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Paure medievali

L'epoca oscura, del buio, e chi non ha paura del buio? Chissà di quali paure erano in balia gli abitanti di quei tempi remoti, la fantasia precede la realtà nelle menti di noi comodi cittadini del XXI° secolo. Ma prima di sparar sentenze, come sempre, un riscontro su testi storici é d'obbligo, chissà che non riusciamo a sfatare qualche mito.... Per far luce su quest'epoca, tutto sommato molto meno buia e pesta di quello che si pensa mi viene in soccorso un libro della cordata vincente Barbero Frugoni.

La fine del mondo e l'anno 1000

Una delle credenze scolpite nell'immaginario collettivo é quella dell'anno 1000. Essa rimane una leggenda; pochissimi infatti i testi dell'epoca che riportano il terrore e la frenesia in attesa del famigerato anno 1000. Esistono invece contratti stipulati a cavallo dell'anno 1000, che vanno ben oltre l'anno in questione. Questa lascia presupporre che l'anno mille avesse unicamente un valore numerico.
La riflessione va poi fatta attorno alla precisione nella datazione. L'anno mille si basa sulla nascita di cristo; ma siamo sicuri che l'anno zero fosse effettivamente l'anno zero? Nel mio immaginario vedo persone intente a stappare bottiglie al veglione del 31.12.999 quando in realtà si trovavano già ben oltre l'anno mille.

L’anno zero

Bisognava quindi sapere esattamente quando era nato Cristo, cioè quanti anni prima del momento in cui Dionigi scriveva, oppure quanti anni prima (o dopo) un certo momento la cui distanza nel tempo fosse nota, come ad esempio la fondazione di Roma.

Anche se i calcoli di Dionigi il piccolo presero in considerazione altri e più complicati punti di riferimento, il suo risultato finale fu che Cristo era nato 754 anni dopo la fondazione di Roma («ab Urbe condita»). Tuttavia ci si accorse che in quella data il re Erode il Grande era già morto da 4 anni, e questo era in contrasto con i Vangeli di Luca e Matteo e col famoso racconto della «strage degli innocenti».

Andarono a Betlemme per un censimento indetto da Augusto, ma questo censimento era probabilmente avvenuto 8 anni prima della nascita calcolata da Dionigi, sebbene sia tuttora dibattuto a quale censimento si riferisse l'evangelista. Insomma, secondo gran parte degli storici antichi e moderni, Gesù sarebbe nato alcuni anni prima della data proposta da Dionigi, cioè tra il 7 e il 4 a.C. secondo il nostro calendario moderno. Per l'errore del dotto monaco tutte le paure legate all'anno 2000 (eccettuate quelle del «baco del millennio»)' non avevano alcun senso.

Credo solo in quello che vedo

Con le idee di Gioacchino e dello pseudo-Gioacchino, ci si convinse che la fine del mondo sarebbe avvenuta nell'anno 1260. Salimbene de Adam (un francescano autore di una sapida Cronica che giunge fino al 1287) fu molto deluso quando in quel supposto fatidico anno non avvenne alcun emozionante mutamento e dichiarò: «Passato l'anno 1260, abbandonai del tutto questa dottrina e ora sono del parere di credere solo quello che vedo con i miei occhi» («dispono non credere nisi que videro»)

La morte improvvisa

Fino alla fine del XII secolo la Chiesa indicava infatti due soli regni ultraterreni per i risorti dalle tombe (Giovanni 5,281. paradiso e l'inferno (la fede nell'esistenza del purgatorio si affermò soltanto all'inizio del XIII secolo). Era molto difficile per i fedeli che osservavano la rappresentazione del Giudizio universale identificarsi nella perfezione dei santi e dei martiri, sperare di raggiungere le file degli eletti in una gioia senza fine. Tutti avevano peccato, e vivevano nell'ansia di condividere nell'aldilà la sorte dei dannati e i loro tormenti che non sarebbero mai cessati. Una delle concrete paure innanzitutto del buon cristiano medievale era di morire all'improvviso, perché la fine repentina lo avrebbe portato dritto all'inferno, senza essersi potuto liberare del peso dei peccati attraverso il pentimento, la confessione e la penitenza. Ci si poteva sentire al sicuro se la morte sopraggiungeva quando chi era in fin di vita era nella propria casa, circondato dai familiari che avrebbero provveduto a chiamare un sacerdote, ancora in grado di dettare le proprie volontà con l'aiuto di un giurista e di uno scriba, alla presenza del medico portatore di una minuscola speranza

Quando la morte si avvicina, Madrid, Biblioteca del Monasterio de El
Escorial, ms. 3076, f. 56r, XIV sec.

