricerca dell'identità svizzera, ho l'impressione che c'è una ricerca di risposte nel passato. 

Decostruire i miti: Marignano

Direttrice museo svizzero: Per esempio quando abbiamo fatto nel 2015 la mostra sulla battaglia di Marignano, i 500 anni della battaglia di Marignano, una battaglia all'interno delle cosiddette guerre d'Italia, dove in realtà la Svizzera in quel periodo aveva ancora anche degli obiettivi espansionistici con l'idea anche di prendersi Milano in qualche modo, ma dove nelle 24 ore della battaglia di Marignano sono morti tantissimi soldati svizzeri.

(Ci sono 92 caduti leventinesi a Marignano, la cifra è piuttosto importante, quindi mostra anche l'importanza militare che la milizia di Leventina aveva nell'ambito dell'esercito del cantone sovrano.)

Nella storiografia più tardi, ma specialmente poi nella storia dei miti svizzeri nel XIX secolo, la battaglia di Marignano è diventata simbolo dell'inizio della neutralità svizzera. In realtà storicamente questo non è corretto perché non è che dopo la battaglia di Marignano la Svizzera è decisa di diventare neutrale. Ci sono stati due motivi per cui la Svizzera forse come Stato, che non lo era ancora all'epoca, non ha più partecipato alle guerre in Europa. L'uno è perché poco dopo la battaglia di Marignano arriva la riforma e iniziano delle guerre di religione all'interno della Svizzera, quindi la Svizzera aveva altro da fare. E poi perché già l'anno dopo la battaglia di Marignano la Svizzera conclude un trattato di pace con la Francia, a partire dal 1521, da 16.000 soldati all'anno al servizio del Re di Francia. Quindi questa non è neutralità. Solo che appunto nell'immaginario collettivo la battaglia di Marignano è stata collegata alla neutralità svizzera.

(Bisogna pensare che in una notte, o in un'insomma, in tot ore, la Svizzera, alcuni cantoni della Svizzera hanno perso probabilmente un terzo dei loro uomini. Bisogna immaginarsi che cosa significava. E anche i 16.000 soldati che la Svizzera poteva mettere a disposizione dei re di Francia, oggi i 16.000 non sono tanto, ma all'epoca la città di Zurigo aveva 10.000 abitanti. I 16.000 erano una volta e mezzo, la città di Zurigo bisogna immaginarsi, erano dei contingenti enormi per la confederazione.) 

Quando abbiamo fatto questa mostra noi siamo stati contattati da molti, anche politici, con l'idea di «No, ma se parlate di Marignano dovete fare così, dovete portare la neutralità svizzera, eccetera». E quello sarebbe stato un errore. Quindi quello che noi abbiamo fatto è portato naturalmente anche il tema della neutralità, ma siamo partiti dal mito e l'abbiamo decostruito praticamente.

Abbiamo cercato di vedere ma cosa ci dicono effettivamente le fonti storiche e a partire da quando si può parlare di una volontà svizzera di essere neutrali.

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