Ma se ci si fosse trovati per strada, magari in viaggio?

Un aiuto veniva da san Cristoforo: al semplice sguardo garantiva la salvezza. Bastava infatti fissare la sua immagine appena svegli e di sicuro per tutto quel giorno si sarebbe stati al riparo dalla morte improvvisa. Cristoforo, così racconta la sua Passione, proveniva dalla regione di Canaan (corrispondente circa alla Palestina e alla Fenicia); era di taglia gigantesca e dal volto terribile. Poiché aveva deciso di servire solo il principe più potente del mondo, per rendersi a lui più gradito pur non conoscendolo ancora, su consiglio di un eremita aveva cominciato a traghettare i viaggiatori attraverso un grande fiume, appoggiandosi invece che a un bastone a un grande albero, data la sua statura eccezionale. Un giorno si caricò sulle spalle un bambino che però durante il passaggio si fece sempre più pesante tanto che Cristoforo raggiunse l'altra riva del fiume con enormi difficoltà e fatiche. Seppe però di avere raggiunto il suo obiettivo: aveva portato sulle spalle il signore del mondo, Gesù bambino. Del resto il nome Cristoforo deriva dal latino «Christus» e da «fero», porto, e significa «colui che porta Cristo».

Perché san Cristoforo esercitasse il suo potere taumaturgico, occorreva che la sua immagine fosse visibile da lontano: per questo di solito gli affreschi che lo ritraggono sono di grandi dimensioni, assecondati dalla taglia imponente del traghettatore, esposti sui palazzi pubblici e sulle pareti delle chiese, spesso sulle facciate o sulle porte delle mura cittadine. A Siena, nel Palazzo Pubblico, sul muro esterno accanto alla Cappella Nova, si staglia con i suoi cinque metri di altezza la figura di san Cristoforo le cui gambe, soltanto perché nascoste nelle onde del fiume, permettono il varco della porta 

Taddeo di Bartolo, San Cristoforo, Siena, Palazzo Pubblico, 
parete esterna accanto alla Cappella Nova, 1407.

Il purgatorio

La Chiesa, accogliendo la fede nel purgatorio venne incontro agli interrogativi di una società mutata e nello stesso tempo assunse il ruolo di importante ponte fra i vivi e i morti; fece sì che si potesse giungere in purgatorio e collaborò per un'uscita sollecita. Il pentimento, seguito dalla confessione, cancella la colpa.

Rimane la pena stabilita dal sacerdote che, se non completamente soddisfatta, seguirà il defunto nel purgatorio dove però potrà essere raggiunto e aiutato dalla sollecitudine dei vivi. Di nuovo fu la Chiesa che si incaricò di fare pervenire alle anime i suffragi per i propri cari da parte dei vivi qui sulla terra, attraverso messe, elemosine, o altre azioni pie, oppure concedendo le indulgenze, attingendo al tesoro della «Comunione dei santi», cioè ai meriti accumulati da Cristo, la Vergine e i santi"°. Per ottenere tali indulgenze, vale a dire un accorciamento delle pene da scontare in purgatorio per sé o per i propri cari, occorreva ottemperare a un'ampia casistica di opere pie, debitamente pentiti e confessati.
Poiché dunque è una parte esigua dell'umanità quella dei «molto cattivi», il fedele non doveva più temere di finire all'inferno e poteva sentirsi abbastanza rassicurato sul suo destino ultraterreno.

Quando ogni pena sarebbe stata soddisfatta in purgatorio, tutti, ad eccezione dei ribaldi o degli assassini, sarebbero andati in paradiso. Come si espresse un teologo domenicano, Ugo Ripelino di Strasburgo, morto nei primi anni del XIV secolo, «il purgatorio è la speranza»

Una conseguenza inaspettata del trionfo del purgatorio: il trionfo del macabro

La Chiesa, di fronte alle conseguenze indotte dall'attestarsi della fede nel purgatorio, di fronte all'affievolirsi del timore dell'inferno, non riusciva più a indurre i fedeli, dimentichi dell'aldilà, a pensare al loro destino ultraterreno, un destino di anime separate dal corpo, in attesa del Giudizio universale. Fu costretta a venire a patti. Fu obbligata a tenere conto dell'orizzonte dei credenti che ormai rifiutavano le sue severe ammonizioni, e a cercare nel disfacimento corporeo un sostituto ai tormenti inflitti dai diavoli.
Fu un argomento assolutamente terreno, che in sé non aveva nulla di cristiano perché la sorte del corpo non avrebbe dovuto preoccupare il vero credente, attento soltanto a quella dell'anima.

La paura non fu più convogliata sull'aldilà ma sull'aldiquà, sullo sgomento nel constatare che tutti i beni sono transitori, i valori un inganno, pronti a svanire. Solo a questo punto la Chiesa poté esporre come corollario la necessità di tenere in conto l'anima eterna e la possibile dannazione.

Danza macabra

Nel tema dell'Incontro era negata l'identità dell'aspetto finale fra vivi e morti; gli scheletri suscitavano solo spavento e orrore.

Il motivo del vivo che si incontra con sé stesso morto è presente invece nel terzo tema medievale, cronologicamente il più tardo, che è la «Danza macabra». Viene in mente il terzo spirito vestito di nero e con una mano scheletrita del Racconto di Natale di Charles Dickens (1843), che prospetta al protagonista, il tirchio Ebenezer Scrooge, il suo tragico imminente futuro, mentre i due spiriti precedenti lo hanno riportato al passato e al presente. Nella «Danza macabra» vari personaggi, molti dei quali rappresentanti la ricchezza, il prestigio e il potere, sono trascinati loro malgrado in una danza, a volte scomposta, da uno scheletro che è il loro doppio, il cui ruolo di livellatore delle disuguaglianze terrene esprime, soprattutto Oltralpe, una forte protesta sociale.

 Nella «Danza macabra» dipinta da Giacomo Busca a Clusone (Bergamo) nel 1485, il facoltoso mercante mette la mano nella borsa per cercare di venire a patti. 

Giacomo Busca, Danza Macabra, Clusone (Bergamo), Oratorio dei Disciplini, 1485.


Lo scheletro ha però l'indice alzato e indica chiaramente che il mercante non si può sottrarre alla danza: deve seguire il destino di tutti 

Girolamo Savonarola nella Predica dell'Arte del ben morire esortava il fedele:
«Et etiam doverresti portare in mano una morticina [un piccolo scheletro] d'osso et guardarla spesso». Esortava inoltre a fare dipingere la Morte nella propria casa e a tenere un'altra immagine, più mobile, preferibilmente in camera, in modo che fosse possibile che su questo soggetto cadessero spesso gli occhi

Nota sui contadini

Discepolo: Che dici degli agricoltori? Maestro: Per la maggior parte si salveranno perché vivono in maniera semplice, e nutrono con il loro sudore il popolo di Dio, come si dice: «Beati coloro che mangiano della fatica delle loro mani» (Salmo 127,2).

Paura della fame

D: «Perché Dio non concesse all'uomo che, dopo avere mangiato, potesse restare senza cibo almeno per una settimana?» 
M: «La fame è una delle pene comminate per il peccato. L'uomo era stato creato in tal modo che, se avesse voluto, avrebbe potuto vivere beato senza alcuna fatica, senza lavorare. Dopo la caduta, poté riparare soltanto attraverso il lavoro. Infatti, se non fosse stato obbligato a patire la fame, il freddo o tutte le altre cose spiacevoli, non avrebbe certo voluto lavorare e in tal modo sarebbe rimasto per sempre esule, proscritto dal regno dei cieli. Per questo Dio gli ha instillato la fame, perché costretto da questo stimolo lavori e grazie a questa opportunità possa farvi ritorno. Questo vale naturalmente solo per gli eletti, perché per i dannati il lavoro è solo condanna e pena»'.

L’aratro

Se il contadino non possedeva buoi o non poteva affittarli era costretto alla trazione umana: una scena visibile sulla porta di bronzo di San Zeno a Verona (fine dell'XI secolo) mostra Adamo agricoltore che spinge un pesante aratro tirato da Caino 

Caino tira l'aratro, Verona, Basilica di San Zeno, fine dell'XI sec.

L'aratro a ruote, di cui la formella veronese è la prima rappresentazione, fu certamente un progresso anche se in questa scena la mancanza dei buoi dice quanto fosse viva nei secoli la maledizione divina: il lavoro è fatica e pena. Una maledizione giunta fino al nostro tempo:  un contadino racconta che da giovane insieme a un gruppo di coetanei, poveri quanto lui, si riunivano e a turno tiravano l'aratro.

Lorenzetti

Le strade, spesso infestate da briganti e mal tenute, rendevano difficili i trasporti. La loro agibilità era condizionata dalle stagioni: d'inverno, grandi pozzanghere, buche, allagamenti paralizzavano quasi del tutto il traffico extracittadino, ma incidevano negativamente anche su quello urbano. Del resto nel grande affresco di Ambrogio Lorenzetti (1338-39) nel Palazzo Pubblico di Siena, che vuole glorificare la vita felice in città e in campagna sotto il governo dei Nove, tutte le persone vanno a piedi, raramente a cavallo; lana e grano sono caricati su muli e asini e non c'è un solo carro che percorra le tante strade dipinte, segno della loro indisponibilità.


Ambrogio Lorenzetti, Gli effetti del buon governo, Siena, Palazzo Pubblico, 1338-39

Da monaco egli è scandalizzato che gli uomini non reagiscano, come sarebbe loro dovere, implorando la misericordia divina, ma è molto precisa l'osservazione che le sciagure, se troppo violente, provocano l'ottundimento; gli uomini quasi inebetiti non sono più capaci di pensare, ma solo cercano di sopravvivere, seguendo l'istinto, come gli animali.

Vegani e mangiatori di pesce

Il mangiare carne o astenersene indicava il gruppo sociale. Il cibo era diverso se si apparteneva al gruppo dei forti o a quello dei deboli, di chi comanda o di chi ubbidisce. Essere costretti a diventare vegetariani era un segno di umiliazione. Si capisce allora perché tutte le regole monacali proibiscano assolutamente di mangiare carne. I monaci potevano cibarsi di pesce, perché nel Medioevo si credeva che i pesci nascessero da soli e non avessero un sesso; erano dunque considerati un cibo «puro» e adatto a quegli uomini che avevano deciso di vivere soli, senza donne.

Peccato di gola

Ad esempio nell'affresco di Taddeo di Bartolo nel duomo di San Gimignano, sei dannati con le mani legate dietro la schiena sono costretti dai diavoli a fissare una tavola dove sono posati un pollo su un piatto, pane, caraffa e bicchieri colmi di vino rosso. In primo piano un grasso benestante e un grasso monaco (o frate). Gli occhi spalancati e le bocche aperte esprimono l'intensità del loro desiderio destinato a rimanere eternamente inappagato

Taddeo di Bartolo, La Gola, particolare dell'Inferno, San Gimignano,
duomo, fine del XIV o inizio del XV sec.

La presenza di due belle donne bionde e di un dannato, sempre in primo piano, che aprendo le gambe mette in mostra i genitali suggerisce la pericolosità nell'indulgere al piacere del cibo come prodromo al peccato di lussuria

La giustificazione alle ineguaglianze sociali

Certo non aiutava a spingere le persone a riflettere sulle cause di tante ineguaglianze la ferma convinzione che la società riflettesse un ordine voluto da Dio. Già Adalberone vescovo di Laon nel suo Carmen ad Robertum regem, pur consapevole di tante ineguaglianze che a noi appaiono ingiustizie, non pensava affatto che bisognasse cercare di eliminarle. Riteneva che questa fosse la società voluta da Dio e quindi immutabile. «La legge degli uomini distingue due condizioni diverse perché servo e signore non hanno una medesima legge».

Tutta colpa vostra

Mi chiedo se non possano rappresentare i lavoratori ai quali, in quanto peccatori, il Lenzi attribuisce la causa della carestia. Ingrati sono definiti i contadini nella miniatura che mostra la raccolta del grano in periodo d'abbondanza e nel relativo sonetto: hanno infatti «lo cor asciutto» nel lodare Dio, incuranti del suo monito: «Posso rimuover tucto, me ringrazia»; qui già si profila «il dispettoso e fioco corno che crudeltà scioglie e diserra». Nella miniatura precedente e nel relativo sonetto, ingrata è ritenuta la folla nel mercato di Orsanmichele in tempo di abbondanza, che si lamenta e biasima Iddio il quale avverte: «ma fia vendetta».

La paura del diverso

L’ebreo

Se è certamente giusto attribuire un peso preponderante alle crociate per lo sviluppo dell'antisemitismo in Occidente, l'ostilità ideologica nei loro confronti è però senza dubbio antecedente.

Rabano Mauro, monaco benedettino ed enciclopedista (784-856), nel capitolo IX del libro IV del suo De Universo passò in rivista ben dieci tipi di eretici ebrei, come a dire il peggio del peggio, perché non solo non avevano riconosciuto il Messia, si erano opposti al suo messaggio, tradito e volutamente frainteso, ma avevano voluto anche la morte del Redentore. Sono rappresentati, nel disegno acquerellato di un manoscritto del 1023, in due gruppi contrapposti: tre si turano le orecchie, per non avere ascoltato la parola del Redentore, tre si schermano le labbra con un panno per essersi rifiutati di diffondere il messaggio divino.

Gli eretici ebrei, Montecassino, abbazia, ms. Casin. 132, f. 75г, 1023.

Gli infedeli, cioè gli ebrei, considerati come tali perché non avevano riconosciuto in Cristo il Messia e al tempo dei romani avevano voluto la sua morte.

tuttavia Dio mantenne in vita il popolo ebraico perché i suo peccato fosse ricordato per sempre, come quello di Caino: «Caino è proprio colui al quale, dopo che egli ebbe ucciso il fratello, il Signore appose un segno, affinché nessuno lo uccidesse. Questo è il segno che hanno gli ebrei», costretto, Caino, come gli ebrei, a vagare di terra in terra ed essere per sempre «vagus et profugus super terram» (Genesi 4,12). 

In una miniatura tratta da un Salterio inglese del XIII secolo che illustra il momento della maledizione Caino, in quanto agricoltore, ha con sé falce e falcetto, ma piccole corna spuntano fra i capelli e il volto di profilo mette bene in mostra il naso adunco.

Dio maledice Caino, Cambridge, St John's College Library,XIII sec.

Gli ebrei esistono non per loro stessi, lo ripeto, ma per rafforzare la fede dei loro nemici

San Simonino

A Trento, nel 1475, un bambino di due anni e mezzo di nome Simone annegò in un fossato e fu ritrovato la domenica di Pasqua. Il canale passava sotto la casa di Samuele da Norimberga, la persona più autorevole della ricca comunità degli ebrei trentina che fu incolpata di avere ucciso il bambino con orribili torture, per potere poi usare il sangue e impastarlo nel pane azzimo nei riti della Pasqua ebraica. Iniziò un processo voluto dal terribile vescovo-principe Johannes Hinderbach che con sevizie di ogni genere riuscì, dopo una lunga resistenza, a fare ammettere agli accusati che si era trattato di un omicidio rituale. Questo fu il pretesto per una serie di condanne al rogo e per un massacro in grande stile degli ebrei trentini, seguito naturalmente dalla confisca di ogni loro bene. Il culto del piccolo Simone, o Simonino, si diffuse con grande celerità: fu venerato come beato fino al 1965, quando finalmente venne riconosciuta l'infondatezza delle accuse contro gli ebrei e del relativo martirio.

Se in una chiesa vediamo l'immagine di Simonino, possiamo essere certi che in quel luogo avvennero persecuzioni contro gli ebrei.

Gli etiopi

San Gerolamo commentando il versetto «Et populus Aethiopum»: spiega: «cioè gli etiopi sono coloro che sono neri, coperti dalla lordura dei peccati [...] in passato noi fummo etiopi, etiopi per i nostri vizi e peccati. Come? Perché il peccato ci ha reso neri»

Gli unici neri accettati sono San Maurizio e uno dei tre re Magi.

Paura delle malattie

Nel Medioevo, ignorando l'esistenza di batteri e di virus, i medici erano completamente disarmati di fronte alle malattie.
Si limitavano a pochi gesti, tastavano il polso e scrutavano le urine per il cui trasporto e osservazione era utilizzata la matula, un recipiente di vetro sottile inserito in una fasciatura di paglia cilindrica con coperchio e manico.

I malati sono nudi perché anche da sani si dormiva sempre senza indumenti, lasciati in un'altra stanza, di solito appesi a una stanga, nella speranza di avere addosso un po' meno pulci o pidocchi. Si indossava invece una cuffia per contrastare il freddo delle stanze nella cattiva stagione.

La lebbra

Sempre al principio della sua conversione, Francesco mentre un giorno cavalcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso.
[...]. Facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano

Francesco bacia un lebbroso e gli fa l'elemosina, Roma, Museo Francescano

E ricevendone un bacio di pace, risali a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al punto di sapersi vincere perfettamente con l'aiuto di Dio. Trascorsi pochi giorni prese con sé molto denaro e si recò all'ospizio dei lebbrosi; li riunì e distribuì a ciascuno l'elemosina, baciandogli la mano [...]. Confidava lui stesso che guardare i lebbrosi gli era talmente increscioso, che non solo si rifiutava di vederli, ma nemmeno sopportava di avvicinarsi alle loro abitazioni. Capitandogli di transitare presso le loro dimore o di vederne qualcuno, sebbene la compassione lo stimolasse a far l'elemosina per mezzo di qualche altra persona, lui voltava però sempre la faccia dall'altra parte e si turava le narici

La peste

Non fu però un testimone oculare, come dimostrano gli atti da lui rogati a Piacenza negli anni 1338-394; bisogna supporre allora che per gli stretti contatti commerciali fra Piacenza e Genova egli abbia avuto un vivido e dettagliato resoconto da un suo compae-sano, un mercante abituato a viaggiare per terra e oltremare.

Secondo l'autore, che fin dalle prime righe cita l'Apocalisse", il tutto avvenne per una nefasta congiunzione degli astri permessa da Dio per punire i peccati degli uomini.

Il benedettino, poeta e scrittore, Gilles Li Muisis, morto nel 1352 nell'abbazia di San Martino di Tournai di cui era abate, nel suo Chronicon parla brevemente dei tatari di Caffa, della mortalità altissima che li colpì: solo uno su venti riusciva a sopravvivere.

Ritenendo che il morbo fosse causato dalla vendetta divina, i guerrieri «dopo una lunga discussione decisero di entrare nella città che stavano assediando e di farsi cristiani». Con loro stupore trovarono però pochissimi abitanti perché gli altri erano tutti deceduti. «Quando constatarono che la mortalità aveva infierito fra i cristiani esattamente come fra di loro a causa dell'aria infetta, decisero di continuare a rimanere fedeli alla loro religione».

il Villani viene a sapere poi di altri eventi insoliti e paurosi accaduti in quelle lontane terre: pioggia dal cielo di una sorta di scorpioni neri, velenosi e puzzolenti; uomini e donne diventati di marmo tanto che - scrive - molti si erano proposti di convertirsi alla fede cristiana ma avendo saputo della diffusione della peste anche in Occidente «si rimasono nella loro perfidia»: una notazione analoga a quella, come sappiamo, di Gilles Li Muisis.

l'Italia era flagellata da una pestilenza cosi tremenda che i superstiti bastavano a stento a seppellire i morti;

Nel Medioevo i segni sul corpo degli appestati potevano evocare le tante ferite inferte dalle frecce sul corpo del santo e poiché Sebastiano era miracolosamente sopravvissuto al supplizio faceva sperare ai malati di essere aiutati, invocandolo, a resistere all'attacco della malattia.

Testimonianza da Siena

Che ben si può dire beato a chi tanta oribilità non vidde.

E io Agnolo di Tura, detto Grasso, sotterrai cinque miei figliuoli co' le mie mani; e anco furo di quelli che furono così malcuperti di terra che li cani ne trainavano e mangiavano di molti corpi per la città. E non era alcuno che piangesse alcun morto, imperoche ognuno aspettava la morte; e morivane tanti che ognuno credea che fusse finemondo e non valea né medicina né altro riparo; e quanti ripari si facea parea che più presto morissero

L'ammonticchiarsi dei cadaveri coperti con la terra «suolo a suolo» era una sorte che toccava «a chi non era molto ricco», scrisse Marchionne di Coppo Stefani, cronista fiorentino, che aggiunse, con crudo realismo, che quel procedere era «come si minestrasse lasagne a fornire di formaggio» Le sfoglie di pasta erano i cadaveri e il formaggio che serviva a condire ogni strato, la poca terra che li separava gli uni dagli altri, perché non c'era tempo di scavare più a lungo.

Festa!

La reazione dei cittadini era divaricata. Gli uni avevano deciso di vivere moderatamente, altri invece «affermavano il bere assai e il godere e l'andar cantando attorno e sollazzando e il soddisfare d'ogni cosa allo appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi essere medicina certissima a tanto male» Decameron di Boccaccio pp17

Nel 1349 la Germania fu percorsa anche da pericolose bande di penitenti, i flagellanti, che sostenevano di fermare il contagio flagellandosi a sangue per trentatré giorni e mezzo di seguito (gli anni del Signore) con corde a nodi dove erano inserite punte di ferro.

Outro: c'é qualcosa di riciclabile?

Giunto alla fine del libro mi sono chiesto se qualche paura presente nel medioevo fosse ancora presente nel presente o in alternativa se qualche paura facente parte del passato avesse la pena essere reintrodotta nel presente; certo non sembra un grande affare reintrodurre elementi negativi come il sentimento della paura, come se al giorno d'oggi non ne avessimo già abbastanza legate alla nostra società odierna. Un vero e proprio "cercarsela col lanternino" insomma. 
Eppure malgrado questo ritengo che la paura della morte improvvisa andrebbe rivalutata, certo non più per l'angoscia di finire agli inferi ma semplicemente per ricordarci che potremmo morire da un momento all'altro, che il tempo é prezioso, ogni secondo é prezioso. Questa consapevolezza era sicuramente più marcata in passato, quando la medicina era quello che era, quando la speranza di vita era decisamente più basse. Questo portava ad una consapevolezza maggiore di quanto sia prezioso il tempo, cosa che oggigiorno diamo meno attenzione, ma anche se le probabilità sono minori oggi come ieri ogni giorno potrebbe essere l'ultimo. La valorizzazione del tempo, a scapito di danaro e ricerca di felicità materiale a tutti i costi, dovrebbe spuntarla con facilità. Questo percorso é ancora presente oggi ma lo si raggiunge solo in "età avanzata" specialmente quando i primi acciacchi vengono a ricordarci che non siamo Highlanders. Un bel "MEMENTO MORI" quindi per farla breve é l'insegnamento che questo testo mi porta

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Orson Wells afferma che gli svizzeri in 500 anni sono riusciti a creare ben poco, in particolare: "In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù." Orson Wells - Il terzo uomo - fim 1949 Possiamo tranquillamente affermare che gli urani hanno seguito la stessa falsa riga per quanto riguarda il baliaggio di Leventina: in oltre 300 anni sono riusciti “solo” a migliorare la viabilità presso la gola del piottino (e di conseguenza fabbricarci il redditizio Dazio grande) . Le virgolette sul solo stanno comunque a sottolineare la difficoltà di costruire una strada in quel punto, questo senza nulla togliere alla difficoltà nel costruire un orologio a cucù che meritava forse anch’esso sarcasticamente le stesse virgolette nella battuta di Well...

Sulla strada per Beromünster

Domenica 10 agosto 2025. Sono seduto su di un bus in stazione a Lucerna. A momenti partirà e in men che non si dica lascerà la città per addentrarsi nelle campagne lucernesi. Ed é proprio questo che amo, essere portato in quello che nel film Trainspotting viene definito “il nulla”. La mia esplorazione oggi mi porterà da una cappella in piena campagna fino al villaggio di Beromünster. La cappella e il nome del villaggio posto come traguardo intrigano (Beromünster si chiamava fino al 1934 semplicemente Münster, monastero). Sono 7 km completamente piatti in una rovente giornata d’estate. Mi aspetto di vedere forse qualche giocatore di golf ad inizio percorso per poi isolarmi completamente tra campi e boschi fino all’arrivo, la tappa di per se non ha nulla che attiri le grandi masse, in Svizzera Mobile non fa nemmeno parte di un percorso a tema. Ma oggi per stare nella pace occorre ricorrere a questi tragitti di “seconda fascia”. La vera gioia sta nell’apprezzare quello che la natura o ...

Curon sul lago di Resia

Diciamo subito che io sappia non esistono altri Curon per cui si necessita aggiungere la precisazione “sul lago di Resia”. La scelta di aggiungere l’indicazione del lago é per facilitare la messa a fuoco del lettore. Se poi vogliamo esagerare sarebbe bastato dire “dove c’è la chiesa sommersa ed emerge solo il campanile." Sarebbe poi bastato aggiungere due foto del caso, da due angolazioni diverse e chiuderla lì, verso nuove avventure. Ma sarebbe stato “facile”, superficiale e maledettamente incompleto. Se il campanile compare un po’ ovunque, sulle portiere dei veicoli della municipalità agli ingombranti souvenir (vedi sotto) un motivo ci sarà.  Il classico dei classici. E non é legato all’aspetto “wow” che questo edificio immerso in uno scenario idilliaco suscita alla prima vista, come se si trattasse di un opera artistica moderna. C’è dell’altro. Basterebbe porsi semplici domande, ad esempio come si é giunti a tutto questo? Un inondazione? Una tragedia? Oppure é una semplice attr...

Kyburg e la vergine di Norimberga

Il tempo passa ma per la vergine di Norimberga presente al castello di Kyburg sembra non incidere, ache se poi vedremo che qualche ritocco l'ha necessitato pure lei. Che poi se ne possano dire finché si vuole ma la vera superstar del castello del castello di Kyburg é lei, proprio come aveva ben visto chi l'acquistò proprio per questo scopo «Vergine di ferro» I visitatori del castello si aspettavano sempre di vedere armi storiche e strumenti di tortura.  Appositamente per loro venivano realizzate delle «vergini di ferro». Matthäus Pfau acquistò il suo esemplare nel 1876 in Carinzia per mettere in mostra «il lato più oscuro del Medioevo».  A quel tempo, le forze conservatrici cercavano di reintrodurre la pena di morte, che era stata abolita poco prima in Svizzera. Attrazione turistica È risaputo che la Vergine di ferro fu inventata nel XIX secolo. Non vi è alcuna prova che in una simile cassa dotata di lame e con una testa di donna sia mai stata uccisa o torturata una persona....

Da Campo Valle Maggia a Bosco Gurin - parte II - Da Cimalmotto al passo Quadrella

Sbuco su Cimalmotto dal sentiero proveniente da Campo Valle Maggia verso mezzogiorno. Non mi aspetto di trovare spunti storici altrettanto avvincenti che a Campo, sarebbe impensabile in così pochi ettari sperare in tanto. Eppure.... Vista da Cimalmotto in direzione di Campo Valle Maggia di cui si intravede il campanile in lontananza Ci sono due elementi geologici che caratterizzano questa parte della valle: la frana che domina la parte inferiore e il pizzo Bombögn che sovrasta la parte superiore. Campo Valle Maggia e Cimalmotto sono l'affettato di questo ipotetico sandwich Chi visita Campo e le sue frazioni con occhio attento non può non rimanere esterrefatto dal contrasto fra la bellezza paesaggistica della zona e la ricchezza dei monumenti storici da un lato e la desolante povertà demografica dall’altro. I motivi sono diversi: innanzitutto Campo, al momento dell’autarchia più dura, era uno dei comuni più popolati della Valmaggia (nel XVIII superava i 900 abitanti; nel 1850 erano...

Mosé Bertoni

C'é una piccola sala nel museo di Lottigna, resta staccata dal complesso principale del museo, una piccola sala che per eventi sfortuiti (si con la "s" davanti) sono riuscito a vedere solo di sfuggita. Però quello che sono riuscito a assaggiare nei pochi momenti mi ha affascinato. Il classico ometto nato in un piccolo villaggio in una valle discosta per poi costruirsi una vita tutt'altro che scontata. Un personaggio amante delle tradizioni svizzere e dei principi anarchici, una combinazione piuttosto bizzarra per non dire incomprensibile. Si capisce fin dai primi momenti che si ha a che fare con un personaggio di nicchia, degno di un approfondimento. Mosè Bertoni verso il 1910 Foto F. Velasquez, Asuncion (Coll. priv.) Mosè Bertoni non è un uomo comune. Giovane irrequieto, dai molteplici interessi, impegnato politicamente tra i liberali innovatori e vicino all'anarchismo, a 27 anni decide di «dare un calcio a questa vecchia Europa» . Non è neppure un emigrante comu...